Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9135 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9135 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9826/2022 R.G. proposto da : COMUNE DI COGNOME, in persona del Sindaco e legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME;
-ricorrente-
sul controricorso incidentale proposto da
COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
–
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di PALERMO n. 220/2022 depositata il 11/02/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/02/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2014 il sig. COGNOME NOME conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Agrigento, il Comune di Cammarata per sentirlo condannare, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2041 c.c., al pagamento di Euro 28.500,00, o di altra somma ritenuta congrua, per la diminuzione patrimoniale subita a seguito della sentenza n. 96/2012 della Corte d’Appello di Palermo, passata in giudicato, con la quale i giudici palermitani avevano condannato il COGNOME, n.q. di Direttore dei lavori, ex art. 23, comma 4, d.l. n. 66/1989, al pagamento del compenso di alcuni lavori materialmente eseguiti e non previsti nel progetto principale, finalizzati al completamento dell’opera, liquidato in Euro 22.667,42, oltre accessori e spese, in favore di Girgenti Salvatore, titolare della omonima impresa appaltatrice dei lavori di collegamento della INDIRIZZO con la INDIRIZZO del Comune di Cammarata.
Con sentenza n. 17/2017, il Tribunale di Agrigento, in via preliminare, rigettava l’eccezione sollevata da parte attrice sulla tardività della costituzione dell’ente locale; nel merito: a) rigettava l’eccezione sollevata dal Comune sulla inammissibilità della domanda ex art. 2041 c.c., confutando che il COGNOME potesse agire ex art. 35 d.lgs. n. 77/1995 nei confronti dell’allora Sindaco pro tempore; b) accoglieva l’eccezione di prescrizione sollevata dal Comune di Cammarata, considerando quale dies a quo la data di
conclusione dei lavori e della prestazione professionale del COGNOME; c) rilevava la carenza di prova circa la deminutio patrimonii asserita dell’attore, requisito necessario per l’accoglimento della domanda ex art. 2041 c.c. Di talché, rigettava la domanda e condannava il COGNOME al pagamento delle spese processuali.
NOME COGNOME proponeva appello, cui resisteva il Comune di Cammarata con suo appello incidentale.
La Corte d’Appello di Palermo, con sentenza n. 220/2022, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava non prescritta e fondata nel merito l’azione di ingiustificato arricchimento e per l’effetto condannava il Comune al pagamento, in favore del COGNOME, di Euro 22.667,42, oltre interessi dalla domanda al soddisfo, nonché al pagamento delle spese processuali.
Il Comune di Cammarata ha impugnato per cassazione la sentenza d’appello con ricorso affidato a quattro motivi.
3.1. NOME COGNOME resiste con controricorso contenente ricorso incidentale condizionato. Ha depositato memoria. Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo, il Comune di Cammarata denuncia «erronea applicazione dell’art. 2946 c.c. in relazione all’art. 2041 c.c. Intervenuta prescrizione dell’azione di ingiustificato arricchimento per decorrenza del termine decennale».
Censura la sentenza di appello nella parte in cui la Corte territoriale avrebbe applicato erroneamente la norma di cui all’art. 2946 c.c. in relazione all’azione di ingiustificato arricchimento; deduce che quest’ultima, per dottrina e giurisprudenza costanti, si prescrive nel termine ordinario di dieci anni.
Di poi, si duole della errata individuazione, da parte dei Giudici d’appello, del dies a quo della prescrizione, nella misura in cui hanno ritenuto che l’indennizzo in ipotesi dovuto al professionista ex art. 2041 c.c. sia correlato e correlabile all’importo dallo stesso versato a titolo contrattuale in favore dell’Impresa RAGIONE_SOCIALE in esecuzione della sentenza n. 96 del 2012 della Corte d’Appello e che l’irrevocabilità della suddetta sentenza abbia determinato l’impoverimento del Caracciolo.
Sostiene, di contro, che nel caso di specie il termine decennale di prescrizione dell’azione di ingiustificato arricchimento sarebbe iniziato a decorrere dalla data in cui vennero eseguiti e/o ultimati i lavori non previsti nel progetto principale né nella perizia di variante e suppletiva; lavori ed opere che, come risulterebbe per tabulas dall’atto di citazione notificato all’attore dall’Impresa RAGIONE_SOCIALE il 18/01/2001, risalgono incontestatamente all’anno 1989.
4.2. Con il secondo motivo, parte ricorrente si duole della «erronea applicazione dell’art. 2041 c.c. per carenza del requisito della residualità. Inammissibilità dell’azione esperita».
Deduce che l’azione di ingiustificato arricchimento, per il suo carattere sussidiario, deve ritenersi esclusa ogni qualvolta il danneggiato, in ragione di una valutazione da compiersi in astratto, possa esercitare un’altra azione per ottenere ristoro del pregiudizio subìto; asserisce, in proposito che, nel caso di specie, il COGNOME, in quanto professionista esterno, destinatario di un incarico di progettazione corredato da relativo disciplinare d’incarico, fosse titolare di un’azione diretta in regresso, ex art. 35 d.lgs. n. 77/1995, nei confronti del Sindaco pro tempore , ossia colui che la sentenza n. 96/2012 della Corte d’Appello di Palermo espressamente individuava come il soggetto che il 13/04/1989 impartiva oralmente al COGNOME la disposizione di eseguire i lavori de quibus .
4.3. Con il terzo motivo viene denunciata «erronea applicazione dell’art. 2041 c.c. sotto il profilo della quantificazione dell’indennizzo riconosciuto al professionista in relazione al presunto impoverimento patito in quanto correlato a parametri contrattuali. Erronea applicazione dell’art. 23 comma 4 del D.L. n. 66 del 1989. Erronea e/o omessa applicazione dell’art. 1226 c.c.».
Si duole del fatto che la Corte territoriale abbia ritenuto di condannare il Comune di Cammarata, in relazione al quantum debeatur , al pagamento, in favore del COGNOME e a titolo di indennizzo, dell’importo di Euro 22.667,42 oltre interessi dalla domanda al soddisfo, ossia al medesimo importo che il COGNOME è stato a sua volta condannato a pagare in forza della sentenza n. 96/2012 della Corte d’Appello di Palermo in favore dell’Impresa RAGIONE_SOCIALE che lo ha convenuto in giudizio a titolo contrattuale.
Denuncia, al riguardo, un ‘palese vizio di legittimità’ della gravata sentenza, nella misura in cui il petitum e la causa petendi sottesi all’azione di arricchimento ingiustificato esperita dal COGNOME contro il Comune sarebbero del tutto difformi dal petitum e dalla causa petendi sottesi all’azione contrattuale subita dallo stesso COGNOME e in esito alla quale egli, nel gennaio 2012, è risultato soccombente in favore dell’Impresa RAGIONE_SOCIALE
Ritiene, inoltre, che la scelta di parametrare l’entità dell’indennizzo riconosciuto al COGNOME nella sentenza impugnata sulla base della quantificazione operata dalla sentenza n. 96/2012 della Corte d’Appello di Palermo implicherebbe la erronea applicazione sia dell’art. 23, comma 4, d.l. n. 66/1989 che dell’art. 2041 c.c.
Deduce che nei gradi di merito nessuna prova è stata fornita dal COGNOME in merito all’impoverimento subìto, tenuto conto delle effettive spese anticipate per l’esecuzione dell’opera e del mancato guadagno, e richiama in proposito il precedente di questa Corte (Sez. 1, Ordinanza n. 14670 del 29/05/2019) secondo cui ‘la diminuzione patrimoniale (‘ depauperatio ‘) subita dall’autore di una
prestazione d’opera in favore della P.A., in assenza di un contratto valido ed efficace, da compensare ai sensi dell’art. 2041 c.c., non può essere fatta coincidere con la misura del compenso calcolato mediante il parametro della tariffa professionale (ovvero a titolo contrattuale) e nel rispetto dei fattori di importanza dell’opera e del decoro della professione (art. 2233 c.c.) ma, oltre ai costi ed esborsi sopportati (danno emergente), deve comunque ricomprendere quanto necessario a ristorare il sacrificio di tempo, nonché di energie mentali e fisiche del professionista (lucro cessante), del cui valore si deve tener conto in termini economici, al netto della percentuale di guadagno. A causa della difficoltà di determinazione del suo preciso ammontare, l’indennizzo può formare oggetto di una valutazione di carattere equitativo ai sensi dell’art. 1226 c.c., anche officiosa’.
4.4. Con il quarto motivo si denuncia «erronea e/o omessa applicazione del DM 55 del 2014».
Osserva parte ricorrente che la Corte territoriale ha dichiarato la soccombenza del Comune, ritenendo perciò assorbito l’ultimo motivo dell’appello incidentale con cui il Comune medesimo censurava il capo della sentenza di primo grado con riguardo alla quantificazione delle spese liquidate in suo favore, per mancata applicazione, anche ai minimi tariffari, del D.M. n. 55/2014. Da ciò deduce che, in caso di accoglimento del ricorso, questa Corte dovrebbe cassare la sentenza impugnata con rinvio, perché la Corte d’Appello si pronunci, in diversa composizione personale, su tale ultimo motivo dell’appello incidentale.
5.1. Non sussistono le ragioni di inammissibilità del ricorso eccepite dal controricorrente, atteso il fermo principio, da tempo enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui l’art. 366, n. 4, c.p.c., nel richiedere la formulazione dei ‘motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano’, non postula la assoluta necessità della formale ed
esatta indicazione dell’ipotesi, tra quelle elencate dall’art. 360, comma 1, c.p.c., cui il vizio deve essere ascritto, pur tuttavia dovendo risultare soddisfatta l’esigenza di una chiara esposizione, nell’ambito del motivo, delle ragioni per le quali la censura sia stata formulata e del tenore della pronunzia caducatoria richiesta, così da consentire al giudice di legittimità di individuare la volontà dell’impugnante e di stabilire se con il mezzo di impugnazione sia stato dedotto un vizio di legittimità sostanzialmente, ma inequivocabilmente, riconducibile ad una delle ipotesi tassative di cui al citato art. 360 (in tal senso, Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013; negli stessi termini, fra le più recenti, Sez. U, Sentenza n. 30603 del 28/11/2024; Sez. U, Sentenza n. 31023 del 7/11/2023; Sez. U, Sentenza n. 37406 del 21/12/2022; Sez. U, Sentenza n. 5669 del 21/02/2022).
5.2. Nel merito, il ricorso non può essere accolto.
5.3. In particolare, il primo, il secondo e il terzo motivo, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto intimamente connessi, sono infondati.
5.3.1. Invero, le censure svolte dall’odierno ricorrente non colgono nel segno, ponendosi in aperta distonia non solo con la ratio decidendi della sentenza della Corte di merito, ma soprattutto e dapprima con la domanda formulata dal COGNOME nei confronti del Comune medesimo.
Tanto si ricava dalla circostanza per cui il presente giudizio non trae origine, come sostiene il Comune ricorrente, da una asserita azione proposta dal COGNOME al fine di ottenere dal Comune di Cammarata il pagamento degli onorari dovuti per la sua prestazione professionale svolta, quale Direttore dei lavori, nel 1989. Diversamente, la Corte d’Appello ha diffusamente motivato a pag. 6, come rileva la difesa del COGNOME, che l’odierno giudizio nasce piuttosto dalla domanda proposta dal COGNOME nel 2014 nei confronti del Comune volta ad ottenere «il recupero delle somme
versate a seguito della predetta decisione giudiziaria , fondata proprio sulla norma richiamata dall’appellante ».
La vicenda per cui è causa evoca, in buona sostanza, il tema del c.d. arricchimento indiretto, da parte del Comune di Cammarata, contro il quale agisce il COGNOME, quale suo direttore dei lavori, per recuperare le somme versate in favore dell’Impresa RAGIONE_SOCIALE a titolo di compenso di alcuni lavori materialmente eseguiti e non previsti nel progetto principale, finalizzati al completamento dell’opera, attraverso un accertamento compiuto dalla Corte d’Appello di Palermo con la sentenza n. 96/2012, e definitivamente coperto dal giudicato sceso sull’intera vicenda.
In proposito, non può che essere disattesa la censura mossa dall’odierno ricorrente che, insistendo sulla inammissibilità dell’azione di ingiustificato arricchimento esperita dal COGNOME, facendo leva sul suo carattere sussidiario ex art. 2042 c.c., deduce che costui fosse invero titolare di una diversa azione: segnatamente, un’azione diretta in regresso, nei confronti del Sindaco pro tempore del Comune, fondata sull’art. 35 d.lgs. n. 77/1935.
A tal riguardo varrà considerare – come ribadito di recente da Cass. n. 5480/2024, che ha ripercorso l’evoluzione normativa e giurisprudenziale sul tema de qua che «l’art. 23, commi 3 e 4, d.l. n. 66/1989, convertito con modificazioni dalla l. n. 144/1989, ha previsto che ‘A tutte le amministrazioni provinciali, ai comuni ed alle comunità montane l’effettuazione di qualsiasi spesa è consentita esclusivamente se sussistono la deliberazione autorizzativa nelle forme previste dalla legge e divenuta o dichiarata esecutiva, nonché l’impegno contabile registrato dal ragioniere o dal segretario, ove non esista il ragioniere, sul competente capitolo del bilancio di previsione, da comunicare ai
terzi interessati. Per quanto concerne le spese previste dai regolamenti economali l’ordinazione fatta a terzi deve contenere il riferimento agli stessi regolamenti, al capitolo di bilancio ed all’impegno. Nel caso in cui vi sia stata l’acquisizione di beni o servizi in violazione dell’obbligo indicato nel comma 3, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per ogni altro effetto di legge tra il privato fornitore e l’amministratore o il funzionario che abbiano consentita la fornitura. Detto effetto si estende per le esecuzioni reiterate o continuative a tutti coloro che abbiano reso possibili le singole prestazioni.’ Dopo che l’art. 55, c.5 della l. n. 142 del 1990, aveva disposto ai commi, 1,2, 3, 4 che ‘I provvedimenti dei responsabili dei servizi che comportano impegni di spesa sono trasmessi al responsabile del servizio finanziario e sono esecutivi con l’apposizione del visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria, fu introdotto l’art. 35, c. 1 e 4 del d.lgs. 77/1995, a cui tenore ‘Gli enti locali di cui all’articolo 1, comma 2, possono effettuare spese solo se sussiste l’impegno contabile registrato sul competente intervento o capitolo del bilancio di previsione e l’attestazione della copertura finanziaria di cui all’articolo 55, comma 5, della legge 8 giugno 1990, n. 142. 4. Nel caso in cui vi è stata l’acquisizione di beni e servizi in violazione dell’obbligo indicato nei commi 1, 2 e 3, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per la parte non riconoscibile ai sensi dell’articolo 37, comma 1, lettera e), tra il privato fornitore e l’amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura. Per le esecuzioni reiterate o continuative detto effetto si estende a coloro che hanno reso possibili le singole prestazioni. Lo stesso d.lgs. n. 77/1995 dispose l’abrogazione dell’art. 23 d.l. n. 66/1989 con l’art. 123, c.1, lett. n). La disposizione di cui all’art. 35 d.lgs. n. 77/1995 è stata riproposta senza modifiche sostanziali dall’art. 191 del D.P.R. n. 267/2000».
Va, pertanto, ribadito il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, qualora le obbligazioni della P.A. non rientrino nello schema procedimentale di spesa, insorge un rapporto obbligatorio direttamente con il funzionario che abbia consentito la prestazione, sicché resta preclusa l’azione di arricchimento nei confronti dell’ente locale per difetto del requisito della sussidiarietà, dovendo il privato depauperato agire direttamente e personalmente nei confronti di tale funzionario (in tal senso, fra le più recenti, Sez. 1, Ordinanza n. 5480 del 29/02/2024; Sez. 1, Ordinanza n. 27814 del 28/10/2024).
È perciò evidente che legittimato attivo all’esperimento dell’azione contrattuale ex art. 35 d.lgs. n. 77/1995 (oggi art. 191 TUEL) è il solo privato. Il punto è che il direttore dei lavori non può senz’altro identificarsi nel ‘privato fornitore’ citato dalla norma. All’opposto, egli riveste la qualifica di legittimato passivo, individuato dalla norma stessa nell”amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura’.
Ne deriva che il COGNOME non era titolare di altra e diversa azione verso il Comune, e, in ogni caso, ove una azione ulteriore pure fosse stata ravvisabile, tale non è sicuramente quella prevista dall’art. 35, comma 4, d.lgs. n. 77/1995, per le ragioni appena esposte. Di talché, correttamente i Giudici palermitani hanno dichiarato che «è indubitabile che non vi sia un’azione contrattuale o di diversa natura esperibile dal COGNOME per il recupero dell’indebitamento subito a seguito della sentenza della Corte di Appello, sicché, come già affermato dal primo giudice, l’eccezione in esame non è fondata» (a pag. 5 della sentenza impugnata).
Resta da segnalare che, nel dichiarare la ammissibilità dell’azione proposta dal COGNOME ex art. 2041 c.c. nei confronti del Comune, la Corte territoriale ha richiamato tra l’altro – il precedente di questa Corte (Cass. n. 5665/2021) secondo cui «in tema di fornitura e servizi prestati in favore degli enti locali senza
l’osservanza del procedimento contabile previsto per l’assunzione di obbligazioni vincolanti per l’ente locale, ai sensi dell’art. 23, comma 4, del d.l. n. 66 del 1989 conv. con mod. dalla l. n. 144 del 1989, sostituito dall’art. 35, comma 4, del d.lgs. n. 77 del 1995 poi modificato dall’art. 4 del d.lgs. n. 342 del 1997, e trasfuso nell’art. 191 del d.lgs. n. 267 del 2000, il contraente privato fornitore non è legittimato a proporre l’azione diretta di indebito arricchimento verso l’ente pubblico per difetto del requisito di sussidiarietà mentre può esercitare l’azione ex art. 2041 c.c. nei confronti dello stesso ente ‘ utendo iuribus ‘ dell’amministratore suo debitore, agendo in via surrogatoria ex art. 2900 c.c. (contestualmente alla ed indipendentemente dalla) iniziativa nei confronti dell’amministratore onde assicurare e conservare le proprie ragioni quando il patrimonio di quest’ultimo non offra adeguate garanzie». Questa tesi, introdotta per la prima volta da Cass. n. 7966/2008, non è andata esente da critiche, nella misura in cui è stato rilevato che: a) la surroga presuppone che il diritto del funzionario al rimborso sia sorto, ed è evidente che per il funzionario non può ravvisarsi una ‘ depauperatio ‘ fintantoché costui non abbia corrisposto il compenso al privato; b) la surroga presuppone l’inerzia del titolare, e una inerzia non è configurabile prima ancora che sorga nei confronti dello stesso titolare il diritto di recuperare le somme versate; c) la surroga dovrebbe condurre ad una condanna in favore del surrogato, in quanto mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale, mentre in questo caso di fatto si ammette la condanna della P.A. al pagamento in favore dello stesso privato surrogante.
Nondimeno, tale argomento dà certamente conferma del fatto che, se l’azione di ingiustificato arricchimento può essere esperita dal privato nei confronti della P.A., surrogandosi al funzionario pubblico, senz’altro anche il funzionario medesimo, una volta che abbia subìto una ‘ depauperatio ‘ in ragione di una condanna seguita
all’esperimento da parte del privato dell’azione contrattuale ex art. 191 TUEL, può agire, in via diretta, nei confronti dell’amministrazione ex art. 2041 c.c., e ciò – come hanno chiarito già le Sezioni Unite con la Sentenza n. 10798/2015 – senza che sia necessario, da parte dell’ente pubblico, il riconoscimento (anche implicito) dell’utilità della prestazione ricevuta.
Del resto, le Sezioni Unite di questa Corte, con la Sentenza n. 24772 del 08/10/2008 (e analogamente Sez. 3, Sentenza n. 29672 del 22/10/2021), hanno chiarito che, in tema di arricchimento c.d. indiretto (o trilatero), l’azione di ingiustificato arricchimento, visto anche il suo scopo di equità, deve ammettersi nei soli casi in cui lo stesso sia stato realizzato dalla P.A., in conseguenza della prestazione resa dall’impoverito a un ente pubblico, ovvero sia stato conseguito dal terzo a titolo gratuito, trovando supporto tale ultima conclusione nella previsione di cui all’art. 2038, comma 2, ult. per., c.c.
5.3.2. Senonché, dalla erronea individuazione da parte del Comune dell’azione proposta dal COGNOME deriva anche l’infondatezza del primo argomento di critica, con il quale parte ricorrente deduce l’avvenuta prescrizione dell’azione di ingiustificato arricchimento, per essere stata esperita oltre il termine di dieci anni dalla data di esecuzione dei lavori, nel 1989.
I Giudici palermitani, in riforma della sentenza di prime cure, hanno invece correttamente specificato e dichiarato che «la decisione di primo grado nel ritenere prescritta l’azione proposta dal COGNOME muove dall’erronea considerazione che questi abbia subito il depauperamento per cui è causa all’atto dell’esecuzione dell’attività svolta come Direttore dei lavori appaltati dal Comune e conclusi nel 1989, laddove, invece, come già detto, il suo impoverimento si è realizzato solo a seguito della più volte richiamata sentenza di condanna della Corte di Appello depositata nel mese di gennaio
2012, sicché l’azione proposta nel mese di novembre 2014 era di certo tempestiva» (a pagg. 5-6 della sentenza impugnata).
Varrà, infatti, ricordare che costituiscono elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 2041 c.c.: a) l’arricchimento (c.d. ‘ locupletatio ‘) a favore di un soggetto; b) l’impoverimento (c.d. ‘ depauperatio ‘) subìto da un altro soggetto; c) il nesso di correlazione tra locupletatio e depauperatio ; d) l’assenza di una giusta causa dell’arricchimento; e) la mancanza di qualsiasi altra azione in favore dell’impoverito che consenta di ottenere la reintegrazione patrimoniale.
Orbene, la decisione impugnata non si discosta dall’indirizzo di legittimità, che il Collegio condivide e che intende ribadire, secondo cui per l’azione di arricchimento senza causa la prescrizione comincia dal giorno nel quale può essere fatto valere il diritto all’indennizzo, e cioè dal momento in cui matura detto diritto, che coincide con quello in cui si verifica l’arricchimento del beneficiario e la correlativa diminuzione patrimoniale dell’altra parte (Sez. 3, Sentenza n. 6570 del 29/03/2005; Sez. 3, Sentenza n. 1863 del 03/03/1997; Sez. 1, Sentenza n. 11439 del 19/11/1993).
Ne deriva che, nel caso che ci occupa, prima dell’intervento della Corte di Appello di Palermo con la sentenza n. 96/2012, il diritto all’indennizzo richiesto dal COGNOME con l’azione ex art. 2041 c.c. certamente non sussisteva e non poteva essere fatto valere. Di talché, è con la summenzionata decisione che si è verificato il depauperamento del COGNOME ed è sorto il suo diritto all’indennizzo.
Peraltro, non può sottacersi -ad abundantiam -l’effetto paradossale della interpretazione dell’art. 2946 c.c., in relazione all’art. 2041 c.c., offerta dal ricorrente, che fa decorrere la prescrizione dell’azione di ingiustificato arricchimento dal 1989, e cioè data di realizzazione delle opere in questione, con la conseguenza per cui, ove il privato fornitore proponesse azione ex
art. 191 TUEL un giorno prima dello spirare del termine decennale, l’amministratore, funzionario o dipendente che ha consentito la fornitura avrebbe un solo giorno per esperire l’azione di ingiustificato arricchimento, salvo poi vedersi prescritta tale ultima azione, così risultando l’unico a subire, in concreto, il costo dell’indebito arricchimento dell’amministrazione. Pertanto, a rigor di logica, a voler seguire la tesi del ricorrente, il funzionario, per non incorrere nella prescrizione, avrebbe dovuto esperire l’azione di ingiustificato arricchimento ‘a scatola chiusa’, senza peraltro aver subìto ancora alcun depauperamento.
È opportuno ulteriormente precisare che, con riguardo alla tematica in esame, non può dirsi pertinente il precedente di Cass. n. 11938/2024 (Rv. 671481 02), secondo cui, esperita un’azione contrattuale e passata in giudicato la sentenza di rigetto sulla stessa pronunciata, la prescrizione dell’azione di ingiustificato arricchimento successivamente esercitata non può farsi decorrere dal momento in cui la pronuncia giudiziale sull’azione contrattuale è divenuta irrevocabile, atteso che la richiesta di adempimento contrattuale e quella di indennizzo per l’ingiustificato arricchimento si pongono in una relazione di reciproca non fungibilità e non costituiscono articolazioni di una matrice fattuale sostanzialmente unitaria, ma derivano da diritti cosiddetti ‘eterodeterminati’, per la identificazione dei quali, cioè, occorre far riferimento ai relativi fatti costitutivi, tra loro sensibilmente divergenti sul piano genetico e funzionale.
Tale ultima giurisprudenza, infatti, fa riferimento al caso in cui il medesimo soggetto, sedicente depauperato, agisca in via contrattuale nei confronti del preteso arricchito e, in seguito al rigetto della domanda, proponga, nei confronti della medesima parte convenuta, l’azione ex art. 2041 c.c.; diversamente, in questo caso a venire in esponente, come già si è rilevato, è il differente tema del c.d. arricchimento indiretto.
Del resto, tale soluzione risulta tuttavia coerente con la valutazione di residualità dell’azione di arricchimento senza causa, da svolgersi alla stregua della più recente giurisprudenza di questa Corte in argomento (Sez. U, Sentenza n. 33954 del 05/12/2023, Rv.669447 – 01), secondo la quale «la domanda di ingiustificato arricchimento (avanzata autonomamente ovvero in via subordinata rispetto ad altra domanda principale) è proponibile ove la diversa azione – sia essa fondata sul contratto ovvero su una specifica disposizione di legge ovvero ancora su clausola generale – si riveli carente ab origine del titolo giustificativo, restando viceversa preclusa ove quest’ultima sia rigettata per prescrizione o decadenza del diritto azionato o per carenza di prova del pregiudizio subito o per nullità derivante dall’illiceità del titolo contrattuale per contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico».
5.3.3. Anche la censura mossa con il terzo mezzo, relativa alla quantificazione dell’indennizzo, è infondata.
Invero, la Corte di merito ha fatto piena e corretta applicazione dei principi enunciati da Cass. n. 6827/2021 (secondo cui la sussistenza del requisito del depauperamento, richiesto dall’art. 2041 c.c. come presupposto per l’esercizio dell’azione generale di arricchimento, richiede la dimostrazione che il convenuto non ha alcun titolo per giovarsi di quanto corrisponde alla perdita patrimoniale, subita dall’istante senza la propria volontà e senza un’adeguata esplicita causa giuridica; pertanto, il diritto all’indennizzo non può essere riconosciuto se il depauperamento è giustificato da una ragione giuridica, come quando sia avvenuto per una spesa fatta dall’istante nel proprio esclusivo interesse, sia pure con indiretta utilità altrui), nonché da Cass. n. 11209/2019 (secondo cui il riconoscimento dell’utilità da parte dell’arricchito non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento, sicché il depauperato che agisce ex art. 2041 c.c. nei confronti della P.A. ha solo l’onere di provare il fatto oggettivo
dell’arricchimento, senza che l’ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso; tuttavia, le esigenze di tutela delle finanze pubbliche e la considerazione delle dimensioni e della complessità dell’articolazione interna della P.A. trovano adeguata tutela nel principio di diritto comune del cd. ‘arricchimento imposto’, potendo, invece, l’Amministrazione eccepire e provare che l’indennizzo non è dovuto laddove l’arricchito ha rifiutato l’arricchimento ovvero non ha potuto rifiutarlo perché inconsapevole dell” eventum utilitatis ‘).
Pertanto, i Giudici d’appello – aderendo proprio al precedente di Cass. n. 14670/2019, infruttuosamente evocato dal ricorrente nelle proprie difese – hanno correttamente statuito che il COGNOME «ha provato di aver subito l’esborso per cui è causa, di cui non si è di certo giovato , avendo prodotto la dichiarazione di esecutività della sentenza di sua condanna della Corte di Appello e documentato di aver subito, per ciò, una procedura esecutiva conclusasi con l’assegnazione al Girgenti della somma pignorata presso terzi dell’importo di euro 32.000,00; e quanto all’arricchimento della controparte, il Comune non ha di certo contestato né l’esecuzione delle opere, che come non contestato hanno completato l’opera appaltata né la loro utilità né, tanto meno, ha dichiarato di essersi opposto a queste o di averle rifiutate» (a pag. 6 della sentenza impugnata). Di conseguenza, la domanda del COGNOME è stata accolta nei soli limiti della condanna infertagli nel 2012, ovvero per l’importo di Euro 22.667,42, oltre interessi dalla domanda al soddisfo, escludendo, al contempo, gli ulteriori oneri connessi al ritardato pagamento imputabile al solo COGNOME, e pertanto non correlati all’arricchimento dell’Ente; tutto ciò – peraltro – con riguardo a un profilo, qual è quello del quantum debeatur , relativamente al quale – giova ribadirlo – è precluso il sindacato di merito da parte di questa Corte, quale Giudice di legittimità.
5.4. Dal rigetto dei primi tre motivi del ricorso principale discende l’assorbimento del quarto motivo, sulle spese.
Pertanto, la Corte rigetta il ricorso principale.
Il ricorso incidentale, che risulta condizionato, è assorbito dal rigetto del ricorso principale.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso principale e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in complessivi Euro 4.500,00 oltre 200,00 per esborsi, accessori di legge e spese generali.
Dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato;
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza