Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34401 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 34401 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/12/2024
SENTENZA
sul ricorso 1824/2020 R.G. proposto da:
COGNOME e per esso COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende giusta procura in atti;
-controricorrente e ricorrente incidentale -nonché
REGIONE CAMPANIA; PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO CORTE DI APPELLO DI SALERNO; COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME NOME; DE
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME
-intimati-
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di SALERNO nel giudizio iscritto al n. 26/2019 RG, del 25/07/2019; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME Udito il P.M. in persona del Sostituto procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale con assorbimento dei motivi del ricorso incidentale proposti in linea subordinata.
Fatti causa
1. Della vicenda al vaglio, per quel che qui interessa, va ricordato che NOME COGNOME citò in giudizio il germano NOME, erede subentrato al genitore, NOME COGNOME, nell’assegnazione di un fondo dell’Ente Regionale di Sviluppo Agricolo in Campania (RAGIONE_SOCIALE), chiedendo che il fratello fosse condannato al pagamento della somma di € 130.522,93 a titolo d’indennità per i miglioramenti apportati e, in via di subordine, sciogliersi la medesima condanna in quanto proprietario dell’immobile già appartenuto all’ERAGIONE_SOCIALE; in via d’ulteriore subordine chiese condannarsi NOME COGNOME e gli aventi causa di NOME COGNOME e NOME COGNOME, di NOME COGNOME, di NOME COGNOME e di NOME COGNOME al pagamento della medesima somma, quale passività della successione di NOME COGNOME; ancora in subordine, condannarsi NOME COGNOME, sempre nella stessa misura, per il conseguito arricchimento senza causa; affermare, infine, il diritto alla rivalutazione e agli interessi e alla ritenzione dell’immobile.
1.1. Con decreto del dicembre 2018 il Tribunale di Salerno, accolta in parte la domanda, condannò NOME COGNOME al pagamento della somma di € 60.096,87, oltre interessi.
1.2. La Corte d’appello di Salerno rigettò il reclamo proposto da NOME COGNOME e quello incidentale proposto da NOME COGNOME.
Questi, in sintesi, gli argomenti adottati dalla Corte di Salerno che in questa sede assumono rilievo, quanto alle critiche mosse dal reclamante principale.
-L’azione di arricchimento senza causa poteva essere utilmente esperita anche da chi si sia immesso ‘contra legem’ in un fondo appartenente a un ente di riforma agraria, laddove il richiedente non abbia a disposizione alcun’altra utile azione;
peraltro, nel caso di specie, il bene era passato nella piena titolarità di NOME COGNOME l’1/3/2012, con l’atto con il quale era stata rimossa la clausola di riservato dominio in favore dell’ente;
NOME COGNOME non essendo possessore del fondo, non aveva a disposizione altra azione da esperire nei confronti di NOMECOGNOME che, subentrando per successione al padre, <>;
-sussistevano i presupposti per l’azione d’arricchimento senza causa: aumento patrimoniale dell’arricchito e correlata diminuzione patrimoniale dell’agente;
il reclamante non aveva in alcun modo provato che le opere di miglioramento fondiario fossero abusive, perché realizzate in difformità delle prescrizioni urbanistiche;
generica era la critica mossa alla stima delle opere.
Quanto a quelle mosse dal reclamante incidentale:
-l’assegnatario di un fondo appartenente a un ente di riforma agraria non è possessore, bensì detentore del fondo e, a maggior
ragione, il coerede aspirante al subentro nell’assegnazione, a suo tempo disposta in favore del ‘de cuius’, il quale diverrà detentore qualificato solo quando l’ente avrà accertato in capo al medesimo la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge;
-in senso contrario non potevasi interpretare l’art. 7, co. 1 e 6, l. n. 379/1967, <>;
di conseguenza, NOME COGNOME mero coerede del defunto assegnatario NOMECOGNOME non era legittimato ad avvalersi dell’art. 1150 cod. civ., mancando l’indispensabile qualità di possessore;
del pari, costui era privo del diritto di ritenzione, che, quale forma di autotutela, ha natura eccezionale, analogicamente non estensibile;
quanto alle migliorie risalenti a epoca nella quale il padre era in vita, il reclamante incidentale non aveva provato di avere egli affrontato la spesa.
NOME COGNOME anche nell’interesse della figlia NOMECOGNOME rappresentata per procura generale, ha proposto ricorso sulla base di sei motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso, in seno al quale ha svolto ricorso incidentale sulla base di quattro motivi, gli ultimi due dei quali posti in via di subordine.
Con ordinanza interlocutoria della Terza Sezione la trattazione della causa è stata rimessa a questa Sezione per ‘competenza’ tabellare.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Il Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice Generale NOME COGNOME, ha fatto pervenire le sue conclusioni scritte.
Ragioni della decisione
Le eccezioni preliminarmente sollevate dal controricorrente non meritano di essere accolte.
3.1. In tema di assegnazione di terre di riforma agraria, il provvedimento della Corte di Appello che conclude, in secondo grado, la controversia relativa all ‘ assegnazione di terre di riforma fondiaria, a norma della legge n. 379 del 1967, ha natura di sentenza perché statuisce nel contraddittorio delle parti, su posizioni di diritto soggettivo, ed è, pertanto, impugnabile in Cassazione (Sez. 3, n. 3897, 01/04/1993, Rv. 481635 -01; conf. Cass. nn. 9574/1987, 9529/1987).
3.2. Il ricorso risulta avere assolto all’onere della specificità, sia quanto all’individuazione delle norme asseritamente violate, sia quanto alla narrazione della vicenda processuale.
3.3. Escluso un preventivo e astratto vaglio d’ammissibilità delle censure di cui al presente ricorso, sul presupposto che si possa trattare di doglianze non fatte valere in sede di reclamo, come si vedrà di qui a poco, i motivi principali, sotto questo profilo, risultano tutti ammissibili, poiché non propongono per la prima volta la questione, al contrario di quel che sostiene il controricorrente.
3.4. Non assume, infine, rilievo la mancata estensione del contraddittorio alle altre parti processuali in cause scindibili identificate nel decreto (NOME NOME, NOME COGNOME, chiamate all’eredità di NOME COGNOME, nonché NOME e NOME COGNOME, chiamate all’eredità di NOME COGNOME).
Le parti non citate, invero, risultano vincitrici e di esse non occorre ordinarne la chiamata poiché decaduti dalla facoltà di proporre ricorso incidentale tardivo per decorso del termine ex art. 327 (Cass. nn. 12942/2003 e 11835/2018).
Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 7, l. n. 379/1967, 18 l. n. 230/1950 e 10 l. n. 386/1976.
L’esponente deduce che il fondo era appartenuto all’ente concedente fino all’atto del 2012, attraverso il quale egli era subentrato al genitore originario assegnatario, ai sensi dell’art. 7 l. n. 379/1967, in forza di determinazione giudiziale che aveva escluso il fratello NOME, e, a un tempo, aveva esercitato il riscatto del riservato dominio (art. 10 l. n. 386/1976), versando all’ente quanto spettante.
Non aveva, tuttavia potuto conseguire il possesso dell’intero fondo, poiché la metà di esso era abusivamente occupata da NOME
La Corte d’appello, ciò premesso, era incorsa in errore per avere reputato esercitabile in capo al germano l’azione di cui all’art. 2041 cod. civ., la quale, invece, andava dichiarata <> per mancanza d’interesse.
Con il secondo motivo viene denunciata violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., sostenendosi che la Corte di merito non aveva preso in esame le eccezioni e le richieste dell’attuale ricorrente, riguardanti, in particolare, l’inammissibilità della domanda di arricchimento senza causa.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 828-830 e 2041 cod. civ. e, con il correlato quarto motivo, degli artt. 2041 cod. civ. e 112 cod. proc. civ.
Il ricorrente, ripresi gli argomenti di cui al primo motivo, sostiene che la controparte aveva occupato abusivamente un bene pubblico non suscettibile di essere posseduto e la Corte locale
aveva <>.
Soggiunge ancora, che la Corte d’appello aveva applicato erroneamente o, addirittura, disapplicato l’art. 828, co. 2, cod. civ., trattandosi di bene facente parte del patrimonio pubblico indisponibile, che avrebbe potuto essere sottratto alla sua destinazione solo neri modi stabiliti dalla legge. NOME COGNOME non era stato immesso ‘contra legem’ nella detenzione del podere, bensì, a differenza del precedente di legittimità ricimato dalla Corte salernitana, aveva invaso e occupato in mala fede la metà del fondo.
Infine, conclude l’esponente, poiché l’intimato possedeva ancora le opere di che trattasi non potevasi valutare le stesse quali miglioramenti, stante che queste dovevano sussistere al momento del rilascio.
Con il quarto motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 2041 cod. civ. e 112 cod. proc. civ., addebitandosi al provvedimento impugnato di non avere considerato che le modifiche interne al fabbricato e il piccolo casotto esterno <>.
La decisione impugnata, emessa in violazione dell’art. 2041 cod. civ., era <>.
Con il quinto motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 2041 e 2935 cod. civ.: era contraddittorio e illogico affermare la locupletazione da parte del ricorrente, non potendo, nella specie, sussistere <>.
Con il sesto motivo si deduce per l’ennesima volta violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 cod. civ., riportando, con argomenti già sopra richiamati, le critiche mosse avverso la decisione di primo grado, non adeguatamente valutate dal Giudice di secondo grado.
Il primo, il terzo, il quarto e il quinto motivo, tra loro osmotici, vanno rigettati.
Questa Corte ha avuto modo di chiarire che al soggetto che sia stato immesso “contra legem” nella disponibilità del fondo, al fine di reclamare le migliorie apportate al terreno, è attribuita in astratto la generale azione di arricchimento senza causa, esperibile soltanto quando il danneggiato non abbia facoltà di esercitare un’altra azione tipica nei confronti dell’arricchito o contro persone diverse, obbligate per legge o per contratto, onde evitare il pregiudizio economico lamentato (Sez. 3, n. 18787, 26/09/2005, Rv. 586673 -01; conf., ex multis, Cass. n. 11067/2003).
Il principio sopra riportato risulta essere stato correttamente richiamato dal provvedimento impugnato, il quale, dopo avere
dettagliatamente preso in esame la vicenda fattuale che aveva originato il precedente evocato, soggiunge opportunamente che <>.
Il ricorrente richiama il principio secondo il quale i beni assegnati in forza della normativa regolante la ‘Riforma Fondiaria’ non possono essere oggetto di possesso e non possono essere oggetto di modifica o alterazione. Omette, tuttavia, di confrontarsi con la motivazione della Corte d’appello sopra riporta.
Peraltro, gli arresti cui costui fa riferimento afferiscono a specifici profili, che in questa sede hanno solo un labile appiglio.
In particolare, con la sentenza n. 4430 del 24/2/2009 della Sezione 2^ si è affermato che i terreni acquistati dagli enti di riforma fondiaria, essendo destinati all’attuazione della funzione istituzionale dei medesimi, ossia quella della redistribuzione della proprietà terriera ai contadini, come stabilito dall’art. 1 della legge n. 230 del 1950 – non possono, in quanto destinati a un pubblico servizio, essere sottratti a tale finalità se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano, ai sensi degli artt. 830, secondo comma, cod. civ. e 828, secondo comma, cod. civ.; ne consegue
l’impossibilità giuridica di una loro acquisizione da parte di terzi per usucapione, ancorché sia venuto a scadenza il termine ordinatorio previsto dall’art. 20 della medesima legge n. 230 del 1950 per l’assegnazione delle terre acquisite (Rv. 607041 -01).
La distinzione tra occupazione derivante da provvedimento illegittimo e occupazione derivante da fatto apprensivo, quanto all’applicabilità del regime giuridico dell’ingiusto arricchimento, alla luce di quanto sopra osservato, non assume il valore di discrimine che il COGNOME gli attribuisce.
Risulta decisiva e corretta l’affermazione della Corte locale, la quale ha evidenziato che le migliorie avevano implementato il patrimonio del ricorrente, divenuto proprietario dell’intiero fondo, non assumendo, quindi, rilievo la circostanza che in origine l’appezzamento era di proprietà dell’ente pubblico.
La rinnovata protesta di abusività delle opere non si confronta con la motivazione del decreto (pagg. 8 e 9), il quale ha chiarito che il c.t.u. nulla aveva evidenziato in merito, nel mentre NOME COGNOME non aveva dimostrato quanto asserito.
Infine, l’asserto secondo il quale il germano NOME fosse ancora nel possesso dei beni, di talché non avrebbe potuto farsi luogo a stima e liquidazione di arricchimento alcuno a vantaggio di costui, risulta argomento nuovo, non fatto valere in sede di reclamo e, quindi, in questa sede non scrutinabile.
Il sesto motivo, ricollegabile al primo, al terzo, al quarto e al quinto motivo, costituendo un riepilogo delle critiche mosse alla decisione di primo grado e manifestazione mera d’insoddisfazione per la decisione della Corte d’appello, essendo privo di effettiva capacità censoria, deve essere dichiarato inammissibile.
Il secondo motivo è inammissibile, poiché non si verte affatto in ipotesi di omessa pronuncia, bensì di pronuncia emessa, seppure in contrasto con i desiderata di NOME COGNOME.
Occorre a questo punto passare all’esame dei motivi del ricorso incidentale non subordinato, restando assorbito dal rigetto del ricorso principale, quello subordinato.
13.1. Con il primo motivo, sviluppato anche sub primo bis e primo ter, il ricorrente incidentale denuncia violazione degli artt. 1140, 1141 e 1146, 1150, 1152 cod. civ., 7 l. n. 379/1967.
Si contesta l’affermazione della decisione impugnata nella parte in cui assegna all’esponente la qualità di detentore e non di possessore, così negando l’applicabilità dell’art. 1150 cod. civ.
Questi, in sintesi, gli argomenti sviluppati:
(a) la Corte d’appello aveva affermato doversi escludere che l’esponente vantasse posizione possessoria, trattandosi di mero detentore fino a emanazione avvenuta del provvedimento amministrativo, nel mentre le disposizioni di cui ai commi 1 e 6 dell’art. 7 l. n. 379/1967 avrebbe avuto il solo scopo d’impedire l’assegnazione a terzi del diritto, prima che fossero individuati gli eredi dell’avente diritto;
(b) NOME COGNOME, primo assegnatario, avrebbe dovuto essere ritenuto possessore, in quanto acquirente con riserva di proprietà in favore dell’ente alienante e deceduto costui, in pendenza del trentennio di legge, doveva escludersi che il bene assegnato ritornasse nella piena proprietà dell’ente alienante e doveva reputarsi sussistere un <>;
(c) l’erronea qualificazione della relazione dell’esponente con la ‘res’ pregiudicava il diritto di costui a riguardo dell’entità dell’indennizzo, poiché lo stesso avrebbe dovuto essere calcolato sulla base del maggior valore acquisito dal fondo, a mente del comma terzo dell’art. 1150 cod. civ.;
(d) andava esclusa mala fede del ricorrente incidentale, stante che le opere erano state eseguite prima del ricorso incoato dall’ERSAC (Ente Regionale di Sviluppo Agricolo in Campania) affinché il giudice individuasse l’erede che avrebbe dovuto subentrare al posto di NOME COGNOME e, comunque, prima dell’atto del 2012, con il quale l’ente aveva disposto l’assegnazione in capo all’erede individuato dal giudice;
(e) di conseguenza, l’esponente godeva del diritto di ritenzione ex art. 1152 cod. civ., invece negato dalla Corte d’appello.
13.1.1. Il motivo è, nel suo complesso, infondato.
L’art. 1 della l. n. 379/1967 disponeva (la legge verrà abrogata dal d.l. n. 25/2008, convertito con modificazioni nella l. n. 133/2008) quanto appresso: <>. Il successivo art. 2 dettava i termini del riscatto: <>
Il Consiglio di amministrazione dell’Ente, verificata l’esistenza dei requisiti legali e l’adempimento di quanto prescritto dall’articolo 3, delibera il riscatto. La delibera, contenente i patti e le modalità del riscatto, è allegata all’atto di trasferimento del quale fa parte integrante >>.
Viene qui in specifico rilievo l’art. 7 dell’anzidetto corpo normativo: <>.
Le leggi che negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso operarono la cd. ‘Riforma Agraria’ attribuivano la qualità di proprietario del fondo in precedenza espropriato al competente ente di sviluppo.
Agli assegnatari, alle condizioni prevedute dal riportato art. 1, venne attribuita la facoltà d’imputare a riscatto le annualità che, sulla base della convenzione, erano tenuti a versare all’ente di sviluppo, ‘ in deroga al divieto stabilito dal secondo comma dell’articolo 18 della precitata legge 12 maggio 1950, n. 230 ‘. Tuttavia, deve escludersi che in capo a costoro sia configurabile un pieno e insindacabile diritto al riscatto, siccome si ricava agevolmente dagli artt. 2 e 3 citati.
Il rapporto dell’assegnatario con la ‘res’ è di detenzione qualificata: coltiva il fondo e ne trae i frutti, soggiace ai doveri che la legge gli impone, è tenuto a pagare le annualità previste nell’atto di assegnazione. La possibilità di riscattare il fondo, alle condizioni previste dalla legge -che sul punto attribuisce all’ente di sviluppo poteri d’imperio -non costituisce elemento naturale della fattispecie, bensì solo evenienza accidentale.
Ove si consideri che il possesso costituisce effigie del diritto reale corrispondente (nella specie, evidentemente, del diritto di proprietà) deve escludersi che il rapporto materiale dell’assegnatario e, a maggior ragione, dell’aspirante assegnatario, possa qualificarsi di possesso.
Ove poi con il sostantivo ‘possesso’ s’intenda riferirsi alla circostanza, per vero neutra, che il coltivatore assegnatario ‘prende possesso’ del fondo, nel senso che ne ha la disponibilità
materiale e ne goda dei frutti, altro non significa che si tratti di detentore qualificato.
Come già anticipato e come correttamente evidenziato dal provvedimento impugnato, a fortiori deve escludersi che sia possessore il coerede che aspiri a subentrare nell’assegnazione, godendo costui di un mera aspettativa correlata al potere dell’ente concedente.
Esclusa la qualità di possessore, viene meno il presupposto necessario per l’applicazione dell’art. 1150 cod. civ. (Cass. nn. 13316/2015, 17245/2010, 5948/2005, 18651/2004, 7923/1992). Del pari, il detentore non gode della forma di autotutela costituita dal diritto di ritenzione previsto dall’art. 1152 cod. civ. (Cass. nn. 12232/2002, 5346/1999), non estensibile, come in tutti i casi di autotutela, oltre le ipotesi strettamente previste dalla legge (cfr., ex multis, Cass. n. 12483/2022).
13.2. Con il secondo motivo incidentale viene denunciata contraddittorietà della motivazione, nullità del provvedimento per violazione degli artt. 216, co. 1, cod. proc. civ., 7, co. 4, l. n. 379/1967, 533, 1150, 2697 e 2041 cod. civ.
Deduce il ricorrente che, nonostante egli avesse fatto puntuale reclamo incidentale sul punto, avverso la decisione di primo grado, la Corte di Salerno gli aveva ingiustamente negato il credito da lui vantato nei confronti degli altri coeredi, per avere egli incrementato il fondo durante la vita del di lui padre. Dei detti lavori aveva dato prova anche per testi (riporta stralcio che assume aver tratto dal testimoniale), ma la decisione impugnata, con scarna motivazione, l’aveva disattesa.
La motivazione appariva contraddittoria laddove, per un verso, aveva affermato che l’esponente non aveva dimostrato i miglioramenti e, per altro verso, che non fosse possibile distinguere se i medesimi fossero stati effettuati da NOME COGNOME o dall’esponente.
Aveva, infine, negato valore al lavoro fisico personalmente svolto dal medesimo.
13.1.1. Il motivo non supera lo scrutinio d’ammissibilità
A prescindere dall’oscuro e inesplicato riferimento all’art. 216, co. 1, cod. proc. civ., all’evidenza si sollecita un’impropria ricostruzione alternativa del fatto all’esito di una sorta di ‘giudizio di terzo grado’ censurandosi, in definitiva, la motivazione (emblematico l’addebito di contraddittorietà di questa).
Come noto, in linea generale, la denuncia di violazione di legge non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (ex multis, S.U. n. 25573, 12/11/2020). E ancora, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1 – , Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019).
La evocazione della regola sull’onere probatorio perciò solo non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito manifesti la prospettata violazione di legge, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la conclusione nel senso auspicato dal ricorrente,
evenienza che qui niente affatto ricorre, richiedendosi, in definitiva, che la Corte di legittimità, sostituendosi inammissibilmente alla Corte d’appello, faccia luogo a nuovo vaglio probatorio, di talché, nella sostanza, peraltro neppure efficacemente dissimulata, la doglianza investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile, neppure attraverso l’escamotage (che per vero qui neppure è stato sperimentato) del richiamo agli artt. 115 e 116, cod. proc. civ.; la critica presuppone che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito sia tale da integrare il rivendicato inquadramento normativo, e che, quindi, ancora una volta, l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, risulti tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (cfr., Cass. nn. 11775/019, 6806/019).
In altri termini, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. (Sez. L., n. 17313, 19/08/2020, Rv. 658541 -01).
La reciproca soccombenza importa la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e quello incidentale, dichiara assorbito quello incidentale subordinato e compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio di giorno 10 ottobre