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Arricchimento senza causa: chi prova l’utilità?

Una società cita in giudizio un Comune per ottenere il pagamento di lavori eseguiti, invocando l’istituto dell’arricchimento senza causa. La Corte d’Appello respinge la domanda, addossando alla società l’onere di provare l’utilità dei lavori per l’ente pubblico. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27753/2024, ribalta la decisione, stabilendo un principio fondamentale: nell’azione di arricchimento senza causa contro la Pubblica Amministrazione, non è il privato a dover dimostrare l’utilità della prestazione. Spetta invece all’ente pubblico eccepire e provare che l’arricchimento non è stato voluto o è stato ‘imposto’, invertendo così l’onere della prova.

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Pubblicato il 27 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Arricchimento senza causa: chi deve provare l’utilità della prestazione?

L’azione di arricchimento senza causa, disciplinata dall’art. 2041 del Codice Civile, rappresenta un fondamentale strumento di tutela per chi, avendo eseguito una prestazione a favore di un altro soggetto senza un valido titolo contrattuale, subisce un impoverimento a fronte di un arricchimento altrui. La questione si complica quando il soggetto arricchito è una Pubblica Amministrazione. Chi deve provare l’utilità (utilitas) della prestazione? L’Ordinanza n. 27753/2024 della Corte di Cassazione fornisce un chiarimento decisivo, invertendo un orientamento che spesso penalizzava il privato.

I Fatti di Causa

Una società a responsabilità limitata unipersonale aveva eseguito lavori di completamento stradale per conto di un Comune. A seguito del mancato pagamento, la società otteneva un decreto ingiuntivo. Il Comune si opponeva, sostenendo di non aver mai conferito l’incarico a tale società, bensì a una ditta individuale con un nome simile, e contestando la corretta esecuzione e l’utilità dei lavori.

In corso di causa, la società chiedeva il pagamento anche a titolo di arricchimento senza causa. Il Tribunale, in funzione di giudice d’appello, accoglieva il gravame del Comune, ritenendo che la società non avesse fornito la prova né della successione nel rapporto contrattuale, né dell’utilità che il Comune avrebbe conseguito dai lavori. La questione giungeva così dinanzi alla Corte di Cassazione.

Il principio dell’arricchimento senza causa contro la P.A.

Il cuore della controversia risiede nell’interpretazione dell’onere della prova nell’azione ex art. 2041 c.c. contro un ente pubblico. Per molto tempo, la giurisprudenza ha richiesto al privato (il depauperato) di dimostrare non solo il proprio impoverimento e l’altrui arricchimento, ma anche il ‘riconoscimento’ dell’utilità della prestazione da parte della P.A. Questo requisito, spesso difficile da soddisfare, si traduceva in una barriera all’ottenimento di un giusto indennizzo.

Le Sezioni Unite della Cassazione (sent. n. 10798/2015) avevano già impresso una svolta, sottolineando la natura oggettiva dell’arricchimento. Secondo tale orientamento, il privato deve solo provare il fatto oggettivo dell’arricchimento dell’ente, senza dover dimostrare un riconoscimento formale da parte di quest’ultimo.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte, con l’ordinanza in esame, accoglie il ricorso della società, cassando la sentenza del Tribunale. La Corte ribadisce e rafforza l’orientamento delle Sezioni Unite, affermando che il giudice d’appello ha errato nel porre a carico della società l’onere di provare l’utilità conseguita dal Comune.

Le Motivazioni

La Corte chiarisce che il depauperato che agisce ex art. 2041 c.c. nei confronti della P.A. ha solo l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento. L’accoglimento della sua domanda incontra un unico limite: il divieto di ‘arricchimento imposto’.

Questo significa che la Pubblica Amministrazione può difendersi, ma è su di essa che ricade l’onere di eccepire e provare che l’arricchimento non è stato voluto o che non era consapevole di riceverlo. In altre parole, è l’ente pubblico che deve dimostrare attivamente il proprio ‘rifiuto’ dell’arricchimento o l’impossibilità di rifiutarlo per inconsapevolezza. Non è sufficiente una mera contestazione generica dell’utilità per invertire l’onere della prova e farlo ricadere sul privato.

Il principio di diritto enunciato dalla Corte è lapidario: “in caso di esercizio dell’azione di ingiustificato arricchimento nei confronti di una Pubblica Amministrazione, è irrilevante, di per sé sola considerata, l’utilità della prestazione espletata, sicché, eccepitane la carenza da parte della convenuta, l’attore non è onerato dal dover provare la sua sussistenza”.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un principio di equità e di equilibrio nei rapporti tra cittadini/imprese e Pubblica Amministrazione. Stabilisce che, una volta provato l’impoverimento di un soggetto e il correlativo arricchimento dell’ente, si presume la sussistenza del diritto all’indennizzo. Sarà l’ente pubblico, se intende sottrarsi al pagamento, a dover fornire la prova rigorosa che tale arricchimento non era desiderato o è avvenuto a sua insaputa. Si tratta di una decisione di fondamentale importanza che rafforza la tutela dei privati che forniscono prestazioni a beneficio della collettività, anche in assenza di un formale vincolo contrattuale, evitando che la P.A. possa trarre vantaggio da una prestazione senza corrisponderne il giusto valore.

In un’azione per arricchimento senza causa contro la P.A., chi deve provare l’utilità della prestazione?
No, non spetta al privato (attore) provare l’utilità della prestazione. Secondo la Corte, una volta che il privato ha dimostrato il proprio impoverimento e l’arricchimento dell’ente, l’onere di provare la mancanza di utilità o che l’arricchimento è stato ‘imposto’ spetta alla Pubblica Amministrazione convenuta.

Cosa significa ‘arricchimento imposto’ e come può difendersi la Pubblica Amministrazione?
‘Arricchimento imposto’ si verifica quando l’ente pubblico riceve un vantaggio che non ha voluto o di cui non era consapevole. Per difendersi, la P.A. deve eccepire e provare attivamente di aver rifiutato la prestazione o l’impossibilità di rifiutarla a causa della sua inconsapevolezza. Una semplice contestazione non è sufficiente.

È sufficiente che la Pubblica Amministrazione contesti l’utilità di un lavoro per obbligare il privato a provarla?
No. La sentenza chiarisce che la semplice contestazione della carenza di utilità da parte della P.A. non è sufficiente a far ricadere sul privato l’onere di provare la sussistenza di tale utilità. Il principio enunciato dalla Corte stabilisce che l’utilità è di per sé irrilevante ai fini dell’onere probatorio dell’attore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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