Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1061 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1061 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 10/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22062/2018 R.G. proposto da
– ricorrente –
contro
Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale Cardarelli , in persona del legale rappresentante pro tempore ,
NOME COGNOME rappresentato e dife so dall’avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3133/2018, depositata il 19.6.2018 della Corte d’Appello di Napoli;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19.12.2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il ricorrente convenne in giudizio davanti al Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, l’ Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale Cardarelli per chiederne la condanna al pagamento della maggiorazione retributiva asseritamente dovutagli, per gli anni dal 2002 al 2006, in forza della deliberazione n. 359/1997 adottata dalla Gestione liquidatoria della U.S.L. n. 40 in adempimento alla sentenza del Consiglio di Stato n. 9/1996, che aveva definitivamente accertato la legittimità della maggiorazione a suo tempo accordatagli dagli Ospedali Riuniti di Napoli (nel 1979) e dalla stessa U.S.L. n. 40 di Napoli (nel 1985) per adeguare il suo trattamento economico a quello del Segretario Generale dell’ente di provenienza.
Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale accolse la domanda , condannando l’Azienda al pagamento della somma capitale di € 27.933,67, oltre a gli accessori.
L’Azienda Ospedaliera propose impugnazione contro la sentenza, che venne accolta dalla Corte d’Appello di Napoli, ritenendo, da un lato, che la deliberazione n. 359/1997 avesse un’efficacia limitata nel tempo , poiché rinviava all’accordo collettivo recepito nel d.P.R. n. 348 del 1983; dall’altro lato, che l’assegno ad personam accordato al dirigente dovesse intendersi ormai riassorbito dagli aumenti reddituali maturati successivamente.
Contro la sentenza della C orte d’ Appello, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi. L’Azienda Ospedaliera si è difesa con controricorso. Il ricorso è trattato in camera di consiglio ai sensi de ll’ art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia, «in relazione alla procura ad litem conferita dall’AORN COGNOME ad avvocato dipendente della Regione Campania: art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, in riferimento all’art. 117, comma 4, Cost., all’art. 11, comma 8 -bis , del decreto legge 8.4.2013 n. 35 (‘Dis posizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti locali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali’) introdotto, in sede di conversione, da ll’ art. 10 -sexies della legge 6.6.2013, n. 64, subito dopo la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 29, commi 1 e 2, della legge regionale Campania n./2009 nonché in riferimento alla delibera di Giunta Regionale n. 231 del 5.5.2015 in attuazione del citato art. 11, comma 8 -bis .».
Il ricorrente sostiene che la Corte d ‘Appello avrebbe errato nel respingere l’eccezione di inammissibilità dell’appello ba sata sul rilievo della nullità della procura alle liti rilasciata dall’Azienda Ospedaliera a un avvocato dell’avvocatura regionale della Campania ai sensi dell’art. 29 della legge regionale n. 1 del 2009, dichiarata illegittima con sentenza della Corte costituzionale n. 91 del 2013. Aggiunge che la nullità della procura non poteva considerarsi sanata dal rinnovo del mandato, al medesimo difensore, ai sensi dell’art. 11, comma 8 -bis , del decreto legge n. 35 del 2013 (comma introdotto dalla legge di conversione n. 64 del 2013), in quanto tale legge nazionale necessitava di essere attuata mediante legge regionale, posto che incideva sull’organizzazione interna della regione e dei suoi enti dipendenti.
1.1. Il motivo è infondato, perché, come questa Corte ha già avuto occasione di affermare, e proprio con riferimento
a ll’intervenuta dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 29 della legge regionale Campania n. 1 del 2009, « la sopraggiunta declaratoria di nullità della norma regionale che costituiva il presupposto del rilascio della procura all ‘ avvocatura regionale non è in grado di invalidare ab origine l ‘ attività processuale pregressa, espletata in forza della procura alle liti rilasciata in base a una legge dichiarata successivamente incostituzionale ». Infatti, « gli effetti processuali che si sono verificati per effetto della procura alle liti si devono ritenere irreversibilmente consolidati », perché la « decisione della Corte Costituzionale ha inciso sulla norma regionale che sanciva tale facoltà per gli enti collegati alle regioni, e non sullo ius postulandi . Diversamente ragionando, verrebbe compresso a posteriori il diritto di difesa esercitato dal difensore della parte, così rappresentata, per contrastare il diritto di azione esercitato dall ‘ attore, pur non essendo stato tale specifico rapporto toccato dalla pronuncia di incostituzionalità che ha riguardato il solo aspetto -formale -della mancanza di una norma primaria che consentisse alla regione di legiferare autonomamente in tale materia incidente sulla professione legale di avvocato » (Cass. n. 23335/2019, alla più ampia motivazione della quale si fa rinvio ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.; conf. v. Cass. nn. 2162/2022 e 14992/2023).
1.2. L’eccezione di inammissibilità dell’appello per difetto di procura alle liti era dunque infondata anche a prescindere dalla considerazione svolta dalla Corte d’Appello sull’efficacia sanante della nuova procura rilasciata al medesimo difensore -nel termine perentorio all’uopo fissato dal giudice ai sensi dell’art. 182 c.p.c. -dopo l’entrata in vigore dell’art. 11, comma 8 -bis , del decreto legge n. 35 del 2013, inserito nel decreto dalla
legge di conversione n. 64 del 2013, il quale dispone che «Ai fini del contenimento della spesa pubblica, gli uffici legali delle Regioni sono autorizzati ad assumere gratuitamente il patrocinio degli enti dipendenti, delle agenzie regionali e degli organismi istituiti con legge regionale per l ‘ esercizio di funzioni amministrative delle Regioni medesime».
L’inefficacia retroattiva della dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge regionale n. 1 del 2009, come sopra evidenziata, esclude che ci fosse necessità di rinnovare la procura al fine di affermare l’ammissibilità dell’appello. È comunque da ritenere valida anche la nuova procura, non potendosi condividere l ‘opinione di parte ricorrente secondo cui il decreto legge non avrebbe potuto produrre effetti in mancanza di una legge regionale di attuazione nella Regione Campania. Depongono in senso contrario, sia il fatto che la norma è contenuta in un atto legislativo che ha quale presupposto un caso «di necessità e d’urgenza» (art. 77 Cost.), sia il dichiarato fine di «contenimento della spesa pubblica», il cui perseguimento non può essere condizionato all’emissione di strumenti attuativi da parte delle regioni. Il fatto che di siffatti strumenti attuativi ci sia bisogno per disciplinare le conseguenze della disposizione statale sull’organizzazione dei servizi amministrativi regionali non significa che sia nulla, fino all’adozione degli strumenti attuativi, la procura alle liti rilasciata al difensore appartenente all’ufficio legale della regione in conformità alla precisa norma contenuta nel decreto legge.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: «Nel merito: in riferimento alla disciplina del trattamento economico previsto per l’Area dirigenziale del comparto Sanità – Art. 360,
comma 1, n. 3, c.p.c. -Violazione e falsa applicazione di norme di diritto -art. 2, comma 3, prima parte, del d.lgs. n. 165/2001 ed art. 24 del medesimo d.lgs. e CCNL Sanità 8.6.2000 e s.i. -dirigenza non medica».
Il ricorrente contesta la decisione del la Corte d’Appello nella parte in cui ha ritenuto che il trattamento economico più favorevole a lui attribuito con la deliberazione n. 359/1997 doveva intendersi venuto meno con l’entrata in vigore del primo rinnovo della contrattazione collettiva, secondo la previsione de ll’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001 .
Il terzo motivo censura, «in relazione alla presunta cessazione dell’assegno ad personam per ‘i limiti temporali’ di cui al d.P.R. 348/1983: art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. violazione e falsa applicazione di norme di diritto – art. 3 d.P.R. n. 348/1983 e art. 58, comma 2, d.P.R. n. 348/1983».
Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui si è ritenuto che l’efficacia nel tempo della deliberazione n. 359/1997 fosse cessata ben prima degli anni (2002-2006) con riferimento ai quali il ricorrente ha svolto la sua domanda.
Infine, il quarto motivo è rubricato nei termini seguenti: «in riferimento al principio del riassorbimento dell’assegno ad personam in relazione al trattamento economico già riconosciuto al dott. COGNOME per equiparazione di funzioni: art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – violazione e falsa applicazione di norme di diritto – art. 2 d.lgs. n. 165/2001, art. 24 d.lgs. n. 165/2001, art. 227 T.U. 3.3.1934 n. 383 nonché art. 2697 c.c. in riferimento alla violazione del principio del riparto dell’onere probatorio».
Con questo motivo il ricorrente, da un lato, sostiene che il trattamento economico accordatogli sarebbe stato finalizzato
non a garantire un trattamento di favore, bensì a evitare una reformatio in peius del trattamento precedentemente goduto, sicché l’assegno non sarebbe stato riassorbibile; dall’altro lato, pone la distinzione tra astratta riassorbibilità dell’assegno e concreto riassorbimento, per negare che quest’ultimo fosse stato allegato e provato dall’Azienda Ospedaliera.
Nell’esaminare i tre motivi che contestano il merito della decisione impugnata, conviene prendere le mosse dal terzo, che tende ad aggredire quella che, nella motivazione della Corte d’Appello, costituisce una autonoma e sufficiente ratio decidendi del rigetto della domanda.
5.1. Il ricorrente ha posto a fondamento della sua pretesa la deliberazione n. 359 del 1°.7.1997 con la quale la Gestione Liquidatoria della U.S.L. n. 40 di Napoli aveva preso atto e dato esecuzione alla sentenza n. 9/1996 del Consiglio di Stato. La Corte d’Appello ha correttamente osservato che tale deliberazione « disponeva … l’attribuzione degli emolumenti indicati dalle tabelle alla stessa allegate ‘a far tempo dal 1° gennaio 1979 e con i limiti temporali derivanti dal successivo CNL di cui al d.P.R. 348/83’ ». Ha quindi considerato che « Pur non essendo ancora in vigore il d.lgs. n. 165/2001, la delibera disponeva, comunque, l’efficacia di quanto dalla stessa previsto solo fino all’intervento della contrattazione collettiva. La stessa non disponeva, quindi, per l’avvenire, bensì per i l periodo precedente, con riferimento al quale la delibera del 1979 della Gestione Liquidatoria dell’U .S.L. 40 aveva rideterminato il trattamento economico del personale dirigente, delibera, quest’ultima , che non aveva in un primo momento trovato esecuzione a causa del provvedimento negativo di controllo del RAGIONE_SOCIALE poi annullato con sentenza del Consiglio di Stato n. 9 del 21.6.1996 ».
In sostanza, la Corte territoriale ha interpretato l’atto del datore di lavoro su cui il ricorrente fonda la sua pretesa e ne ha tratto la motivata convinzione che esso non aveva conferito al lavoratore il diritto alla maggiorazione economica con riferimento agli anni oggetto di domanda (2002-2006).
5.2. Il ricorrente non censura l’interpretazione data dal giudice del merito alla deliberazione n. 359/1997, né, del resto, avrebbe potuto farlo in questa sede di legittimità, non trattandosi di norma di diritto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Viene rilevata una «contraddizione» nel fatto che la maggiorazione retributiva venne spontaneamente pagata fino al 31.12.1983, mentre il riferimento ai « limiti temporali derivanti dal successivo CNL di cui al d.P.R. 348/83 » poteva avere riguardo o al momento iniziale dell’intervento del contratt o collettivo (1°.1.1983) o al termine finale stabilito per i suoi effetti economici (30.6.1985). Ma è evidente che tale rilevata discordanza riguarda l’esecuzione della deliberazione e, quindi, non può essere considerata una contraddizione nel testo e nella interpretazione della deliberazione n. 359/1997.
5.3. Per il resto, il ricorrente censura l’interpretazione del d.P.R. n. 348 del 1983, ma si tratta di censura non pertinente, perché la Corte d’Appello, nell’esprimere questa autonoma ratio decidendi , ha affermato, non che l’efficacia della delibera n. 359 fosse venuta meno per effetto di una disposizione del d.P.R. n. 348 del 1983, bensì che la deliberazione si era data essa stessa una durata pari a quella prevista per il contratto collettivo recepito nel predetto d.P.R.; concludendo che la deliberazione, essendo stata emessa nel 1997, « non disponeva, quindi, per l’avvenire, bensì per il periodo precedente ».
5.4. In definitiva, il terzo motivo è inammissibile, perché -in quanto volto a negare che il d.P.R. n. 348 del 1983 abbia determinato l’inefficacia della deliberazione n. 359 /1997 -non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, che non è sull’interpretazione del d.P.R., ma sull’interpretazione del contenuto della deliberazione, interpretazione che, di per sé, non è stata censurata, né avrebbe potuto esserlo (se non nei limiti di una violazione dei canoni legali di interpretazione dei contratti).
Poiché quella inefficacemente attaccata con il terzo motivo di ricorso è un’autonoma ratio decidendi , idonea da sola a sorreggere il rigetto della domanda del lavoratore, ne consegue l’inammissibilità anche de l secondo e del quarto motivo, che non sono volti a censurare quella ratio decidendi .
6.1. Non occorre, pertanto, procedere all’esame nel merito di questi due motivi. Nondimeno, deve essere qui ribadita la fondatezza delle ragioni del rigetto già espresse recentemente da questa Corte in un caso del tutto analogo (Cass. n. 14992/2023, cit.).
Rigettato il ricorso, le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che , in base all’esito del giudizio, sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’ art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, a carico del ricorrente.
P.Q.M.
La Corte: rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese legali per il presente giudizio di legittimità, liquidate in € 4 .000 per compensi, oltre a € 200 per
esborsi, spese generali al 15% dei compensi e accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 19.12.2023.