Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15525 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 15525 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 12585 del 2023 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME quale figlia unica e successore universale di NOME COGNOME (a sua volta erede di Little Brenton Price), NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME quale figlia successore universale di NOME COGNOME NOMECOGNOME tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE PISA , in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difes a dall’avv.to NOME COGNOME dell’Avvocatura d’Ateneo
– controricorrente –
Oggetto
Ex
lettori
CEL.
–
Università
–
Conferimento procura
avvocatura interna
–
Modalità
–
Principio.
R.G.N. 12585/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 08/05/2025
CC
INPS, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME , NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 558/2022 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 21.12.2022 R.G.N. 87/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del l’8.5.2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Gli odierni ricorrenti in cassazione o i loro de cuius come in epigrafe indicato, a far tempo dagli anni ottanta-primi anni n ovanta del secolo scorso, avevano stipulato con l’Università di Pisa contratti di lavoro a termine, quali lettori di lingua straniera ex d.P.R. n. 382 del 1980, rinnovati fino al 31.10.1994, data in cui avevano sottoscritto, invece, contratti di lavoro a tempo indeterminato quali collaboratori esperti linguistici (CEL) ex d.l. n. 539 del 1994.
Sulla base di queste premesse chiedevano:
di accertare la natura subordinata a tempo indeterminato del rapporto di lavoro fin dalla prima assunzione;
di dichiarare la nullità, invalidità, inefficacia dei contratti di CEL sottoscritti con effetto retroattivo dal 1.11.1994 (nella misura in cui pregiudicavano i diritti quesiti, la ricostruzione della carriera con classi stipendiali e scatti di anzianità dalla prima assunzione alla cessazione);
disporsi -accertata l’unitarietà del rapporto di lavoro sin dalla prima assunzione -la ricostruzione della carriera lavorativa, con
adeguamento retributivo ex art. 36 Cost. sulla base del trattamento economico spettante al ricercatore confermato a tempo definito al 100% senza alcuna decurtazione e comunque con riconoscimento ex l. n. 63 del 2004 di indennità integrativa speciale, progressioni di classi stipendiali, scatti di anzianità, 13^, indennità di ferie non godute, trattamento di fine rapporto e di ogni altra voce retributiva dovuta in connessione all’anzianità di servizio, fino al deposito del ricorso o al termine del rapporto;
di condannare l’Università al pagamento delle differenze retributive fra quanto effettivamente percepito e quanto dovuto in base al parametro di adeguamento della retribuzione sub c) per il periodo successivo alla sentenza del Tribunale di Lucca n. 1399/2002 del 10.1.2003, passata in cosa giudicata, con le progressioni per classi stipendiali e scatti di anzianità, oltre interessi e rivalutazione:
di condannare l’Università alla regolarizzazione della posizione previdenziale ed assistenziale con condanna al pagamento delle relative differenze.
Con sentenza n. 715 del 2012 la Corte di Appello di Firenze, in riforma della sentenza di prime cure del Tribunale di Pisa, così argomentava:
per il periodo anteriore alla data del 10.1.1994 agli originari ricorrenti non si applica il d.l. n. 2 del 2004, convertito con l. n. 63 del 2004, poiché è rispettato il trattamento economico minimo previsto dal legislatore;
per il periodo successivo -in forza di un precedente giudicato (sentenza del Tribunale di Lucca n. 1399 del 2002) -i lavoratori sono divenuti titolari di un trattamento economico di miglior favore, cui non avevano rinunziato al momento della stipula dei contratti CEL (avendo espressamente dichiarato di non rinunziare al contenzioso in corso) giustificando tale riserva in
base alla normativa che prevedeva la conservazione dei diritti acquisiti nei precedenti rapporti. Conseguentemente, alle posizioni qui in esame non è applicabile l’art. 1 del d.l. n. 2 del 2004, né l’art. 26, comma 3, della l. n. 240 del 2010, atteso che la determinazione della retribuzione era già stata effettuata in via giudiziale con la sopraindicata pronunzia sulla quale era caduto il giudicato;
sulla scorta dell’espletata CTU, respinta l’eccezione di prescrizione, l’Università di Pisa veniva condannata al pagamento delle differenze retributive specificamente indicate in dispositivo per il periodo 1.11.2004-31.12.2010, oltre alla regolarizzazione contributiva e previdenziale.
Adito il giudice di legittimità dall’Università di Pisa, questa Corte con l’ordinanza n. 28498/2019 accoglieva il ricorso principale e rigettava quello incidentale, cassando la sentenza di appello in relazione ai motivi accolti.
La pronuncia rescindente enunciava -per quanto qui rileva -i seguenti principi (ricordati nella sentenza qui impugnata a pag. 11) cui il giudice della fase rescissoria avrebbe dovuto attenersi:
seppur ottenuta, con sentenza passata in giudicato, la conversione a tempo indeterminato dei rapporti stipulati quali lettori in ragione della nullità del termine, doveva comunque essere applicata per il periodo di interesse la disciplina prevista per i CEL. Detti contratti, infatti, non erano affetti da nullità per difetto di causa perché -a fronte di un rapporto unitario e ininterrotto -le parti ben potevano modificare pattiziamente il medesimo rapporto, configurandosi diritti quesiti solo per le prestazioni già esaurite; conseguentemente, la Corte territoriale, nella sentenza cassata, aveva errato nel ritenere l’ultrattività del trattamento riconosciuto agli ex lettori, giacché vi era stata una sopravvenienza normativa nella disciplina del rapporto che impediva al giudicato di estendere i suoi effetti
anche per il futuro, essendo irrilevante la clausola di riserva espressa dagli ex lettori al momento della stipula dei CEL; – ai ricorrenti, quindi, doveva applicarsi il d.l. n. 2 del 2004 (trattamento economico del ricercatore confermato a tempo definito), tenendo conto dell’impegno orario di 500 ore, fatti salvi i trattamenti di miglior favore e -nella specie -quello di cui alla sentenza passata in cosa giudicata del Tribunale di Lucca n. 1399/2002 del 10.1.2003, che riconosceva loro il diritto al trattamento economico di ricercatore confermato, pur espletando la prestazione per il minor numero di 352 ore annue (anziché 500);
detto trattamento di miglior favore doveva essere tuttavia conservato a titolo individuale (a far tempo dalla stipula del contratto in qualità di CEL) nella misura pari alla differenza tra quanto percepito a detta data come lettore e la retribuzione dovuta al CEL sulla base della contrattazione collettiva nazionale e decentrata, sotto forma di assegno ad personam. Detto trattamento di miglior favore ex art. 1 d.l. n. 2 del 2004 andava mantenuto come emolumento di maggior favore, con applicazione della regola dell’assorbimento ex art. 26, comma 3, l. n. 140 del 2010; (…).
4.1. In sintesi, nella sopraindicata pronunzia rescindente – ai fini che qui ancora interessano -questa Corte affermava che l’accertamento con sentenza passata in giudicato della sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in capo agli ex-lettori di lingua straniera non precludeva la successiva stipula di validi ed efficaci contratti di C.E.L., ai sensi del d.l. n. 120 del 1995, il cui profilo retributivo restava, peraltro, assoggettato alla disciplina di cui all’art. 1 del d.l. n. 2 del 2004 (come autenticamente interpretato dall’art. 26 della l. n. 240 del 2010), con la conseguenza che il maggior trattamento economico assicurato antecedentemente alla
stipula di tali contratti poteva sì essere mantenuto, ma come eventuale emolumento di miglior favore, ferma restando l’applicazione della regola di riassorbimento di cui all’art. 26, comma 3, della l. n. 240 del 2010.
Il giudizio di rinvio, riassunto dagli ex lettori, è stato definito dalla Corte di Appello di Firenze con la sentenza qui impugnata che ha respinto le originarie domande, condannando i ricorrenti alla restituzione in favore dell’Università di Pisa degli importi da quest’ultima corrisposti in esecuzione della sentenza n. 3050/2012 della Corte d’Appello di Firenze .
La Corte territoriale, richiamati la ricostruzione normativa effettuata dalla sentenza rescindente ed i principi ivi affermati, faceva proprie le conclusioni della disposta consulenza tecnica, dalla quale era emersa l’insussistenza delle pretese differenze retributive.
Propongono ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, gli ex lettori indicati in epigrafe, che depositano altresì memoria.
Resiste con controricorso l’Università degli Studi di Pisa.
L ‘ INPS deposita procura ai soli fini della partecipazione all’udienza pubblica, senza svolgere attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va evidenziato che il Collegio che decide sul ricorso per cassazione proposto avverso sentenza pronunziata dal giudice di rinvio può essere composto anche da magistrati che abbiano partecipato al precedente giudizio conclusosi con la cassazione della pronunzia, senza che sussista un obbligo di astensione a loro carico ex art. 51, comma 1, n. 4, c.p.c., in quanto tale partecipazione non determina alcuna compromissione dei requisiti di imparzialità e terzietà del
giudice, e ciò a prescindere dalla natura del vizio che ha determinato la pronuncia di annullamento, che può consistere indifferentemente in un error in procedendo o in un error in iudicando , atteso che, anche in quest’ultima ipotesi, il sindacato è esclusivamente di legalità, riguardando l’interpretazione della norma ovvero la verifica del suo ambito di applicazione, al fine della sussunzione della fattispecie concreta, come delineata dal giudice di merito, in quella astratta (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013; Cass. Sez. L, Sentenza n. 3980 del 29/02/2016; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 30646 del 2018; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 1542 del 25/01/2021).
1.1. Con il primo mezzo si deduce la violazione dell’art. 384 c.p.c. per essersi discostata la Corte di Appello di Firenze dal principio di diritto e dalle affermazioni della pronunzia rescindente n. 28948/2019.
Rappresentano i ricorrenti in cassazione che la pronunzia rescindente, come si è evidenziato nello storico di lite, aveva affermato che:« ai ricorrenti, quindi, deve applicarsi il d.l. n. 2 del 2004 (trattamento economico del ricercatore confermato a tempo definito), tenendo conto dell’impegno orario di 500 ore, fatti salvi i trattamenti di miglior favore e -nella specie -della sopraindicata sentenza del Tribunale di Lucca n. 1399/2002 del 10.1.2003, che riconosceva loro il diritto al trattamento economico di ricercatore confermato, pur espletando la prestazione per il minor numero di 352 ore annue (anziché 500); detto trattamento di miglior favore deve essere tuttavia conservato a titolo individuale (a far tempo dalla stipula dei CEL) nella misura pari alla differenza tra quanto percepito a detta data come lettore e la retribuzione dovuta al CEL sulla base della contrattazione collettiva nazionale e decentrata, sotto forma di assegno ad personam ». Tale principio, si assume nel mezzo, è stato violato dal giudice del rinvio, perché, secondo quanto
emerge dalla piana lettura della sentenza qui impugnata, i conteggi disposti dal consulente tecnico sono stati sviluppati sulla base di un divisore diverso e di minor favore pari a 385 ore annue, laddove il giudicato di cui alla sentenza del Tribunale di Lucca n. 1399/2002 del 10.1.2003, faceva riferimento al divisore di miglior favore di 352 ore annue.
1.2. In via preliminare, va evidenziato, tanto peraltro già emergendo dalla sentenza rescindente, che i due piani oggetto di valutazione ai fini della decisione sulla fondatezza o meno del motivo -ultrattività del giudicato e clausola di salvaguardia non possono essere confusi, in quanto essi operano su questioni ed in momenti distinti.
Se, da un lato, la modifica normativa del rapporto – e nello specifico il venir meno del vincolo di esclusività -determinava che il giudicato non potesse esplicare pro futuro la propria efficacia, dall’altro la clausola di salvaguardia , per espressa volontà normativa, imponeva di assicurare agli ex lettori una retribuzione non inferiore, quanto al parametro orario, a quella in precedenza goduta.
1.3. Tali considerazioni sono alla base del principio posto alla base della decisione rescindente, come riportato al punto 4.1. dello storico di lite.
1.4. Tanto premesso, la lettura della sentenza qui impugnata (in particolare si veda pag. 14) rende evidente che la Corte territoriale (riportandosi pedissequamente a ll’elaborazione dei conteggi sviluppata dal CTU) è incorsa in errore, in quanto ha calcolato la retribuzione oraria parametrando il trattamento di miglior favore allo svolgimento di 385 ore annue, anziché alle 352 annue, risultanti anche dalla sentenza rescindente (si ricorda che il divisore è pari a 500 ore annue della retribuzione del ricercatore confermato in assenza di pronunzie in giudicato di miglior favore). Tale errore comporta con evidenza l’erroneità
(in difetto) del calcolo volto alla enucleazione degli importi spettanti agli ex lettori a titolo di assegno ad personam e detto errore si riverbera inevitabilmente, poi, sui conteggi successivi. Basterà osservare al riguardo che il costo dell’ora di lavoro è maggiore qualora il divisore rispetto al quale operare il calcolo è minore – nello specifico pari a 352 (divisore riportato nella sentenza rescindente e frutto del precedente passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di Lucca innanzi ricordata) – laddove, invece, il CTU ha effettuato il calcolo rispetto al maggior divisore 385 ( cfr. ancora sentenza impugnata pag. 14) . Dunque, erroneamente è stato determinato l ‘importo della retribuzione oraria e, quindi, l’importo dell’assegno personale, e, a cascata, i conteggi inerenti al riassorbimento dell’assegno medesimo in ragione dei disposti aumenti della retribuzione fissata dalle parti collettive. 1.5. Conclusivamente, il motivo è fondato e va accolto nei
termini innanzi indicati.
Con il secondo motivo viene denunziata la violazione dell’art. 45 TFUE da interpretare in relazione al contenuto vincolante delle sentenze della CGUE C-212/1999 del 2001, C-115/2er 004 del 2006 nonché dell’art. 7 del regolamento UE n. 492/2011.
La doglianza si articola, in realtà, in due sottocensure.
2.1. Nella prima si sostiene che la sentenza impugnata è viziata nella parte in cui ha ritenuto comunque adeguata la retribuzione calcolata sulla base del trattamento previsto dai contratti collettivi di comparto, nazionali e decentrati (in applicazione dell’art. 4 l. n. 236 del 1995), seppur integrata con l’assegno personale, peraltro considerato riassorbibile, in tal modo ponendosi in contrasto con gli artt. 3 e 36 Cost. oltre che con il diritto dell’Unione.
Detta prima doglianza non può essere accolta, perché contesta, nella sostanza, l’adeguatezza del trattamento retributivo
collettivo, ponendo nuovamente ed inammissibilmente in discussione aspetti già decisi nella sentenza rescindente che sul punto si è ampiamente pronunziata (basti qui fare richiamo ai punti 4 e 4.1. dei ‘Fatti di causa’ ).
2.2. La seconda sottocensura sembra porre al centro della critica la dedotta violazione dell’art. 7 del Regolamento UE 2011/492 e fa leva sulla procedura di infrazione n. 2021/4055 cui è sottoposta l’Italia.
Il motivo è infondato alla luce dell’orientamento già espresso da questa Corte con l’ordinanza n. 11638/2024, al cui percorso motivazionale, integralmente condiviso dal Collegio, si rinvia anche ai sensi dell’art. 118 disp. att . c.p.c.
Giova, per completezza argomentativa, al riguardo comunque ricordare che con l’ art. 26, comma 3, della l. n. 240/2010 il legislatore ha chiarito la questione, obiettivamente incerta, del rapporto fra la previsione contenuta nel d.l. n. 2/2004 e la disciplina dettata dalla contrattazione collettiva, a ciò autorizzata dal d.l. n. 120/1995, precisando che a far tempo dalla sottoscrizione del contratto di collaborazione linguistica l’eventuale trattamento più favorevole viene conservato a titolo individuale nella misura corrispondente alla differenza fra quanto percepito a detta data come lettore di madrelingua straniera, ai sensi del richiamato d.l. n. 2/2004, e la retribuzione dovuta al collaboratore linguistico sulla base della contrattazione collettiva nazionale e decentrata (cfr. in tal senso sul punto, la stessa sentenza rescindente, ma anche Cass., Sez. L, n. 13886/2023).
La scelta del legislatore impedisce, quindi, che il passaggio dal lettorato alla collaborazione linguistica possa risolversi in una reformatio in peius del livello retributivo raggiunto, ribadendo la specificità propria del collaboratore linguistico, non equiparabile al docente, specificità che giustifica la differenziazione
retributiva rispetto a quest’ultimo ed il conferimento del potere alle parti collettive di individuare la retribuzione proporzionata alla qualità e quantità della prestazione, a prescindere dal raffronto con il trattamento economico riservato al personale docente.
Le considerazioni svolte nel mezzo muovono dal presupposto del tutto erroneo dell’equiparazione o comunque dell’assimilazione della categoria dei collaboratori esperti linguistici al personale docente degli Atenei, equiparazione che invece va esclusa, oltre che in ragione della diversa natura dei rapporti (in un caso di diritto pubblico, nell’altro di diritto privato), in quanto sia l’art. 28 del d.P.R. n. 282 del 1980, sia l’art. 4 del d.l. n. 120 del 1995, nel prevedere rispettivamente l’assunzione dei lettori di madre lingua straniera ‘in relazione ad effettive esigenze di esercitazione degli studenti’ e di CEL, per soddisfare ‘esigenze di apprendimento delle lingue e di supporto alle attività didattiche’ evidenziano una sostanziale diversità dell’attività propria dei lettori e dei collaboratori rispetto a quella dei docenti, come in premessa già rimarcato.
La prima, infatti, pur rientrando nell’attività didattica intesa in senso lato , è caratterizzata dall’essere solo funzione strumentale e di supporto, rispetto all’insegnamento universitario connotato da specifiche competenze didattiche e scientifiche. Detta diversità delle prestazioni a confronto non è smentita, bensì confermata, dal d.l. n. 2 del 2004 che alla retribuzione del ricercatore confermato a tempo definito ha fatto riferimento solo in via parametrica e prevedendo un divisore orario (500 ore) diverso e superiore rispetto a quello previsto per la categoria dei ricercatori (pari a 200 ore).
2.3. Non si ravvisano ragioni per disporre il rinvio della trattazione della presente causa in attesa degli sviluppi relativi alla contrattazione collettiva di Ateneo finalizzata anche a porre
termine alla asserita discriminazione nel trattamento economico degli ex lettori denunziata con parere motivato della Commissione Europea del 26.1.2013.
Al riguardo basterà rimarcare, da un lato, che le questioni in discussione non sono infatti tali da poter incidere su trattamenti migliorativi in ipotesi riconosciuti successivamente in sede di contrattazione integrativa ; dall’altro che si deve escludere, per quanto si è innanzi illustrato, l’esistenza di un trattamento di sfavore per i lettori o CEL in ragione della nazionalità, atteso che dall’e voluzione normativa e giuridica riportata in plurimi precedenti di questi Corte ai quali si rinvia (cfr. fra le tante Cass. n. 14108/2023 con richiami a precedenti conformi), emerge l’applicazione agli stessi dei medesimi principi e delle m edesime regole dettate dal diritto interno e dalla contrattazione collettiva per i dipendenti, pubblici e privati, cittadini italiani.
2.3. La sentenza qui impugnata, facendo applicazione del principio di diritto enunciato dalla pronuncia rescindente (principio che non può essere rimesso in discussione in questa sede) ha escluso che la retribuzione degli ex lettori, divenuti collaboratori linguistici, possa rimanere agganciata, anche per il periodo successivo alla stipula del contratto di collaborazione, alle dinamiche contrattuali previste per i ricercatori confermati a tempo definito.
2.4. Il principio di diritto non può essere superato facendo leva sulla legge 20.11.2017 n. 167 ( tra l’altro già emanata al momento della pubblicazione della ordinanza rescindente) perché la legge in questione aveva previsto, all’art. 11, solo uno stanziamento straordinario di fondi, da utilizzare, previa adozione (con decreto ministeriale) di uno schema tipo di contratto, in sede di contrattazione collettiva integrativa di Ateneo, finalizzata al superamento del contenzioso in atto e a prevenire l’instaurazione di nuovo contenzioso nei confronti
delle università statali italiane da parte degli ex lettori di lingua straniera, già destinatari di contratti stipulati ai sensi dell’articolo 28 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382.
2.5. A tanto si aggiunge che a nche l’art. 1, comma 305, della legge n. 234/2021, nell’apportare modifiche all’art. 11 legge n. 167/2017, cit., e i successivi decreti interministeriali richiamati, non hanno parimenti incidenza diretta sul trattamento retributivo degli ex lettori divenuti CEL, rinviando anche i decreti de quibus ai contratti integrativi da stipularsi. Lo stesso art. 1 comma 3 lett. a) del decreto interministeriale n. 765, cit. prevede, d’altronde, che « la somma sarà ripartita tra gli Atenei, in proporzione al numero di ex lettori in servizio al 31.12.2018, con riferimento alle università che entro il 31.10.2019 hanno adottato un contratto integrativo coerente con i contenuti dello schema-tipo allegato al presente decreto », il quale ultimo, a sua volta, stabilisce (art. 8, recante ‘condizione sospensiva’) che « l’efficacia del contratto integrativo è subordinata – e pertanto sospesa – sino alla sottoscrizione nelle sedi preposte di cui all’art. 2113, comma 4, del codice civile e all’acquisizione da parte dell’Ateneo, della rinuncia individuale da parte degli ex lettori interessati dall’applicazione del presente contratto collettivo integrativo agli atti e/o a ogni e qualsiasi azione giudiziaria » -già pendente o da instaurarsi -volta al riconoscimento « di un trattamento economico pari o superiore a quello previsto nel presente accordo, a fronte dell’ap plicazione delle condizioni ivi previste ».
2.6. Né, si aggiunge, il quadro delineato risulta modificato dalle introduzioni, ad opera del d.l. n. 48 del 4 maggio del 2023, conv. con modif. con l. n. 85 del 2023, dei commi 2 e 3 nel tessuto normativo dell’art. 11 della l. n. 167 del 2017.
2.7. Conclusivamente, la normativa innanzi ricordata non riconosce affatto alle ricorrenti in cassazione il diritto ad
agganciare la loro progressione di carriera a quella dei ricercatori, perché non abroga né modifica il d.l. n. 2/2004 e l’art. 26 comma 3 della legge n. 240/2010. Tutto resta rimesso ad atti successivi da adottare dalle Università che allo stato non risultano emanati.
2.8. Quello cui gli ex lettori hanno diritto è un assegno ad personam , non dissimile da quello garantito nell’impiego pubblico contrattualizzato in caso di mobilità o di modificazioni del rapporto di impiego e da quello che le parti collettive avevano previsto con l’art. 51 del c.c.n.l. 21.5.1996 per consentire ai collaboratori esperti linguistici assunti prima della stipula dello stesso contratto di conservare il trattamento più favorevole concordato a livello di Ateneo.
2.9. Questa Corte ha sul punto altresì precisato che non si ravvisa in tal caso alcuna violazione dei principi fissati dalla Corte di Giustizia perché, come hanno chiarito le Sezioni Unite con la sentenza n. 21972/2017, la garanzia della conservazione dei diritti maturati nella precedente fase del rapporto va limitata « a tutti quegli istituti contrattuali che valorizzano l’anzianità di servizio e quindi, in sostanza, la classe di stipendio di riferimento, gli scatti biennali contrattualmente previsti, i parametri di calcolo del trattamento di fine rapporto (T.F.R.) e con riferimento ai profili concernenti la contribuzione previdenziale ». La nozione di diritto quesito accolta dalle Sezioni Unite coincide con quella indicata dalla Corte di Lussemburgo, che con la sentenza 26.6.2001, in causa C -212/99, ha precisato che « se i lavoratori beneficiano in forza della legge n. 230 della ricostruzione della loro carriera per quanto riguarda aumenti salariali, anzianità e versamento da parte del datore di lavoro dei contributi previdenziali fin dalla data della loro prima assunzione, gli ex lettori di lingua straniera, divenuti collaboratori linguistici, devono altresì beneficiare di una
ricostruzione analoga con effetti a decorrere dalla data della loro prima assunzione » (punto 30).
2.10. Ecco che, garantita la ricostruzione della carriera nei termini che risultano dal combinato disposto del d.l. n. 2/2004 e della legge n. 240/2010, non è in alcun modo violato il principio di non discriminazione in ragione della nazionalità perché, al contrario, il rispetto del divieto di reformatio in peius viene garantito con le stesse modalità attraverso le quali è assicurato, tanto nell’impiego pubblico quanto in quello privato, in ogni ipotesi in cui si discuta di modificazioni oggettive e soggettive del rapporto che implichino la conservazione del trattamento economico acquisito.
2.11. Come già affermato nella sentenza n. 11638/2024, più volte richiamata, non vi è nemmeno la necessità di disporre sul punto rinvio pregiudiziale, atteso che « il giudice nazionale di ultima istanza non è soggetto all’obbligo di rimettere alla Corte di giustizia la questione di interpretazione di una norma comunitaria quando non la ritenga rilevante ai fini della decisione o quando ritenga di essere in presenza di un acte claire che, in ragione dell’esistenza di precedenti pronunce della Corte ovvero dell’evidenza dell’interpretazione, rende inutile (o non obbligato) il rinvio pregiudiziale » (Cass. n. 14828/2018 e la giurisprudenza ivi richiamata).
Tale ipotesi ricorre nel caso di specie. La Corte di Giustizia nelle decisioni invocate dalla ricorrente, infatti, ha sempre precisato che in virtù del principio di non discriminazione ai lettori di lingua straniera, divenuti collaboratori linguistici, deve essere assicurato il medesimo trattamento riservato, in situazioni analoghe, ai lavoratori di cittadinanza italiana ed ha anche aggiunto che la Repubblica italiana non era obbligata « a identificare una categoria di lavoratori analoga agli ex lettori e a equiparare completamente il trattamento riservato a questi
ultimi a quello di cui beneficia la detta categoria » (v. punto 37 della sentenza 18.6.2006 in causa C-119/04).
2.12. A tanto va aggiunto, conclusivamente, che non esiste nel nostro ordinamento un principio generale in virtù del quale la retribuzione deve necessariamente essere commisurata all’anzianità . Non a caso gli scatti di anzianità, nel rapporto di impiego privato, hanno origine contrattuale e degli stessi, per costante orientamento espresso da questa Corte, non si tiene conto ai fini della determinazione giudiziale della retribuzione ex art. 36 Cost. ( cfr. fra le tante più recenti Cass. n. 944/2021). Nell’impiego pubblico contrattualizzato, all’esito della riformulazione dell’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001, l’anzianità costituisce solo uno dei parametri utilizzabili nelle procedure selettive di progressione orizzontale, con la sola eccezione del comparto scuola che prevede un sistema di adeguamento automatico in ragione della durata del servizio.
Non integra, pertanto, alcuna discriminazione basata sulla nazionalità la circostanza che il legislatore e la contrattazione collettiva, alla quale rinvia la norma istitutiva dei CEL, non abbiano previsto un sistema di avanzamento automatico della retribuzione in ragione della anzianità di servizio.
L’articolazione secondo classi stipendiali e scatti di anzianità caratterizza il sistema retributivo del personale docente di diritto pubblico in servizio presso le Università, ma destituita di fondamento è la pretesa dei CEL di equiparazione agli stessi, non giustificata né dal diritto interno (per quanto sopra si è detto) né da quello Unionale, non avendo la Corte di Giustizia mai affermato che il legislatore italiano fosse tenuto ad equiparare gli ex lettori al personale docente delle Università.
2.13. Conclusivamente il mezzo non può essere accolto.
Con la terza doglianza viene lamentata la violazione dell’art.
1 del d.l. n. 2 del 2004, conv. con l. n. 63 del 2004, come
autenticamente interpretato dall’art. 26, comma 3, l. n. 240 del 2010 con riferimento al ritenuto assorbimento dell’assegno ad personam.
3.1. Sul punto basta osservare che la questione è già stata risolta nella sentenza rescindente, con affermazione dell’applicazione del principio del riassorbimento, di modo che è qui, inammissibilmente, riproposta.
3.2. Quanto poi alla questione, sollevata in memoria, dell’incostituzionalità dell’art. 26, comma 3, l. n. 240 del 2010, il Collegio osserva quanto segue.
3.3. La questione di legittimità costituzionale della legge di interpretazione autentica dettata dall’art. 26 della legge n. 240/2010 è stata in più occasioni esaminata e disattesa da questa Corte che, nell’occasione, pronunciando sui profili prospettati, ha evidenziato che il legislatore non ha violato gli obblighi comunitari né il principio della parità di trattamento ed inoltre, nel conferire alle parti collettive il potere di determinare il trattamento retributivo spettante ai collaboratori esperti linguistici, ha applicato i medesimi principi ai quali si ispirano, da un lato, la disciplina dei rapporti alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, dall’altro, con riferimento al lavoro di diritto privato, l’orientamento secondo cui la conformità del trattamento retributivo a quello previsto dalla contrattazione collettiva integra una presunzione relativa di rispondenza al precetto costituzionale dettato dall’art. 36 Cost. (principio, questo, ribadito in motivazione da Cass. n. 27711/2023 nell’indicare le condizioni in presenza delle quali è consentito al giudice discostarsi dalle previsioni della contrattazione collettiva).
Quanto, poi, alla asserita illegittimità dell’emanazione di legge retroattiva, sulla quale si fa leva in questa sede citando a sostegno Corte Cost. n. 4/2024, va detto che proprio la
motivazione della pronuncia citata, porta ad escludere che nella fattispecie si sia in presenza di un uso distorto del potere legislativo. Infatti la Corte ha richiamato in premessa l’orientamento secondo cui «la disposizione di interpretazione autentica è quella che, qualificata formalmente tale dallo stesso legislatore, esprime, anche nella sostanza, un significato appartenente a quelli riconducibili alla previsione interpretata secondo gli ordinari criteri d ell’interpretazione della legge» (sentenza n. 133 del 2020). Diversamente, nel caso in cui «la disposizione, pur autoqualificantesi interpretativa, attribuisce alla disposizione interpretata un significato nuovo, non rientrante tra quelli già estraibili dal testo originario della disposizione medesima, essa è innovativa con efficacia retroattiva (sentenze n. 61 del 2022, n. 133 del 2020, n. 209 del 2010 e n. 155 del 1990)» (sentenza n. 104 del 2022).
Nel caso di specie, posti a confronto i testi normativi rilevanti, si deve ribadire la natura autenticamente interpretativa del citato art. 26, della quale non hanno dubitato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 24963/2017), giacché il d.l. n. 2/2004 nel prevedere che « In esecuzione della sentenza pronunciata dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee in data 26 giugno 2001 nella causa C – 212/99,ai collaboratori linguistici, ex lettori di madrelingua straniera delle Università degli Studi della Basilicata, di Milano, di Palermo, di Pisa, di Roma “La Sapienza” e “l’Orientale” di Napoli, già destinatari di contratti stipulati ai sensi del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28, abrogato dal D.L. 21 aprile 1995, n. 120, art. 4, comma 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 giugno 1995, n. 236, è attribuito, proporzionalmente all’impegno orario assolto, tenendo conto che l’impegno pieno corrisponde a 500 ore, un trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di prima
assunzione, fatti salvi eventuali trattamenti più favorevoli; tale equiparazione è disposta ai soli fini economici ed esclude l’esercizio da parte dei predetti collaboratori linguistici, ex lettori di madre lingua straniera, di qualsiasi funzione docente », ha posto in stretta correlazione l’intervento normativo e la pronuncia CGUE inerente alla ricostruzione della carriera degli ex lettori divenuti collaboratori esperti linguistici ( secondo cui La Repubblica italiana, non avendo assicurato il riconoscimento dei diritti quesiti agli ex lettori di lingua straniera, divenuti collaboratori linguistici, riconoscimento invece garantito alla generalità dei lavoratori nazionali, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 48 del Trattato ) e non ha abrogato il d.l. n. 120/1995 né limitato il rinvio ivi contenuto alle previsioni della contrattazione collettiva, sicché è rimasto obiettivamente incerto il rapporto fra le due disposizioni, ossia fra il criterio dettato per la ricostruzione della ca rriera e l’operatività del principio secondo cui le Università sono tenute al rispetto della disciplina dettata dalle parti collettive.
Alla legge di interpretazione autentica, pertanto, non si può addebitare di avere imposto un significato non estraibile dalle disposizioni interpretate, perché l’efficacia innovativa o meno della disposizione va valutata, in questo caso, tenendo conto non d el solo tenore letterale del d.l. n. 2/2004 (che tra l’altro contiene significativi riferimenti alle finalità perseguite dal legislatore che ne circoscrivono lo spazio di intervento) ma anche e soprattutto del rapporto con l’altra disposizione di legge, di carattere generale, inerente alla disciplina del rapporto instaurato dalle Università con i collaboratori esperti linguistici. L’interpretazione, infatti, è finalizzata non ad incidere sul testo del citato d.l. ma a chiarire l’interferenza con altra norm ativa, egualmente vigente, e sotto questo profilo l’intervento
normativo enuclea una delle possibili opzioni alle quali si poteva già pervenire, a prescindere dalla sopravvenienza normativa. 4. Con il residuo censorio viene rimarcata la violazione degli artt. 365 e 366 n. 5 c.p.c., in relazione all’art. 112 c.p.c., per nullità della procura speciale rilasciata dal Rettore dell’Università di Pisa agli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Nel mezzo si sostiene che la procura conferita dall’Università di Pisa ai difensori innanzi indicati è nulla per difetto di ius postulandi, per carenza di un valido provvedimento del Consiglio di Amministrazione di autorizzazione alla deroga al patrocinio autorizzato spettante per legge all’Avvocatura dello Stato. La censura che nel motivo viene riferita all’attività difensiva svolta in appello nel giudizio rescindente, con la memoria di discussione viene estesa al presente giudizio di cassazione, stante la nullità, per le stesse ragioni, del mandato conferito dall’Università al difensore .
4.1. Il motivo è infondato.
Tutte le deduzioni svolte nel mezzo ruotano infatti intorno all’assunto che la procura sia stata conferita dall’Università ad avvocati del libero foro e, infatti, richiamano i precedenti di questa S.C. relativi proprio a dette ipotesi.
4.2. Sul punto il Collegio precisa che non intende affatto discostarsi dai principi anche di recente riaffermati dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 6635 del 12/03/2025, rv. 673940 -01) sulla scorta dell’insegnamento di Cass. Sez. U., n. 24876/2017, rv. 645661-01.
In dette pronunzie si afferma che, ai sensi dell’art. 43 del r.d. n. 1611 del 1933 – come modificato dall’art. 11 della l. 3 aprile 1979, n. 103 – la facoltà per le Università statali di derogare “in casi speciali” al “patrocinio autorizzato”, spettante per legge all’Avvocatura dello Stato, per avvalersi dell’opera di liberi professionisti è subordinata all’adozione di una specifica e
motivata deliberazione dell’ente (ossia del rettore) da sottoporre agli organi di vigilanza (consiglio di amministrazione) per un controllo di legittimità, cosicché, in via generale, la mancanza di tale controllo determina la nullità del mandato alle liti, non rilevando che esso sia stato conferito con le modalità prescritte dal regolamento o dallo statuto dell’Università, fonti di rango secondario insuscettibili di derogare alla legislazione primaria; tuttavia, nei casi in cui ricorra una vera e propria urgenza, ai sensi dell’art. 12 del r.d. n. 1592 del 1933, il rettore, quale presidente del consiglio d’amministrazione, può provvedere direttamente al conferimento dell’incarico all’avvocato del libero foro, purché curi di far approvare sollecitamente la relativa delibera dal consiglio, così sanando l’originaria irregolarità. Inoltre, in base al citato art. 43, è valido il mandato conferito ad avvocati del libero foro con il solo provvedimento del rettore, non seguito dal vaglio del consiglio, nel caso in cui si verifichi in concreto un conflitto di interessi sostanziali tra più enti pubblici parti nel medesimo giudizio, rendendo un simile conflitto di interessi – che deve essere non meramente ipotetico, ma reale e documentato – non ipotizzabile il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato in favore dell’Università, sicché non vi è alcuna ragione di richiedere la suindicata preventiva autorizzazione.
4.3. Tanto premesso, il Collegio rimarca che la fattispecie concreta qui all’attenzione è differente da quella esaminata nelle innanzi ricordate pronunzie di legittimità.
Nel caso qui in esame, infatti, la procura è stata conferita ad avvocati appartenenti all’Avvocatura interna dell’ente.
Insomma, se è vero che la questione dello ius postulandi, quanto al conferimento della procura ad avvocati del libero foro, va risolta alla luce dei principi innanzi enunziati dal giudice di legittimità, va verificata la tenuta di dette affermazioni con
riguardo alla diversa ipotesi qui in rilievo in cui il conferimento dell’incarico è stato dispost o in favore di avvocati appartenenti alla Avvocatura interna.
4.4. Ebbene, osserva il Collegio, che, se è vero che detta ipotesi non è espressamente disciplinata dall’art. 43 del R.D. n. 1611 del 1933, il dato normativo di cui innanzi va riletto ed interpretato alla luce della complessiva evoluzione che, per quanto qui ci interessa, ha mutato la natura delle Università statali.
4.5. N el segno della novella di cui all’art. 6 della l. n. 168 del 1989 le Università non sono più organi dello Stato, ma enti pubblici dotati di autonoma personalità giuridica, oltre che di autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, con ordinamento autonomo e proprio statuto e regolamento.
A detti enti si applica, quindi, l’art. 43 del r.d. n. 1611 del 1933 ovvero la disciplina relativa alle amministrazioni pubbliche non statali (irrilevante la mancata inclusione delle Università nell’elenco di cui al r.d. n. 779 del 1940, inclusione non contemplabile ratione temporis stante la natura di organi dello Stato).
Ne consegue che dopo la riforma di cui alla citata l. n. 168 del 1989, ai fini della rappresentanza e difesa da parte dell’Avvocatura dello Stato , non opera il patrocinio obbligatorio disciplinato ex art. 1-11 del r.d. n. 1611 del 1933, ma quello autorizzato disciplinato, invece, dagli artt. 43-45 del r.d. n. 1611 del 1933, come modificati dalle novelle intervenute.
4.6. Ebbene, il più volte ricordato art. 43, nella versione frutto della novella ex art. 11, comma 1, l. n. 103 del 1979 che in particolare ha aggiunto il comma terzo, così dispone:
‘ L’Avvocatura dello Stato può assumere la rappresentanza e la difesa nei giudizi attivi e passivi avanti le autorità giudiziarie, i
collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali di Amministrazioni pubbliche non statali ed Enti sovvenzionati, sottoposti a tutela od anche a sola vigilanza dello Stato, sempre che ne sia autorizzata da disposizione di legge, di regolamento o di altro provvedimento approvato con Regio decreto. Le disposizioni e i provvedimenti anzidetti debbono essere promossi di concerto coi Ministri per la grazia e giustizia e per le finanze.
Qualora sia intervenuta l’autorizzazione, di cui al primo comma, la rappresentanza e la difesa nei giudizi indicati nello stesso comma sono assunte dalla Avvocatura dello Stato in via organica ed esclusiva, eccettuati i casi di conflitto di interessi con lo Stato o con le regioni.
Salve le ipotesi di conflitto, ove tali amministrazioni ed enti intendano in casi speciali non avvalersi della Avvocatura dello Stato, debbono adottare apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza.
Le disposizioni di cui ai precedenti commi sono estese agli enti regionali, previa deliberazione degli organi competenti ‘.
4.7. La disposizione, sicuramente applicabile al conferimento dell’incarico ad avvocati del libero foro, non chiarisce in alcun modo in che termini si ponga il patrocinio autorizzato nei casi in cui l’Università sia dotata di un apposito ufficio legale, al quale siano assegnati dipendenti iscritti nell’Albo Speciale assunti allo specifico scopo di assicurare le attività di consulenza giuridica e di difesa giudiziale nel datore di lavoro pubblico.
4.8. Si tratta di una carenza evidentemente dovuta a ragioni storiche, che va risolta in via interpretativa anche tenendo conto della sopravvenienza di specifiche disposizioni che, nel dettare le norme generali sull’ordinamento del lavoro nelle amministrazioni pubbliche, hanno imposto a queste ultime, nell’ambito dei rispettivi ordinamenti, di «organizzare la
gestione del contenzioso del lavoro, anche creando appositi uffici, in modo da assicurare l’efficace svolgimento di tutte le attività stragiudiziali e giudiziali inerenti alle controversie» ( art. 12 d.lgs. n. 165/2001).
4.9. Nel contesto normativo innanzi richiamato non va affatto escluso che le Università – enti pubblici non statali dotati di personalità giuridica e, come si è già detto, di autonomia organizzativa, finanziaria, contabile, con propri statuti e regolamento -possano a monte, mediante atto organizzativo e regolamentare con cui l’ente istituisce e organizza il proprio ufficio legale, disciplinare le ipotesi nelle quali affidare l’incarico ai propri professionisti interni (in tal senso si è espressa anche la giurisprudenza amministrativa in plurimi precedenti, sebbene con percorso motivazionale non completamente sovrapponibile; fra tutti si veda Tar Sicilia Palermo sez. I n. 2056 del 2020 e la giurisprudenza ivi richiamata).
4.10. Si tratta di una ipotesi, a ben vedere, che, valorizzando l’autonomia delle scelte discrezionali delle Università, si colloca nel solco e nel pieno rispetto della previsione del citato art. 43, perché fa discendere dall’atto organizzativo e regolamentare adottato ‘ in via generale’ al momento dell’istituzione dell’ufficio, quella scelta che, in caso di conferimento del potere ad avvocato del libero foro, va esplicitata con l’adozione della singola delibera, da sottoporre al successivo vaglio e controllo. 4.11. Questa è l’ipotesi qui in rilievo, evidentemente diversa da quella del conferimento del mandato ad avvocati del libero foro, conferimento soggetto ai vincoli procedurali delineati dall’art. 43 cit. e rimarcati dalla giurisprudenza di legittimità (si vedano ancora, tra le massimate, le già ricordate Cass. Sez. U. n. 6635 del 12/03/2025, rv. 673940 -01, nonché Cass. Sez. U., n. 24876/2017, rv. 645661-01).
4.12. Insomma, q ualora l’Università si doti di Avvocatura interna, è con l’atto organizzativo e regolamentare di istituzione che, a monte, vengono effettuate dai vertici dell’Università quelle scelte organizzative che, nel caso del conferimento del mandato all’avvocato del libero foro, devono necessariamente transitare per l’adozione dei provvedimenti e dei controlli di cui innanzi si è detto.
Il principio enunciato non si pone in alcun modo in contrasto con quanto affermato da Cass. n. 12642/2021 (invocata dalla difesa delle ricorrenti) perché in quel caso veniva in rilievo l’assunzione del patrocinio dell’Università da parte dell’Avvocatura dello Stato, che, secondo l’assunto del ricorrente, avrebbe richiesto, a seguito della presenza di un’avvocatura interna, un espresso conferimento de l mandato dell’Università in favore dell’Avvocatura dello Stato.
Con quella pronuncia si è escluso che ‘ l’Università, seppure in condizione di avvalersi di dipendenti autorizzati all’esercizio della professione legale, debba esplicitare le ragioni per le quali ritenga opportuno affidare la difesa all’Avvocatura, perché il potere di rappresentanza è conferito a quest’ultima dalla legge e la delibera motivata è richiesta solo qualora l’ente ritenga di dovere derogare al regime, per così dire, ordinario ‘ e tale principio è pienamente coerente con quanto sopra evidenziato i n merito alla rilevanza dell’atto organizzativo generale di istituzione dell’ufficio legale, atto che non impedisce l’assunzione della difesa, nei casi in cui ciò sia ritenuto opportuno o necessario, da parte dell’Avvocatura statale ( difesa che in tal cas o sarà in ogni aspetto disciplinata dall’art. 43 del citato r.d. ), ma rende non necessario far precedere il rilascio della procura dalle formalità prescritte dall’art. 43 nei casi in cui il potere venga conferito all’avvocatura interna, rispetto alla quale non si pongono, ovviamente, quelle esigenze anche di
carattere finanziario sottese al principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite.
4.13. Il motivo quindi, in ragione, dell’incontestato (e desumibile ex actis) conferimento dello ius postulandi ad avvocati appartenenti all’Avvocatura interna non coglie nel segno ed è infondato.
Conclusivamente, accolto il primo motivo e rigettato nel resto il ricorso, la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, che provvederà ad un nuovo esame, attenendosi a quanto indicato nel punto 1, provvedendo anche al regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
Non sussistono le condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, ai fini del raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo e rigetta per il resto il ricorso. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, cui è demandato di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Non sussistono le condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, ai fini del raddoppio del contributo unificato. Roma, così deciso nella camera di consiglio dell’8.5.2025 .