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Assegno ad personam: no al mantenimento stipendio

Un ex militare “riservista”, passato a un ruolo civile durante la riorganizzazione di un ente pubblico, si è visto ridurre lo stipendio e ha richiesto un assegno ad personam per colmare la differenza. La Corte di Cassazione ha dichiarato il suo ricorso inammissibile, principalmente a causa di una precedente sentenza definitiva del giudice amministrativo che aveva già escluso la natura di lavoro subordinato del suo precedente servizio. La Corte ha inoltre specificato che la legge in questione garantiva il mantenimento dello stipendio solo al personale di ruolo a tempo indeterminato.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Assegno ad Personam: Quando il Passaggio a Ruolo Civile Non Garantisce lo Stipendio

Il passaggio da un ruolo militare a uno civile all’interno della Pubblica Amministrazione solleva spesso questioni complesse, soprattutto dal punto di vista economico. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato il caso di un ex “riservista” di un ente pubblico che, transitato nei ruoli civili, ha contestato la riduzione del proprio stipendio, chiedendo il riconoscimento di un assegno ad personam. La decisione dei giudici supremi offre importanti chiarimenti sui limiti di questo diritto e sul peso di precedenti sentenze amministrative.

I Fatti di Causa: Transizione e Stipendio Ridotto

La vicenda ha origine dalla riorganizzazione di un importante ente pubblico nazionale, che ha comportato la transizione del suo personale militare verso ruoli civili. Il ricorrente, che aveva prestato servizio per anni come “riservista” (cioè richiamato in servizio temporaneo), a seguito di una procedura selettiva è transitato nei nuovi ruoli civili dell’ente.

Con questo passaggio, però, il suo trattamento economico è stato ridotto rispetto a quello percepito in ambito militare. Ritenendo di aver diritto a mantenere il livello retributivo precedente, ha avviato un’azione legale per ottenere il riconoscimento di un assegno ad personam pari alla differenza, da far valere poi nei confronti dell’amministrazione di destinazione finale.

La sua domanda è stata respinta sia in primo grado che in appello. I giudici di merito hanno sottolineato la differenza sostanziale tra il personale di ruolo, con un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, e il personale volontario o “riservista”, il cui servizio non era configurabile come un rapporto di lavoro subordinato continuativo.

Le Motivazioni della Cassazione sull’Assegno ad Personam

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, basando la sua decisione su un argomento procedurale dirimente: il giudicato amministrativo. I giudici hanno infatti rilevato che un tribunale amministrativo si era già pronunciato in via definitiva sulla natura del rapporto di servizio del ricorrente, escludendo che si trattasse di un rapporto di lavoro subordinato.

Il Principio del Ne Bis in Idem

Questa precedente sentenza, divenuta inappellabile, ha creato un “giudicato esterno” che preclude a qualsiasi altro giudice, incluso quello civile, di riesaminare la stessa questione. In base al principio del ne bis in idem (“non due volte per la stessa cosa”), la natura del rapporto di lavoro era già stata accertata e non poteva essere messa nuovamente in discussione. Tale accertamento era fondamentale, perché il diritto al mantenimento dello stipendio e l’applicazione di normative a tutela dei lavoratori a tempo determinato dipendevano proprio dal riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato, che in questo caso era stato escluso.

L’Interpretazione della Normativa di Settore

Pur dichiarando l’inammissibilità per ragioni procedurali, la Corte ha colto l’occasione per chiarire anche l’interpretazione della legge specifica sulla riorganizzazione dell’ente (d.lgs. n. 178/2012). I giudici hanno specificato che le norme invocate dal ricorrente prevedevano il diritto all’assegno ad personam unicamente per il “personale assunto a tempo indeterminato”.

Il passaggio dei “riservisti” nei ruoli civili non era considerato una continuazione del rapporto precedente, ma una “nuova assunzione”. Di conseguenza, non potevano beneficiare della stessa tutela economica garantita al personale che già godeva di un contratto stabile. Il trattamento economico spettante era quello previsto per il nuovo inquadramento civile, senza alcun diritto a un assegno di salvaguardia.

Le Conclusioni

La sentenza della Cassazione stabilisce due principi fondamentali con importanti implicazioni pratiche:

1. Valore vincolante del giudicato amministrativo: Una decisione definitiva del giudice amministrativo su un punto cruciale (come la natura di un rapporto di servizio) è vincolante anche per il giudice civile, impedendo di fatto la riapertura della discussione.
2. Diritto all’assegno ad personam non è universale: Nel pubblico impiego, il diritto a mantenere il proprio livello retributivo in caso di transizione tra ruoli non è automatico. La sua applicazione dipende strettamente da quanto previsto dalla normativa specifica e dalla natura del rapporto di lavoro preesistente. In questo caso, la tutela era riservata solo al personale con un precedente contratto a tempo indeterminato.

Un dipendente pubblico ha sempre diritto a mantenere il proprio stipendio se cambia ruolo?
No, non sempre. La sentenza chiarisce che il diritto a un assegno ad personam per conservare il trattamento economico precedente non è automatico. In questo caso, era previsto solo per il personale già assunto a tempo indeterminato prima della transizione, non per il personale con rapporti di servizio temporaneo.

Una decisione di un giudice amministrativo può bloccare una causa davanti a un giudice civile?
Sì. Se un giudice amministrativo ha già emesso una sentenza definitiva (giudicato) su un punto fondamentale della controversia, come la natura di un rapporto di servizio, quel punto non può essere nuovamente discusso in un’altra causa tra le stesse parti. Questo è il principio del ne bis in idem.

Perché l’appello è stato dichiarato inammissibile e non semplicemente respinto?
L’appello è stato dichiarato inammissibile per più ragioni. La principale è l’esistenza del precedente giudicato amministrativo che precludeva l’esame della questione nel merito. Inoltre, la Corte ha riscontrato vizi formali nel ricorso, come la mescolanza di diversi motivi di impugnazione, che ne hanno impedito un’analisi approfondita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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