Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8946 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8946 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19918/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Rettore e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso l ‘ RAGIONE_SOCIALE, che la rappresenta e difende ope legis
-controricorrente-
avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI VENEZIA n. 497/2018 depositata il 01/03/2018.
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/03/2023 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo di Lire 66.695.400, emesso in data 20 ottobre 2000 dal Tribunale di Venezia in favore di RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE) in forza del contratto finalizzato alla realizzazione di un progetto organizzativo per l’apparato amministrativo dell’RAGIONE_SOCIALE, adducendo che tale contratto difettava della forma scritta o, comunque, della valida volontà a contrarre dell’organo deliberante.
Nel costituirsi in giudizio l’opposta RAGIONE_SOCIALE contestava la difesa attorea e, in subordine, sosteneva il fondamento della propria pretesa creditoria in base al principio dell’apparenza in tema di rappresentanza o, comunque, sulla scorta dell’ingiustificato arricchimento dell’RAGIONE_SOCIALE opponente.
I l Tribunale di Venezia accoglieva l’opposizione e revocava il decreto ingiuntivo.
Avverso tale decisione proponeva impugnazione RAGIONE_SOCIALE, che la Corte d’Appello rigettava con sentenza n. 1137/2010.
La Corte territoriale, in particolare, ribadiva che, in base al regolamento di RAGIONE_SOCIALE, il Direttore amministrativo non aveva i poteri di stipulare il contratto inter partes , non potendo neppure ravvisarsi
una ratifica del suo operato da parte dell’RAGIONE_SOCIALE. Escludeva altresì, la sussistenza della buona fede della società opposta ai fini dell’ invo cazione del principio dell’apparenza del diritto, essendo la stessa in grado di valutare la sussistenza dei poteri rappresentativi del Direttore amministrativo.
Osservava poi la Corte che la domanda di ingiustificato arricchimento non era proponibile per essere stata rigettata l’azione contrattuale proposta in via principale, altresì evidenziando che non era ravvisabile il riconoscimento dell’utilità della prestazione da parte dell’ RAGIONE_SOCIALE.
Per la cassazione di tale sentenza proponeva ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE
Con sentenza n. 2350/2017, depositata il 31 gennaio 2017, questa Suprema Corte, in parziale accoglimento del ricorso, riteneva che la Corte d’Appello di Venezia avesse errato nel giudicare, con motivazione contraddittoria, l’improponibilità della domanda ai sensi dell’art. 2042 c.c. Cassava di conseguenza la sentenza impugnata, prescrivendo che l a Corte d’Appello di Venezia , cui la causa veniva rinviata in diversa composizione, si uniformasse al seguente principio di diritto: ‘ il riconoscimento dell’utilità da parte dell’arricchito non costituisce requisito dell’azione di indebito arr icchimento, sicché il depauperato che agisce ex art. 2041 c.c. nei confronti della RAGIONE_SOCIALE ha solo l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, esso potendo, invece, eccepire e provare che l’arricchimento non fu voluto o non fu consapevole, e che si trattò dunque di arricchimento imposto ‘.
A seguito del giudizio di rinvio, la Corte d’Appello di Venezia, con sentenza n. 497/2018, accoglieva parzialmente l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) e, in
parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava l’RAGIONE_SOCIALE a corrispondere la somma di € 2.778,28 per spese vive.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per RAGIONE_SOCIALE, affidandosi ad un solo motivo di ricorso.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso notificato il 1.08.18 e, nell’imminenza dell’adunanza , ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con l’ unico motivo, la ricorrente deduce l’o messo esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360, n. 5 c.p.c., sostenendo che la sentenza impugnata laddove ha ritenuto che ‘la prova, che incombe alla RAGIONE_SOCIALE, della perdita patrimoniale da essa subita’ non sia stata raggiunta se non per le limitate ‘spese vive’ sostenute – ha omesso di considerare un fatto decisivo per il giudizio consistente nella circostanza per cui, sin dal primo grado di giudizio, la ricorrente aveva chiesto al Giudice che, nell’ipotesi in cui l’arricchimento senza causa non fosse stato giudicato pari a ll’importo delle fatture emesse e non pagate, facesse ricorso alla valutazione di giustizia in via equitativa.
Il Giudice della riassunzione, ha aggiunto la ricorrente, aveva tutti gli elementi per potere pervenire ad una valutazione equitativa (le fatture prodotte nonché i capitoli di prova formulati), ma è invece giunto ad una conclusione erronea e parziale, omettendo di pronunciarsi in merito al riconoscimento della corresponsione di un indennizzo, anche in via equitativa ex art. 1226 c.c., pur in presenza di un’espressa domanda sul punto.
2.- Il motivo è destituito di fondamento e va rigettato.
Secondo la ricorrente la sentenza impugnata sarebbe viziata per omesso esame di un fatto decisivo (le fatture prodotte in causa e i capitoli di prova formulati a conferma delle stesse) per l’esito del giudizio.
Le Sezioni Unite di questa corte hanno da tempo precisato che ‘ L’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni RAGIONE_SOCIALE artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie ‘ (SS.UU. Cass. 8053/2014).
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha in realtà esaminato il fatto storico oggetto del giudizio, alla luce del principio affermato nel giudizio di rinvio, ritenendo sfornita di prova la domanda nell’esercizio del proprio potere di valutazione delle risultanze documentali e probatorie con le quali la RAGIONE_SOCIALE doveva provare il solo fatto oggettivo dell’arricchimento, assolvendo
cioè all’unico onere a suo carico, non costituendo più requisito dell’azione di indebito arricchimento esercitata nei confronti della P.A. il riconoscimento dell’utilità da parte dell’arricchito, secondo quanto sancito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 10798/2015; conf., tra altre, Cass. n. 11209/2019) e secondo quanto affermato nell’ordinanza di rinvio .
Come sostenuto a nche dall’RAGIONE_SOCIALE controricorrente, la Corte di Appello di Venezia ha posto a fondamento del giudizio di rigetto della domanda l’analisi delle risultanze probatorie per concludere che la domanda risultava sfornita di prova se non in ordine al sostenimento delle sole spese vive.
Mette conto precisare che la Corte di appello di Venezia ha rilevato (pag. 17 della sentenza) che ‘ il fatto oggettivo dell’arricchimento può ritenersi sufficientemente dimostrato, atteso che l’esecuzione di prestazioni di consulenza non è stata contestata dall’RAGIONE_SOCIALE, risultano pagate fatture anteriori anche per importi considerevoli (lire 146.192.400) e vi è riscontro anche documentale dell’attività prestata dalla RAGIONE_SOCIALE‘ (il che esclude la sussistenza di un ‘ arricchimento esposto ‘ : Cass. n. 11209/2019) , ma ha chiarito che le prestazioni rimaste impagate sono quelle di cui alle fatture n. NHR311/98, n. 98.516/1998, n. 99457/1999 e n. 99638/1999, dato che l’azione di indebito arricchimento è stata proposta con riferimento esclusivo a queste prestazioni.
Ha di conseguenza constatato che la RAGIONE_SOCIALE non ha fornito alcuna precisazione in ordine a quali fossero le specifiche prestazioni professionali ancora non onorate, in relazione alla totalità delle prestazioni rese, incluse quelle già pagate, in quanto anche ‘ le allegazioni difensive dell’appellante in riassunzione fanno un generico ed indistinto riferimento a tutto il complessivo rapporto, per
il quale … la RAGIONE_SOCIALE ha già ricevuto il corrispettivo di Lire 146.192.400 ‘.
Posto che l’azione di indebito arricchimento è stata proposta in via subordinata, ma sempre con riferimento alle prestazioni di cui alle quattro fatture (n. HR311/98, n. 98.156/98, n. 99457/99, n. 99638/99), secondo la Corte distrettuale era onere della parte depauperata dimostrare quali fossero le specifiche prestazioni professionali ancora non pagate, mentre l’attuale ricorrente ‘ non ha fornito alcuna precisazione nel senso indicato, posto che i numerosi capitoli di prova articolati non consentono di individuare le attività professionali a cui si riferiscono le suddette fatture, essendo in queste ultime solo genericamente indicato il riferimento a ‘ prestazioni professionali ”.
La corte di merito ha quindi concluso sostenendo che la prova che incombe sulla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE della perdita patrimoniale da essa subita può considerarsi raggiunta nei soli limiti dell’importo delle spese vive, come quantificate nelle quattro fatture prodotte in giudizio per un totale di euro 2.778,28, trattandosi di esborsi relativi a spese neppure contestate dalla controparte e fornite di riscontri documentali, il cui importo può essere riconosciuto a titolo di ingiustificato arricchimento in favore dell’attuale ricorrente.
Sul punto, la conclusione raggiunta può considerarsi immune dai vizi contestati.
2.1.La stessa deve comunque porsi a confronto con quanto sia pure successivamente affermato da questa Corte a Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 33954/2023) in tema di sussidiarie tà dell’azione di ingiustificato arricchimento.
Il massimo consesso, quanto alla domanda proposta in via principale, ha precisato che ‘ resta impregiudicata l’efficacia preclusiva derivante dalla regola della sussidiarietà ove il rigetto sia
dipeso da prescrizione o decadenza ovvero nel caso in cui derivi dalla carenza di prova circa l’esistenza del danno ingiusto ‘ (pag. 29, in motiv.)
La Corte territoriale, nel caso di specie, in conformità al principio cui doveva attenersi il giudice del rinvio, ha trattato un profilo diverso, per così dire ‘a valle’ dell’art. 2041 c.c. Non si poneva infatti un problema di proponibilità della domanda di ingiustificato arricchimento, che è stata considerata prospettabile in ragione della nullità del contratto stipulato dal direttore generale dell’RAGIONE_SOCIALE, ma un differente problema di prova del depauperamento e del relativo arricchimento. Si legge a pag. 16 della sentenza impugnata: ‘ occorre precisare che il presente giudizio di rinvio verte esclusivamente sulla questione relativa alla fondatezza dell’azione di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c. proposta in via subordinata dalla RAGIONE_SOCIALE ‘ (e in Cass. SS. UU. n. 33954/2023, vengono richiamati i precedenti di questo Giudice in ordine ‘ all’ipotesi, molto frequente nella prassi, in cui l’azione di arricchimento venga accolta a seguito dell’accertamento della nullità del contratto di norma concluso con la PA e per vizi di carattere formale; Cass. n. 4275/1983; Cass. n. 4269/1995; Cass. n. 7136/1996, per l’ ipotesi di nullità del contratto per carenza della necessaria delibera autorizzativa da parte dell’ente pubblico contraente; Cass. n. 2350/2017 ‘ ).
Di conseguenza, neppure si prospetta contrasto alcuno con l’ultima pronuncia resa in materia dalle Sezioni Unite.
3.In conclusione, il ricorso va respinto e la ricorrente deve essere condannata al rimborso delle spese di lite, liquidate come in dispositivo, in forza del principio della soccombenza.
4.Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, si deve
dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Suprema Corte di RAGIONE_SOCIALE rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese generali forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo un ificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda