Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21197 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 21197 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/07/2025
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE con sede in Veroli, in persona legale rappresentante sig. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avvocat o NOME COGNOME
Ricorrente
contro
Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale della provincia di Frosinone, in persona del direttore generale dott. NOME COGNOME rappresentata e difesa da ll’ Avvocato NOME COGNOME
Controricorrente
e
COGNOME NOME , rappresentato e difeso da ll’ Avvocato NOME COGNOME.
Controricorrente
e
COGNOME NOME , rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Controricorrente
Tedesco NOME
Intimato
avverso la sentenza n. 4278/2019 della Corte di appello di Roma, depositata il 20.6.2019.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 3.7.2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento dei primi due motivi di ricorso ed il rigetto o assorbimento degli altri.
Udite le difese svolte dall’Avvocato NOME COGNOME per la società ricorrente, dall’Avvocato NOME COGNOME per l’ATER, dall’Avvocato NOME COGNOME per delega dell’Avvocato NOME COGNOME per il controricorrente COGNOME NOME e da ll’Avvocato NOME COGNOME per il controricorrente COGNOME NOME e, per delega dell’Avvocato NOME COGNOME per il controricorrente NOMECOGNOME
Fatti di causa
RAGIONE_SOCIALE agì in giudizio nei confronti della A.T.E.R. della provincia di Frosinone e di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME chiedendone la condanna al pagamento della somma di euro 434.092,54, a titolo di corrispettivo per i lavori da essa eseguiti, a partire dal 2012, in favore della A.T.E.R. sulla base di determinazioni a firma
e
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
Controricorrente
e
COGNOME NOME , rappresentato e difeso da ll’Avvocato NOME COGNOME.
Controricorrente
e
del suo direttore generale NOME NOME e di altri funzionari, ovvero per responsabilità diretta degli stessi o per l’ingiustificato arricchimento ricevuto, ai sensi dell’art. 2041 c.c..
Il tribunale di Frosinone rigettò tutte le domande.
Proposta impugnazione, con sentenza n. 4278 del 20.6.2019, la Corte di appello di Roma confermò la decisione di primo grado.
La Corte romana motivò il rigetto dell’appello, per quanto qui ancora rileva, affermando che: la mancanza della forma scritta del contratto di appalto, a causa della quale il tribunale ne aveva dichiarato la nullità e respinto l’azione di adempimento della parte attrice, non poteva ritenersi superata dalla presenza di schede di conto firmate dai funzionari dell’ A.T.ERAGIONE_SOCIALER., con cui, a dire della appellante, l’ azienda aveva riconosciuto il proprio debito, non avendo la ricognizione di debito effetti di fonte autonoma della obbligazione e non potendo quindi sostituire la forma scritta del contratto richiesta dalla legge ad substantiam ; la domanda, proposta dalla società attrice in via subordinata, di condanna delle persone fisiche convenute, funzionari dell’ azienda, ai sensi dell’art. 191, comma 4, del testo unico delle leggi sugli enti locali, non era fondata, atteso che la disposizione invocata, che stabilisce che nel caso in cui per una determinata spesa dell’ente manchi la registrazione dell’impegno contabile e l’attestazione della copertura finanziaria, il rapporto obbligatorio relativo all’acquisizione di beni o servizi deve intendersi instaurato direttamente con il funzionario dell’ente che ha consentito la fornitura, risulta esclusivamente dettata per gli enti locali menzionati nell’art. 2 del predetto testo unico, nel cui novero non è compresa l’A.T.E.R. ; la domanda , avanzata ai sensi dell’art. 2041 c.c., di condanna dell’ A.T.E.R. al pagamento dell’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento ricevuto in virtù delle prestazioni eseguite in suo favore, era inammissibile, perché proposta non con l’atto di citazione o con la prima memoria istruttoria, ma solo in sede di note conclusive, non potendo essa identificarsi e ritenersi ritualmente avanzata con la domanda con cui la società aveva dichiarato di proporla , a mente dell’art. 2900 c.c., in via surrogatoria ai funzionari dell’ente, ritenuti suoi debitori, esercitando il loro diritto all’indennizzo per l’indebito vantaggio conseguito dalla azienda.
Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE affidato a cinque motivi.
L’A.T.E.R. della provincia di Frosinone, COGNOME NOME, Trento NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno notificato distinti controricorsi, mentre COGNOME NOME non ha svolto attività difensiva.
Il P.M. e le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
1.In via preliminare deve darsi atto della nullità della notifica del ricorso alla parte intimata NOME NOME, essendo stata essa eseguita presso il difensore domiciliatario della parte in primo grado, mentre avrebbe dovuto essere fatta personalmente alla parte, che era rimasta contumace nel giudizio di appello (Cass. Sez. un. n. 10817 del 2008). Nel caso di specie, tuttavia, la rilevata nullità non rende necessaria l’adozione, da parte di questa Corte, dell’ordine di rinnovazione della notifica, dal m omento che la decisione da adottare è nel senso del rigetto del ricorso.
Deve trovare applicazione nel caso di specie, infatti, l’indirizzo secondo cui il rispetto del principio della ragionevole durata del processo impone, se il ricorso viene rigettato, di non adottare alcun provvedimento diretto a garantire l’integrità del contraddittorio nei confronti delle controparti del ric orrente, a cui il ricorso non sia stato notificato ovvero lo sia stato invalidamente, trattandosi di adempimento del tutto ininfluente sull’esito del giudizio e non rinvenendosi, in concreto, esigenze di tutela delle garanzie di difesa dei litisconsorti (Cass. n. 19175 del 2023; Cass. n. 10839 del 2019; Cass. n. 11287 del 2018; Cass. n.
15106 del 2013)
2. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 163, commi 3 e 4, 99, 100, 101 e 112 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto inammissibile la domanda della odierna ricorrente di condanna diretta dell’ A.T.E.R. al pagamento dell’indennizzo per ingiustificato arricchimento, ai sensi dell’art. 2041 c.c., perché proposta per la prima volta nelle note conclusive. Si sostiene l’erroneità di tale statuizione, atteso che la suddetta domanda era stata chiaramente formulata già in atto di citazione e poi reiterata e precisata nella prima memoria istruttoria.
Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 99, 100, 101 e 112 c.p.c., reiterando il vizio di omessa pronuncia sulla domanda proposta dalla appellante ex art. 2041 c.c., quantomeno in relazione alla richiesta di pagamento delle lavorazioni urgenti ed indifferibili, per le quali la società attrice aveva prodotto in giudizio documenti e fatture ed articolato prova per testi.
I motivi, che vanno trattati congiuntamente per la sostanziale identità delle censure, sono infondati.
La lettura degli atti processuali di primo grado, a cui questa Corte ha accesso diretto in caso sia denunciata la violazione di norma processuale, conferma la valutazione sul punto effettuata da entrambi i giudici di merito, che hanno escluso che la domanda di arricchimento senza causa sia stata proposta dalla parte attrice direttamente nei confronti dell’ A.T.ERAGIONE_SOCIALER. in modo rituale, nell’atto di citazione di primo grado o nella prima memoria istruttoria.
Nell’atto introduttivo del giudizio la società aveva dichiarato di proporre la domanda di ingiustificato arricchimento si nei confronti dell’ A.T.E.R., ma non via diretta, bensì surrogandosi, ex art. 2900 c.c., al diritto di credito spettante a tale titolo ai suoi dipendenti, ritenuti debitori diretti della RAGIONE_SOCIALE in applicazione dell’art. 191, comma 4, TUEL. In sostanza, partendo dalla premessa che, nella fattispecie considerata, l’esecutore della prestazione eseguita in forza di un contratto nullo non ha la possibilità di agire nei confronti dell’ente pubblico direttamente ai sensi dell’art. 2041 c.c., per difetto del requisito della sussidiarietà di cui al successivo art. 2042, avendo egli azione diretta nei confronti del funzionario, la società attrice, richiamando l’orientamento della giurisprudenza, aveva proposto la domanda di ingiustificato arricchimento nei confronti dell’ A.T.E.R. in via surrogatoria.
Questo dato processuale porta a ritenere, da un lato, che nessuna domanda a tale titolo fosse stata proposta in via diretta nei confronti dell’ A.T.E.R., dall’altro, a condividere la conclusione dei giudici di merito che hanno dichiarato la domanda inammissibile per intervenute preclusioni processuali, essendo stata proposta irritualmente per la prima volta nelle note conclusionali.
Con riguardo al primo profilo, occorre sottolineare che la proposizione di una domanda in via surrogatoria, ai sensi dell’art. 2900 c.c., poggia su fatti e
presupposti costitutivi affatto diversi rispetto alla pretesa fatta valere in via diretta. Nel primo caso, infatti, l’attore agisce in veste di sostituto processuale del proprio debitore, facendo valere in giudizio, nomine proprio , un diritto altrui; il creditore in tale ipotesi agisce a fini sostanzialmente conservativi, allegando che l’inerzia del proprio debitore nel far valere il suo diritto nei confronti del terzo pregiudica l’integrità del suo patrimonio, posto dalla legge a generale garanzia della sua obbligazione, a mente dell’art. 2740 c.c., e quindi la possibilità di soddisfare il proprio diritto, (Cass. n. 34940 del 2022; Cass. n. 5805 del 2018; Cass. n. 1389 del 2007; Cass. n. 1867 del 2000; Cass. n. 7468 del 1999). Nell’ipotesi di domanda diretta, invece, l’attore agisce a tutela di un diritto proprio.
Le situazioni sostanziali dedotte in giudizio nell’uno e nell’altro caso appaiono pertanto affatto diverse, con la conseguenza che la proposizione dell’una non può contemplare, in via implicita, anche l’altra e che, al di là della questione se l’aggiunta della seconda cons ista o meno in un variazione ammissibile della domanda, ex art. 183 c.p.c., non si può dubitare che tale modificazione debba comunque essere fatta in sede di prima memoria istruttoria e non possa esserlo, come avvenuto nel caso di specie, nelle note conclusive.
L’esame della prima memoria istruttoria del 14.2.2015 depositata dalla società attrice, d’altra parte, conferma che la domanda non sia stata proposta con tale atto. La memoria contiene argomentazioni in ordine alla applicabilità all’A .T.E.R. dell’invocata disposizione di cui all’art. 191 TUEL ed a sostegno della responsabilità contrattuale diretta della convenuta per il pagamento delle prestazioni ricevute, chiedendo di disapplicare la normativa, la prassi e la giurisprudenza dell’ordinamento italiano anche ove fosse ritenuta inesistente la forma contrattuale scritta ad substantiam , in quanto contrastante con la normativa della CEDU che tutela i beni ed i diritti patrimoniali delle persone, fisiche e giuridiche, concludendo per il riconoscimento del diritto dell’attrice alle provvidenze economiche richieste. Nessun cenno o riferimento si rinviene invece alla volontà di avanzare la domanda di indennizzo ai sensi dell’art. 2041 c.c. direttamente nei confronti dell’ A.T.E.R..
Deve pertanto essere disattesa la conclusione di accoglimento avanzata dal Procuratore Generale, argomentata su una diversa interpretazione dei menzionati atti processuali, con conseguente rigetto dei primi due motivi di ricorso.
4. Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 28 Cost., e degli artt. 2 e 191, comma 4, del testo unico delle leggi sugli enti locali, assumendo che la Corte di appello avrebbe dovuto accogliere la domanda di pagamento dei lavori proposta nei confronti dei dipendenti dell’ RAGIONE_SOCIALE e dell’ azienda medesima, atteso che questi, con i loro atti, avevano disposto l’esecuzione de lle opere. La sentenza è censurata per avere respinto la domanda sulla base del rilievo che la viol azione da parte dei funzionari dell’ente delle norme contabili avesse determinato una frattura del rapporto di immedesimazione organica. Si assume che tale motivazione appare in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, che riconosce la responsabilità della pubblica Amministrazione laddove l’attività posta in essere sia esplicazione dell’attività dell’ente, e cioè tenda al conseguimento dei suoi fini istituzionali.
Il motivo contesta inoltre il capo della decisione che ha escluso l’applicabilità, nella fattispecie, della disposizione di cui all’art. 191, comma 4, del citato testo unico, che stabilisce che le spese dell’ente debbano avere necessaria copertura in un impegno contabile registrato sul competente programma del bilancio di previsione e l’attestazione della copertura finanziaria di cui all’articolo 153, comma 5, e che, in mancanza di tali condizioni, il rapporto obbligatorio per la controprestazione relativa all’acquisizione di beni di beni e servizi si costituisce direttamente tra il terzo ed il funzionario dell’ente che ha consentito la fornitura ; si cotesta in particolare l’affermazione che giustifica la disapplicazione della norma sul rilevo che l’ A.T.E.R. non rientra tra gli enti locali soggetti, ai sensi dell’art. 2, al testo unico menzionato. Tale conclusione, si sostiene, è errata, non avendo la Corte di appello considerato che l’ A.T.E.R., per il suo stesso statuto, è ente strumentale della Regione e di supporto degli enti locali per le politiche abitative.
5. Il motivo, come dedotto dal Procuratore Generale, è infondato.
Quanto alla prima censura, che contesta il mancato riconoscimento della responsabilità civile in capo ai funzionari dell’ A.T.E.R., e per estensione a quest’ultima, ai sensi della disposizione dettata dall’art. 28 Cost., la decisione impugnata appare conforme all’orientamento di questa Corte, che qui va ribadito, secondo cui la suddetta disposizione non è applicabile nel caso in cui la condotta ascritta al funzionario consista nella violazione delle regole previste in materia di contabilità, determinando essa una frattura nel rapporto di immedesimazione organica con la pubblica amministrazione (Cass. n. 15145 del 2018; Cass. n. 80 del 2017). L’estensione della responsabilità all’ente pubblico presuppone, del resto, la riferibilità dell’atto compiuto dal dipendente all’ente, conseguenza che si tradurrebbe, nel caso esaminato, nel ritenere obbligato quest’ultimo, cioè in un effetto che, per le ragioni esposte, appare escluso dalla legge, secondo cui il contratto, nelle ipotesi considerate, cioè non concluso in forma scritta, è nullo o inesistente.
A tale considerazione, di per sé assorbente, merita aggiungere che la responsabilità civile personale dei funzionari e dipendenti dello Stato e degli enti pubblici in caso di violazione dei diritti dei terzi, a norma dell’art. 28 Cost. presuppone l’imputabilità colposa dell’atto al pubblico amministratore o dipendente ed il nesso di causalità tra tale condotta ed il danno lamentato (Cass. n.4587 del 2009; Cass. n. 1045 del 1999; Cass. n. 2995 del 1996; Cass. n. 4951 del 1991), profili che sono rimasti del tutto ignorati dalla società attrice, che, anche nel presente ricorso, omette qualsiasi allegazione ed illustrazione di tali presupposti. La prospettazione del motivo è pertanto anche generica, difettando dei requisiti di specificità tali da dimostrarne il carattere decisivo.
Anche la seconda censura non merita accoglimento.
E’ sufficiente al riguardo richiamare l’art. 2 del d.lgs. n. 267 del 2000, testo unico delle leggi sugli enti locali, in cui si trova inerita la disposizione invocata dalla ricorrente, secondo cui ‘Ai fini del presente testo unico si intendono per enti locali i comuni, le province, le città metropolitane, le comunità montane, le comunità isolane e le unioni di comuni ‘. L’ A.T.E.R. non può quindi essere ricondotto nella categoria degli enti locali soggetti al menzionato testo unico. Corretta appare pertanto la conclusione accolta dalla Corte romana, laddove ha
escluso l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 191, tenuto anche conto, che come questa Corte ha chiarito, tale norma riguarda esclusivamente gli enti locali, elencati nell’art. 2 del citato d.lgs., e, attesa la sua natura eccezionale, non è suscettibile di applicazione analogica (Cass. n. 5130 del 2020).
6. Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1988 e 2697 c.c., censurando la sentenza impugnata per avere respinto la domanda di condanna dell’ A.T.E.R. al pagamento del corrispettivo per i lavori eseguiti non attribuendo alla documentazione in atti, in particolare agli atti a firma del funzionario dell’ azienda dott. COGNOME, alcun valore di riconoscimento di debito e di prova dell’esistenza d el contratto.
Il motivo, per la parte in cui non debba considerarsi assorbito in ragione del rigetto dei primi due motivi, è infondato.
La motivazione della Corte di appello che, nel confermare il rigetto dell’azione di adempimento contrattuale stante la nullità del contratto per difetto della forma scritta essenziale, ha negato rilievo ai documenti che, secondo la tesi della parte attrice, costituivano chiari riconoscimenti di debito, appare conforme all’orientamento di questa Corte, secondo cui l a ricognizione di debito non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha solo effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, determinando, ex art. 1988 c.c., un’astrazione meramente processuale della causa debendi , da cui deriva che il destinatario è solo dispensato dall’onere di provare quel rapporto, senza però che si possa prescindere dalla sua esistenza o validità sotto il profilo sostanziale, sicché ogni effetto vincolante della ricognizione viene meno ove sia giudizialmente provato che il rapporto suddetto non è mai sorto o è invalido o si è estinto ( Cass. n. 31818 del 2024; Cass. n. 20689 del 2016; Cass. n. 13506 del 2014; Cass. n. 7787 del 2010).
8. Il quinto motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 2697 c.c., lamentando che la Corte di appello non abbia considerato la produzione di documenti e richiesta di prove orali da cui risultava la sussistenza delle condizioni richieste dall’art. 2041 c.c. per l’accoglimento della domanda di pagamento dell’indennizzo per ingiustificato arricchimento.
In subordine, la ricorrente rappresenta che l’interpretazione delle norme di legge seguita dalla Corte di appello, portando alla negazione di ogni suo diritto a ricevere un corrispettivo o ristoro a fronte dei lavori eseguiti in favore d ell’ A.T.E.R. , contrasta con l’art. 1 Pro tocollo 1 della CEDU, che garantisce il diritto di ciascuna persona fisica e giuridica all’integrità del proprio patrimonio.
Il motivo, investendo la prova dell’azione di indebito arricchimento, è assorbito dal rigetto dei primi due motivi di ricorso.
Le ulteriori considerazioni svolte, in ordine alla asserita violazione delle norme convenzionali richiamate, non appaiono invece pertinenti, tenuto conto che la Corte di appello, con la decisione impugnata, ha ritenuto inammissibile la domanda di ingiustificato arricchimento nei confronti dell ‘ A.T.E.R. per motivi processuali, non la sua improponibilità in via assoluta.
10. Il ricorso va pertanto respinto.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Deve darsi atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in euro 10.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali, per ciascuna parte controricorrente. Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 3 luglio 2025.