Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 14186 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 14186 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31913/2020 R.G. proposto da: COGNOME NOME, domiciliata presso l’avvocato COGNOME NOME (EMAIL) che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso.
–
ricorrente – contro
NOME COGNOME, domiciliata presso l’avvocato COGNOME NOME (EMAIL) che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso.
–
contro
ricorrente –
nonchè contro
COGNOME NOME, domiciliato presso l’avvocato COGNOME NOME (EMAIL), che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al
contro
ricorso.
–
contro
ricorrente – avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia n. 2825/2020 depositata il 28/10/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/03/2024 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
COGNOME NOME conveniva NOME avanti al Tribunale di Rovigo per far accertare il suo arricchimento senza causa, dovuto all’incasso di assegni emessi dalla propria madre, defunta, COGNOME NOME.
Si costituiva resistendo NOME COGNOME, chiedendo ed ottenendo autorizzazione alla chiamata in causa in manleva del figlio avvocato COGNOME NOME, prospettando che l’avvocato COGNOME le aveva ceduto le somme a suo tempo ottenute quale corrispettivo di prestazioni professionali svolte a favore di RAGIONE_SOCIALE.
Si costituiva resistendo COGNOME NOME.
1.1. Con sentenza n. 187/2018 il Tribunale di Rovigo rigettava la domanda, sul rilievo che nel caso di specie era configurabile l’azione tipica di ripetizione dell’indebito, per cui l’esperita azione di indebito arricchimento, stante la sua natura sussidiaria ex art. 2042 cod. civ., era inammissibile.
Avverso la sentenza COGNOME NOME proponeva appello avanti alla Corte d’Appello di Venezia.
Si costituivano resistendo COGNOME NOME e COGNOME NOME.
2.1. Con sentenza n. 2825/2020 del 28 ottobre 2020 la Corte d’Appello di Venezia rigettava il gravame, confermando integralmente la sentenza impugnata.
Avverso la sentenza d’appello COGNOME NOME propone
ora ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo.
Resistono con separati controricorsi COGNOME NOME e COGNOME NOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1, cod. proc. civ.
I resistenti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente denuncia ‘Violazione di legge in relazione all’art. 113 cod. proc. civ. -jura novit curia ‘.
Lamenta che erroneamente la corte di merito ha rigettato la sua domanda, proposta ai sensi e per gli effetti dell’art. 2041 cod. civ. e deduce che siccome i fatti di causa erano pacifici e non contestati tra le parti, ben avrebbe potuto il giudicante procedere alla loro riqualificazione da 2041 e 2033 cod. civ., secondo il principio jura novit curia .
Il motivo è infondato, nei termini e con le precisazioni che seguono.
Con recente arresto, le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 33954/2023) hanno affermato che ‘Ai fini della verifica del rispetto della regola di sussidiarietà di cui all’art. 2042 cod. civ., la domanda di arricchimento è proponibile ove la diversa azione, fondata sul contratto, su legge ovvero su clausole generali, si riveli carente ab origine del titolo giustificativo. Viceversa, resta preclusa nel caso in cui il rigetto della domanda alternativa derivi da prescrizione o decadenza del diritto azionato, ovvero nel caso in cui discenda dalla carenza di prova circa l’esistenza del pregiudizio subito, ovvero in caso di nullità del titolo contrattuale, ove la nullità derivi dall’illiceità del contratto per contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico’ . Al punto 6 della citata sentenza le Sezioni Unite precisano inoltre
che, pur nella incontestata ovvero dimostrata esistenza del contratto, se il rigetto della domanda fondata sul contratto stesso sia derivato ‘ dalla mancata prova da parte del contraente del danno derivante dall’altrui condotta inadempiente’ , allora ‘ la domanda di arricchimento resta preclusa in ragione della clausola di cui all’art. 2042 c od. civ .’.
3. Orbene, l’impugnata sentenza ( v. p. 7 e ss.):
-ha anzitutto evidenziato che i fatti di causa non sono pacifici tra le parti, dato che, secondo la odierna ricorrente, non esisterebbe alcun titolo in forza del quale la COGNOME avrebbe dovuto percepire somme dalla di lei madre COGNOME NOME, mentre, secondo gli odierni resistenti, esisterebbe un rapporto obbligatorio tra le parti;
-ha poi rilevato che l’esborso patrimoniale da parte di NOME in favore di NOME sarebbe avvenuto, come provato dalle matrici degli assegni a tal fine emessi, ‘a saldo posizioni legali al 6.05.2022 ‘ ;
-ha poi conseguentemente e correttamente concluso, confermando la sentenza di primo grado, nel senso per cui ‘NOME avrebbe dovuto esperire l’azione di restituzione di indebito oggettivo o soggettivo (e che presupponeva, appunto, la sussistenza di un rapporto, ancorché nullo), e non quella di arricchimento senza causa, che tale rapporto non presupponeva e che erroneamente era stata così esperita in assenza del requisito della residualità’ (v. p. 8 sentenza impugnata).
Pertanto, la corte d’appello ha affermat o l’esistenza di un rapporto contrattuale e la conseguente possibile esperibilità dell’azione tipica, a carattere restitutorio, di ripetizione dell’indebito , secondo le regole previste dagli artt. 2033 ss. cod. civ., applicabile quando detta prestazione abbia avuto ad oggetto una somma di denaro o cose di genere ovvero, infine, una cosa
determinata (cfr. Cass., 05/06/2020, n. 10810), per l’effetto ha correttamente applicato al caso di specie il principio di sussidiarietà ex art. 2042 cod. civ., come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte, ed ha quindi ritenuto inammissibile l’azione di indebito arricchimento esperita dalla originaria attrice ed odierna ricorrente NOME COGNOME.
Rispetto alla motivazione correttamente svolta secondo il surriferito iter logico ed argomentativo, risulta ultroneo e sovrabbondante il riferimento ad un rapporto ‘ancorché nullo’, dal quale dunque l’impugnata sentenza va emendata, ai sensi e per gli effetti dell’art. 384 cod. proc. civ.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente COGNOME, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.200,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente COGNOME, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.200,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà
atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza