Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27814 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27814 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 11012/2019 r.g. proposto da:
Comune di Grotte di Castro, in persona del rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e notifiche all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso e
nello studio dell’AVV_NOTAIO, giusta procura speciale rilasciata su foglio separato unito ed in calce al controricorso
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 7257/2018 , depositata in data 17/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/10 /2024 dal AVV_NOTAIO COGNOMEAVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE:
AVV_NOTAIO geom. NOME COGNOME in data 10.06.2008 instaurava, dinanzi al Tribunale di Viterbo, procedimento ex artt. 633 ss. c.p.c. al fine di ottenere l’emissione di un decreto ingiuntivo per l’importo di € 4262,54, in virtù della fattura n. 05/2006 relativa alla prestazione professionale svolta in favore del comune di Grotte di Castro (sistemazione servizio idrico comunale).
Il giudice adito accoglieva l’istanza ed emetteva decreto ingiuntivo n. 67 del 2008.
Proponeva opposizione il Comune di Grotte di Castro, il quale eccepiva che, benché l’Ufficio tecnico del Comune, con determinazione n. 226 del 7.10.2002, avesse conferito al COGNOME l’incarico per la progettazione del sistema idrico, sia la fase di progettazione che la fase dell’esecuzione non ebbero mai inizio, come provato dalla mancata stipulazione del contratto d’opera.
Proponeva, inoltre, domanda riconvenzionale al fine di ottenere la restituzione della somma corrisposta a titolo di acconto.
Si costituiva l’opposto COGNOME ribadendo la legittimità della sua pretesa creditoria sulla base della prestazione professionale effettivamente svolta e chiedendo, in via subordinata, nella
comparsa di costituzione, il riconoscimento di tale somma anche a titolo di arricchimento senza causa.
Con sentenza n. 249 del 2012, depositata in data 24 luglio 2012, il Tribunale, ritenendo provata la pretesa monitoria, rigettava l’opposizione e la domanda riconvenzionale del Comune di Grotte di Castro.
Il Tribunale, ai fini della decisione, disponeva una consulenza tecnica d’ufficio, da cui emergeva che il geom. COGNOME aveva provveduto a fornire la propria attività professionale all’opponente in mancanza di uno specifico contratto scritto tra le parti.
Evidenziava che, alla stregua di un consolidato orientamento giurisprudenziale, i contratti amministrativi stricto sensu intesi richiedono, quale indefettibile presupposto ad substantiam , la stipulazione in forma scritta proveniente dall’organo dotato di rappresentanza esterna, capace quindi di impegnare validamente l’Amministrazione, anche sotto il profilo dell’assunzione della relativa spesa.
Pertanto, il Giudice di prime cure stabiliva che la richiesta di pagamento avanzata dall’opposto meritava di essere accolta sotto il profilo dell’indebito arricchimento, mancando un formale contratto tra le parti, confermando il decreto ingiuntivo.
Con atto di citazione in appello, il Comune RAGIONE_SOCIALE Grotte di Castro impugnava la sentenza.
Con il primo motivo lamentava l’erronea valutazione della CTU espletata in primo grado, dalla quale il Giudice di prime cure si sarebbe discostato.
Con il secondo motivo si doleva dell’erronea valutazione delle disposizioni testimoniali rese nel giudizio di primo grado e che, a suo dire, avrebbero suffragato le ragioni dell’opponente e sarebbero state travisate dal Giudice di prime cure.
Con il terzo motivo l’appellante deduceva la violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c. sostenendo che nessuna opera era stata realizzata con l’ausilio dell’attività del geom. AVV_NOTAIO e, quindi, nessuna utilità si era realizzata per il Comune.
La Corte di appello, con sentenza del 17/11/2018, rigettava l’appello.
Analizzava congiuntamente i primi due motivi di ricorso in quanto entrambi afferenti alla mancata/erronea valutazione delle risultanze istruttorie rilevanti ai fini della decisione.
Rigettava entrambe le doglianze sostenendo che il Giudice di primo grado aveva correttamente valutato le risultanze istruttorie, da cui emergeva che l’appellato aveva effettivamente ricevuto l’incarico da parte del Comune di redigere il progetto oggetto di causa e di effettuare la direzione dei lavori.
Inoltre, risultava che il geom. COGNOME aveva effettuato una variante dei lavori, che i lavori erano stati eseguiti e che il Comune aveva corrisposto il prezzo secondo la contabilità e il piano di sicurezza dei lavori predisposti dall’opposto, il quale aveva anche redatto il certificato di regolare esecuzione dei lavori.
In particolare, il professionista aveva ricevuto un acconto di € 4.284,00, mentre non gli era stato pagato il saldo della parcella di € 5.076,00.
Inoltre, con riferimento al terzo motivo, anch’esso veniva rigettato alla luce del fatto che, il Giudice di prime cure aveva accolto la richiesta di pagamento azionata con il decreto ingiuntivo opposto, sotto l’invocato principio dell’indebito arricchimento ex art. 2041 c.c., poiché l’Ente aveva usufruito dell’attività professionale del geom. COGNOME e poiché era pacifico il riconoscimento da parte del Comune della vantaggiosità dei lavori eseguiti dall’appellato, evincibile sia
dalla natura degli stessi (sistemazione della rete idrica comunale) sia dalle diverse determinazioni assunte dall’Ente territoriale.
Per quanto concerne la contestazione della parte appellante circa l’effettiva utilità dell’opera prestata da parte dell’appellato, come anche affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez.U., n. 10798 del 2015), la regola di carattere generale, secondo cui non sono ammessi arricchimenti ingiustificati né spostamenti patrimoniali ingiustificabili, doveva trovare applicazione paritaria nei confronti del soggetto privato come dell’ente pubblico.
Inoltre, dal momento che il riconoscimento dell’utilità non costituiva requisito dell’azione di indebito arricchimento, il privato attore aveva solo l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’ente pubblico potesse opporre il mancato riconoscimento dello stesso. D’altra parte, l’ente pubblico poteva eccepire e provare che l’arricchimento non fu voluto o non fu consapevole, quindi che non abbia potuto rifiutarlo e che si trattò di ‘arricchimento imposto’ (si cita Cass. n. 15937 del 2017).
Avverso questa sentenza il Comune ha proposto ricorso per Cassazione.
Il COGNOME ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la «Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, con particolare riferimento agli artt. 191 e 194 D.lgs. 267/2000, nonché 2041 e 2042 cc per l’inammissibilità dell’azione per il difetto di legittimazione in capo al Comune di Grotte di Castro (in relazione all’art. 360, comma primo n.3 c.p.c.)».
In particolare, il Comune si duole della errata qualifica della fattispecie in oggetto ricondotta, dal Giudice di prime cure prima e
dalla Corte di Appello poi, ad un’azione di ingiustificato arricchimento nei confronti del Comune ex art. 2041 c.c..
Muovendo dal presupposto che «tra le parti non è intercorso alcun contratto», con la conseguenza che il compenso vantato dal COGNOME «è risultato essere un debito fuori bilancio» (essendo stati assunti irritualmente gli impegni di spesa), non essendo stata adottata alcuna delibera consiliare, ex art. 194, comma 1, lettera e), del d.lgs. n. 267 del 2000, «idonea a ratificare ai sensi di legge la violazione dell’iter procedimentale di cui all’art. 191», ne derivava il difetto di legittimazione passiva del Comune dinanzi alla pretesa del professionista.
Ad avviso del Comune, dunque, nel caso in cui vi è stata acquisizione di beni e servizi in assenza di un impegno contabile registrato sul competente capitolo del bilancio di previsione e dell’attestazione della copertura finanziaria, il rapporto obbligatorio intercorre tra il privato fornitore e l’amministratore, funzionario o dipendente che ha consentito la fornitura, ex art. 191, comma 4, d.lgs. n. 267 del 2000.
Sostiene il ricorrente che, per quanto concerne la disciplina dell’art. 194, comma, lettera e), TUEL, gli enti locali, con apposita deliberazione, possono riconoscere la legittimità dei debiti fuori bilancio. In assenza di ciò, il credito di chi ha fornito la prestazione o servizio nei confronti della pubblica amministrazione sussiste nei confronti della persona fisica funzionario o dipendente che ha autorizzato la fornitura.
Continua il ricorrente affermando che l’insorgenza del rapporto obbligatorio tra il fornitore e l’amministratore o il funzionario che abbia consentito l’operazione comporta l’impossibilità di esperire l’azione di arricchimento senza causa nei confronti
dell’amministrazione, avendo «l’impoverito» la possibilità di esperire una diversa azione.
L’art. 2041 c.c., infatti, è un’azione residuale.
Il Comune può, invece, restare vincolato al pagamento del compenso ove sussistano tre elementi: la delibera che autorizza il sindaco a concludere il relativo contratto; la conclusione di tale contratto in forma scritta; l’esistenza di una copertura finanziaria, attestata dal responsabile del servizio finanziario.
Non essendo, poi, intervenuta alcuna delibera consiliare ex art. 194 d.lgs. n. 267 del 2000, non era stato seguito il procedimento per il riconoscimento dei debiti fuori bilancio.
Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta la «Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, con particolare riferimento agli artt. 2041 c.c., 633 e 645 c.p.c. dei principi che regolano l’azione di indebito arricchimento incompatibile con l’azione contrattuale e con la domanda proposta in INDIRIZZO (in relazione all’art. 360, comma primo n.3 c.p.c.)».
Il Comune deduce l’inammissibilità della domanda di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c., presentata dal professionista opposto in sede di costituzione in giudizio.
Lamenta il fatto che la domanda di ingiustificato arricchimento è stata formulata da parte opposta «tenendo ferma la richiesta di respingimento dell’opposizione» e del decreto ingiuntivo opposto.
L’opposto avrebbe dovuto, invece – a detta del Comune formularla in via riconvenzionale e subordinatamente all’accoglimento dell’opposizione e quindi della revoca del decreto ingiuntivo «così da conciliare la nuova richiesta di pagamento con il mutamento del petitum e della causa petendi ».
Nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo è ammissibile la domanda di arricchimento senza causa avanzata con
la comparsa di costituzione e risposta dell’opposto soltanto qualora l’opponente abbia introdotto nel giudizio, con l’atto di citazione in opposizione, un’ulteriore tema di indagine «tale che possa giustificare l’esame di un arricchimento senza causa».
Deve essere affrontato preliminarmente il secondo motivo di impugnazione, trattandosi di questione di rito, il cui esame deve necessariamente precedere le ulteriori doglianze del ricorrente.
3.1. Il motivo è infondato, dovendosi, peraltro, evidenziare che non risulta che la questione sia stata posta in sede di appello.
3.2. Sul punto è intervenuta di recente questa Corte, a sezioni unite, affermando che nel processo introdotto mediante domanda di adempimento contrattuale è ammissibile la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento formulata, in via subordinata, con la prima memoria ai sensi dell’art. 183, comma 6, c.p.c., qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta (Cass., Sez.U., 13/9/2018, n. 22404).
In particolare, questa Corte nel suo incipit ha richiamato la precedente sentenza, sempre a sezioni unite, n. 26128 del 27/12/2010, con cui si è ritenuto che «le domande di adempimento contrattuale e di arricchimento senza causa, quali azioni che riguardano entrambe diritti eterodeterminati, si differenziano, strutturalmente e tipologicamente, sia quanto alla causa petendi sia quanto al petitum . Ne consegue che, nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo – al quale si devono applicare le norme del rito ordinario, ai sensi dell’art. 645, secondo comma, e, dunque, anche l’art. 183, quinto comma, c.p.c. – è ammissibile la domanda di arricchimento senza causa avanzata con la comparsa di costituzione e risposta dell’opposto (che riveste la posizione
sostanziale di attore) soltanto qualora l’opponente abbia introdotto nel giudizio, con l’atto di citazione, un ulteriore tema di indagine, tale che possa giustificare l’esame di una situazione di arricchimento senza causa. In ogni altro caso, all’opposto non è consentito di proporre, neppure in via subordinata, nella comparsa di risposta o successivamente, un’autonoma domanda di arricchimento senza causa, la cui inammissibilità è rilevabile d’ufficio dal giudice».
Viene, poi, richiamata la sentenza n. 12310 del 15/6/2015, con cui questa Corte, a sezioni unite, ha ritenuto che sono ammissibili anche le modificazioni della domanda.
Si è ritenuto, infatti, che «la modifica della domanda iniziale può riguardare anche gli elementi identificativi oggettivi della stessa, a condizione che essa riguardi la medesima vicenda sostanziale dedotto in giudizio con l’atto introduttivo o comunque sia a questa collegata, regola, questa, ricavabile da tutte le indicazioni contenute nel codice di rito in relazione alle ipotesi di connessione a vario titolo e in particolare al rapporto di connessione per ‘alternatività’ o ‘per incompatibilità’.
Ciò in ossequio ai principi di economia processuale, ragionevole durata del processo e concentrazione delle controversie in modo da ottenere una maggiore stabilità delle decisioni giudiziarie, anche in relazione alla limitazione del rischio di giudicati contrastanti.
3.3. Questa Corte, a sezioni unite, con l’ultima sentenza richiamata (Cass., Sez. U., 13/9/2018, n. 22404), ha ritenuto che non sussistesse un reale contrasto tra le due sentenze sopra citate.
Si è detto, infatti, che la seconda pronuncia (Cass., Sez. U., n. 12310 del 2015) ha una portata ben più ampia della prima (Cass., Sez. U., n. 26128 del 2010), la quale, oltre a riferirsi ad un ambito ben specifico e, per così dire, settoriale, si fonda sul criterio della diversità di petitum e causa petendi fra due domande in quel giudizio
proposte, criterio che, invece, la più recente delle sentenze dichiara espressamente di voler superare e disattendere. Di conseguenza, questa Corte ha inteso dare continuità all’indirizzo indicato con la sentenza n. 12 3/1/10 del 2015, proprio per la valenza sistematica, in tema di esercizio dello ius variandi nel corso del processo.
Pertanto, si è ritenuta ammissibile la domanda di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c. proposta, in via subordinata, con la prima memoria ex art. 183, 6º comma, c.p.c., nel corso del processo introdotto con domanda di adempimento contrattuale, qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotto in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa (per incompatibilità) a quelle inizialmente formulate.
3.4. Tuttavia, con la sentenza n. 26727 del 15/10/2024, a sezioni unite, questa Corte ha chiarito che la proposizione nella comparsa di risposta, da parte dell’opposto, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, di una domanda ex art. 2041 c.c., è ammissibile, ben potendo a livello generale riconoscersi anche a ad essa l’interesse, dell’originario ricorrente, in relazione alla vicenda, originariamente tradotto in azione di adempimento contrattuale.
Pertanto, si è affermato che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la proposizione da parte dell’opposto nella comparsa di risposta di domande alternative a quella introdotta in INDIRIZZO monitoria è ammissibile se tali domande trovano il loro fondamento nel medesimo interesse che aveva sostenuto la proposizione della originaria domanda nel ricorso diretto l’ingiunzione.
Tuttavia, deve tenersi conto della struttura del giudizio monitorio, in cui la parte che, nella fase a contraddittorio, figura come opposta, ossia convenuta processuale, ha già goduto di uno stadio procedurale ‘esclusivo’ per avanzare una propria pretesa, pur nei limiti di prova perimetrata.
Pertanto, la domanda ex art. 2041 c.c. può essere presentata dall’opposto, con la comparsa di costituzione, ma non può essere articolata con la memoria di cui all’art. 183, sesto comma, c.p.c.
In relazione al canone della correttezza processuale di cui all’art. 88 c.p.c., chi ha avviato il giudizio per via monitoria ha facoltà di introdurre nella comparsa di risposta alle domande alternative che eventualmente intenda presentare, non potendo però riservarle successivamente, nella memoria di cui all’art. 183, 6º comma c.p.c.
3.5. Per tale ragione, dunque, il secondo motivo del ricorso è infondato, avendo l’opposto correttamente proposto, in via subordinata, nella comparsa di costituzione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la domanda di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c..
Anche il primo motivo è infondato, dovendosi, peraltro, osservare che la questione dei «debiti fuori bilancio» non risulta posta in sede di appello.
Questi, in estrema sintesi, i fatti di causa.
Con determinazione n. 226 del 7/10/2002 è stato affidato al geometra COGNOME l’incarico della progettazione, direzione dei lavori, progettazione e coordinamento sicurezza (si trattava di lavori ai sensi della legge regionale n. 48 del 1990 per opere igieniche sanitarie); si dava atto che la Regione Lazio ha comunicato che la giunta regionale con delibera n. 1180 del 9/8/2002 «ha approvato il piano di riparto ai sensi della L.R. n. 48/90 assegnando a questo Ente un contributo di euro 77.468,53 per opere igienico-sanitarie»; in data 5/6/2003 il COGNOME ha redatto i progetti preliminari dei lavori per il miglioramento della rete idrica comunale; con delibera n. 54 del 17/6/2003 la giunta comunale ha approvato i progetti preliminari, definitivo ed esecutivo dei lavori per opere igieniche sanitarie di cui alla L.R. n. 48/90 («il prezzo complessivo dell’opera,
incluse quelle tecniche per progettazione, D.L. e piano sicurezza, era pari ad euro 77.468,54»); con la determinazione n. 348 del 17/6/2003 il responsabile del servizio tecnico comunale ha liquidato al COGNOME la somma di euro 4284,00, in acconto per la progettazione dell’opera (con imputazione della relativa spesa «al titolo 2 funzione 9 servizio 4 intervento I schema 11206 RRPP 20’2 del bilancio c.e.»; con la determinazione del responsabile del servizio tecnico n. 194 del 6/7/2005 è stata approvata la perizia in variante predisposta dall’COGNOME; con la successiva determinazione n. 290 del 21/10/2005 sono stati approvati dal tecnico comunale gli elaborati redatti dal COGNOME, disponendo la corresponsione del parziale pagamento del prezzo di appalto (tale spesa era imputata «al bilancio c.e. al titolo 2 funzione 9, servizio 4 intervento I, schema NUMERO_DOCUMENTO»); con la determinazione n. 304 del 29/11/2005 il responsabile del servizio tecnico ha approvato una seconda perizia in variante predisposta dal COGNOME; con determinazione n. 315 del 3/12/2005 il responsabile del servizio tecnico ha approvato gli atti di contabilità dei lavori ed il certificato di pagamento del secondo e ultimo SAL (si prevedeva la stessa imputazione della spesa bilancio comunale); con la determinazione n. 50 del 21/2/2006 il responsabile del servizio tecnico comunale ha approvato gli atti di contabilità finale e il certificato di regolare esecuzione, redatti e firmati dal direttore dei lavori NOME, svincolando la cauzione definitiva e rilasciando il certificato di regolare esecuzione dell’opera; con la determinazione n. 77 del 28/1/2006 il responsabile del servizio tecnico comunale ha emesso il saldo della parcella del COGNOME pari ad euro 5076,00; con la determinazione n. 341 del 29/12/2006 il responsabile del servizio tecnico comunale ha approvato la rendicontazione finale della spesa sostenuta per l’appalto e per gli onorari del COGNOME «con cui si
richiedeva alla Regione il saldo del contributo regionale concesso con D.G.R. n. 1180/02».
Costituiscono, dunque, elementi fermi nella controversia in esame: la mancata conclusione di un contratto in forma scritta tra le parti; il finanziamento concesso dalla regione Lazio; l’imputazione della spesa bilancio comunale.
4.1. Si premette che per questa Corte, a sezioni unite (Cass., Sez.U., 16/2/2016, n. 2951), la questione della titolarità del diritto può essere negata dal convenuto con una mera difesa e cioè con una presa di posizione negativa che, contrariamente alle eccezioni in senso stretto, non è soggetta decadenza ex art. 167 c.p.c.
Pertanto, la questione della titolarità del diritto può essere sollevata dal giudice d’ufficio, se risultante dagli atti di causa (Cass., sez. 3, 15/5/2018, n. 11744).
A, poi, rimarcato che la decisione della causa nel merito non comporta la formazione del giudicato implicito sulla legittimazione ad agire ove tale “quaestio iuris”, pur avendo costituito la premessa logica della statuizione di merito, non sia stata sollevata dalle parti, posto che una questione può ritenersi decisa dal giudice di merito soltanto ove abbia formato oggetto di discussione in contraddittorio (Cass., Sez.U., 20/3/2019, n. 7925; Cass., sez. 1, 12/5/2021, n. 12568).
5. Il principio espresso dalla Corte di appello (che peraltro non era stata investita della questione del difetto di legittimazione passiva del Comune) è conforme a legge nella parte in cui è stata riconosciuta la possibilità dell’azione di ingiustificato arricchimento nei confronti del Comune, in quanto, pur in assenza del contratto stipulato in forma scritta ad substantiam , tuttavia si era in presenza dell’impegno contabile e dell’attestazione della copertura finanziaria, in quanto, nonostante il finanziamento regionale, le somme
necessarie erano state indicate nel bilancio comunale ed imputate a specifici capitoli di spesa.
5.1. Occorre muovere dall’esame del quadro normativo che, nel tempo, ha dato rilievo alla mancanza dell’impegno di spesa per gli atti posti in essere da enti locali per individuarne la relativa disciplina.
Si sottolinea – che ciò assume rilievo dirimente ai fini della decisione della controversia – che in tutte le disposizioni normative che si sono succedute nel tempo non v’è mai stata la previsione che, in assenza del contratto scritto con l’ente locale territoriale, il privato che avesse svolto attività in favore dell’ente, doveva agire direttamente nei confronti del funzionario.
Solo in remoti precedenti di legittimità (Cass., n. 2832 del 2002) si è ritenuto che, con riferimento all’art. 23 della legge n. 144 del 1989, si escludeva le esperibilità dell’azione di arricchimento senza causa nei confronti dell’ente pubblico tanto nel caso in cui manchi del tutto una deliberazione autorizzativa della spesa da parte dell’ente stesso che in quello in cui, pur esistendo tale delibera, il contratto stipulato con il privato sia nullo per altra causa (nella specie per difetto di forma).
Ciò che conta, invece, è l’avvenuto o meno impegno di spesa nel bilancio comunale.
In particolare, giova ricordare le disposizioni contenute nel R.D. n. 383 del 1934, relative a comuni, province ed enti locali ivi indicati e segnatamente l’art. 284 («Le deliberazioni dei comuni, delle Provincie e dei consorzi, che importino spese, devono indicare l’ammontare di esse e i mezzi per farvi fronte) – e l’art.288 («Sono nulle le deliberazioni prese in adunanze illegali, o adottate sopra oggetti estranei alle attribuzioni degli organi deliberanti, o che contengano violazioni di legge»). Tali disposizioni sono state interpretate da questa Corte nel senso che gli enti non possono
assumere obbligazioni senza rendersi conto del loro ammontare e senza conoscere se e come farvi fronte, dovendo indicare nelle relative deliberazioni a pena di nullità l’ammontare di esse e i mezzi per sostenerle (Cass. Sez. U., nn. 12195 e 13831/2005, nonché n. 8730/2008).
6.1. Successivamente, l’art.23, commi 3 e 4, d.l.n.66/1989, convertito on modificazioni dalla l.n.144/1989, ha previsto che «A tutte le amministrazioni provinciali, ai comuni ed alle comunità montane l’effettuazione di qualsiasi spesa è consentita esclusivamente se sussistano la deliberazione autorizzativa nelle forme previste alla legge e divenuta o dichiarata esecutiva, nonché l’impegno contabile registrato dal ragioniere o dal segretario, ove non sussista il ragioniere, sul competente capitolo del bilancio di revisione, da comunicare ai terzi interessati. Per quanto concerne le spese previste dai regolamenti economali l’ordinazione fatta a terzi deve contenere il riferimento agli stessi regolamenti, al capitolo di bilancio ed all’impegno. 4. Nel caso in cui vi sia stata l’acquisizione di beni o servizi in violazione dell’obbligo indicato nel comma 3, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per ogni altro effetto di legge tra il privato fornitore e l’amministratore o il funzionario che abbiano consentita la fornitura. Detto effetto si estende per le esecuzioni reiterate o continuative a tutti coloro che abbiano reso possibili le singole prestazioni».
6.2. Dopo che l’art.55, c.5 della l. n. 142 del 1990, aveva disposto ai commi, 1,2, 3, 4 che «I provvedimenti dei responsabili dei servizi che comportano impegni di spesa sono trasmessi al responsabile del servizio finanziario e sono esecutivi con l’apposizione del visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria, fu introdotto l’art.35, c.1 e 4 del d.lgs. 77/1995, al cui tenore «Gli enti locali di cui all’art. 1, comma 2, possono effettuare
spese solo se sussiste l’impegno contabile registrato sul competente intervento o capitolo del bilancio di previsione e l’attestazione della copertura finanziaria di cui all’art. 55, comma 5, della legge 8 giugno 1990, n. 142. 4. Nel caso in cui vi è stata l’acquisizione di beni e servizi in violazione dell’obbligo indicato nei commi 1, 2 e 3, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per la parte non riconoscibile ai sensi dell’art. 37, comma 1, lettera e), tra il privato fornitore e l’amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura. Per le esecuzioni reiterate o continuative detto effetto si estende a coloro che hanno reso possibili le singole prestazioni». Lo stesso d.lgs. n. 77/1995 dispose l’abrogazione dell’art.23 d.l.n.66/1989 con l’art. 123, c.1, lett. n).
6.3. La disposizione di cui all’art. 35 d.lgs. n. 77/1995 è stata riproposta senza modifiche sostanziali dall’art.191 del D.P.R. n. 267/2000 (d’ora in avanti, brevi ter, T.U.E.L.) – testo in vigore dal 13.12.2000 – prevedendosi che: «1. Gli enti locali possono effettuare spese solo se sussiste l’impegno contabile registrato sul competente programma del bilancio di previsione e l’attestazione della copertura finanziaria di cui all’art. 153, comma 5. Nel caso di spese riguardanti trasferimenti e contributi ad altre amministrazioni pubbliche, somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali, il responsabile del procedimento di spesa comunica al destinatario le informazioni relative all’impegno. La comunicazione dell’avvenuto impegno e della relativa copertura finanziaria, riguardanti le somministrazioni, le forniture e le prestazioni professionali, è effettuata contestualmente all’ordinazione della prestazione con l’avvertenza che la successiva fattura deve essere completata con gli estremi della suddetta comunicazione. Fermo restando quanto disposto al comma 4, il terzo interessato, in mancanza della comunicazione, ha facoltà di non eseguire la prestazione sino a
quando i dati non gli vengano comunicati. …4. Nel caso in cui vi è stata l’acquisizione servizi in violazione dell’obbligo indicato nei commi 1, 2 e 3, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per la parte non riconoscibile ai sensi dell’art. 194, comma 1, lettera e), tra il privato fornitore e l’amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura. Per le esecuzioni reiterate o continuative detto effetto si estende a coloro che hanno reso possibili le singole prestazioni».
6.4. Con riferimento all’art.191, comma 4, T.U.E.L., poi, che è la norma applicabile alla vicenda processuale esaminata, questa Corte ha ritenuto che qualora le obbligazioni della P.A. non rientrino nello schema procedimentale di spesa, insorge un rapporto obbligatorio direttamente con il funzionario che abbia consentito la prestazione, sicché resta preclusa l’azione di arricchimento nei confronti dell’ente locale per difetto del requisito della sussidiarietà, dovendo il privato depauperato agire direttamente e personalmente nei confronti di tale funzionario (Cass.n.2605/2023).
Analogamente, Cass. n. 3827/2023 ha ritenuto che «alla luce in particolare di quanto statuito da Cass. S.U. n. 26657/2014 (che ha sancito il divieto, per i Comuni, in base del D.L. n. 66 del 1989, art. 23, commi 3 e 4, di effettuare qualsiasi spesa in assenza di impegno contabile registrato sul competente capitolo di bilancio di previsione) la delibera di un Comune carente di attestazione di regolare copertura finanziaria è affetta da nullità, in ragione della inderogabilità del D.L. n. 66 del 1989, art. 23, commi 3 e 4, conv. dalla L. n. 144 del 1989, art. 1, comma 1, riprodotto nel d.lgs. n. 77 del 1995, art. 35, e oggi refluito nel d.lgs. n. 267 del 2000, art. 191, che sono posti a presidio della correttezza dell’agire della pubblica amministrazione.
Ragione per cui «la delibera comunale di conferimento di incarico ad un professionista deve indicare l’ammontare della spesa mediante l’identificazione e la distinzione delle diverse voci che la compongono (spese generali, tecniche, per compensi professionali ecc.) ed i mezzi per farvi fronte, ugualmente identificati e distinti analiticamente così da creare un doppio congiunto (non alternativo) indice di riferimento che vincola l’operato dell’ente locale in relazione alle spese stabilite anticipatamente» (Cass. n. 22481/2018). Ciò perché l’esigenza di prevedere la copertura economica di qualunque spesa per la pubblica amministrazione contraente si pone dunque quale presupposto per la formazione di una valida volontà negoziale della P.A. (Cass. n. 17770/2017), per modo che la nullità della delibera che preveda un impegno di copertura della spesa non certo e attuale (Cass. n. 21763/2016) investe il successivo contratto di prestazione d’opera stipulato dal professionista.
Ritiene questa Corte (Cass., 29/2/2024, n. 5480; Cass., sez. 2, 6/5/2024, n. 12164) che l’esame complessivo del quadro normativo di riferimento – art.23 del d.l.n.66/1989, conv. nella l.n.144/1989, abrogato a far data dal 17 maggio 1995 – data di entrata in vigore del d.lgs.n.77/1995- per lasciare il posto agli art.35 d.lgs.n.77/1995 e più di recente all’art.191, c.1 e 4 T.U.E.L.- induce a ritenere che, ai fini dell’operatività dell’azione diretta in forza della costituzione ex lege del rapporto obbligatorio fra amministratori, funzionari e dipendenti dell’ente locale che abbiano consentito l’acquisizione di beni o servizi e privato fornitore o prestatore di opere e servizi, sia requisito indispensabile l’assenza di impegno di spesa, non operando però detto meccanismo nelle ipotesi di invalidità dei contratti conclusi con l’ente locale in presenza di un impegno contabile registrato.
In questa direzione militano due distinti argomenti, il primo dei quali connesso alla ratio della norma da ultimo ricordata che, in continuità con il quadro normativo di riferimento, intende impedire che l’ente locale possa rimanere coinvolto in via diretta nella pretesa del fornitore che ha reso la prestazione in assenza dell’impegno contabile. Questa Corte ha, infatti, più volte affermato che agli effetti di quanto disposto dall’art. 23, quarto comma, del d.l. 2 marzo 1989, n. 66 (convertito, con modificazioni, in legge 24 aprile 1989, n. 144), l’insorgenza del rapporto obbligatorio direttamente con l’amministratore o il funzionario che abbia consentito la prestazione – con conseguente impossibilità di esperire nei confronti del Comune l’azione di arricchimento senza causa, stante il difetto del necessario requisito della sussidiarietà – si ha in tutti i casi in cui manchi una valida ed impegnativa obbligazione dell’ente locale.
Pertanto, se non si rinviene alcun impegno di spesa per il Comune, non v’è responsabilità per quest’ultimo ex art. 2041 c.c., ma è necessario agire direttamente nei confronti del funzionario comunale.
Si è quindi aggiunto che tali disposizioni, rivolte ad assicurare irrinunciabili esigenze di risanamento finanziario, fissano condizioni inderogabili affinché il contratto, anche d’opera professionale, possa essere costitutivo di obbligazioni dell’ente territoriale ed operano sul versante dell’individuazione del soggetto tenuto all’adempimento, escludendo che lo stesso sia il Comune, in carenza di deliberazione ed iscrizione contabile (Cass., Sez. 1, 1° febbraio 2005, n. 1985). Da tali affermazioni si è quindi conseguenzialmente ritenuto che l’azione di arricchimento, per il suo carattere sussidiario (art. 2042 c.c.), non competeva in favore di chi poteva recuperare la subita diminuzione patrimoniale con l’azione prevista dall’art.23, c.3 del d.l.n.66/1989 dato che il corrispettivo della prestazione medesima è reclamabile
nei confronti dell’amministratore o del funzionario responsabili dell’acquisizione del bene o del servizio nonostante il difetto di deliberazione e contabilizzazione dell’impegno di spesa (Cass. 24 settembre 1997, n. 9373; Cass., 14 maggio 2003, n. 7369; Cass., 15 luglio 2003, n. 11067; Cass., 20 agosto 2003, n. 12208; Cass., 4 agosto 2004, n. 14928Cass., 2 gennaio 2014 n.1391). Principi parimenti ribaditi da Cass.n.10640/2007.
Se, invece, v’è impegno di spesa da parte del Comune, che poi non ha concluso il contratto in forma scritta, l’azione va indirizzata nei confronti del Comune ex art. 2041 c.c.
Pertanto, i principi di cui sopra (descritti nel paragrafo 8) non possono valere per le ipotesi nelle quali vi sia stato impegno di spesa, rispetto a contratti invalidi per assenza della forma scritta richiesta ad substantiam .
9.1. In questa direzione milita l’art.191 T.U.E.L. nel quale, omessa la previsione volta a ritenere l’insorgenza del rapporto obbligatorio fra amministratori dell’ente locale (o funzionari o impiegati) e prestatore di opere beni o servizi in caso di delibera dell’ente comunale invalida per l’assenza di forma, è appunto rimasta inalterata la necessità che la delibera comunale contempli indefettibilmente l’impegno contabile e la relativa registrazione, in assenza del quale soltanto insorge la responsabilità ex lege dei soggetti incardinati nell’amministrazione che hanno dato luogo all’acquisizione dei beni.
La conclusione appena espressa, d’altra parte, è pienamente coerente con l’idea che il subentro ex lege nel rapporto obbligatorio con l’ente locale presuppone la valida costituzione del titolo negoziale, come già ritenuto da questa Corte allorché ebbe a riconoscere che l’art. 23 del d.l. 2 marzo 1989 n. 66, commi 3 e 4 conteneva «disposizioni, rivolte ad assicurare irrinunciabili esigenze
di risanamento economico, fissano condizioni inderogabili affinché il contratto possa essere costitutivo di obbligazioni dell’ente territoriale, e, dunque, prescindono dalla validità del titolo (che anzi presuppongono, altrimenti non vi sarebbero debiti da pagare), ed operano sul diverso versante dell’individuazione del soggetto tenuto all’adempimento, escludendo che lo stesso sia il comune, in carenza di deliberazione ed iscrizione contabile» – Cass. n. 14928/04; conf.Cass.n.5693/2011 e Cass.n.8534/2006-.
9.2. Da ciò non può che derivare l’impossibilità di profilare l’azione diretta nei confronti di amministratori e funzionari in caso di assenza di un valido titolo negoziale.
Il che, d’altra parte, è coerente con quanto statuito dalla Corte costituzionale, allorché la stessa ha affermato che, sempre con riferimento all’art.23 ult. cit., ebbe a ritenere che «gli atti di acquisizione di beni e servizi in esame solo apparentemente sono riconducibili all’ente locale, mentre, in effetti, si verifica una vera e propria scissione del rapporto di immedesimazione organica tra agente e Pubblica amministrazione» – Corte cost. n. 295/1997-. Scissione che, per l’appunto, presuppone a monte l’esistenza del titolo negoziale validamente assunto nel quale si innesta, per precisa scelta legislativa, l’insorgenza del rapporto obbligatorio fra amministratore o funzionari e prestatore/fornitore quanto alla controprestazione, ancora una volta inscindibilmente legata alla validità del titolo negoziale a monte costituito dall’ente locale.
Non può infatti sfuggire la circostanza che l’art.191 T.U.E.L. non contempla alcun riferimento all’ipotesi del vizio formale del contratto che normalmente segue la delibera per l’ipotesi dell’azione diretta nei confronti dell’amministratore e funzionario.
Del resto, non può sfuggire che la disciplina relativa all’impegno di spesa viene presa in considerazione in via autonoma dalle
disposizioni che regolano, all’interno del T.U.E.L., gli effetti dell’assenza dell’impegno contabile, alla stessa agganciandosi specifiche forme rimediali che presuppongono comunque l’esistenza ab origine di un valido contratto concluso dall’ente locale.
Di ciò vi è conferma esplicita nel successivo art.194 del T.U.E.L., ove si prevede la possibilità di delibere in tema di debiti fuori bilancio da parte dell’ente comunale per le ipotesi (fra l’altro) di «…e) acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 191, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’ente, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza».
Operatività che presuppone, anche secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’esistenza a monte di un valido titolo negoziale, pur se privo di impegno contabile – cfr. Cass. n. 510/2021, Cass. n. 20689/2016 -. Validità che costituisce, dunque, ancora una volta pur se nel contesto della specifica disciplina dei debiti fuori bilancio – condizione necessaria e sufficiente ed al contempo requisito indispensabile per l’operatività del detto riconoscimento di debito e per l’operatività di delibera ricognitiva di un debito fuori bilancio in relazione alla violazione dell’impegno contabile, anche qui inidonea a contaminare la validità del titolo negoziale che anzi è presupposta.
Si è affermato, infatti, che il riconoscimento di un debito fuori bilancio, ex art. 5 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 342, poi trasfuso nell’art. 194, comma 1, lett. e), del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, costituisce un procedimento discrezionale che consente all’ente locale di far salvi nel proprio interesse – accertati e dimostrati l’utilità e l’arricchimento che ne derivano, per l’ente stesso, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza – gli impegni di spesa per l’acquisizione di beni e servizi in precedenza assunti tramite specifica obbligazione, ancorché sprovvista di
copertura contabile, ma non introduce una sanatoria per i contratti nulli o, comunque, invalidi – come quelli conclusi senza il rispetto della forma scritta “ad substantiam” – né apporta una deroga al regime di inammissibilità dell’azione di indebito arricchimento di cui all’art. 23 del d.l. 2 marzo 1989, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 1989, n. 144 (Cass., sez. 1, 27/1/2015, n. 1510).
Ciò che rende evidente l’impossibilità di collegare la disciplina contabile in tema di impegno di spesa prevista per tutelare l’ente locale da impegni non inseriti nel bilancio da quelle relative all’invalidità del titolo negoziale, mancando il quale non potrà operare detto riconoscimento, che ancora una volta presuppone la validità del titolo stesso.
Il che, in definitiva, consente di fornire una chiave di sistema alle ipotesi nelle quali è riconoscibile l’azione diretta nei confronti del funzionario o amministratore, appunto agganciandola all’esistenza di un valido titolo negoziale – che del resto costituirà la base sulla quale verificare il diritto del prestatore al corrispettivo della fornitura o del servizio reso – che fa da sfondo ed è appunto dato imprescindibile rispetto alla “sostituzione ex lege” nel rapporto obbligatorio prevista dall’art.191, c.4, T.U.I.E.
L’azione diretta del fornitore nei confronti dell’amministratore o funzionario che, ai sensi dell’art.191, c.4, T.U.E.L. abbia consentito l’acquisizione di beni o servizi può essere esperita unicamente quando la delibera comunale sia priva dell’impegno contabile e della sua registrazione sul competente capitolo di bilancio e non anche nell’ipotesi in cui tali requisiti siano stati rispettati, ancorché sussista l’invalidità del contratto concluso dall’ente locale per assenza di forma scritta, non potendo operare, in tali ipotesi, in caso di invalidità del titolo negoziale, il meccanismo di sostituzione nel rapporto
obbligatorio previsto dalla legge. Ne consegue che il fornitore può in tali circostanze promuovere l’azione di ingiustificato arricchimento nei confronti dell’ente comunale, nella ricorrenza dei presupposti di legge.
11. Va, poi, precisato che il divieto, per i Comuni, in base all’art. 23, commi 3 e 4, del d.l. 2 marzo 1989 n. 66, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, legge 24 aprile 1989, n. 144 (oggi sostituito dall’art. 191 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267), di effettuare qualsiasi spesa in assenza di impegno contabile registrato dal ragioniere (o, in sua mancanza, dal segretario) sul competente capitolo di bilancio di previsione, si applica anche se la spesa sia interamente finanziata da altro ente pubblico, ferma restando la necessaria verifica della copertura della spesa nel bilancio del Comune che ne assume l’impegno (Cass., Sez.U., 18/12/2014, n. 26657).
Nella specie, come detto, i lavori dovevano essere espletati con il finanziamento regionale e, tuttavia, il Comune aveva comunque iscritto la spesa nel bilancio comunale.
Infatti, si è ritenuto che anche nel caso in cui la spesa sia interamente finanziata da un altro ente pubblico deve trovare applicazione l’art. 23 del decreto-legge n. 66 del 1989, convertito nella legge 24 aprile 1989, n. 144, in quanto il finanziamento esaurisce i suoi effetti nei rapporti tra l’ente beneficiario quello finanziatore, il quale rimane estraneo al rapporto con il professionista; con la conseguenza che, avuto riguardo anche all’autonomia finanziaria degli enti locali, ciascuno di essi, e specificamente quello che assume l’obbligazione contrattuale, è tenuto a verificare le compatibilità finanziarie e da rispettare i vincoli di bilancio stabiliti dalla legge (Cass., Sez.U., 18/12/2014, n. 26657, che richiama Cass., 23/5/2003, n. 8189).
Si è chiarito, quindi, che occorre distinguere il rapporto di finanziamento, che intercorre tra l’ente finanziatore e il Comune che riceve il beneficio, dall’impegno di spesa richiesto dal contratto d’opera professionale, che è impegno proprio del Comune e non già dell’ente finanziatore, con la conseguenza che esso deve risultare necessariamente nel bilancio comunale. Infatti, l’approvazione del finanziamento richiede in concreto, quantomeno, la predisposizione di un piano di fattibilità, con correlativo impegno di spesa (immediato) da parte dell’amministrazione locale che ha l’incarico professionale (Cass., Sez.U., 18/12/2014, n. 26657).
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico del ricorrente e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rimborsare in favore del controricorrente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi euro 1.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, oltre Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23 ottobre