Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23466 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23466 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n° 29934 del ruolo generale dell’anno 2021 , proposto da
Istituto Autonomo RAGIONE_SOCIALE (I.A.C.P.) della Provincia di Palermo , P.IVA: P_IVA, in persona del Suo Commissario Straordinario pro-tempore, dott. NOME COGNOME domiciliato per la carica nei locali della sua sede, sita in Palermo, INDIRIZZO rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME del Foro di Palermo, C.F.: CODICE_FISCALE per procura speciale in calce al ricorso, giusta determinazione dirigenziale d’incarico legale n. 1720, del 13.10.2021, la quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni di legge e le notificazioni riguardanti il presente processo al seguente indirizzo di posta elettronica certificata, comunicato al proprio ordine professionale: EMAIL
Ricorrente
contro
NOME COGNOME NOME (cod. fisc. CODICE_FISCALE), nata a Trapani l’8.3.1949, NOME (cod. fisc. CODICE_FISCALE), nata a Palermo il 16.6.1975 e NOME (cod. fisc. CODICE_FISCALE), nata a Palermo il 3.8.1979, eredi del
prof. NOME COGNOME (cod. fisc. CODICE_FISCALE), nato a Palermo il 6.7.1944 ed ivi deceduto in data 3.9.2021, elettivamente domiciliate in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME (cod. fisc CODICE_FISCALE) del Foro di Roma, mail-pec EMAIL, rappresentate e difese dall’Avvocato NOME COGNOME del Foro di Palermo (Cod. fisc. CODICE_FISCALE) e-mail pec EMAIL, in forza di procura in calce al controricorso.
Controricorrenti
avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo n° 1296 depositata il 2 agosto 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 giugno 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .- NOME COGNOME, dottore commercialista, avendo ricevuto incarico professionale dall’Istituto autonomo case popolari di Palermo (Iacp) e non avendo ricevuto alcun compenso, otteneva dal Tribunale di quella città un decreto ingiuntivo con cui l’Istituto veniva condannato a pagargli euro 1,2 milioni a titolo di compenso per l’attività professionale che portò alla transazione del contenzioso tra lo stesso Iacp ed il Banco di Sicilia.
Il decreto veniva opposto dall’intimato e il Tribunale, ritenuta la nullità del contratto a causa della mancanza di forma scritta, lo revocava con sentenza n° 1183, depositata il 10 marzo 2011.
Tale decisione veniva confermata dalla Corte d’appello della medesima città con sentenza n° 1778, depositata il 27 novembre 2013.
2 .- Mentre era ancora pendente il giudizio di appello menzionato al precedente paragrafo 1, il 5 marzo 2013 il Runza convenne nuovamente lo Iacp davanti al Tribunale di Palermo, chiedendone
la condanna al pagamento della medesima somma azionata in via monitoria, ma questa volta in base all’art. 2041 cod. civ.
Il Tribunale -respinta l’eccezione (sollevata dal convenuto) di inammissibilità della domanda attorea, sotto il profilo che il professionista avrebbe dovuto agire nei confronti ” dell’amministratore responsabile ” dell’Ente ex art. 191 d.lgs. n° 276/2000 -la rigettò, nulla però statuendo, perché ritenuta assorbita, sull’ulteriore eccezione di improcedibilità sollevata dallo Iacp ai sensi dell’art. 2042 cod. civ., sul rilievo che fosse ancora pendente tra le parti il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dal COGNOME.
Osservò, in particolare, il Tribunale che, pur essendo comprovato l’arricchimento dell’Istituto, il Runza aveva identificato il proprio depauperamento col compenso non ricevuto e che non vi era modo di definire, nemmeno approssimativamente, l’entità del correlativo impoverimento del professionista.
3 .- Avverso tale sentenza proponeva appello il COGNOME e la Corte palermitana accoglieva l’impugnazione.
La Corte territoriale disattendeva, anzitutto, l’eccezione di improponibilità della domanda formulata dallo Iacp, essendo passata in giudicato la sentenza d’appello che aveva dichiarato la nullità dell’incarico professionale per mancanza di forma scritta del contratto ed essendo, pertanto, sussistente il requisito della sussidiarietà dell’azione del Runza.
Nel merito, premesso che la decisione di primo grado era passata in giudicato nella parte in cui accertava un arricchimento dello Iacp (non avendo quest’ultimo proposto alcun appello incidentale condizionato avverso la specifica statuizione del Giudice di primo grado), l’impoverimento del professionista era sicuramente sussistente, derivando dalla stessa prestazione resa, con la precisazione, nondimeno, che il Runza non aveva dimostrato alcun ulteriore pregiudizio (derivante da spese sostenute o da incarichi perduti).
La diminuzione patrimoniale non poteva coincidere col compenso richiesto e, in mancanza di altri elementi probatori, doveva essere liquidata in via equitativa.
Pertanto, tenuto conto della durata della prestazione (poco più di un anno) e del valore di essa (decisamente inferiore a quello allegato dal Runza), appariva equo liquidare euro 100.000,00, comprensivi della rivalutazione e degli interessi maturati dalla data di depauperamento, oltre agli interessi legali dalla data della sentenza.
Spese secondo soccombenza.
4 .- Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione lo Iacp, affidando il gravame a quattro motivi illustrati da memoria.
Resistono gli eredi del COGNOME indicati in intestazione, che concludono per l’inammissibilità, l’improcedibilità e comunque per il rigetto dell’impugnazione.
Il ricorso è stato assegnato per la trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380bis cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5 .- Col primo motivo il ricorrente lamenta la ‘ errata ricostruzione dei fatti pregressi rispetto all’avvio del giudizio ex art. 2041 c.c. ‘.
Lamenta, in sostanza, che la Corte palermitana abbia ritenuto proponibile la domanda di arricchimento nonostante la coeva pendenza della causa di opposizione a decreto ingiuntivo, definita con sentenza della Corte d’appello di Palermo n° 1778 depositata il 27 novembre 2013, con la quale venne respinta la pretesa del professionista sul rilievo della nullità del contratto per mancanza di forma scritta.
Cita il precedente di Cass., sez. I, 15 ottobre 2015, n° 20871 a sostegno della tesi.
5 .- Il mezzo è inammissibile, sia perché non censura la ratio decidendi posta dalla Corte territoriale a fondamento della sua decisione, sia perché la sentenza impugnata ha deciso la questione in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e l’esame del motivo non offre elementi per mutare l’orientamento assunto (art. 360bis cod. proc. civ.).
La Corte, infatti, ha osservato che la causa di opposizione a decreto monitorio era stata definita con la conferma della sentenza di primo grado e che il requisito di sussidiarietà, previsto dall’art. 2042 cod. civ., postula la non esperibilità di ogni altra azione, nella specie mancante, essendo pacifica la carenza di forma scritta del contratto e, dunque, la sua nullità.
Ora, il ricorrente non censura tale percorso logico, ma si limita a contrapporre la propria tesi, peraltro citando il precedente di Cass. n° 20871/2015, ma senza chiarire perché il principio enunciato dalla Corte territoriale sia contrario al contenuto precettivo dell’art. 2042 cod. civ.
È, infatti, noto (Cass., Sez. Un., 28 ottobre 2020, n° 23745) che, quando nel ricorso per cassazione è denunziata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della violazione o della falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360, primo comma, n° 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all’art. 366, primo comma, n° 4, cod. proc. civ. deve essere dedotto, a pena d’inammissibilità, mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla Corte di cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione.
La carenza di tali allegazioni rende il mezzo inammissibile.
Peraltro, il precedente citato non appare affatto invocabile nella presente vicenda, sol che si consideri che nel caso di Cass. n° 20871/15 il parallelo giudizio iniziato dal depauperato (non era affatto pervenuto a decisione, come nella presente vicenda, ma) era stato abbandonato: donde la condivisibile conclusione di questa Corte di legittimità, nel senso che la proponibilità della domanda di arricchimento senza causa in via subordinata rispetto ad un’altra non opera né quando la domanda ordinaria, fondata su un titolo contrattuale, sia stata rigettata per l’assenza di prove sufficienti all’accoglimento, né quando tale domanda, dopo essere stata proposta, non sia stata più coltivata dall’interessato, dato che in tali ipotesi il titolo specifico, fonte del credito azionato, in tesi sussiste (ma è infondato), o avrebbe potuto esser positivamente accertato, sol che il creditore avesse utilmente proseguito il relativo giudizio.
D’altra parte, il ricorrente non si perita di esporre perché il Runza, dopo aver ricevuto torto in primo grado ed in appello (sulla nullità del contratto), avrebbe dovuto adire questa Corte onde ottenere una improbabile rivisitazione di un orientamento consolidato.
Quanto alla conformità all’orientamento di questa Corte della sentenza gravata, giova rammentare che il carattere sussidiario dell’azione (art. 2042 cod. civ.) non ne esclude l’autonomia e quindi non impedisce di esercitarla sia in concorrenza che in pendenza rispetto ad altra azione (Cass., sez. III, 29 marzo 2005, n° 6570).
6 .- Col secondo motivo -intitolato ‘ nel merito, infondatezza delle domande del dott. COGNOME -il ricorrente censura la parte della sentenza in cui viene affermato che l’arricchimento dello Iacp era questione ormai coperta dal giudicato.
Il Giudice di primo grado aveva motivato che non poteva dubitarsi dell’arricchimento dello Iacp e che, nondimeno, non era nemmeno provato il depauperamento del Runza, ma senza nulla statuire in dispositivo quanto all’arricchimento.
Dato che tale statuizione non era suscettibile di passare in giudicato, nemmeno doveva essere gravata da appello incidentale condizionato, come invece aveva ritenuto la Corte.
La conclusione era confermata anche dalla statuizione del Tribunale sulle spese di lite, con la quale il primo giudice aveva omesso ogni riferimento ad una soccombenza reciproca, che sarebbe stata, invece, sussistente ove lo Iacp fosse stato soccombente sul punto.
7 .- Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
È inammissibile in quanto non indica le norme di diritto sulle quali il motivo è basato, come invece richiede l’art. 366 n° 4 cod. proc. civ., ed esse non sono nemmeno desumibili dal contesto del mezzo.
In ogni modo, l’arricchimento ed il connesso depauperamento sono due fatti distinti, anche se concorrono entrambi ad integrare la causa petendi dell’azione ex art. 2041 cod. civ.
Il primo giudice ha, dunque, accertato la sussistenza del primo fatto ed ha negato la presenza del secondo, così pervenendo al rigetto della domanda del Runza.
È, dunque, palese che il ricorrente dovesse impugnare la statuizione con la quale il Tribunale aveva positivamente accertato l’arricchimento dello Iacp.
Il motivo, inoltre, è privo di autosufficienza, dato che lo Iacp non ha allegato in che modo avrebbe coltivato in appello la propria eccezione sulla mancanza di arricchimento.
8 .- Col terzo motivo -intitolato «l a sentenza della Corte d’appello è viziata per carenza di motivazione fornita in ordine circa la quantificazione della somma di €100.000,00, riconosciuta a titolo di indennizzo ‘secondo giustizia’ » – lo Iacp lamenta che la Corte abbia liquidato al professionista l’importo di euro centomila senza alcuna prova del suo depauperamento e, comunque, senza una motivazione carente ed inaccettabile.
9 .- Il motivo è fondato.
Nonostante non siano state espressamente indicate le norme di diritto violate, è nondimeno chiaro dal contesto del motivo che il ricorrente si duole della violazione dell’art. 1226 cod. civ. e dell’art. 132 n° 4 del cod. proc. civ. a causa della motivazione mancante.
Venendo all’esame del mezzo, è noto che il potere di liquidare il danno in via equitativa conferito al giudice agli artt. 1226 e 2056 cod. civ., costituisce espressione del più generale potere di cui allo art. 115 cod. proc. civ., e il suo esercizio rientra nella discrezionalità del giudice di merito, senza la necessità della richiesta di parte, dando luogo ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, con l’unico limite di non potere surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza, dovendo peraltro intendersi in senso relativo l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del danno ( ex multis : Cass., sez. VI-3, 22 gennaio 2019, n° 1579, con menzione di altri precedenti).
Il giudice è pertanto tenuto a dare conto dell’esercizio dei propri poteri discrezionali e, affinché la liquidazione equitativa non risulti arbitraria, è necessario che spieghi le ragioni del processo logico sul quale essa è fondata, indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo adottato.
Ora, nel presente caso la Corte, facendo riferimento alle ‘ emergenze processuali già acquisite ‘ (che tuttavia non vengono indicate), ha appurato che la prestazione professionale per la definizione del contezioso pendente tra l’Istituto e il Banco di Sicilia era durata poco più di un anno e che il valore di essa era ‘ decisamente inferiore a quanto allegato dall’appellante ‘, citando a sostegno di tale ultima affermazione non meglio identificabili ‘ delibere dello l.A.C.P. di conferimento dell’incarico e di definizione della transazione ‘.
Sulla scorta di tali premesse, la Corte ha concluso che andasse liquidata in via equitativa la somma di euro centomila.
Non è chi non veda, però, che i riferimenti addotti dalla Corte a sostegno del percorso motivazionale sul quantum sono oltremodo vaghi e non rendono comprensibili gli snodi logici attraverso i quali la Corte è giunta a liquidare l’importo predetto.
La liquidazione della somma accordata al professionista appare, dunque, arbitraria, dato che la correlativa motivazione è venuta meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo, logico e consequenziale, a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi ( ex multis : Cass., sez. III, 23 novembre 2022, n° 34427).
10 .- Col quarto mezzo -intitolato ‘ illogica condanna dello Iacp al rimborso delle spese processuali di primo grado in favore del dott. COGNOMEil ricorrente si duole della propria condanna alla rifusione delle spese del primo grado, peraltro quantificate in misura maggiore rispetto al grado d’appello.
11 .- Il motivo è assorbito in ragione dell’accoglimento della terza doglianza.
– La sentenza impugnata va pertanto cassata, in accoglimento del terzo motivo d’impugnazione, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’appello di Palermo, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese processuali.
p.q.m.
la Corte rigetta il primo motivo. Dichiara il secondo inammissibile. Accoglie il terzo. Dichiara il quarto assorbito. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma il 27 giugno 2025, nella camera di consiglio della prima sezione.
Il presidente NOME COGNOME