Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9094 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9094 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15853/2020 R.G. proposto da: COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME NOME, tutti elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrenti-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Sindaco p.t., elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA n. 180/2020 depositata il 26/02/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/03/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO
Nel 2007 il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE citava, dinanzi al Tribunale di Palmi -Sezione distaccata di Cinquefondi, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, chiedendone la condanna pro quota e comunque in via solidale alla restituzione della somma di euro 14.888,04, oltre agli interessi legali e alla rivalutazione, nonché la condanna di NOME COGNOME alla restituzione dell’importo di euro 14. 503,25, al netto di interessi e di rivalutazione.
A tal fine adduceva che detti importi: i) coincidevano con i compensi pagati all’AVV_NOTAIO per l’attività professionale prestata nei due procedimenti penali subiti dai convenuti nelle loro qualità di sindaco (NOME COGNOME) e di consiglieri comunali (NOME COGNOME e NOME COGNOME), conclusisi con l’assoluzione ‘perché il fatto non sussiste’ e con il non luogo a procedere con formula ‘perché il fatto non costituisce reato ‘ ; ii) erano stati posti a carico dell’ente quale debiti fuori bilancio con le delibere consiliari n. 51/2004 e n. 7/2005, poi annullate con le delibere n. 24/2006 e 50/2006, per difetto dei presupposti previsti dalla legge per il rimborso delle spese legali.
Tutti i convenuti eccepivano, in via preliminare, il loro difetto di legittimazione passiva, in quanto le somme che il RAGIONE_SOCIALE asseriva di aver ‘indebitamente versato’ risultavano per tabulas corrisposte direttamente al l’AVV_NOTAIO e, nel merito, insistevano affinché fosse riconosciuta la connessione delle vicende processuali in cui erano stati coinvolti con l’espletamento del loro mandato di amministratori dell’ente locale e chiedevano che le
delibere di annullamento parziale in autotutela fossero disapplicate per evidente illegittimità.
Con la sentenza n. 244/2009, il Tribunale di Palmi accoglieva l’eccezione preliminare di difetto di legittimazione passiva dei convenuti rispetto all’azione di ripetizione dell’indebito oggettivo esperita dal RAGIONE_SOCIALE ‘( causa petendi : restituzione somme pagate in esecuzione di delibere annullate; petitum : pagamento) ‘, sul rilievo che le pretese restitutorie avevano ad oggetto somme pagate dall’ente direttamente in favore dell’AVV_NOTAIO (e non, come erroneamente indicato in citazione, ‘rimborsate a i convenuti ‘ ).
La Corte d’appello di Reggio Calabria, investita del gravame dal RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza n. 180/2020, resa pubblica in data 26/02/2020, ha riformato quella di primo grado e condannato gli appellati, ciascuno pro quot a e comunque in via solidale, al pagamento a favore del RAGIONE_SOCIALE della somma di euro 14.884,04 anche a titolo di indennizzo per indebito arricchimento ai sensi dell’art. 2041 cod.civ., oltre agli interessi e alla rivalutazione dal giorno della domanda; per lo stesso titolo ha, inoltre, condannato NOME COGNOME al pagamento a favore del RAGIONE_SOCIALE della somma di euro 14.503,25.
Segnatamente, la Corte d’appello ha ritenuto il RAGIONE_SOCIALE legittimato ad agire a titolo arricchimento ingiustificato nei confronti degli appellati per recuperare quanto corrisposto al professionista che li aveva assistiti nei procedimenti penali a loro carico, ritenendo che il pagamento effettuato dal RAGIONE_SOCIALE nelle mani dell’AVV_NOTAIO avesse avuto effetto sostitutivo dell’adempimento degli appellati, i quali se ne erano avvantaggiati per sgravarsi dall’obbligo di corrispondere l’onorario al proprio legale.
Ha aggiunto che l’AVV_NOTAIO aveva ricevuto quanto spettantegli per la prestazione svolta dall’amministrazione comunale anziché dai
clienti e perciò non poteva essere il legittimato passivo dell’azione restitutoria e che, venuto meno il titolo per la sostituzione nel pagamento/adempimento, non poteva che spettare agli appellati, che avevano salvato il loro patrimonio da una deminutio , l’obbligo di tenere indenne il RAGIONE_SOCIALE. Ha osservato che l’azione di ripetizione dell’indebito ha natura restitutoria e riflette l’obbligazione che insorge tra il solvens e l’effettivo beneficiario del pagamento privo di causa adquirendi ( accipiens ) e concluso che ‘non v’è dubbio che gli appellati ex amministratori abbiano la piena legittimazione passiva rispetto l’azione svolta dal RAGIONE_SOCIALE, essendo ciascuno di essi convenuti l’effettivo accipiens delle somme pagate dall’RAGIONE_SOCIALE comunale, in difetto di causa adquirendi ‘.
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono per la cassazione di detta decisione, formulando tre motivi.
Resiste il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 2033 cod.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.
Attinta da censura è la statuizione con cui la Corte d’appello ha ritenuto indubbia la loro legittimazione passiva rispetto all’azione svolta dal RAGIONE_SOCIALE, essendo gli effettivi accipientes delle somme pagate dall’ente comunale in difetto di causa adquirendi .
Secondo i ricorrenti, la motivazione della condanna restitutoria sarebbe solo apparente, siccome frutto di un iter argomentativo in aperto contrasto con il tenore letterale dell’art. 2033 cod.civ. e con le più elementari regole ermeneutiche.
1.1) L’illustrazione del motivo non consente di individuare in maniera inequivoca se i ricorrenti intendano imputare alla Corte d’appello di essere incorsa in vizi motivazionali o in un error in iudicando .
In ogni caso, il vizio motivazionale non sussiste, perché la motivazione c’è, è perfettamente intellegibile e soddisfa ampiamente il minimo costituzionale.
L’ error in iudicando avrebbe dovuto essere denunciato, per essere scrutinato come tale, mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito a questa Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass., Sez . Un., 05/05/2006, n. 10313).
1.2) Il motivo è, dunque, inammissibile.
Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 345 cod.proc.civ. per errata applicazione dell’art. 2041 cod.civ. e la violazione dell’art. 2042 cod.civ., i n relazione all’articolo 360, 1° comma, n. 3 e n. 5 cod.proc.civ.
In sede di appello, il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE aveva enunciato l’intenzione di proporre ‘ con il presente atto anche azione generale di arricchimento ai sensi dell’art. 2041 del codice civile nei confronti dei convenuti, essendo evidente la sussistenza dei presupposti di tale azion e’ e, sull’assunto che essa fosse ‘proponibile anche per la prima volta in appello’ , aveva chiesto che gli odierni ricorrenti venissero condannati al pagamento delle somme indicate nell’atto di citazione introduttivo del primo grado ‘ anche a titolo di indennizzo per indebito arricchimento ex art. 2041 cod. civ’.
Secondo i ricorrenti, che avevano rifiutato il contraddittorio su detta domanda, ritenendola nuova, e che avevano chiesto che
fosse dichiarata inammissibile, ai sensi dell’art. 345 cod.proc.civ., la domanda di ingiustificato arricchimento non avrebbe dovuto essere accolta in ragione della sua natura residuale o comunque per non essere stata subordinata alla rituale proposizione nel necessario contraddittorio con l’ accipiens .
In particolare, i ricorrenti ritengono che il RAGIONE_SOCIALE, pur avendo la possibilità di agire direttamente nei confronti dell’AVV_NOTAIO, aveva agito per indebito nei loro confronti, utilizzando l’azione ex art. 2041 cod.civ. quale escamotage per contestare l’evidente legittimità della sentenza di primo grado e la Corte d’appello avrebbe eluso ‘tutti i fattori ostativi all’accoglimento delle domande attoree e, con inammissibile applicazione ‘congiunta’ degli articoli 2033 e 2041 cod. civ.’ ed erroneamente avrebbe posto a loro carico l’obbligo di ‘indennizzare’ il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, mediante restituzione di entrambi gli importi che l’ente aveva a suo tempo versato all’AVV_NOTAIO, maggiorati di interessi e di rivalutazione dal giorno della domanda.
E, considerato che solo il rimborso ex art. 2033 cod. civ. integra un debito di valuta (insensibile alla svalutazione monetaria), mentre l ‘indennizzo per arricchimento ingiustificato è un debito di valore, produttivo di soli interessi legali, avrebbe, in aggiunta, impropriamente determinato gli ‘indennizzi’ in misura pari all’indebito oggettivo, incorrendo in un ulteriore profilo di violazione degli artt. 2033 e 2041 cod.civ., giacché i due rimedi non sono ‘fungibili, né sovrapponibili’.
Il motivo merita accoglimento nei termini che seguono.
Sulla determinazione del carattere di sussidiarietà/residualità dell’azione di arricchimento ingiustificato sono intervenute, di recente, le Sezioni Unite, con la pronuncia n. 05/12/2023, n.33954, la quale, ai fini che qui interessano, ha negato che si debba utilizzare una nozione rigorosa della sussidiarietà in astratto (che prescinda in assoluto da ogni verifica sul merito della domanda
avanzata in via principale) basata sulla mera esistenza di un’altra azione preclusiva della tutela residuale, indipendentemente dal fatto che l’interessato ne abbia usufruito (invano) o che essa sia divenuta improponibile per altra ragione, perché altrimenti la stessa circostanza che sia stata proposta una diversa domanda renderebbe improponibile ex art. 2042 cod.civ., la domanda di arricchimento, anche a voler annettere alla prima pronuncia di improponibilità una valenza solo processuale.
Ha ritenuto, per contro, corretto, anche per ragioni di economia processuale, distinguere in merito alle ragioni del rigetto della domanda, rimettendo al giudice al quale sia riproposta la domanda di arricchimento di verificare, anche d’ufficio ed anche in sede di appello, sulla scorta di quanto emerge dagli atti e dalle allegazioni offerte dalle parti, se sia stata riscontrata una carenza originaria del diverso titolo fondante la domanda c.d. principale (in quanto la fattispecie dedotta in giudizio, pur in astratto congrua a realizzare gli effetti previsti dalla legge, è risultata difettosa di qualche requisito essenziale ( id est , elemento costitutivo della fattispecie o presenza di elemento impeditivo ovvero non è stato possibile ricondurre la fattispecie concreta a quella astrattamente delineata a fondamento dell’azione proposta in via principale) ovvero se le ragioni del rigetto derivino ‘dall’inerzia dell’impoverito ovvero dal mancato assolvimento di qualche onere cui la legge subordinava la difesa di un suo interesse’ (p. 27).
Nella prima ipotesi il rigetto per accertamento della carenza ab origine del titolo fondante la domanda c.d. principale esclude secondo la Corte – la possibilità di configurare un concorso tra azioni da risolvere facendo applicazione dell’art. 2042 cod.civ., e quindi, a favore della domanda principale; detto concorso è solo apparente, in quanto deve escludersi la stessa ricorrenza di un diritto suscettibile di essere dedotto in giudizio, con la conseguente improponibilità della domanda ex art. 2041 cod.civ.
Quanto detto vale per l’ipotesi in cui nello stesso giudizio siano cumulate la domanda principale e quella di arricchimento, in quanto l’esame della seconda per il nesso di subordinazione che ex lege le correla, potrà avvenire solo una volta che si sia risolta negativamente, e nei termini sopra esposti, la verifica circa la ricorrenza del titolo della prima. Allorquando sia direttamente avanzata la domanda di arricchimento spetterà al giudice riscontrare d’ufficio il carattere della residualità della domanda proposta.
L’applicazione di detti principi alla fattispecie per cui è causa induce a ritenere -indipendentemente dal se la domanda di arricchimento ingiustificato fosse stata proposta per la prima volta in appello, come denunciano i ricorrenti, e/o dal se fosse possibile anche per il giudice d’appello riqualificare la domanda, in applicazione del principio iura novit curia , non essendo condizionato dalla formula adottata dalla parte, ma solo dal duplice divieto di non immutare i fatti costitutivi e di rispettare il giudicato eventualmente formatosi sulla qualificazione ( ex multis cfr. Cass. 28/12/2023, n. 36272) -che la Corte territoriale avrebbe dovuto ritenere improponibile la domanda di arricchimento ingiustificato per difetto del carattere di sussidiarietà, atteso che il giudice di prime cure aveva rigettato la pretesa perché l’aveva ritenuta erroneamente rivolta verso gli odierni ricorrenti piuttosto che nei confronti dell’AVV_NOTAIO che aveva ricevuto le somme di cui l’attore chiedeva la restituzione.
3) Con il terzo motivo i ricorrenti imputano alla Corte d’appello la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod.proc.civ. in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 e 5 cod.proc.civ.
La sentenza sarebbe inficiata da ultrapetizione per aver ritenuto dovuti e congrui gli importi pagati dal RAGIONE_SOCIALE all’AVV_NOTAIO COGNOME, omettendo di considerare che la mancata estensione del contraddittorio nei confronti dell’AVV_NOTAIO COGNOME precludeva in
radice l’accertamento – effettuato e non richiesto – sui temi della regolarità del mandato difensivo e della congruità delle parcelle (‘ an e quantum debeatur ).
L’accoglimento del secondo motivo determina l’assorbimento di quello qui illustrato.
La Corte accoglie il secondo motivo per quanto di ragione, dichiara inammissibile il primo ed assorbito il terzo. Cassa in relazione al motivo accolto la sentenza impugnata, e, decidendo nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, dispone la cancellazione delle statuizioni condannatorie a carico dei ricorrenti. Dispone in oltre la compensazione integrale delle spese del l’intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie per quanto di ragione il secondo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il primo e assorbito il terzo. Cassa in relazione la sentenza impugnata e, decidendo nel merito rigetta la domanda e compensa le spese del l’intero giudizio.
Così deciso nella Camera di consiglio del 18 marzo 2024 dalla