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Assegno ad personam: no al personale ‘richiamato’

Un ex militare di un ente pubblico, precedentemente in servizio in base a richiami militari, ha chiesto il riconoscimento di un assegno ad personam dopo il passaggio al ruolo civile. La Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un precedente giudicato amministrativo che aveva escluso la natura di lavoro subordinato del servizio prestato. La Corte ha inoltre chiarito che la normativa sull’assegno ad personam è riservata al solo personale in servizio continuativo a tempo indeterminato, escludendo quindi il personale ‘richiamato’.

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Pubblicato il 11 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Assegno ad personam: La Cassazione chiarisce la distinzione tra personale “continuativo” e “richiamato”

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30569/2024, è intervenuta su una questione cruciale riguardante il trattamento economico del personale militare transitato nei ruoli civili di un ente pubblico. La controversia verteva sul diritto a percepire l’assegno ad personam, un emolumento volto a salvaguardare la retribuzione precedentemente goduta. La decisione mette in luce non solo l’interpretazione della normativa specifica, ma anche importanti principi procedurali, come l’effetto vincolante di una precedente sentenza amministrativa.

I fatti del caso: Dalla divisa all’ufficio civile

Un ex militare, che aveva prestato servizio presso un ente in base a periodici richiami di natura militare, dopo essere transitato nel ruolo civile del nuovo ente successore, ha agito in giudizio. La sua richiesta era triplice: il riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata come militare, il corretto inquadramento nel profilo amministrativo e, soprattutto, la corresponsione di un assegno riassorbibile (il cosiddetto assegno ad personam) per mantenere il livello retributivo precedente. Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano rigettato le sue domande. Di qui, il ricorso in Cassazione.

La questione del giudicato amministrativo e l’inammissibilità

Il primo e fondamentale ostacolo incontrato dal ricorrente è stato di natura processuale. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile a causa di un precedente “giudicato amministrativo”. In passato, infatti, lo stesso lavoratore si era rivolto al TAR per ottenere il riconoscimento della continuità del lavoro svolto, chiedendo che venisse equiparato a un rapporto di lavoro subordinato. Il giudice amministrativo aveva respinto tale pretesa, escludendo espressamente tale equiparazione.

Secondo la Cassazione, questa decisione, divenuta definitiva, ha un effetto preclusivo. In base al principio del ne bis in idem, non è possibile riesaminare in sede civile un punto fondamentale già accertato e risolto in via definitiva da un altro giudice, anche se la nuova causa ha finalità diverse. Poiché la natura del servizio prestato era il presupposto per le richieste economiche, e tale natura era già stata definita come “non subordinata”, la nuova domanda non poteva essere accolta.

L’interpretazione della normativa sull’assegno ad personam

Pur avendo dichiarato l’inammissibilità, la Corte ha voluto, per completezza, analizzare anche il merito della questione, confermando l’erroneità della pretesa del ricorrente. La legge di riferimento (d.lgs. n. 178 del 2012) distingue nettamente due categorie di personale:

1. Personale in servizio continuativo: Si tratta di coloro che erano già assunti a tempo indeterminato. Per questi, la legge prevede espressamente la prosecuzione automatica del rapporto e il diritto all’assegno ad personam per colmare la differenza con il nuovo trattamento economico da civile.
2. Personale “richiamato”: Questa categoria, cui apparteneva il ricorrente, comprende coloro che prestavano servizio temporaneo sulla base di atti di precetto militare. Per essi non si configura un rapporto di lavoro subordinato e la legge non prevede lo stesso trattamento economico, ma solo delle modalità di reclutamento agevolate (una riserva di posti).

La Corte ha specificato che l’estensione dell’assegno prevista da un’altra norma (art. 6, comma 6) si applica solo al personale che, dopo il transito nell’ente, viene successivamente trasferito ad altre pubbliche amministrazioni tramite mobilità, e non al personale “richiamato” che entra per la prima volta stabilmente nell’ente civile.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Cassazione ha basato la sua decisione su due pilastri. In primo luogo, l’inammissibilità deriva dal giudicato amministrativo che aveva già definito la natura non subordinata del rapporto di servizio, impedendo un nuovo esame della questione. In secondo luogo, e nel merito, la Corte ha ribadito che l’interpretazione letterale e sistematica della normativa non lascia spazio a dubbi: l’assegno ad personam è una tutela economica prevista esclusivamente per il personale militare già in servizio continuativo a tempo indeterminato, per garantire la stabilità retributiva nel passaggio al ruolo civile. Il personale “richiamato”, non avendo un preesistente rapporto di lavoro subordinato, non rientra in questa previsione.

Le conclusioni

La sentenza consolida un importante principio: le decisioni definitive del giudice amministrativo sulla natura di un rapporto di impiego pubblico hanno un effetto vincolante anche nei successivi giudizi civili che si fondano sullo stesso presupposto. Inoltre, chiarisce in modo netto che, nell’ambito della riforma di enti pubblici con personale militare, i benefici economici come l’assegno ad personam sono strettamente legati alla tipologia di rapporto preesistente, operando una chiara distinzione tra personale stabile e personale impiegato su base temporanea e non contrattuale.

Spetta l’assegno ad personam al personale militare “richiamato” che transita nei ruoli civili?
No, la sentenza chiarisce che l’assegno ad personam previsto dal d.lgs. n. 178 del 2012 è riservato unicamente al personale militare in servizio “continuativo” per effetto di assunzione a tempo indeterminato, non a quello “richiamato” in servizio con atti di precetto di natura militare.

Una precedente sentenza del giudice amministrativo può impedire una causa davanti al giudice civile?
Sì. La Corte di Cassazione ha affermato il principio del ne bis in idem, stabilendo che se il giudice amministrativo si è già pronunciato in modo definitivo sulla natura di un rapporto di servizio (escludendo che fosse un rapporto di lavoro subordinato), tale decisione (giudicato amministrativo) preclude un nuovo esame della stessa questione in sede civile.

Qual è la differenza fondamentale tra personale “continuativo” e “richiamato” secondo la Corte?
Il personale “continuativo” è quello assunto a tempo indeterminato, il cui rapporto prosegue automaticamente nel nuovo ente, giustificando il mantenimento del livello retributivo. Il personale “richiamato”, invece, presta servizio temporaneo sulla base di precetti militari, senza instaurare un rapporto di lavoro subordinato e non ha quindi diritto allo stesso trattamento economico previsto per i continuativi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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