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Assegno ad personam: limiti temporali e riassorbimento

Un dipendente del settore pubblico ha citato in giudizio un’azienda ospedaliera per ottenere una maggiorazione retributiva, nota come assegno ad personam, per gli anni dal 2002 al 2006, basandosi su una delibera aziendale del 1997. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del lavoratore, confermando la decisione della Corte d’Appello. La ragione fondamentale della decisione è che la stessa delibera del 1997 specificava la propria durata temporanea, limitandone gli effetti a un periodo precedente a quello richiesto dal dipendente, rendendo così la pretesa infondata.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Assegno ad personam: la Cassazione chiarisce i limiti temporali

L’assegno ad personam rappresenta una componente dello stipendio volta a salvaguardare il trattamento economico del lavoratore. Ma cosa succede quando la sua durata viene messa in discussione? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto chiarimenti cruciali, stabilendo che i limiti temporali di tale assegno possono essere definiti direttamente dall’atto che lo istituisce. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I fatti di causa

La vicenda ha origine dalla richiesta di un dirigente di un’azienda ospedaliera di vedersi riconosciuta una maggiorazione retributiva per il periodo 2002-2006. Tale pretesa si fondava su una delibera aziendale del 1997, la quale aveva recepito una precedente sentenza del Consiglio di Stato favorevole al lavoratore. Inizialmente, il Tribunale aveva dato ragione al dipendente, condannando l’azienda al pagamento di una cospicua somma. Tuttavia, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione, accogliendo l’impugnazione dell’azienda. Secondo i giudici di secondo grado, la delibera del 1997 aveva un’efficacia limitata nel tempo e l’assegno ad personam doveva considerarsi ormai riassorbito dagli aumenti contrattuali successivi. Il lavoratore ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

L’analisi della Corte di Cassazione e la questione della durata dell’assegno ad personam

Il ricorrente ha basato il suo appello su diversi motivi, tra cui una questione procedurale sulla validità della procura conferita dall’azienda e tre motivi di merito relativi all’interpretazione delle norme sulla contrattazione collettiva e sul principio di riassorbimento dell’assegno ad personam. La Suprema Corte ha prima di tutto respinto il motivo procedurale, affermando che la successiva dichiarazione di incostituzionalità di una legge regionale non invalida retroattivamente gli atti processuali compiuti sulla base di essa. Successivamente, si è concentrata sul cuore della controversia: la durata dell’emolumento richiesto.

Le motivazioni della decisione

Il punto cruciale della decisione della Cassazione risiede nell’individuazione della corretta ratio decidendi della sentenza d’appello. I giudici di legittimità hanno osservato che la Corte d’Appello non ha basato la sua decisione sull’interpretazione di una legge (il d.P.R. n. 348/1983), ma sull’interpretazione della specifica delibera aziendale del 1997. Quest’ultima, secondo la Corte d’Appello, conteneva essa stessa i propri limiti temporali, collegando la sua efficacia al successivo contratto collettivo nazionale. In sostanza, la delibera era stata emessa per regolare una situazione economica passata e non per proiettare i suoi effetti nel futuro, in particolare negli anni (2002-2006) oggetto della domanda.

Poiché il lavoratore, nel suo ricorso, ha contestato l’interpretazione della legge generale e non la specifica interpretazione che la Corte d’Appello aveva dato dell’atto aziendale, il suo motivo di ricorso è stato giudicato inammissibile. Di conseguenza, essendo questa una motivazione autonoma e sufficiente a sorreggere il rigetto della domanda, anche gli altri motivi di merito sono stati dichiarati inammissibili.

Conclusioni

Questa ordinanza offre un importante insegnamento sia sul piano sostanziale che processuale. Dal punto di vista sostanziale, ribadisce che un assegno ad personam può avere una durata predeterminata, anche implicitamente, dall’atto stesso che lo concede. Le parti devono quindi prestare massima attenzione al tenore letterale degli accordi e delle delibere aziendali. Sul piano processuale, la sentenza evidenzia la necessità di impugnare specificamente la ratio decidendi della decisione contestata. Omettere di contestare il vero fondamento della sentenza rende l’impugnazione inefficace, come accaduto in questo caso, portando al rigetto del ricorso.

Un assegno ad personam concesso da un’azienda ha una durata illimitata?
No, non necessariamente. La sua durata può essere limitata nel tempo dallo stesso atto aziendale (come una delibera) che lo istituisce. In questo caso, la Corte ha stabilito che la delibera aveva efficacia solo fino all’intervento del successivo contratto collettivo.

Cosa succede se un atto processuale si basa su una legge poi dichiarata incostituzionale?
Secondo la Corte, la sopraggiunta declaratoria di incostituzionalità di una norma non invalida retroattivamente gli atti processuali già compiuti in forza di essa. Gli effetti processuali già verificatisi si considerano ‘irreversibilmente consolidati’.

Perché il ricorso del lavoratore è stato respinto dalla Cassazione?
Il ricorso è stato respinto perché non ha contestato la vera motivazione (ratio decidendi) della sentenza d’appello. La Corte d’Appello aveva rigettato la domanda basandosi sull’interpretazione della delibera aziendale, mentre il lavoratore ha criticato l’interpretazione di norme di legge generali, rendendo il suo ricorso inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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