Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 25002 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 25002 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/09/2025
ORDINANZA
sui ricorsi n. 3688/2023 e n. 3892/2023 r.g. proposti da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale, dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato;
-ricorrente principale-
CONTRO
CENTRO FISIOCHINESITERAPICO DELLA DOTT.NOME COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale, il quale chiede di ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato;
-controricorrente-
ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Corte di appello dell’Aquila n. 957/2022, depositata il 28/6/2022.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/ 7/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
La società RAGIONE_SOCIALE dott.ssa COGNOME Giovanna RAGIONE_SOCIALE deduceva che aveva effettuato prestazioni sanitarie in favore della Asl, quale società accreditata, nell’anno 2009.
A partire dal 1° gennaio 2008 la società aveva erogato prestazioni sulla base del tetto di spesa dell’anno 2007, pari ad euro 308.611,00, in quanto le delibere del commissario ad acta n. 19 del 26/3/2009 e n. 32 del 19/5/2009, che avevano previsto il tetto di spesa per l’anno 2008, erano state annullate dal Tar dell’Aquila con la sentenza n. 82 del 2010.
Il commissario ad acta aveva determinato il tetto di spesa dello anno 2008 in euro 295.274,22.
Era stata annullata anche la nota commissariale n. 1656 del 22/7/2009, con cui si era disposto che l’importo dei ticket versati dei pazienti nell’anno 2008 dovesse essere computato ai fini del raggiungimento del tetto di spesa riconosciuto.
Le delibere commissariali n. 19 del 2009 e n. 32 del 2009 erano state annullate per la loro tardività; la nota n. 1653 del 2009 era stata annullata perché adottata in violazione dell’accordo contrattuale applicabile all’anno 2008.
Il tetto di spesa relativo all’anno 2008, di cui alle delibere del commissario ad acta , era stato reso inefficace a seguito dell’annullamento da parte del Tar, mentre, con riferimento all’anno 2009, era intervenuto l’accordo del 17/7/2009, stipulato ai sensi dell’art. 8quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992.
L’accordo recepiva la delibera del commissario ad acta n. 43 del 24/6/2009, che riconosceva alla società, per l’anno 2009, un tetto di
spesa di euro 250.928,00, decurtato del 18,69% rispetto a quello dell’anno 2007, pari ad euro 308.611,00.
La società si era però rifiutata di sottoscrivere l’accordo, in ragione del lungo tempo trascorso.
Nel corso del 2009 la società aveva erogato prestazioni per euro 351.083,02. Ma la Asl le aveva remunerate solo per l’importo di euro 237.407,90, inferiore sia alle prestazioni complessivamente erogate dal Centro nell’anno 2009, sia al tetto di spesa dell’anno 2007, pari ad euro 308.611,00, in vigore sino al 17/7/2009, sia al tetto di spesa per l’anno 2009, pari ad euro 250.928,00, in vigore dal 18/7/2009.
L’importo di euro 237.407,90 era anche inferiore alla somma dovuta per le prestazioni erogabili dal 1/1/2009 a 17/7/2009 sulla base del tetto di spesa dell’anno 2007 (euro 205.740,06), e per le prestazioni erogabili dal 18/7/2009 al 31/12/2009 sulla base del tetto di spesa dell’anno 2009 (euro 92.515,14), per un totale di euro 298.255,2.
La società chiedeva, dunque, in via principale l’importo di euro 113.675,12, pari alla differenza tra le prestazioni complessivamente erogate dal centro nell’anno (351.083,02) e quanto versato dalla Asl a titolo di remunerazione (euro 237.407,90).
In subordine, chiedeva l’importo di euro 60.847,3, pari alla somma complessivamente dovuta per le prestazioni erogabili dal 1/1/2009 al 17/7/2009, sulla base del tetto di spesa dell’anno 2007 (euro 205.740,00), e per le prestazioni erogabili dal 18/7/2009 al 31/12/2009, sulla base del tetto di spesa dell’anno 2009 (euro 92.515,14), detratto quanto versato dalla Asl, pari ad euro 237.407,90.
Il Tribunale rigettava il ricorso, ritenendo insussistente l’ingiustificato arricchimento dell’ASL, in quanto le prestazioni complessivamente erogate dal Centro nell’anno 2009 (euro 351.083,02), an-
che se remunerate solo parzialmente (euro 237.407,90), eccedevano sia il tetto di spesa dell’anno 2007, pari ad euro 308.611,00), sia il tetto di spesa dell’anno 2009 (euro 250.928,00).
4.1. Con il primo motivo d’appello la società rilevava che la Asl era consapevole delle prestazioni erogate, avendo eseguito controlli per l’attività svolta in accreditamento.
Doveva dunque riconoscersi il pagamento per tutte le attività prestate nel corso dell’anno 2009. Ed infatti, doveva applicarsi il tetto di spesa per l’anno precedente (2007), in difetto della previsione del budget del 2008, annullato con la sentenza del Tar n. 82 del 2010.
Il tetto di spesa per il 2009 poteva riguardare esclusivamente gli ultimi 5 mesi del medesimo anno, per il quale era stato previsto un tetto di spesa pari al 18,79% di quello stabilito nel 2007, quindi per euro 250.928,00.
4.2. Con il secondo motivo di impugnazione deduceva che l’indebito arricchimento doveva essere riconosciuto sempre per prestazioni sanitarie obbligatorie.
4.3. Con il terzo motivo la società evidenziava che, pure a voler ritenere retroattivamente applicabile alle prestazioni il budget fissato per l’anno 2009, il tetto di spesa doveva essere fissato al netto dei ticket corrisposti dai pazienti.
La Corte d’appello dell’Aquila, con sentenza n. 957/2022, depositata il 28/6/2022, accoglieva solo in parte l’appello proposto dalla società, riconoscendo la somma di euro 13.520,10, oltre interessi moratori ex art. 5 d.lgs. n. 231 del 2002.
In particolare, la Corte territoriale evidenziava che la società aveva chiesto il pagamento di prestazioni rese dal gennaio al luglio 2009, senza limitazioni di budget , per euro 258.254,28, oltre quelle rese dall’agosto al dicembre 2009, in base al tetto mensile di budget del 2009, per euro 92.515,14, comunque al netto dei ticket versati
dei pazienti, per un totale di euro 350.769,42, avendo percepito la minor somma di euro 237.407,90.
La Corte d’appello richiamava anche la sentenza del Tribunale, che aveva preso a riferimento il tetto di spesa per il 2009, quale fissato in data 24/6/2009, con deliberazione n. 43, in quanto le precedenti determinazioni n. 19 e n. 32 del 2009, che avevano previsto un diverso tetto di spesa per l’anno 2008, erano state annullate dal Tar.
Il Tribunale aveva evidenziato che la società, pur a fronte di un rigoroso piano di rientro del 2007, aveva continuato ad erogare prestazioni sanitarie anche successivamente al mese di luglio 2009, pur non essendovi obbligata e nonostante la natura delle prestazioni rese.
L’arricchimento – a giudizio del Tribunale – non poteva riconoscersi, in quanto implicitamente escluso nel momento in cui l’ente regionale aveva fissato il tetto di spesa.
6.1. Quanto al primo motivo d’appello, per la Corte d’appello, anche per le prestazioni rese dal gennaio al luglio del 2009 doveva trovare applicazione il tetto di spesa stabilito per l’anno 2009 con delibera del commissario ad acta n. 43 del 24/6/2009, che faceva riferimento al tetto di spesa dell’anno 2007, pari ad euro 308.611,00, decurtato della percentuale del 18,79%.
Del resto, anche se il budget relativo all’anno 2009 era stato reso noto soltanto nel mese di luglio del 2009, tuttavia la società ben avrebbe potuto avere in considerazione l’entità delle somme indicate per le prestazioni dell’anno precedente.
In particolare, la società «essendo stata annullata la delibera con cui era stato fissato il budget di spesa relativo all’anno 2008, avrebbe potuto far riferimento – come parametro per la programmazione della propria attività – a quello stabilito per anno 2007, piuttosto che,
come fatto, continuare ad erogare prestazioni al di fuori di ogni necessità ed in misura anche maggiore rispetto a quanto convenzionalmente pattuito nello stesso 2007».
La società, del resto, era a conoscenza «dei vincoli di decurtazione contenuti nelle leggi di finanza pubblica e della grave situazione in cui versava la Regione Abruzzo».
Per la Corte territoriale, dunque, il criterio della retroattività nella fissazione dei tetti massimi di spesa non rinveniva un limite nell’affidamento del privato.
6.2. La Corte d’appello reputava non fondato il secondo motivo di gravame.
Per la Corte territoriale, attraverso l’individuazione del limite di spesa da parte della azienda sanitaria, viene inequivocabilmente manifestato il diniego ad una spesa superiore, ovvero la sua volontà contraria a prestazioni ulteriori rispetto a quelle il cui corrispettivo rientrava nel limite di spesa.
Ciò conferisce all’arricchimento della pubblica amministrazione il carattere «imposto», rendendo impossibile l’azione ex art. 2041 c.c.
6.3. Era fondato, invece, il terzo motivo di gravame della società.
Il Tribunale aveva omesso di trattare l’ulteriore questione per cui l’ASL di Pescara aveva corrisposto per le prestazioni dell’anno 2009 alla società la cifra di euro 237.407,90, inferiore al budget fissato per l’anno 2009, pari ad euro 250.928,00 con una differenza di euro 13.520,10 corrispondente a quanto riscosso dalla struttura a titolo di ticket versato dei pazienti.
In realtà, tale importo non poteva essere computato nei budget , come stabilito a pagina 4 n. 12 del contratto stipulato nell’anno 2007 (ultimo sottoscritto dalle parti), il quale prevedeva che i ticket non venivano conteggiati per il calcolo complessivo («al netto della spesa
per mobilità sanitaria extraregionale e dei ticket a carico dell’assistito»).
Era stata infatti annullata dal Tar dell’Aquila la nota commissariale n. 1653 del 2008, con cui si comunicava alle Asl abruzzesi di inserire i ticket nel conteggio del budget complessivo sin dal 2008, diversamente da quanto previsto nel contratto.
Il ticket veniva infatti pagato dai privati per i costi sostenuti da chi aveva effettivamente erogato la prestazione.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso principale per cassazione la Asl di Pescara (RG 3688/2023), in quanto il ricorso è stato spedito il 30/1/2023 alle 12,19, con successiva iscrizione a ruolo.
Ha proposto ricorso incidentale per cassazione il Centro Fisiochinesiterapico della Dott.ssa COGNOME NOME & C (RG 3892/2023), in quanto il ricorso è stato spedito il 30/1/2023 alle 19,04.
Hanno resistito con controricorso sia la Asl di Pescara sia la società, depositando entrambe memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Anzitutto, deve disporsi la riunione, ex art. 335 c.p.c., del ricorso incidentale proposto dalla società (R.G. n. 3892/2023) al ricorso principale proposto dalla Asl (R.G. n. 3688/2023).
Ed infatti, il ricorso per cassazione dell’Asl è stato spedito lo stesso giorno di quello della società, ma in un orario anteriore, sicché deve essere definito come ricorso principale.
1.1.Con il primo motivo di ricorso principale la Asl deduce «art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, avendo il Giudice di appello omesso di considerare il fatto che in sede di ingiustificato arricchimento non può tenersi conto solo del limite del budget annuale di spesa fissato dalle determinazioni program-
matiche regionali, dovendosi invece tener conto anche del mancato introito costituito dal ticket degli utenti, che sarebbe stato incassato dalla Asl ove avesse provveduto in proprio all’erogazione dell prestazione».
Per la ricorrente, infatti, ai fini della determinazione della locupletatio di un’azienda in sede di ingiustificato arricchimento, sarebbe indefettibile considerare, non solo il costo delle prestazioni indicato nel budget annuale, «ma anche gli introiti che essa azienda sanitaria avrebbe acquisito per il tramite dei ticket sanitari pagati dagli utenti ed incassate direttamente, viceversa, dalla struttura privata».
Il Giudice d’appello ha escluso dalla quantificazione del budget di spesa i ticket sanitari, facendo riferimento al contratto precedentemente stipulato dalla società e riferito alle annualità 2005-2007, «senza prendere in esame il dato fattuale che il mancato introito dei ticket da parte dell’Asl di Pescara fosse un fatto determinante ai fini della quantificazione della locupletatio ».
Ai fini della determinazione dell’ingiustificato arricchimento dovevano essere presi in considerazione esclusivamente due indici: la spesa stabilita nei limiti del budget , ossia il costo che la Pubblica Amministrazione avrebbe sostenuto; gli eventuali introiti costituiti dai ticket sanitari incassati dei pazienti non esenti.
Il contratto stipulato tra le parti per il triennio 2005-2007, come pure la nota del commissario ad acta del 22/7/2009, con cui si specificava che il ticket sanitario era da ricomprendere nei budget di spesa annuali, «sono fatti che non possono incidere nella quantificazione dell’arricchimento».
In ambito contrattuale tali fatti avrebbero avuto incidenza.
Tuttavia, nella specie si era nell’ambito della responsabilità da ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c., prescindendosi quindi dal contratto.
2. Con il secondo motivo di ricorso principale la Asl lamenta «art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c., nonché dei principi di diritto in punto di quantificazione e liquidazione dell’indennizzo da ingiustificato arricchimento nella parte in cui, contrariamente al dettame normativo, il Giudice di Appello ha disposto la condanna della Pubblica Amministrazione oltre il limit dell’arricchimento».
Il Giudice d’appello, infatti, ha motivato l’accoglimento della domanda di ingiustificato arricchimento, per la differenza tra il budget fissato per l’anno 2009 (euro 250.928,00) e quanto corrisposto dalla casa di Pescara (euro 237.407,90), affermando che i ticket sanitari, incassati dalla struttura privata e non corrisposti dal Asl di Pescara (euro 13.520,10), non potevano essere ricompresi nel budget di spesa del 2009 perché diversamente previsto nel contratto relativo al triennio 2005-2007 e perché la nota esplicativa n. 1653 del 22/7/ 2009 del commissario ad acta disponeva viceversa l’inclusione dei ticket nei limiti di spesa, ma era stata annullata dal Tar Abruzzo.
Il quantum dell’arricchimento va parametrato al «depauperamento nei limiti dell’arricchimento».
Ciò significa che, laddove il depauperamento sia superiore all’arricchimento, l’indennizzo deve essere riconosciuto nei limiti dell’arricchimento, e non oltre.
L’indennizzo dunque è pari alla minor somma tra impoverimento ed arricchimento.
Pertanto, il budget di spesa del 2009, pari ad euro 250.928,00, deve essere diminuito dal mancato percepimento dei ticket sanitari da parte dell’Asl, pari ad euro 13.520,10, «invece incassati dalla struttura sanitaria privata, tale che l’arricchimento non può che essere determinato quindi in euro 237.407,90, somma debitamente corrisposta».
Con il terzo motivo di ricorso principale si deduce «art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 231/2022, articoli 1, 4 e 5, erroneamente applicati all’ipotesi ingiustificato arricchimento».
Il motivo è solo subordinato, in quanto l’accoglimento dei precedenti motivi comporterebbe l’assorbimento integrale della questione, stante la natura accessoria degli interessi rispetto al capitale.
Il Giudice d’appello ha condannato la Asl al pagamento della sorte capitale maggiorata degli interessi moratori ex d.lgs. n. 231 del 2002.
Tuttavia, la controversia ha ad oggetto un’azione di indebito arricchimento, non un’azione di responsabilità contrattuale risarcitoria.
Il d.lgs. n. 221 del 2002 si applica ai pagamenti effettuati a titolo di corrispettivo in una «transazione commerciale», ossia ai contratti tra imprese o tra imprese e Pubbliche Amministrazioni.
Nella specie, invece, è assente il contratto.
In realtà, il debito di chi si arricchisce senza causa è di valore e non di valuta, per cui nel ristabilire l’equivalenza dovuta o la relativa diminuzione patrimoniale deve tenersi conto anche della minore capacità di acquisto della moneta.
Si opera dunque il regime del cumulo di rivalutazione ed interessi.
Con il primo motivo di ricorso incidentale della società si deduce «violazione e/o falsa applicazione, anche in combinato disposto, dell’art. 2041 c.c. e degli articoli 8quinquies e 8sexies del d.lgs. n. 502 del 1992, così come pure letti e interpretati alla luce delle sentenze dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 3/2012 e n. 4/ 2012 e del parere del Consiglio di Stato n. 2671/2016, nonché nel quadro delineato dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 10798/2015».
In sostanza, per la ricorrente incidentale le prestazioni erogate dal 1° gennaio 2009 al 17 luglio 2009 «devono essere remunerate sulla base del tetto di spesa dell’anno 2007», mentre le prestazioni rese dal 18/7/2009 al 31/12/2009 devono essere remunerate sulla base del tetto di spesa dell’anno 2009.
Il tetto di spesa dell’anno 2007, pari a complessivi euro 308.611,00, ammontava ad euro 205.740,06 per i mesi da gennaio a luglio.
Il tetto di spesa per l’anno 2009, pari a complessivi euro 250.928,00, ammontava ad euro 92.515,14 per i mesi da agosto a dicembre.
Se ne deduce che il Centro, nell’anno 2009, avrebbe potuto erogare prestazioni entro il limite di euro 298.255,2, ossia euro 205.740,06 + euro 92.515,14.
Il Centro, nell’anno 2009, ha erogato prestazioni per complessivi euro 351.083,02.
Pertanto, deve ritenersi esclusa la remunerabilità delle prestazioni rese oltre il limite di euro 298.255,2.
Dovrebbero invece ritenersi remunerabili tutte le prestazioni erogate entro quel limite.
La ASL di Pescara, invece, pur essendo obbligata a remunerare il Centro per euro 298.255,2, si è limitata a corrispondere un importo di euro 237.470,90.
Spetta al centro un importo residuo di euro 60.847,3 (euro 298.255,2 – euro 237.407,90).
La Corte d’appello, invece, ha condannato la Asl a pagare al Centro un indennizzo di soli euro 13.520,10.
L’errore in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello sarebbe stato quello di aver valutato «sulla base del tetto di spesa dell’anno 2009 anche la legittimità delle remunerazioni relative alle prestazioni ero-
gate dal 1° gennaio 2009 al 17 luglio 2009 (non solo di quelle relative alle prestazioni erogate dal 18 luglio 2009 al 31 dicembre 2009)».
L’errore sarebbe consistito nella «utilizzazione del tetto di spesa dell’anno 2009 quale parametro di valutazione della legittimità delle remunerazioni corrisposte dall’Asl in relazione alle prestazioni erogate dal Centro nel periodo intercorso dal 1° gennaio 2009 al 17 luglio 2009».
Di qui l’errore di liquidare l’ingiustificato arricchimento nella somma di euro 13.520,10, anziché euro 60.847,3, con una differenza di euro 47.327,2.
Per la ricorrente incidentale, sino alla definitiva adozione del tetto annuale di spesa, il parametro da utilizzare è costituito dal tetto di spesa dell’anno precedente.
La Corte d’appello avrebbe dovuto utilizzare dunque il tetto di spesa dell’anno 2007 quale parametro per le prestazioni erogate dall’1/1/2009 al 17/7/2009, e il tetto di spesa dell’anno 2009 quale parametro per le prestazioni erogate dal 18/7/2009 31/12/2009.
Con il secondo motivo di ricorso incidentale si deduce la «nullità della sentenza impugnata, per contraddittorietà della motivazione, nella parte in cui la Corte d’Appello ha valutato sulla base del tetto di spesa dell’anno 2009 la legittimità di tutte le prestazioni erogate e di tutte le remunerazioni corrisposte in quell’anno, pur avendo dichiarato in motivazione che sino alla definitiva adozione del tetto di spesa anzidetto (17 luglio 2009) la legittimità di quelle erogazioni e di quelle remunerazioni si sarebbe dovuta valutare sulla base del tetto di spesa dell’anno 2007».
Vi sarebbe difformità tra motivazione e dispositivo.
Con il terzo motivo di impugnazione incidentale si lamenta «omessa valutazione del fatto che dal 1° gennaio 2009 al 17 luglio 2009 il tetto di spesa dell’anno 2009 non era ancora stato adottato
e che, di conseguenza, il Centro e la Asl di Pescara avevano operato in conformità ai vincoli economico-finanziari desumibili dal tetto di spesa dell’anno 2007».
La Corte d’appello avrebbe omesso di esaminare un fatto decisivo per il giudizio.
La Corte territoriale non avrebbe considerato che nel periodo intercorso dal 1/1/2009 al 17/7/2009 il tetto di spesa dell’anno 2009 non era stato ancora adottato e che, di conseguenza, il Centro e la Asl avevano operato in conformità ai vincoli economico-finanziari desumibili dal tetto di spesa dell’anno 2007.
Vanno esaminati preliminarmente i tre motivi di ricorso incidentale articolati dalla società, in quanto risulta pregiudiziale alla decisione della presente controversia l’individuazione dei tetti di spesa applicabili nell’anno 2009.
7.1. Tali motivi sono infondati.
Non può, infatti, essere accolta la tesi della società per la quale, per i mesi dal gennaio al luglio del 2009, debbano applicarsi i tetti di spesa relativi all’anno 2007, ed in particolare il tetto di spesa relativo a tali mesi, pari ad euro 205.740,06, in luogo del tetto di spesa stabilito con delibera del commissario ad acta n. 43 del 24/6/2009, nella percentuale del 18,79% del tetto di spesa del 2007, computato in euro 308.611,00.
Per la società, poiché il Tar dell’Aquila con la sentenza n. 82 del 2010 aveva annullato le delibere del commissario ad acta n. 19 del 26/3/2009 e n. 32 del 19/5/2009, che avevano determinato il tetto di spesa per l’anno 2008, per il 2009 (dal mese di gennaio al mese di luglio del 2009) doveva farsi riferimento al tetto di spesa del 2007, e non al tetto di spesa individuato, per il 2009, dalla delibera del commissario ad acta n. 43 del 24/6/2009.
In realtà, come si spiegherà di seguito, i tetti di spesa possono sopraggiungere anche successivamente, pure a distanza di due o tre anni, come stabilito dal Consiglio di Stato in recenti pronunce (Ad. Plen. n. 3 e n. 4 del 2012; Cons. Stato, 4/6/2024, n. 5010), purché in un termine ragionevole.
8.1. Va premesso un breve quadro normativo in materia di determinazione dei tetti di spesa regionali.
L’art. 26 della legge 23/12/1978, n. 833 (prestazioni di riabilitazione) stabilisce che «le prestazioni sanitarie dirette al recupero funzionale e sociale dei soggetti affetti da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali, dipendenti da qualunque causa, sono erogate dalle unità sanitarie locali attraverso i propri servizi. L’Unità sanitaria locale, quando non sia in grado di fornire il servizio direttamente, vi provvede mediante convenzioni con istituti esistenti nella regione in cui abita l’utente o anche in altre regioni, aventi i requisiti indicati dalla legge, stipulate in conformità ad uno schema tipo approvato dal Ministro della Sanità, sentito il consiglio sanitario nazionale».
8.2. L’art. 1 del d.lgs. n. 502 del 1992 prevede una programmazione sanitaria, che si articola in un piano sanitario nazionale di durata triennale e un piano sanitario regionale (art. 1, comma 9: «il piano sanitario nazionale ha durata triennale ed è adottato dal governo entro il 30 novembre dell’ultimo anno di vigenza del piano precedente. Il piano sanitario nazionale può essere modificato nel corso del triennio con la procedura di cui al comma 5»).
Ai sensi del comma 2 dell’art. 1 del d.lgs. n. 502 del 1992, vengono in rilievo i LEA (livelli essenziali di assistenza), prevedendosi poi che «il servizio sanitario nazionale assicura, attraverso le risorse finanziarie pubbliche individuate ai sensi del comma 3 e in coerenza con i principi e gli obiettivi indicati dagli articoli 1 e 2 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, i livelli essenziali e uniformi di assistenza
definiti dal piano sanitario nazionale nel rispetto dei principi della dignità della persona umana, del bisogno di salute, dell’equità nello accesso all’assistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, nonché dell’economicità nello impiego delle risorse».
Il piano sanitario regionale è disciplinato dall’art. 1, comma 13, del d.lgs. n. 502 del 1992.
8.3. Quanto ai tetti di spesa, prevede l’art. 12 del d.lgs. 30/12/ 1992, n. 502 (Fondo sanitario nazionale) che «il fondo sanitario nazionale è ripartito con riferimento al triennio successivo entro il 15 ottobre di ciascun anno, in coerenza con le previsioni del disegno di legge finanziaria per l’anno successivo, dal CIPE la quota capitaria di finanziamento da assicurare alle regioni viene determinata sulla base di un sistema di coefficienti parametrici ».
L’art. 32, comma 8, della legge 27/12/1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica) stabilisce che «le regioni, in attuazione della programmazione sanitaria ed in coerenza con gli indici di cui all’art. 2, comma 5, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 individuano preventivamente per ciascuna istituzione sanitaria pubblica e privata, ivi compresi i presidi ospedalieri di cui al comma 7, o per gruppi di istituzioni sanitarie, i limiti massimi annuali di spesa sostenibile con il fondo sanitario e i preventivi annuali delle prestazioni, nonché gli indirizzi e le modalità per la contrattazione di cui all’art. 1, comma 32, della legge 23 dicembre 1996, n. 662».
L’art. 39 (Ripartizione del fondo sanitario nazionale) del d.lgs. 15/12/1997, n. 446, prevede poi «Il CIPE su proposta del Ministro della Sanità, d’intesa con la conferenza Stato-Regioni, delibera annualmente l’assegnazione in favore delle regioni, a titolo di acconto, delle quote del fondo sanitario nazionale di parte corrente».
9. Questa Corte, con plurime decisioni, ha ritenuto che l’osservanza del tetto di spesa in materia sanitaria rappresenta un vincolo ineludibile che costituisce la misura delle prestazioni sanitarie che il servizio sanitario nazionale può erogare e che può permettersi di acquistare da ciascun erogatore privato, con la conseguenza che deve considerarsi giustificata (anche) la mancata previsione di criteri di remunerazione delle prestazioni extra budget per la necessità di dover comunque rispettare i tetti di spesa e, quindi, il vincolo delle risorse disponibili (Cass., sez. 3, 29/10/2019, n. 27608; che richiama Cons. Stato, sez. III, 10/2/2016, n. 566; Cons. Stato, sez. III, 10/4/2015, n. 1832; poi Cass., sez. 3, 6/7/2020, n. 13884; di recente Cass., sez. 1, 6/12/2024, n. 31364).
Si è affermato che, alla base di tali conclusioni, si collocano stringenti indirizzi normativi (art. 32, comma 8, legge 27/12/1997, n. 449; art. 12, comma 3, d.lgs. 23/12/1992, n. 502; art. 39 del d.lgs. 15/12/1997, n. 446), in base ai quali, in condizioni di scarsità di risorse e di necessario risanamento del bilancio, anche il sistema sanitario non può prescindere dall’esigenza di perseguire obiettivi di razionalizzazione finalizzati al raggiungimento di una situazione di equilibrio finanziario, attraverso la programmazione e pianificazione autoritativa e vincolante dei limiti di spesa dei vari soggetti operanti nel sistema (Cass. n. 31364 del 2024).
9.1. Si tratta dell’esercizio di un potere connotato da ampi margini di discrezionalità, in quanto deve bilanciare interessi diversi e per certi aspetti contrapposti, ovvero l’interesse pubblico al contenimento della spesa, il diritto degli assistiti alla fruizione di adeguate prestazioni sanitarie, le aspettative degli operatori privati che si muovono in base ad una legittima logica imprenditoriale e l’assicurazione della massima efficienza delle strutture pubbliche garantiscono l’assistenza sanitaria a tutta la popolazione secondo i caratteri
tipici di un sistema universalistico (Cass., sez. 3, n. 27608 del 2019; Cass. n. 31364 del 2024).
Inoltre, si è precisato che il perseguimento degli interessi collettivi e pubblici compresenti nella materia non può restare subordinato e condizionato agli interessi privati i quali, per quanto meritevoli di tutela, risultano cedevoli e recessivi rispetto a quelli pubblici. Vi è dunque la necessità di rivedere l’offerta complessiva delle prestazioni messe a disposizione dei soggetti privati utilizzando al meglio le potenzialità delle strutture pubbliche al fine di garantire il loro massimo rendimento a fronte degli ingenti investimenti effettuati in termini finanziari organizzativi (Cass. n. 27608 del 2019; poi anche Cass. n. 13884 del 2020; Cass. n. 31364 del 2024).
9.2. Con l’ulteriore chiarimento per cui, stante il carattere recessivo degli atti concordati convenzionali, solo il mancato superamento del tetto di spesa dà il diritto alla struttura sanitaria accreditata di ottenere la remunerazione delle prestazioni erogate; ciò costituisce un elemento costitutivo della pretesa creditoria, con la conseguenza che quando le prestazioni erogate dalle strutture sanitarie provvisoriamente accreditate superino i tetti di spesa non vi è alcun obbligo dell’Asl di acquistare e pagare le prestazioni suddette (Cass., n. 27608 del 2019; Cass. n. 31364 del 2024).
Pertanto, in caso di superamento del tetto di spesa la remunerazione risulta inesigibile, dovendosi giudicare corretta la condotta della Asl, stante la ricorrenza di un obbligo ex lege avente carattere prevalente rispetto agli accordi negoziali, risolvendosi tale obbligo in un factum principis non imputabile, cui la Asl e la regione non avrebbero potuto sottrarsi (Cass. n. 27608 del 2019; Cass. n. 31364 del 2024).
9.3. Del resto, alla struttura accreditata viene data la possibilità di rifiutare la prestazione, essendovi un obbligo solo per il servizio
sanitario nazionale di erogare le prestazioni sanitarie all’utenza. Al contrario, la struttura privata accreditata non ha obbligo di rendere le prestazioni agli assistiti oltre il tetto di spesa (Cons. Stato, sez. III, 7/1/2014, n. 2; Cons. Stato, sez. V, 30/4/2003, n. 2253; entrambe richiamate in motivazione nella sentenza di questa Corte n. 27608 del 2019; anche Cass. n. 31364 del 2024).
Deve dunque ribadirsi il principio per cui, in tema di pretese creditorie della struttura sanitaria provvisoriamente accreditata per le prestazioni erogate nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale, il superamento della capacità operativa massima (C.O.M.) costituisce un fatto impeditivo della remunerazione delle prestazioni erogate dalla struttura privata, della cui prova è onerato il debitore. Il mancato superamento del tetto di spesa, fissato secondo le norme di legge e nei modi da esse previsti, non integra un fatto costitutivo, la cui prova deve essere posta a carico della struttura accreditata, ma rileva come fatto impeditivo il suo avvenuto superamento, con conseguente onere della prova a carico della parte debitrice (Cass., sez. 1, 2/03/2021, n. 5661; Cass., sez. 6-2, 16/4/2021, n. 10182, per cui grava sulla Asl la dimostrazione del fatto, non costitutivo del diritto dell’attore ma impeditivo dell’accoglimento della pretesa della struttura sanitaria accreditata, rappresentato dal superamento del tetto di spesa, nel qual caso non è possibile configurare alcun diritto della struttura accreditata ad ottenere il pagamento di prestazioni eseguite oltre tale limite; anche Cass., sez. 1, 13/2/2023, n. 4375; Cass., sez. 1, 27/9/2018, n. 23324; Cass., sez. 3, 6/7/2020, n. 13884; Cass., 6/12/2024, n. 31364).
9.4. Nessun rilievo può essere conferito al principio di affidamento, perché quello della regressione tariffaria è un meccanismo convenzionalmente accettato dalle strutture sanitarie che operano nell’ambito del sistema sanitario nazionale, a prescindere dalle mo-
dalità esecutive del monitoraggio suscettibile di essere demandato ad eventuali tavoli tecnici (Cass., sez. 1, 13/2/2023, n. 4375; Cass. n. 31364 del 2024).
Si è anche precisato che la circostanza che la delibera con cui si accerta il superamento del tetto di spesa sia comunicata o meno «non possiede alcuna incidenza sul profilo del pagamento della prestazione, proprio perché l’elemento impeditivo della remunerazione è integrato dal semplice fatto del superamento dei livelli di spesa» (Cass. n. 4375 del 2023; Cass. n. 31364 del 2024).
Si è anche osservato che vale il principio per cui l’esercizio del potere di fissare la regressione tariffaria, al fine di osservare i limiti di spesa, non è subordinato o condizionato all’esecuzione del monitoraggio delle prestazioni erogate, né al ritardo o imprecisione nell’adempimento all’obbligo di eseguire i controlli per il tramite dei tavoli tecnici, perché essi sono organi di fonte contrattuale a cui partecipano pure i rappresentanti aziendali e delle associazioni di categoria più rappresentative (Cons. Stato., n. 207 del 2016; richiamata da Cass. n. 4375 del 2023; Cass n. 31364 del 2024).
Non rileva, dunque, la tardività del monitoraggio né quella relativa all’attività imputabile al Tavolo Tecnico.
A queste considerazioni deve aggiungersi che fisiologicamente l’individuazione dei tetti di spesa giunge successivamente all’esercizio in corso ed anche dopo la stipulazione del contratto costituendo una sorta di rischio di impresa per le società.
Di qui, dunque, la precisazione per cui i tetti di spesa possono giungere anche successivamente rispetto alla stipulazione del contratto.
Infatti, si è osservato che «la retroattività dell’atto di determinazione della spesa non vale ad impedire agli interessati di disporre di un qualunque punto di riferimento regolatore per lo svolgimento
della loro attività», in quanto è evidente che «in un sistema nel quale è fisiologica la sopravvenienza dell’atto determinativo della spesa solo in epoca successiva all’inizio di erogazione del servizio, gli interessati potranno aver riguardo – fino a quando non risulti adottato un provvedimento – all’entità delle somme contemplate per le prestazioni dei professionisti o delle strutture sanitarie dell’anno precedente, diminuite, ovviamente, della riduzione della spesa sanitaria effettuata dalle norme finanziarie dell’anno in corso» (Cons. Stato, Ad. Plen., 12 aprile 2012, n. 3; successivamente Cons. Stato, sez. 3, 23 ottobre 2020, n. 6437).
La prassi sopra menzionata attiene alla verifica dell’eventuale affidamento incolpevole delle strutture sanitarie, che hanno già stipulato il contratto, con riferimento a successive delibere che modifichino, in corso d’opera, i tetti di spesa.
11. In tal senso si è pronunciata la Corte costituzionale, con sentenza n. 203 del 2016, su plurime questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 14, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135.
Tale disposizione recitava infatti così: «a tutti i singoli contratti e a tutti i singoli accordi vigenti nell’esercizio 2012, ai sensi dell’art. 8quinquies del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, per l’acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati per l’assistenza specialistica si applica una riduzione dell’importo e dei corrispondenti volumi d’acquisto in misura percentuale fissa, determinata dalla regione o dalla provincia autonoma, tale da ridurre la spesa complessiva annua ».
Come si vede, si fa riferimento a «singoli contratti e a tutti i singoli accordi vigenti nell’esercizio 2012», quindi a contratti scritti già stipulati («vigenti»).
In questo contesto, la Corte costituzionale – pur precisando che la nuova norma incideva sì sui contratti già stipulati, ma con decorrenza dalla sua entrata in vigore, e quindi rispetto alle prestazioni non ancora eseguite dai soggetti accreditati – ha osservato che «la sopravvenienza dell’atto determinativo della spesa solo in epoca successiva all’inizio di erogazione del servizio ha carattere fisiologico», con la conseguenza che «l’operatore prudente e accorto non può non sapere di essere esposto a correttivi dei contenuti economici del contratto imposti in corso d’anno» (richiama Cons. Stato, Ad. Plen., 12/ 4/2012, n. 3 e n. 4; Cons. Stato, Ad. Plen., 2/5/2006, n. 8).
Del resto, i tetti di spesa possono anche essere individuati a distanza di tempo dal momento in cui le prestazioni sanitarie vengono rese dalle società accreditate.
Il recente indirizzo giurisprudenziale amministrativo è nel senso che è legittimo un controllo (con rideterminazione del fatturato ammesso a remunerazione) effettuato anche in tempi non strettamente prossimi all’anno oggetto della disposta regressione, purché possa considerarsi esercitato in tempi ragionevoli (Cons. Stato, sez. VI, 4/6/2024, n. 5010; Cons. Stato, sez. III, 22/1/2016, n. 207; Cons. Stato, 16/1/2013, n. 248).
Nel caso di specie le delibere n. 19 e 32 del commissario ad acta , di individuazione del tetto di spesa per l’anno 2008, pari ad euro 365.160,00, sono state annullate con sentenza del Tar dell’Aquila n. 82 del 2010, passata in giudicato.
Per tale ragione, la Corte d’appello ha correttamente individuato il tetto di spesa, per il periodo da gennaio a luglio 2009, facendo riferimento alla delibera del commissario ad acta n. 43 del 24/6/2009, che ha fissato il tetto di spesa relativo all’anno 2009, senza subire l’annullamento da parte del Tar.
Pertanto, correttamente, per l’intera annualità del 2009, la Corte d’appello ha fatto riferimento alla determina n. 43 del 24/7/2009 del commissario ad acta , sia per il periodo da gennaio a luglio 2009, che per il periodo da agosto a dicembre 2009.
Per il primo periodo il tetto di spesa è stato fissato in euro 205.740,06, mentre per il secondo periodo è stato fissato in euro 92.515,14.
Il limite di spesa per l’anno 2009, considerato unitariamente, è stato stabilito nella somma di euro 250.928,00, mentre i pagamenti dell’Asl sono stati effettuati per euro 237.407,90, residuando in favore della società la somma di euro 13.520,10.
A questo punto è possibile passare a valutare il ricorso principale, essendo stato chiarito il limite di spesa per l’anno 2009 e la somma spettante alla società, pari ad euro 13.520,10.
Il primo motivo di ricorso principale dell’Asl è inammissibile. Infatti, la Corte d’appello ha affrontato espressamente la questione dei ticket pagati dei privati, reputando che i ticket non dovessero essere considerati ai fini della individuazione del tetto di spesa annuale.
Pertanto, non v’è stata alcun omesso esame di fatto decisivo.
16. Il secondo motivo di ricorso principale è infondato.
Per la ricorrente principale Asl, infatti, la Corte territoriale avrebbe errato nell’affermare che l’individuazione dei tetti di spesa debba essere computata al netto dei ticket pagati dai soggetti privati fruitori del servizio sanitario accreditato.
Il Giudice d’appello si sarebbe limitato ad osservare che l’individuazione del tetto di spesa, per gli anni precedenti al 2008, è stata sempre determinata al netto dei ticket sanitari, mentre le delibere amministrative successive, e segnatamente quelle adottate dal commissario ad acta n. 19 e n. 32 del 2009, compresa la nota commis-
sariale n. 1653 del 22/7/2009, che hanno previsto l’individuazione del tetto di spesa al lordo dei ticket sanitari, erano state annullate dalla sentenza del Tar dell’Aquila n. 82 del 2010.
In realtà, la ricorrente ASL chiede che non venga riconosciuto alla società privata accreditata la somma di euro 13.520,10, che attiene appunto all’importo dei ticket versati del paziente in favore della società accreditate.
Il limite dell’arricchimento di cui all’art. 2041 c.c., dunque, dovrebbe comportare che dall’equivalente dell’ammontare delle prestazioni sanitarie erogate nell’anno 2009 dalla società dovrebbe decurtarsi il costo che la Asl di Pescara avrebbe sostenuto ove avesse erogato essa stessa le prestazioni sanitarie.
16.1. Tuttavia, tale ragionamento non è condivisibile.
Una volta accertato, infatti, che le prestazioni rese dalla società nell’anno 2009 sono al di sotto del tetto di spesa, per la somma di euro 13.520,10 (tetto di spesa fissato per il 2009 ad euro 250.928,00, a fronte di pagamenti effettuati dalla Asl pari ad euro 237.407,90), devono essere corrisposte le somme relative alle prestazioni effettivamente erogate, senza decurtazione dei ticket pagati dai privati (euro 13.520,10).
16.2. Il tetto di spesa non può essere raggiunto tenendo conto anche dei ticket sanitari erogati dai privati in favore della società accreditata.
Il tetto di spesa deve essere computato al netto dei ticket sanitari, che riguardano la compartecipazione del privato alla spesa pubblica.
Tant’è vero che la società accreditata, una volta percepiti i ticket sanitari, chiede all’Asl il rimborso esclusivamente dei costi sostenuti, senza considerare i ticket sanitari già incassati.
16.3. Del resto, come chiarito dalla società, ove si computassero, ai fini dell’individuazione del limite massimo del tetto di spesa, anche
i ticket sanitari pagati dai privati in favore delle strutture accreditate, si abbasserebbe il tetto di spesa.
È sufficiente osservare che l’art. 2041 c.c. può trovare applicazione nell’ambito delle prestazioni sanitarie rese dalle strutture private accreditate, esclusivamente ove, in assenza di contratto, restino al di sotto del limite di spesa, che rappresenta un provvedimento autoritativo di carattere discrezionale che non può in alcun modo essere eluso, stanti le insuperabili esigenze di carattere finanziario dello Stato e delle regioni (Cass., 25/11/2021, n. 36654; Cass., sez. 1, 22/2/2024, n. 4757; Cass., sez. 3, 6/7/2020, n. 13884; Cass., sez. 3, 24/9/2024, n. 25514).
Per le prestazioni rese oltre il tetto di spesa non può dunque configurarsi un arricchimento per l’Amministrazione sanitaria che, proprio nel fissare tale detto, ha inteso rilevare e sottolineare, già in via preventiva, che le prestazioni erogate al di fuori di esso vanno oltre i livelli essenziali di assistenza come dalla medesima individuati e che è in grado di sostenere (Cass., n. 36654 del 2021).
17. Ove, dunque, ai sensi dell’art. 2041 c.c., la Asl debba provvedere al ristoro delle spese sostenute dalle strutture private accreditate, attraverso il pagamento di un indennizzo correlativo alla diminuzione patrimoniale, sia pure nei limiti dell’arricchimento, non v’è dubbio che le prestazioni rese dalle società private debbano essere riconosciute integralmente, al netto dei ticket sanitari pagati dagli utenti del servizio.
Del resto, le società accreditate provvedono al sostenimento dei costi dei servizi in misura preponderante, mentre il pagamento dei ticket da parte dei privati copre il residuo; le società, però, chiedono allo Stato solo il rimborso di quanto effettivamente speso (il costo pari alla tariffa), senza computare il pagamento dei ticket ottenuto
da parte dei privati, che non è un esborso aggiuntivo rispetto al costo di erogazione della prestazione.
17.1. Se, dunque, il tetto annuale di spesa viene suddiviso in relazione alle spese unitarie sostenute, in relazione al prezzo di tariffa, le strutture private possono erogare un numero inferiore di prestazioni (tetto di spesa al lordo dei ticket ).
Questa è la tesi fatta propria dall’ASL.
17.2. Se, invece, il tetto annuale di spesa viene suddiviso in relazione alle spese unitarie sostenute, ma con decurtazione dell’importo dei singoli ticket erogati dai privati, il costo unitario della prestazione resta immutato, anche se una parte di esso viene coperta dal pagamento dei ticket (tetto di spesa al netto dei ticket ).
L’importo dei ticket , infatti, viene rimborsato direttamente alle società accreditate dai pazienti e non può, dunque, concorrere al raggiungimento del tetto di spesa annuale determinato dalle Regioni.
Tale importo non è rimborsato dalle ASL.
Questa è la tesi fatta propria dalla società.
18. Ciò significa che muovendo dall’ipotesi del calcolo del tetto di spesa «al netto dei ticket » – fatta propria dalle società private – e quindi detraendoli, ai fini dell’individuazione del tetto di spesa, potranno essere effettuate prestazioni in numero maggiore.
È sufficiente porre attenzione ad un tetto annuale di euro 100.000,00, a fronte di un costo unitario di prestazioni di euro 10,00, con un prezzo di tariffa pari ad euro 10,00 per il versamento di un ticket da parte dei privati dell’importo di euro 2,00.
In tal caso, le strutture private potranno erogare legittimamente un numero di prestazioni pari a 12.500 (euro 100.000,00 : euro 8= 12.500 prestazioni).
Per raggiungere il tetto di spesa annuale di euro 100.000,00, dunque, la società accreditata può effettuare numero 12.500 presta-
zioni. Di conseguenza, sottraendo all’indennizzo da ingiustificato arricchimento una somma pari all’importo dei ticket che i pazienti versano alle strutture private, si riduce l’ammontare del tetto di spesa delle stesse strutture.
Ed infatti, il ticket pagato dai privati sarebbe in questo caso di euro 25.000 (euro 2 X 12.500 prestazioni), per la somma di euro 25.000,00, dovrebbe essere detratta dall’importo di euro 100.000,00, ottenendosi il valore di euro 75.000,00, che, dunque, è parte integrante dell’indennizzo ex art. 2041.
Muovendo, invece, dall’ipotesi del calcolo del tetto di spesa «al lordo dei ticket » – fatta propria dalla ASL – e quindi conteggiandoli ai fini dell’individuazione del tetto di spesa, potranno essere effettuate prestazioni in numero inferiore.
È sufficiente porre attenzione ad un tetto annuale di euro 100.000,00, a fronte di un costo unitario di prestazioni di euro 10,00, con un prezzo di tariffa pari ad euro 10,00 per il versamento di un ticket da parte dei privati dell’importo di euro 2,00.
In tal caso, le strutture private potranno erogare legittimamente un numero di prestazioni inferiore.
In questo caso le prestazioni sarebbero solo 10.000 (euro 100.000 : euro 10 = 10.000 prestazioni).
Inoltre, deve tenersi conto della circostanza che l’importo dei ticket pagati dei privati deve essere versato al soggetto che in concreto ha erogato la prestazione.
Pertanto, la Asl ha diritto a percepire i ticket pagati dai privati, solo nell’ipotesi in cui abbia materialmente erogato essa le prestazioni.
La Asl non può vantare tale diritto quando, come nella specie, le prestazioni siano state rese dalle società private accreditate.
Se, dunque, le prestazioni sono state erogate dalla Asl, e quindi il costo delle prestazioni è stato sostenuto dalla Asl, l’importo del ticket deve essere versato all’Asl; al contrario, se le prestazioni sono state erogate dalle strutture private, e quindi se il costo delle prestazioni erogate è stato sostenuto dalle strutture private, l’importo del ticket deve essere versato proprio a tali strutture.
L’indennizzo da ingiustificato arricchimento deve allora essere calcolato esclusivamente sulla quota di rimborso dei costi dovuta dalle Asl.
Tale quota viene ovviamente scomputata dell’importo dei ticket pagati dei privati.
Di recente, si è osservato che in tema di prestazioni sanitarie in regime di convenzionamento, ai fini del tetto massimo rimborsabile alla struttura, in difetto di espressa previsione in tal senso nella convenzione, non può calcolarsi anche la somma a carico del privato, poiché tale computo è contrario alla ” ratio ” del limite massimo, che è quella di porre un tetto alla spesa pubblica, ossia al rimborso a carico dell’ASL, a cui non concorre, pertanto, la somma a carico del privato (Cass., sez. 3, 18/5/2023, n. 13779).
22.1. Deve, quindi, essere enunciato il seguente principio di diritto: « In tema di ingiustificato arricchimento in materia di accreditamento sanitario, in assenza di contratto scritto stipulato con la pubblica amministrazione, l’arricchimento della Asl è determinato dal costo che la stessa avrebbe dovuto sostenere per procurarsi le medesime prestazioni, al netto dei ticket sanitari pagati dai pazienti ».
Risulta fondato, invece, il terzo motivo di ricorso principale.
23.1. Effettivamente, poiché si è al di fuori dell’ambito contrattuale, trattandosi di domanda di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c., è evidente che non possono trovare applicazione gli inte-
ressi da ritardo nelle transazioni commerciali che prevedono, appunto, la stipulazione di un contratto.
Ed infatti, per questa Corte il credito indennitario ex art. 2041 c.c., per l’espletamento di prestazioni professionali in favore della Pubblica Amministrazione in assenza di un valido contratto scritto, va liquidato alla stregua dei valori monetari corrispondenti al momento della relativa pronuncia, dovendo il giudice tenere conto della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla decisione, anche di ufficio, a prescindere dalla prova della sussistenza di uno specifico pregiudizio dell’interessato dipendente dal mancato tempestivo conseguimento dell’indennizzo medesimo, producendo, inoltre la somma così liquidata interessi da liquidarsi al tasso legale, e non ai sensi dell’art. 9 della legge 2 marzo 1949, n. 143, decorrenti dalla data dell’arricchimento della pubblica amministrazione, ovvero dal momento del completo espletamento della prestazione in suo favore (Cass., sez. 6-3, 2/12/2022, n. 35480).
L’indennizzo ex art. 2041 c.c., in quanto credito di valore, va liquidato alla stregua dei valori monetari corrispondenti al momento della relativa pronuncia ed il giudice deve tenere conto della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla decisione, anche di ufficio, a prescindere dalla prova della sussistenza di uno specifico pregiudizio dell’interessato dipendente dal mancato tempestivo conseguimento dell’indennizzo medesimo. La somma così liquidata produce interessi compensativi, i quali sono diretti a coprire l’ulteriore pregiudizio subito dal creditore per il mancato e diverso godimento dei beni e dei servizi impiegati nell’opera, o per le erogazioni o gli esborsi che ha dovuto effettuare, e decorrono dalla data della perdita del godimento del bene o degli effettuati esborsi, coincidente con quella dell’arricchimento (Cass., sez. 6-3, 2/12/2022, n 35480).
La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello dell’Aquila, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il terzo motivo di ricorso principale della ASL; rigetta gli altri motivi,; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello dell’Aquila, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-q uater , del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 luglio 2025