Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26296 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26296 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4679/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, in persona del rappresentante legale p.t., NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rapp.te p.t., NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANZARO n. 1545/2021 depositata il 15/11/2021, notificata il 9/12/2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO
La società RAGIONE_SOCIALE conveniva dinanzi al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE l’RAGIONE_SOCIALE, chiedendo, in via principale: i) che fossero accertate la vessatorietà e la nullità della clausola 3.1 del contratto del 28/11/2014, relativo all’erogazione di prestazioni specialistiche di natura ambulatoriale in regime di accreditamento con il RAGIONE_SOCIALE, che aveva indicato in euro 289.398,26, quindi, in misura notevolmente inferiore a quella dell’anno precedente (euro 527.009,02), il budget annuale e ciò, per giunta, quando già le prestazioni erogate erano pari ad euro 527.009,02; ii) che la convenuta fosse condannata a corrispondere la somma di euro 199.215,83 (pari alla differenza tra l’importo del budget del 2013 e quello assegnato nel 2014; in via subordinata, domandava che fosse accertata la debenza di euro 237.610,76 pari alla differenza tra il valore delle prestazioni erogate e quelle retribuite, ai sensi dell’art. 2041 cod.civ.
Adduceva a tal fine che era stata costretta ad accettare la suddetta clausola, essendo stata minacciata della sospensione dell’accreditamento, tant’è che l’aveva sottoscritta con apposita riserva (riprodotta a p. 6 del ricorso), che il tetto di spesa era stato determinato tardivamente, in violazione del legittimo affidamento sulla conferma del budget dell’anno precedente (euro 488.614,09), quando le prestazioni erogate lo avevano già abbondantemente
superato, che la fissazione del nuovo tetto di spesa era avvenuta in assenza di istruttoria, in violazione del contraddittorio, e, infine, che la sua riduzione non era stata motivata.
Aggiungeva che il Decreto del Commissario ad acta n. 68/2014 che aveva disposto il piano di rientro della spesa RAGIONE_SOCIALE, presupposto per la stipulazione del contratto, era stato annullato con sentenza del TAR Calabria n. 1373/2016.
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, ai fini che ancora rilevano in questa sede, con la sentenza n. 995/2019, escludeva la vessatorietà della clausola impositiva del tetto di spesa, perché fondata su disposizioni di legge volte a contenere la spesa pubblica, riteneva non iniqua la sanzione della sospensione dell’accreditamento, rigettava la domanda ex art. 2041 cod.civ., per difetto del requisito della sussidiarietà, negava ogni rilievo all’intervenuto annullamento del Decreto n. 68/2014, non avendo l’eventuale giudicato di annullamento efficacia erga omnes .
La Corte d’ Appello di Catanzaro, con la sentenza n. 1545/2021, depositata il 15/11/2021 e notificata il 9/12/2021, ha confermato l’impugnata pronuncia emessa all’esito del giudizio di prime cure, perché: a) il regime di prorogatio , stante la validità della clausola di proroga, viene meno con la stipulazione di un nuovo contratto; b) non vi sono limiti temporali all’adozione del provvedimento determinativo del tetto di spesa; c) nessun legittimo affidamento poteva vantare l’operatore privato circa il fatto che il budget di spesa per il 2014 avrebbe avuto la stessa consistenza di quello dell’anno precedente, atteso che i tagli erano contenuti nei limiti previsti dalle disposizioni finanziarie conoscibili dalle strutture private a inizio o in corso d’anno; c) nessun rilievo aveva l’annullamento del Decreto n. 68/2014, perché la conseguenza del giudicato amministrativo non è la riespansione del diritto soggettivo né l’assenza di limiti della remunerazione, ma l’obbligo della PA di una nuova determinazione autoritativa in conformità con
la pronuncia di annullamento e detto effetto conformativo opera solo nei confronti delle parti del giudizio; d) non poteva invocarsi l’art. 2041 cod.civ. (non per il difetto del requisito della sussidiarietà, come aveva ritenuto il Tribunale), ma perché la PA aveva espressamente rifiutato le prestazioni extrabudget, deliberando il tetto di spesa.
RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando tre motivi.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la deducente, ex art. 360, censura la statuizione con cui la Corte d’appello, confermando la analoga statuizione del Tribunale, ha ritenuto che il Decreto del commissario ad acta n. 68/2014 fosse atto plurimo a effetti scindibili, anziché atto collettivo di programmazione, e comunque per avere escluso che il giudicato amministrativo formatosi sullo stesso avesse efficacia erga omnes .
L’atto determinativo del tetto di spesa, che era stato annullato per violazione dell’art. 106 TFUE, cioè per aver violato il regime della concorrenza, era atto di programmazione -sostiene la ricorrente -che vincolava tutti i suoi destinatari e non un atto plurimo che si scomponesse in tanti ‘ sottoprovvedimenti ‘ per ogni destinatario; in ogni caso inscindibili erano gli effetti dell’intervenuto annullamento, non potendosi ammettere che l’atto annullato continui a esistere e a produrre effetti per alcuni destinatari soltanto e non esista e sia quindi inefficace per altri; del resto, proprio perché il vizio che lo affliggeva era comune alla posizione di tutti i destinatari,
quand’anche fosse stato un atto plurimo scindibile, il suo annullamento non poteva che avere efficacia erga omnes .
Con il secondo motivo, ex art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., la ricorrente censura la statuizione con cui la Corte d’appello ha escluso la caducazione degli artt. 3 e 13 in conseguenza dell’annullamento del NUMERO_DOCUMENTO e la correlata prorogatio del budget di spesa assegnato nel 2013, in violazione degli artt. 9.1 del contratto e 8 quinquies d.lgs. n. 502/1992.
Chiariti gli effetti e i caratteri dell’invalidità derivata caducante, la deducente osserva che, una volta annullato il Decreto n. 68/2014, solo le clausole ad esso strettamente collegate, e segnatamente gli artt. 3 e 13, che inerivano direttamente ai volumi di spesa e al budget, erano state travolte dall’intervenuto annullamento; di conseguenza, la Corte d’appello avrebbe dovuto considerare la reviviscenza del tetto di spesa dell’anno precedente, da applicare in regime di prorogatio . In particolare, la Corte d’appello, statuendo che la clausola di prorogatio era legittima, perché era finalizzata ad assicurare la continuità delle prestazioni per l’anno successivo in attesa della fissazione del nuovo tetto di spesa e a confermare quello precedente solo nell’ipotesi in cui non fosse stato fissato alcun tetto massimo di spesa, avrebbe dovuto accogliere la richiesta di pagamento del corrispettivo nella misura di euro 199.215,83, in considerazione del fatto che, venuto meno il tetto di spesa rideterminato in misura ridotta rispetto all’anno precedente e non essendo esso stato sostituito dall’adozione di una nuova determinazione conforme con il giudicato amministrativo, l’unico tetto di spesa applicabile era quello fissato per il 2013 e prorogato.
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono inammissibili. Essi risultano formulati in violazione dei requisiti a pena d’inammissibilità prescritti all’art. 366, 1° comma n. 6, cod.proc.civ. Deve ribadirsi che il giudicato va assimilato agli elementi normativi, sicché la sua interpretazione
deve essere effettuata alla stregua dell’esegesi delle norme e non già degli atti e dei negozi giuridici e gli eventuali errori interpretativi sono sindacabili sotto il profilo della violazione di legge. L’interpretazione del giudicato esterno può essere effettuata anche direttamente dalla RAGIONE_SOCIALE.C. con cognizione piena, nei limiti però in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza delle regole processuali di cui all’art. 366 cod. proc. civ. di questo mezzo di impugnazione, con la conseguenza che, qualora l’interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo, atteso che solo il dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale (Cass. 29/11/2018, n. 30917).
Per consentire a questa Corte di comprendere se vi fossero statuizioni o accertamenti sulla disciplina del rapporto atti a vincolare le parti in causa che non erano state parte del giudizio all’esito del quale era stata emessa la pronuncia asseritamente passata in giudicato, l’odierna ricorrente avrebbe dovuto adempiere agli oneri di allegazione di cui all’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. e così riportare in ricorso il testo della sentenza di cui all’interpretazione contestata.
Va aggiunto che le prescrizioni di cui all’art. 366, 1° comma, n. 6, cod.proc.civ. non sono state rispettate neppure relativamente al Decreto n. 98/2014, sulla cui qualificazione si fonda buona parte delle argomentazioni difensive della odierna ricorrente.
Mette conto ribadire che anche declinato secondo le indicazioni della sentenza CEDU 28 ottobre 2021, COGNOME e altri c/ Italia, la quale ha ribadito che il fine legittimo del principio di autosufficienza del ricorso è la semplificazione dell’attività del giudice di legittimità unitamente alla garanzia della certezza del diritto e alla corretta amministrazione della giustizia, (ai p.ti 74 e 75 in motivazione) e
che ha investito questa Corte del compito di non farne una interpretazione troppo formale che limiti il diritto di accesso ad un organo giudiziario (al p.to 81 in motivazione), esso (il principio di autosufficienza) può dirsi soddisfatto solo se la parte riproduce il contenuto del documento o degli atti processuali su cui si fonda il ricorso e se sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (così Cass., Sez. Un., 18/03/2022, n. 8950, la quale ha ritenuto soddisfatte le prescrizioni di cui all’art. 366 comma 1°, n. 6 cod.proc.civ., perché parte ricorrente nell’enucleare i motivi di ricorso, aveva ‘fatto specifico riferimento ai diversi atti e documenti allegati nel giudizio innanzi al Tsap, individuandoli in modo sufficientemente chiaro e nei termini in cui già erano stati richiamati nella sentenza di merito, nonché riportandone alcuni estratti’): requisito che può essere concretamente soddisfatto ‘anche’ fornendo nel ricorso, in ottemperanza dell’art. 369, comma 2°, n. 4 cod.proc.civ., i riferimenti idonei ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati rispettivamente, i documenti e gli atti processuali su cui il ricorso si fonda’ (Cass. 19/04/2022, n. 12481).
Con il terzo motivo la ricorrente censura la statuizione con cui la Corte d’appello ha rigettato la domanda di cui all’art. 2041 cod.civ., per avere la PA espresso con la determinazione del tetto di budget per il 2014 il rifiuto per prestazioni eccedenti lo stesso Il motivo è infondato.
Atteso che il privato può utilmente vantare un arricchimento ingiustificato nei confronti della PRAGIONE_SOCIALE. solo se dimostra che la P.A. non lo ha voluto o che non ne era stata consapevole (cfr. Cass., Sez. Un., 8/12/2008, n. 24772), onde ritenere imposto l’arricchimento è ‘sufficiente che la P.A. abbia deliberato un tetto di spesa, adempiendo ai suoi obblighi di legge di “sana gestione delle finanze pubbliche” e lo abbia comunicato agli interessati; in ciò ravvisandosi “inequivocamente il suo diniego di una spesa
superiore, ovvero la sua volontà contraria a prestazioni ulteriori rispetto a quelle il cui corrispettivo sarebbe rientrato nel limite di spesa”: Cass. 24/04/2019, n. 12129.
Pertanto, l’arricchimento che la P.A. consegue dall’esecuzione delle prestazioni extra budget assume un carattere imposto che preclude l’esperibilità nei suoi confronti dell’azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 cod. civ. (Cfr. tra le ultime decisioni Cass. 05/04/2024, n. 24537; Cass. 16/01/2024 27217 ; Cass. 18/09/2023, n. 26570).
Va anche ribadito che questa Corte a Sezioni unite (Cass. 18/06/2019, n. 16336), pur riconoscendo che il soggetto privato accreditato contribuisce alla “realizzazione dell’interesse pubblico, di rango costituzionale, alla salute dei cittadini e che l’attività RAGIONE_SOCIALE esercitata dalla struttura o dal professionista accreditati si concreti nell’erogazione di un servizio pubblico” ha confermato la sussistenza di un limite oggettivo: “il suo esercizio è sottoposto al potere di direzione e di controllo dell’amministrazione ed è remunerato con risorse pubbliche (…)”. In altri termini, se è innegabile che “l’instaurazione del rapporto concessorio di accreditamento comporta, in buona sostanza, l’inserimento dell’accreditato, in modo continuativo e sistematico, nell’organizzazione della P.A. relativamente al settore dell’assistenza RAGIONE_SOCIALE (…)”, la natura di soggetto accreditato non costituisce vincolo per le aziende e gli enti del servizio RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE a corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate al di fuori degli accordi assunti.
Se ne conclude che nel caso in esame l’arricchimento arrecato alla PRAGIONE_SOCIALE. è stato dalla corte d’appello correttamente ritenuto ‘imposto’, nel senso che alla qualificazione “imposto” deve essere data alla stregua delle coordinate normative siccome interpretate da questa Corte.
Il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo a favore dell’RAGIONE_SOCIALE, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. C ondanna la ricorrente al pagamento delle spese giudizio di cassazione, che liquida in euro 9.200,00, di cui euro 9.000,00 per compensi, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a favore dell’ufficio del merito competente, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile