Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 180 Anno 2025
REGIONE CAMPANIA
-intimata – avverso la sentenza N. 6579/2020 emessa dal Tribunale di Napoli, depositata in data 12.10.2020;
udita la relazione della causa svolta nella adunanza camerale del 8.11.2024 dal Consigliere relatore dr. NOME COGNOME
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al N. 9696/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dal l’avv. NOME COGNOME come da procura allegata al ricorso, domicilio digitale come in atti
-ricorrente – contro
FATTI DI CAUSA
Con atto del 16.12.2016, NOME COGNOMEpremesso di aver partecipato al progetto RAGIONE_SOCIALE – convenne in giudizio la Regione Campania dinanzi al Giudice di pace di Napoli, onde ottenerne la condanna al pagamento della somma di € 500,00 a titolo di borsa formativa per il mese di giugno 2009, o in subordine ai sensi dell’art. 2041 c.c., stante l’av venuto espletamento della relativa attività di formazione dall’ottobre 2008 al giugno 2009 (deduceva che, ad eccezione del l’ultima mensilità, le altre le erano state regolarmente pagate dall’ente). Co n sentenza del 12.7.2017, il Giudice di pace di Napoli accolse la domanda, condannando la Regione Campania al pagamento di € 500,00, oltre accessori . La Regione propose però appello e il Tribunale di Napoli, nella resistenza della Riemma, lo accolse con sentenza del 12.10.2020, rigettando la domanda attorea per intervenuta prescrizione del credito ai sensi dell’art. 2948 , n. 4, c.c. Osservò il Tribunale che la decisione impugnata era stata resa secondo equità, sicché essa poteva essere impugnata con l’appel lo, ai sensi dell’art. 339 c.p.c., solo per violazione di norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie o per violazione dei principi regolatori della materia; che nella specie l’appello era ammissibile, in quanto la Regione si era doluta di una violazione processuale, lamentando la violazione dell’art. 112 c.p.c., perché il Giudice di pace non aveva pronunciato sull’eccezione di prescrizione quinquennale sollevata dall’ente; che il motivo era anche fondato, stante la natura meramente apparente della decisione sul punto, non avendo
spiegato il primo giudice perché, posto che le parti avevano concluso un contratto a seguito di offerta al pubblico e con finalità di pubblico interesse, dovesse applicarsi il termine di prescrizione decennale. Il Tribunale , infine, dichiarò l’inammissibilità della domanda subordinata di arricchimento senza causa, giacché la domanda principale su titolo contrattuale era stata rigettata perché prescritta, dunque per fatto imputabile ad essa NOME, donde l’improponibilità della domanda stessa ai sensi dell’art. 2042 c.c.
Avverso detta sentenza, NOME COGNOME propone ora ricorso per cassazione, affidandosi a formali tre motivi; la Regione Campania non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 Con il primo motivo si lamenta ‘ Violazione e/o falsa applicazione dell’art . 360 co. 1° n. 3, e/o n. 5 c.p.c. -Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, e nullità della sentenza o del procedimento per mancata, omessa errata decisione, anche sulla condizione dell’azione , riguardo agli articoli: 113 2° comma c.p.c., 114 c.p.c., 339 3° comma c.p.c. dell’art. 2948 4° comma c.c. nel combinato disposto con gli articoli 99, 100, 101, 112, 156, 159 c.p.c., art. 2946 c.c. vizio della sentenza ed errore di diritto, errore nel procedere, mancata pronuncia su una condizione dell’a zione -violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ed eccesso di pronuncia, illogicità della pronuncia ‘. La ricorrente censura l’impugnata decisione perché la prescrizione abbreviata ex art. 2948 n. 4 c.c. non esprime un principio
regolatore della materia, né la motivazione della sentenza di primo grado poteva considerarsi apparente, come invece ritenuto dal giudice d’appello.
1.2 -Con il secondo motivo si denuncia la ‘ Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 co. 1° n. 2 e/o, n. 3, e/o n. 5 c.p.c. -Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, e nullità e/o inesistenza della sentenza o del procedimento per mancata, omessa, errata decisione sulla condizione dell’azione, rispetto agli articoli: 25 comma primo Cost ., 111 Cost., 113 2° comma c.p.c., 114 c.p.c., 338 c.p.c., dell’art. 2948 4° comma c.c., nel combinato disposto con gli articoli 99, 100, 101, 112, 156, c.p.c., vizio della sentenza ed errore di diritto, errore nel procedere, mancata pronuncia su una condizione dell’azione violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ed eccesso di pronuncia -erroneità della motivazione, illogicità e illegittimità della stessa -eccesso di pronuncia. Violazione del principio del giudice naturale ‘. Si sostiene che il Tribunale, decidendo la causa secondo diritto, ha violato il principio del giudice naturale precostituito per legge, perché la fattispecie portata al vaglio del Giudice di pace non poteva che essere decisa secondo equità.
1.3 -Con il terzo motivo, infine, si lamenta ‘ Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 co. 1° n. 3 c.p.c. -Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, e nullità della sentenza o del procedimento per errata, mancata, omessa pronuncia sulla domanda subordinata ex art. 2941 c.c. relativamente alla violazione e falsa applicazione degli articoli: 2941 e 2942 c.c., 113 2° comma c.p.c., 114
c.p.c., 339 3° comma c.p.c., dell’art. 2946 c.c. e dell’art. 2948 4° comma c.c., e dell’art. 2945 c.c. nel combinato disposto con gli articoli 99, 100, 101, 112, 156 c.p.c., vizio della sentenza ed errore di diritto, errore nel procedere, mancata pronuncia su una domanda -violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ed eccesso di pronuncia -erroneità della motivazione, illogicità e illegittimità della stessa -eccesso e/o difetto di pronuncia ‘. Rileva infine la ricorrente che ha errato il Tribunale nell’omettere di pronunciare (o comunque pronunciando) sulla domanda di arricchimento senza causa azionata in via subordinata, atteso che risultava documentato il riconosc imento dell’utilità della prestazione da parte della stessa Regione. Aggiunge che, affermando l’inammissibilità della domanda ex art. 2042 c.c., il Tribunale non ha indicato il tipo, la natura e la durata della prescrizione accertata, mostrando anzi la sentenza, in parte qua , evidenti segni di contraddittorietà rispetto alla decisione sulla domanda principale.
2.1 -Il primo motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
In proposito, occorre anzitutto osservare che il Tribunale ha chiaramente pronunciato ultrapetita , giacché risulta dalla sentenza impugnata che la Regione si era doluta, con l’appello, del la mancata pronuncia sulla propria eccezione di prescrizione, lamentando la violazione dell’art. 112 c.p.c., quindi del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato; e proprio per tale ragione il Tribunale aveva ritenuto ammissibile l’appello, ai sensi dell’art. 339 c.p.c., rispetto alla sentenza di primo grado enunciata
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secondo equità, perché il vizio denunciato era attinente alle norme sul procedimento.
Tuttavia, il Tribunale stesso ha riformato la sentenza del Giudice di pace per una ragione diversa da quella oggetto del suddetto motivo di gravame, ossia per motivazione apparente, vizio che -da quanto risulta dagli atti legittimamente consultabili da questa Corte – la Regione non aveva affatto proposto col proprio appello.
Insomma, altro è l’omessa pronuncia sull’eccezione di prescrizione (vizio denunciato dalla Regione), altro è ritenere che il giudice abbia motivato in modo apparente, non avendo ‘ spiegato per quale motivo ad un contratto con finalità di interesse pubblico vada applicata, in ogni caso, la prescrizione decennale ‘ (così la sentenza impugnata, p. 4) : contrariamente a quanto pure affermato dal Tribunale, tanto non consiste affatto in una ‘mancata pronunzia del giudice di pace sulla questione di prescrizione ‘ e, dunque, non integra una violazione dell’art. 112 c.p.c.
2.2 L’ultrapetizione in cui è chiaramente incorso il giudice d’appello , però, non è stata affatto denunciata dalla ricorrente col mezzo in esame, che invece si fonda essenzialmente sul fatto che l’art. 2948, n. 4, c.c., non esprime un principio informatore della materia, nonché sul fatto che la motivazione del primo giudice non poteva dirsi apparente, ma coerente con il giudizio di equità dallo stesso reso.
Ora, in rito, la prima questione è irrilevante ai fini di quanto previsto dall’ art. 339, comma 3, c.p.c., perché l’appello della Regione è stato ritenuto ammissibile sotto il diverso profilo della violazione di norma sul
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procedimento, con statuizione -come s’è visto – non impugnata, nonostante resa in ultrapetizione; tutti gli argomenti spesi dalla ricorrente sulla questione dei principi regolatori della materia, quindi, non incidono sul tema dell ‘ammissibilità dell’appello, ma solo riguardo al contenuto del giudizio secondo equità, ex art. 113, comma 2, c.p.c., cui il giudizio stesso, anche da parte del giudice d’appello, avrebbe dovuto informarsi (ed infatti è in questo senso che la ricorrente li ha avanzati).
Sostiene in proposito la ricorrente che il giudizio del Tribunale sia errato, perché il Giudice di pace aveva pronunciato secondo equità e non doveva affatto motivare in diritto, in quanto la prescrizione quinquennale non assurge al rango di principio informatore della materia.
2.3 Il profilo denunciato, però, non coglie nel segno, perché -pur se la decisione di primo grado deve necessariamente inquadrarsi nell’ambito dell’equità (Cass. n. 769/2021), stante il mancato superamento del limite di valore della causa (€ 1.100 ,00, avuto riguardo all’art. 113, comma 2, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis ) -tanto non toglie che la motivazione debba pur sempre rispondere al ‘ minimo costituzionale ‘ ex art. 111, comma 6, Cost. (v. Cass., Sez. Un., n. 8053/2014 e successiva giurisprudenza conforme).
Ed in effetti, il Giudice di pace non ha proprio spiegato il perché, per la tipologia di contratti come quello per cui è processo, la prescrizione debba essere indefettibilmente decennale. Insomma, i parametri del giudizio secondo equità non sono stati esplicitati, dunque la motivazione è apodittica o apparente, come correttamente ritenuto dal Tribunale.
Pertanto, risulta a tal punto assai evidente come la questione circa l’individuazione dei principi regolatori della materia, ai fini della formulazione del giudizio di equità, non possa incidere sulla diversa questione della apparenza della motivazione, perché ne costituisce un posterius , sul piano logico-giuridico.
D a ciò discende l’inammissibilità del primo profilo del motivo in esame, perché privo di decisività: anche a voler ritenere fondata la doglianza circa la corretta individuazione dei principi informatori della materia, la circostanza che la decisione del Tribunale circa il vizio motivazionale sia conforme a diritto, come s’è visto (e che, dunque, il secondo di profilo di doglianza del mezzo in esame sia infondato), impedisce comunque la cassazione della sentenza qui impugnata.
3.1 -Il secondo motivo è infondato.
Non v’è dubbio che, u na volta che il Tribunale abbia ritenuto ammissibile l’appello ex art. 339, comma 3, c.p.c, avverso la sentenza pronunciata dal Giudice di pace secondo equità, e lo abbia accolto, ritenendo sussistente il vizio denunciato, esso è tenuto ad esaminare il merito (ovviamente, nei limiti della devoluzione) e non può che pronunciare secondo diritto, giacché la regola eccezionale di cui all’art. 113, comma 2, c.p.c. vale solo dinanzi al giudice di pace e la sua perduranza si giustifica solo se la pronuncia di primo grado ‘tiene’ rispetto all’impugnazione.
Pertanto, del tutto correttamente il Tribunale ha pronunciato secondo diritto, con statuizione peraltro non specificamente contestata. Risulta
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dunque di tutta evidenza come, a tacer d’altro, la presunta violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge costituisca un fuor d’opera .
4.1 -Il terzo motivo, infine, è infondato.
Infatti, premesso che, nella specie, non può affatto discutersi di omessa pronuncia, ma semmai di error iuris , occorre rilevare che il Tribunale, dopo aver ritenuto prescritta l’azione promossa in via principale, ha correttamente negato l’esperibilità dell a subordinata azione di arricchimento senza causa, in forza del principio di residualità ex art. 2042 c.c., in guisa del tutto coerente anche con il principio di recente affermato da Cass., Sez. Un. n. 33954/2023 , secondo cui ‘ Ai fini del rispetto della regola di sussidiarietà di cui all’art. 2042 c.c., la domanda di ingiustificato arricchimento (avanzata autonomamente ovvero in via subordinata rispetto ad altra domanda principale) è proponibile ove la diversa azione – sia essa fondata sul contratto ovvero su una specifica disposizione di legge ovvero ancora su clausola generale – si riveli carente ab origine del titolo giustificativo, restando viceversa preclusa ove quest’ultima sia rigettata per prescrizione o decadenza del diritto azionato o per carenza di prova del pregiudizio subito o per nullità derivante dall’illiceità del titolo contrattuale per contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico ‘ .
5.1 -In definitiva, il ricorso è rigettato. Nulla va disposto sulle spese di lite, l’intimata non avendo svolto difese .
In relazione alla data di proposizione del ricorso (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell ‘ applicabilità dell ‘ art. 13, comma 1quater , del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall ‘ art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
P. Q. M.
la Corte rigetta il ricorso.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente al competente ufficio di merito, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile,