Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5973 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5973 Anno 2024
AVV_NOTAIO: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/03/2024
sul ricorso 35582/2018 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
REGIONE LAZIO, elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME che la rappresenta e difende
– controricorrente – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 2861/2018 depositata il 03/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/11/2023 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
1. La RAGIONE_SOCIALE si duole delle statuizioni portate dall’epigrafata sentenza della Corte d’Appello di Roma che, accogliendo il gravame della Regione Lazio avverso la decisione che in primo grado, su istanza della RAGIONE_SOCIALE -che in quella sede aveva pure, subordinatamente, instato per la sua condanna a titolo di indebito arricchimento -aveva condannato la Regione al pagamento del saldo dovuto in relazione ai lavori di sistemazione idraulica di alcuni corsi d’acqua, ha riformato l’impugnata decisione sulla considerazione che, essendo onere probatorio dell’appaltatore provare la sussistenza del diritto al corrispettivo, nella specie la RAGIONE_SOCIALE si era limitata a produrre il solo verbale di pubblico incanto con il quale le era stato aggiudicato l’appalto, mentre la documentazione successivamente prodotta risultava probatoriamente insufficiente a dimostrare il contenuto del contratto, i diritti e gli obblighi assunti delle parti, l’esecuzione dei lavori, il collaudo delle opere e la loro accettazione.
RAGIONE_SOCIALE chiede ora la cassazione di detta sentenza con cinque motivi di ricorso ai quali resiste la Regione Lazio con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2. Il primo motivo di ricorso, mediante il quale si deduce che la Corte d’Appello avrebbe violato gli artt. 1218, 1453 e 1460 cod. civ. giudicando infondata l’esercitata pretesa, quantunque, alla luce dell’insegnamento recato da SS.UU. 13533/2001, fosse sufficiente provare l’esistenza del contratto di appalto e l’avvenuta esecuzione dei lavori, cosa avvenuta nella specie, è infondato e come tale va respinto; con l’effetto, poi, che restano conseguentemente assorbite le ulteriori censure sviluppate, segnatamente, nel secondo motivo con riferimento alle eccezioni ex parte Regione circa il diniego del collaudo e circa la mancata accettazione delle opere; nel terzo motivo con riferimento all’intervenuto decorso del termine concesso
alla committenza per procedere al collaudo, in ragione del che legittimamente l’impresa aveva agito per il pagamento del dovuto; e nel quarto con riferimento all’omesso l’esame di un fatto decisivo, posto che oggetto di lite non era la sussistenza del contratto, ma se le opere fossero state correttamente eseguite, tutte doglianze evidentemente subordinate al fatto che fosse risultata provata l’esistenza del contratto.
Circa il primo motivo di ricorso dice effettivamente bene la ricorrente, contestando la negatoria dimessa dalla Corte di merito in suo danno, quando, in relazione alla vicenda che ne occupa, ricorda il comando enunciato dalle SS.UU. di questa Corte, a voce del quale il creditore che agisce per l’adempimento dell’obbligazione della controparte deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento altrui e quando su questa base sostiene di essersi esattamente attenuta ad esso nel reclamare la condanna della convenuta al pagamento di quanto ancora dovutole.
Tuttavia nel richiamare e nel far proprio questo insegnamento la ricorrente non si avvede della debolezza della propria posizione.
Non dubita, per vero, il collegio che in materia di appalti pubblici, nel regime – come nella specie anteriore al d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, il processo verbale di aggiudicazione definitiva equivalga per ogni effetto legale al contratto, con forza immediatamente vincolante anche per l’Amministrazione appaltante, da un lato, perché l’art. 16 del r.d. 18 novembre 1923, n. n. 2440 non è stato abrogato dalla l. 11 febbraio 1994, n. 109, rispetto alla quale non presenta profili di incompatibilità, dall’altro lato, perché il d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, recante il regolamento di attuazione della l. 10971994, non possiede efficacia precettiva derogatoria del summenzionato art. 16
(Cass., Sez. I, 6/04/2023, n. 9499). E tuttavia, il giudice di appello ha accertato che dal verbale e dall’altra documentazione prodotta non era possibile ricavare indicazioni appaganti circa il contenuto del contratto di appalto, con riferimento ai diritti e agli obblighi delle parti, alla regolare esecuzione dei lavori, ed al collaudo delle opere, non approvato dalla Regione, con conseguente impugnazione al TAR da parte dell’impresa. In tal modo egli ha inteso esattamente rappresentare che la pretesa esercitata è del tutto sfornita del titolo contrattuale che ne giustifica la cognizione, il che, nel mentre palesa tutta l’incongruenza, rispetto alla realtà scrutinata, del richiamo al visto principio di diritto, colloca, specularmente, la decisione impugnata nell’esatto cono di luce illuminato dalle Sezioni Unite.
E’ fondato e merita perciò di essere accolto il quinto motivo di ricorso con cui rettamente si lamenta che, benché ne fosse stata subordinatamente investita, la Corte d’Appello ha ricusato di conoscere della meritevolezza della pretesa ai sensi dell’art. 2041 cod. civ., ciò in violazione del chiari enunciati affermati dalle SS.UU. di questa Corte secondo cui l’azione di arricchimento ex art. 2041 cod. civ. può essere esercitata anche nei confronti della P.A. che abbia tratto profitto dall’attività prestata in suo favore da un soggetto che non disponga di altre azioni per vedersi riconosciuti i propri diritti (Cass., Sez. U, 28/04/2011, n. 9441) e senza che ai fini del suo accoglimento si richieda il riconoscimento dell’ utilitas ritratta (Cass., Sez. U, 26/05/2015, n. 10798).
Va quindi accolto il quinto motivo di ricorso, rigettato il primo ed assorbiti i restanti.
Debitamente cassata la sentenza impugnata, la causa va rimessa al giudice a quo per la rinnovazione del giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso ed accoglie il quinto motivo di ricorso; cassa l’impugnata sentenza nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa avanti alla Corte d’Appello di Roma che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il giorno 15.11.2023.
Il AVV_NOTAIO COGNOME