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Arricchimento senza causa PA: quando è inammissibile

Una società cooperativa ha fornito servizi a un Comune senza un contratto formale. Dopo il rigetto della sua azione contrattuale, ha agito per arricchimento senza causa, vincendo in primo grado. La Corte d’Appello ha riformato la sentenza, dichiarando l’azione di arricchimento senza causa PA inammissibile. La motivazione risiede nella mancanza del requisito di sussidiarietà: la legge prevede un’azione diretta contro il funzionario pubblico che ha autorizzato la prestazione senza seguire le procedure contabili, escludendo quindi la possibilità di agire contro l’ente.

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Pubblicato il 18 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Arricchimento senza causa PA: quando l’azione è inammissibile?

La collaborazione tra imprese private e Pubblica Amministrazione è fondamentale, ma deve seguire regole precise. Una recente sentenza della Corte d’Appello di Napoli chiarisce un punto cruciale: l’azione per arricchimento senza causa PA non è sempre percorribile, specialmente quando la prestazione è stata eseguita senza un contratto formale e senza copertura finanziaria. Questo caso evidenzia l’importanza del requisito della sussidiarietà e le conseguenze per chi fornisce beni o servizi a un ente pubblico al di fuori degli schemi procedurali.

I Fatti del Caso

Una società cooperativa aveva fornito un servizio di assistenza domiciliare per conto di un Comune. Tale servizio era stato affidato e prorogato nel tempo, ma senza un contratto scritto e, soprattutto, senza una delibera formale che ne garantisse la copertura finanziaria.

In un primo momento, la cooperativa aveva agito in giudizio per ottenere il pagamento del corrispettivo pattuito (azione contrattuale). Tuttavia, il Tribunale aveva respinto la domanda proprio a causa della nullità del rapporto per mancanza della forma scritta, requisito essenziale nei contratti con la Pubblica Amministrazione.

Successivamente, la cooperativa ha intrapreso una nuova azione, questa volta basata sull’ingiustificato arricchimento (art. 2041 c.c.), sostenendo che il Comune si era comunque avvantaggiato del servizio reso. Il Tribunale di primo grado aveva accolto parzialmente la domanda, condannando l’ente al pagamento di un indennizzo. Contro questa decisione, il Comune ha proposto appello.

La Decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello di Napoli ha ribaltato completamente la decisione di primo grado. Ha accolto l’appello del Comune e, in riforma della sentenza, ha dichiarato inammissibile la domanda di arricchimento senza causa proposta dalla cooperativa.

La Corte ha ritenuto che mancasse un requisito fondamentale per poter esperire tale azione nei confronti di un ente pubblico: la sussidiarietà. Vediamo nel dettaglio le motivazioni alla base di questa importante pronuncia.

L’arricchimento senza causa PA e il requisito di sussidiarietà

Il cuore della decisione risiede nell’applicazione dell’art. 2042 c.c., che definisce l’azione di arricchimento come un rimedio residuale, proponibile solo quando il danneggiato non abbia altre azioni a disposizione per farsi indennizzare. Questo principio, noto come sussidiarietà, assume una valenza particolare nei rapporti con gli enti locali.

La normativa specifica per gli enti locali (in particolare l’art. 191 del D.Lgs. n. 267/2000, Testo Unico degli Enti Locali) stabilisce una regola ferrea: ogni spesa deve essere autorizzata da un impegno contabile e da una delibera formale. Se un funzionario o un amministratore pubblico richiede una prestazione senza seguire questa procedura, il rapporto obbligatorio non sorge con l’ente, ma direttamente con il funzionario stesso.

Questo significa che il fornitore (in questo caso, la cooperativa) ha a disposizione un’azione specifica e diretta nei confronti del soggetto che ha ordinato il servizio, il quale ne risponde con il proprio patrimonio personale. Essendoci questa azione specifica, viene meno il requisito della sussidiarietà, rendendo inammissibile l’azione di arricchimento senza causa PA contro l’ente.

L’irrilevanza del riconoscimento di fatto dell’utilità

La Corte ha anche chiarito che il semplice fatto che l’ente abbia beneficiato della prestazione (l’utilitas) non è sufficiente a fondare un’azione di arricchimento. Il riconoscimento di un debito fuori bilancio da parte di un Comune può avvenire solo tramite una specifica e formale deliberazione del Consiglio comunale, come previsto dall’art. 194 del D.Lgs. 267/2000.

Non è possibile desumere tale riconoscimento da comportamenti concludenti o dall’oggettivo vantaggio ricevuto. La procedura è rigorosa e mira a proteggere gli equilibri di bilancio dell’ente pubblico.

Le Motivazioni

La Corte d’Appello ha fondato la sua decisione su un consolidato orientamento della Corte di Cassazione. In primo luogo, ha respinto l’eccezione del Comune sul principio del ne bis in idem, chiarendo che l’azione contrattuale e quella di arricchimento sono diverse per petitum (oggetto) e causa petendi (titolo), quindi il rigetto della prima non preclude la proposizione della seconda.

Tuttavia, l’ostacolo insormontabile è stato individuato proprio nella mancanza di sussidiarietà. La legge, prevedendo una responsabilità diretta e personale del funzionario che ha agito al di fuori delle regole contabili, offre al creditore un rimedio specifico. La possibilità di agire contro il funzionario esclude la possibilità di agire contro l’ente per ingiustificato arricchimento. Questo meccanismo è posto a presidio della legalità e della corretta gestione delle finanze pubbliche, inducendo i terzi contraenti a verificare sempre la legittimità della procedura di spesa prima di eseguire una prestazione.

Conclusioni

Questa sentenza rappresenta un monito fondamentale per tutte le imprese che lavorano con la Pubblica Amministrazione. Prima di eseguire qualsiasi prestazione, è imperativo assicurarsi che esista un contratto valido, redatto in forma scritta, e soprattutto una formale delibera di impegno di spesa che ne garantisca la copertura finanziaria. Agire sulla base di accordi verbali o richieste informali espone al grave rischio di non poter recuperare il proprio credito dall’ente. La via da percorrere, in questi casi, non è l’azione di arricchimento senza causa PA, ma l’azione di responsabilità diretta nei confronti dell’amministratore o del funzionario che ha autorizzato la spesa irregolarmente.

È possibile agire per arricchimento senza causa dopo che la richiesta di adempimento contrattuale è stata respinta?
Sì, in linea di principio è possibile. La Corte ha chiarito che l’azione contrattuale e quella di arricchimento sono diverse per oggetto e causa giuridica. Il rigetto della prima, basata sulla nullità di un contratto, non preclude di per sé la proposizione della seconda, basata sull’assenza di un valido titolo giuridico.

Quando l’azione di arricchimento senza causa contro un Comune è inammissibile?
L’azione è inammissibile per difetto del requisito di sussidiarietà quando la legge prevede un altro rimedio specifico. Nel caso di prestazioni fornite a un ente locale senza un regolare contratto e impegno di spesa, la legge (art. 191, D.Lgs. 267/2000) prevede un’azione diretta contro il funzionario o l’amministratore che ha autorizzato la spesa. La presenza di questa azione rende inammissibile quella contro l’ente.

Chi risponde per le prestazioni fornite a un Ente Locale senza un contratto formale?
Secondo la normativa vigente e l’interpretazione della giurisprudenza, a rispondere è direttamente e con il proprio patrimonio il funzionario o l’amministratore che ha autorizzato la prestazione al di fuori delle procedure di spesa previste (contratto scritto, impegno contabile, copertura finanziaria). Il rapporto obbligatorio si instaura tra il fornitore e tale soggetto, non con l’ente pubblico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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