Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8070 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8070 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso R.G. n. 00699/2020
promosso da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in atti;
– ricorrente –
contro
Università degli studi di Udine , in persona del Rettore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege d all’ Avvocatura Generale dello Stato;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 426/2020 della Corte d’ appello di Trieste, pubblicata in data 01/10/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
letti gli atti del procedimento in epigrafe;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 28/03/2018 l’ Università degli Studi di Udine proponeva opposizione al decreto ingiuntivo, emesso su domanda della
RAGIONE_SOCIALE chiedendone la dichiarazione di nullità, esponendo: che RAGIONE_SOCIALE era stata autorizzata al subappalto di alcuni lavori assunti da RAGIONE_SOCIALE (aggiudicataria dell ‘ appalto indetto dall’Università il 27/03/2014 per opere di ristrutturazione edilizia); che la subappaltatrice aveva lamentato mancati pagamenti e RAGIONE_SOCIALE in sede di chiarimenti, aveva trasmesso due sole fatture quietanzate (n. 7/2016 per € 44.415,00 e n. 10/2016 per € 15.000,00), negando che vi fossero altre pendenze; che il 23/05/2017 era stato dichiarato il fallimento di RAGIONE_SOCIALE; che il 02/12/2017 RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto ed ottenuto decreto ingiuntivo per € 197.153 ,00 nei confronti dell’Università perché RAGIONE_SOCIALE era rimasta inadempiente nei suoi confronti; che il decreto era da considerarsi nullo e di nessun effetto, posto che non vi erano le condizioni per ottenere il pagamento diretto da parte del subappaltatore ai sensi dell’art. 118, comma 3, d.lgs. n. 163 del 2006 , poiché il bando non lo prevedeva; che, in ogni caso, alcune delle fatture allegate al decreto ingiuntivo riguardavano forniture cui l’Università era estranea; che, inoltre, l’eventuale pagamento diretto al subappaltatore avrebbe violato la par condicio creditorum .
Nel costituirsi, la RAGIONE_SOCIALE contestava le affermazioni avversarie, chiedendo il rigetto dell’opposizione e la condanna dell’opponente al risarcimento del danno.
Con sentenza n. 1060/2019 il Tribunale di Udine, ritenuto applicabile l’art. 118, comma 3, d.lgs. n. 163 del 2006 e l’art. 13, comma 2, lett. a) , l. n. 180 del 2011, in materia di piccole e medie imprese, revocava il decreto ingiuntivo opposto, affermando: che la subappaltatrice non aveva alcun diritto di chiedere somme alla stazione appaltante, non essendo prevista in bando tale facoltà; che le domande ex art. 1676 c.c., 2041 e 2043 c.c. erano infondate, poiché: l’art. 1676 c.c. riguardava i dipendenti dell’appaltatore ; l’art. 2041 c.c. era inapplicabile, non essendovi stato alcun arricchimento;
non poteva operare neppure il disposto d ell’ art. 2043 c.c., in mancanza del l’elemento soggettivo e oggettivo dell’illecito.
Con atto di citazione del 24/10/2019 RAGIONE_SOCIALE impugnava la decisione di primo grado, chiedendone la riforma , ma la Corte d’appello, nel contraddittorio delle parti, respingeva l’impugnazione.
La Corte territoriale, prima di tutto, rilevava l’intervenuto giudicato , per acquiescenza, dell’accertamento in ordine all’ assenza di un obbligo gravante sull’Università di effettuare pagamenti diretti all’appaltatore. Riteneva, quindi, infondata la domanda di indennizzo ex art. 2041 c.c., evidenziando il carattere sussidiario dell’ azione di ingiustificato arricchimento, che è ammessa solo per carenza ab origine del l’ azione stessa per difetto del titolo posto a suo fondamento, ma non anche quando, come nel caso in esame, la domanda contrattuale sia stata respinta nel merito.
Secondo la Corte di merito, non poteva essere fatto valere il diritto all’indennizzo, po iché la RAGIONE_SOCIALE aveva esercitato l ‘ azione contrattuale ed aveva subito il rigetto della stessa, non per carenza del titolo (ad esempio, per ragioni di nullità) o per inefficacia dell ‘ accordo, ma per l’infondatezza nel merito della domanda.
Quanto alla domanda formulata ex art. 2043 cc., la Corte riteneva che, non avendo l’Università assunto alcun obbligo di effettuare il pagamento diretto, la stessa non poteva essere responsabile del comportamento dell’appaltatrice, aggiungendo che non era pertinente il richiamo all’art. 118, comma 3 bis , d.lgs. n. 163 del 2006, posto che anche il pagamento diretto, previsto in caso di crisi di liquidità o in pendenza di procedura concordataria con continuità aziendale (per RAGIONE_SOCIALE prima della dichiarazione dei fallimento), conservava natura discrezionale.
Lo stesso ragionamento valeva, sempre secondo la Corte, per quanto riguardava l’applicazione dell’art. 13, comma 2, l. n. 180 del 2011, poiché
il pagamento diretto avrebbe dovuto essere espressamente previsto dal bando.
Infine, la Corte distrettuale riteneva che le prove richieste, oltre ad essere superflue, erano anche inammissibili, perché non riproposte in sede di precisazione delle conclusioni avanti il Tribunale.
Avverso tale decisione la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi di censura.
L’intimat a si è difesa con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto inammissibile l’azione di ingiustificato arricchimento, in ragione della sussidiarietà della stessa, tenuto conto che la domanda principale era stata respinta per infondatezza nel merito (mancanza di qualunque obbligo da parte dell’Università di effettuare pagamenti diretti a favore della subappaltatrice, in base all’interpretazione dell’art. 118, comma 3, d.lgs. n. 1 63 del 20006).
Secondo la ricorrente, la Corte avrebbe dovuto considerare che la domanda principale era stata disattesa per la ritenuta inapplicabilità della normativa invocata al caso concreto, sicché doveva ritenere ammissibile la domanda ex art. 2041 c.c. ed anche fondata, perché l’Università non aveva corrisposto integralmente quanto dovuto né alla RAGIONE_SOCIALE né alla procedura fallimentare, successivamente intervenuta, così arricchendosi indebitamente delle prestazioni della subappaltatrice.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione di norme di diritto, e in particolare dell’art. 2043 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., per avere la Corte di merito ritenuto che non vi fosse alcun obbligo dell’Università di procedere al pa gamento diretto alla
subappaltatrice, la cui mancata effettuazione non poteva essere invocata come comportamento antigiuridico e lesivo della sfera patrimoniale di quest’ultima, mentre invece avrebbe dovuto tenere conto: 1) che l’art. 118 d.lgs. n. 163 del 2006 consente alla stazione appaltante, in caso di crisi di liquidità dell’appaltatore, di provvedere, anche in deroga alle previsioni del bando di gara, al pagamento diretto al subappaltatore dell’importo a quest’ultimo dovuto; 2) che vi erano stati reiterati e denunciati ri tardi nei pagamenti da parte della RAGIONE_SOCIALE in favore della subappaltatrice, comprovati dalle risultanze istruttorie richiamate, che consentivano al Giudice di applicare la disposizione menzionata nel punto che precede; 3) che l’art. 13, comma 2, lett. a), l. n. 180 del 2011 aveva reso obbligatorio il pagamento diretto dei subappaltatori, qualora si trattasse di piccole e medie imprese, mentre, nella specie, il giudice non aveva neppure considerato tale circostanza, risultante dalla documentazione offerta e richiamata nel ricorso, dalla quale emergeva che la RAGIONE_SOCIALE era una piccola impresa, alla stregua dell ‘ art. 2 dell’Allegato al Regolamento (CE) n. 364/2004; 4) che l’art. 118, comma 3 bis , d.lgs. n. 163 del 2006, introdotto dall’art. 13, comma 10, d.l. n. 145 del 2013, conv. in l. n. 9 del 2014, consentiva alla stazione appaltante di provvedere al pagamento diretto ai subappaltatori, anche per i contratti in corso, in pendenza della procedura di concordato preventivo con continuità aziendale, secondo le determinazioni del Giudice della procedura.
In sintesi, secondo la ricorrente, la Corte d’appello avrebbe dovuto tenere conto delle disposizioni normative sopra menzionate – in modo particolare: dell’art. 118, comma 3, d.lgs. n. 163 del 2006; dell’art. 13, comma 2, lett. a), l. n. 180 del 2011; dell’art. 118, comma 3 bis , d.lgs. n. 163 del 2006, come introdotto dall’art. 13, comma 10, d.l. n. 145 del 2013, conv. con modif. in l. n. 9 del 2014 -così riconoscendo l’illiceità della condotta con la quale l’Università degli Studi di Udine, in qualità di stazione
appaltante, non provvedendo al pagamento diretto della subappaltatrice RAGIONE_SOCIALE nonostante quest’ultima fosse da considerarsi piccola impresa e nonostante i reiterati ritardi nei pagamenti dell’appaltatrice RAGIONE_SOCIALE sintomi evidenti di una crisi di liquidità, poi sfociata nella dichiarazione di fallimento, preceduta da una richiesta di ammissione al concordato preventivo, così cagionando alla ricorrente un danno patrimoniale ingiusto, risarcibile quale danno da responsabilità extracontrattuale.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., per avere la Corte d’appello omesso di pronunciarsi sulla domanda subordinata ex art. 1676 c.c., che pure era stata riproposta nelle conclusioni dell’atto di appello.
Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, in modo particolare dell’art. 356 c.p.c., in uno all’art. 111 Cost., e dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., ovvero la nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., con riferimento alla statuizione sulle richieste istruttorie.
In particolare la ricorrente ha rilevato che la Corte d’appello ha ritenuto che « … le prove richieste oltre ad essere superflue sono inammissibili, perché mai riproposte in sede di precisazione delle conclusioni avanti il Tribunale» , mentre, invece, la RAGIONE_SOCIALE aveva formulato le sue conclusioni istruttorie nella memoria illustrativa datata 23/07/2019, autorizzata con l’ordinanza del Giudice, che aveva fissato la successiva udienza del 17/09/2019 per la discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c., ove la parte aveva, poi, richiamato gli atti di causa.
Il primo motivo di ricorso deve essere respinto, avendo la Corte d’appello correttamente negato l’accoglimento alla domanda ex art. 2041 c.c., difettando il requisito della sussidiarietà, ma la motivazione deve
essere corretta ex art. 384, ultimo comma, c.p.c., per le ragioni di seguito evidenziate.
2.1. Com’è noto, il giudice di legittimità può ritenere fondata la questione sollevata nel ricorso per una ragione giuridica diversa da quella indicata dalla parte ed individuata d’ufficio, con il solo limite che tale individuazione deve avvenire sulla base dei fatti per come accertati nelle fasi di merito e senza confliggere con il principio di monopolio della parte nell’esercizio della domanda e delle eccezioni in senso stretto (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 27704 del 03/12/2020; Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 4955 del 23/02/2024).
L’ esatta qualificazione giuridica delle questioni dedotte in giudizio sostanziali, attinenti al rapporto, o processuali, attinenti all’azione e all’eccezione -può, infatti, essere operata, anche d’ufficio, dalla Corte di cassazione, nell’esercizio dell’istituzionale potere di censura degli errori di diritto, ove le circostanze a tal fine rilevanti siano state compiutamente prospettate nella pregressa fase di merito dalla parte interessata (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 27542 del 28/10/2019).
2.2. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che, ai fini del rispetto della regola di sussidiarietà di cui all’art. 2042 c.c., la domanda di ingiustificato arricchimento (avanzata autonomamente, ovvero in via subordinata, rispetto ad altra domanda principale) è proponibile ove la diversa azione – sia essa fondata sul contratto ovvero su una specifica disposizione di legge, ovvero ancora su clausola generale – si riveli carente ab origine del titolo giustificativo, restando viceversa preclusa ove quest’ultima sia rigettata per prescrizione o decadenza del diritto azionato o per carenza di prova del pregiudizio subito o per nullità derivante dall’illiceità del titolo contrattuale per contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico (Cass., Sez. U, Sentenza n. 33954 del 05/12/2023; conf.
Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 6735 del 13/03/2024; Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 27008 del 18/10/2024).
Le stesse Sezioni Unite hanno, però, precisato di non voler mutare l’orientamento già espresso con riguardo ai casi di indebito arricchimento indiretto (o mediato).
Secondo tale orientamento, nelle ipotesi di arricchimento indiretto (o mediato) l’azione ex art. 2041 c.c. è di regola esclusa potendo l’impoverito fruire dell’azione, di norma contrattuale, nei confronti del terzo soggetto, diverso da quello il cui patrimonio si sia arricchito, e mancando l’unicità del fatto causativo dell’impoverimento e dell’arricchimento -ma, in via eccezionale, è ammessa nei casi in cui vi sia un arricchimento indiretto (o mediato) della P.A. rispetto ad un ente anch’esso di natura pubblicistica direttamente beneficiario o utilizzatore della prestazione dell’impoverito, ovvero nei casi in cui l’arricchimento sia conseguito dal terzo in forza di un rapporto gratuito o meramente di fatto con il soggetto obbligato (Cass., Sez. U, Sentenza n. 24772 del 08/10/2008; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 1833 del 26/01/2011; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 27891 del 23/11/2017; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 29672 del 22/10/2021). In tal modo si rivaluta la funzione propriamente equitativa della actio de in rem verso, la cui ratio è soprattutto quella di porre rimedio a situazioni giuridiche che altrimenti verrebbero ingiustamente private di tutela, tutte le volte in cui tale tutela non pregiudichi in alcun modo le posizioni, l’affidamento, la buona fede dei terzi (v. in particolare, Cass., Sez. U, Sentenza n. 24772 del 08/10/2008).
Questa Corte ha, peraltro, precisato che, in dette ipotesi di arricchimento indiretto, il beneficiario diretto della prestazione deve rendersi insolvente, ma la nozione di insolvenza è intesa come sinonimo di mancato adempimento, e non nel senso proprio della materia concorsuale. Non basta, infatti, che sia dichiarato lo stato di insolvenza dell’obbligato, perché si possa dire che nei confronti di quest’ultimo non vi sia alcuna
azione esperibile e che, quindi, il creditore può agire verso il terzo con l’azione di arricchimento (Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 1708 del 26/01/2021; v. anche Cass., Sez. 3, Sentenza n. 29672 del 22/10/2021). Nel caso di insolvenza, quale presupposto del fallimento, rimane, infatti, a ll’impoverito l’azione verso l’obbligato fallito, che può essere esercitata mediante insinuazione al passivo, non potendosi certo dire che l’insolvenza fallimentare priva i creditori di qualunque azione.
In altre parole, l’impoverito che abbia la possibilità di agire nei confronti dell’altro contraente non può esercitare l’azione di indebito arricchimento nei confronti del terzo che ha beneficiato della prestazione, costituendo l’indebito arricchimento solo un effetto indiretto o riflesso della prestazione eseguita nell’ambito del rapporto contrattuale, restando esperibile la relativa azione contro la persona destinataria per legge o per contratto della prestazione.
Per quanto in questa sede di rilievo, dunque, ove il terzo beneficiario sia un soggetto, anche pubblico, che abbia ottenuto la prestazione in virtù di atto a titolo oneroso, difetta la possibilità di esercitare l’azione di indebito arricchimento (per un precedente simile, v. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 1833 del 26/01/2011; cfr. anche Cass., Sez. 2, Sentenza n. 10663 del 22/05/2015; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 29672 del 22/10/2021).
2.3. Nella specie, è incontestato che l’Università abbia acquisito la prestazione eseguita dalla RAGIONE_SOCIALE in forza di un contratto di appalto stipulato con la RAGIONE_SOCIALE.p.a., la quale aveva stipulato un contratto di subappalto con la RAGIONE_SOCIALE , sicché stante l’esistenza di un titolo oneroso dell’acquisto della prestazione, nel rapporto tra arricchito e beneficiario diretto della prestazione, l’azione di ingiustificato arricchimento, quale arricchimento indiretto, non è ammissibile.
2.4. Il primo motivo di ricorso deve, pertanto, essere respinto in applicazione del seguente principio di diritto: «In tema di ingiustificato
arricchimento, l’azione ex art. 2041 c.c. è ammessa eccezionalmente nei casi di arricchimento indiretto solo quando l’ arricchimento sia ottenuto da un ‘ amministrazione pubblica in conseguenza della prestazione eseguita dall’impoverito in favore di un altro ente pubblico, ovvero quando l’ arricchimento sia conseguito dal terzo a titolo gratuito o senza alcun titolo nei confronti del beneficiario diretto della prestazione stessa, ma non anche quando il terzo, anche se si tratta di un ‘ amministrazione pubblica, abbia conseguito la prestazione in virtù di un titolo oneroso nei confronti del privato beneficiario.»
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
3.1. Come sopra anticipato, ad opinione della ricorrente, il giudice avrebbe dovuto tenere conto, ai fini della configurazione di una responsabilità extracontrattuale dell’Università, delle disposizioni dell ‘art. 118, commi 3 e 3 bis , d.lgs. n. 163 del 2006, oltre che dell’art. 13, comma 2, lett. a), l. n. 180 del 2011, così riconoscendo l’illiceità della condotta con la quale l’Università degli Studi di Udine, in qualità di stazione appaltante, non ha provveduto al pagamento diretto in favore della subappaltatrice RAGIONE_SOCIALE nonostante quest’ultima fosse da considerarsi piccola impresa, e nonostante i reiterati ritardi nei pagamenti dell’appaltatrice RAGIONE_SOCIALE sintomi evidenti di una crisi di liquidità sfociata nella dichiarazione di fallimento, così cagionando alla ricorrente un danno patrimoniale ingiusto.
3.2. Com’è noto, l’art. 118, commi 3 e 3 bis , d.lgs. n. 163 del 2006 (codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), nel testo applicabile ratione temporis , ha previsto quanto segue:
«3. Nel bando di gara la stazione appaltante indica che provvederà a corrispondere direttamente al subappaltatore o al cottimista l’importo dovuto per le prestazioni dagli stessi eseguite o, in alternativa, che è fatto
obbligo agli affidatari di trasmettere, entro venti giorni dalla data di ciascun pagamento effettuato nei loro confronti, copia delle fatture quietanzate relative ai pagamenti da essi affidatari corrisposti al subappaltatore o cottimista, con l’indicazione delle ritenute di garanzia effettuate. Qualora gli affidatari non trasmettano le fatture quietanziate del subappaltatore o del cottimista entro il predetto termine, la stazione appaltante sospende il successivo pagamento a favore degli affidatari. Nel caso di pagamento diretto, gli affidatari comunicano alla stazione appaltante la parte delle prestazioni eseguite dal subappaltatore o dal cottimista, con la specificazione del relativo importo e con proposta motivata di pagamento. Ove ricorrano condizioni di crisi di liquidità finanziaria dell’affidatario, comprovate da reiterati ritardi nei pagamenti dei subappaltatori o dei cottimisti, o anche dei diversi soggetti che eventualmente lo compongono, accertate dalla stazione appaltante, per il contratto di appalto in corso può provvedersi, sentito l’affidatario, anche in deroga alle previsioni del bando di gara, al pagamento diretto alle mandanti, alle società, anche consortili, eventualmente costituite per l’esecuzione unitaria dei lavori a norma dell’articolo 93 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, nonché al subappaltatore o al cottimista dell’importo dovuto per le prestazioni dagli stessi eseguite.
3-bis. È sempre consentito alla stazione appaltante, anche per i contratti di appalto in corso, nella pendenza di procedura di concordato preventivo con continuità aziendale, provvedere ai pagamenti dovuti per le prestazioni eseguite dagli eventuali diversi soggetti che costituiscano l’affidatario, quali le mandanti, e dalle società, anche consortili, eventualmente costituite per l’esecuzione unitaria dei lavori a norma dell’articolo 93 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, dai subappaltatori e dai cottimisti, secondo le determinazioni del tribunale competente per l’ammissione alla predetta procedura.»
La l. n. 180 del 2011 (statuto delle imprese), all’art. 13, sempre nel testo vigente ratione temporis , detta legge ha stabilito quanto segue:
«1. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, attraverso i rispettivi siti istituzionali, rendono disponibili le informazioni sulle procedure di evidenza pubblica e, in particolare, sugli appalti pubblici di importo inferiore alle soglie stabilite dall’Unione europea nonché sui bandi per l’accesso agli incentivi da parte delle micro, piccole e medie imprese. 2. Nel rispetto della normativa dell’Unione europea in materia di appalti pubblici, al fine di favorire l’accesso delle micro, piccole e medie imprese, la pubblica amministrazione e le autorità competenti, purché ciò non comporti nuovi o maggiori oneri finanziari, provvedono a: a) suddividere, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 29 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, gli appalti in lotti o lavorazioni ed evidenziare le possibilità di subappalto, garantendo la corresponsione diretta dei pagamenti da effettuare tramite bonifico bancario, riportando sullo stesso le motivazioni del pagamento, da parte de lla stazione appaltante nei vari stati di avanzamento …omissis»
3.3. Occorre subito precisare che l a Corte d’appello ha ritenuto che non fosse stata appellata la statuizione del primo Giudice, il quale aveva ritenuto che l’art. 118, comma 3, d.lgs. n. 163 del 2006, nella specie, non faceva sorgere un obbligo di pagamento diretto al subappaltatore da parte della stazione appaltante, con conseguente formazione del giudicato sul punto.
Nessuna contestazione in ordine a tale statuizione vi è stata, sicché deve ritenersi non più sindacabile la statuizione di inammissibilità dell’azione diretta in virtù della disposizione sopra evidenziata.
Né tale obbligo avrebbe potuto ritenersi operante in virtù del disposto dell’art. 118, comma 3 bis , d.lgs. cit., in riferimento alla dedotta presentazione della domanda di concordato, avendo questa Corte precisato che, in pendenza della procedura di concordato preventivo dell’appaltatore,
non è ammissibile il pagamento diretto nei confronti della impresa appaltatrice atteso che l’art. 118, comma 3 bis , del d.lgs. n. 163 del 2006, nel testo ratione temporis vigente, subordina espressamente tale possibilità alle determinazioni del Tribunale competente per l’ammissione alla procedura di concordato, peraltro nei limitati casi di continuità aziendale, dovendo il giudice valutare se l’appaltatore sia stato autorizzato a proseguire il contratto, ai sensi dell’art. 186 bis , comma 3, l. fall. e, nel caso in cui il pagamento diretto riguardi crediti sorti anteriormente al concordato, se ricorrano le condizioni di cui all’art. 182 quinquies , comma 5, l. fall. (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 12810 del 11/05/2023).
Per quanto riguarda , poi, il disposto dell’art. 13 l. n. 180 del 2011, risulta evidente che, come correttamente ritenuto dalla Corte di appello, la disposizione richiamata non introduce un diritto del piccolo o medio imprenditore, che sia un subappaltatore, ad ottenere il pagamento diretto dalla stazione appaltante, trattandosi di norma di azione rivolta alla Pubblica Amministrazione.
Questa Corte, con orientamento condiviso dal Collegio, ha di recente precisato che l’articolo appena richiamato si è limitato a prevedere espressamente le modalità operative del pagamento mediante bonifico bancario, nella sola ipotesi in cui la stazione appaltante, nell’esercizio della facoltà di scelta tra il pagamento diretto del subappaltatore ovvero quello indiretto attraverso l’appaltatore, abbia già optato per il pagamento diretto del subappaltatore, senza assumere una portata modificativa e innovativa della disciplina degli appalti prevista dal d.lgs. n. 163 del 2006 (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 21525 del 31/07/2024).
4. Anche il terzo motivo è inammissibile.
Parte ricorrente ha dedotto che la Corte di appello non si è pronunciata sulla richiesta di pagamento diretto ex art. 1676 c.c., ma non ha dedotto di
avere formulato uno specifico motivo di appello sul punto, affermando di avere riportato la richiesta nelle conclusioni dell’atto di appello.
Dalla sentenza di secondo grado emerge chiaramente che il giudice di primo grado aveva escluso l’operatività dell’art. 1676 c.c., ritenendolo riferito esclusivamente ai dipendenti dell’appaltatore, sicché la parte, ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, e a prescindere dalla facoltà di verificare gli atti del giudizio in ragione della natura del vizio prospettato, avrebbe dovuto dedurre di avere formulato un motivo di doglianza sul punto, su cui la Corte di merito era chiamata a pronunciarsi, non potendo limitarsi a riproporre la domanda stessa, trattandosi della parte soccombente in primo grado e non di quella vincitrice.
Il quarto motivo di ricorso è assorbito, tenuto conto che il mancato accoglimento delle precedenti censure rende superflua ogni statuizione sulle istanze istruttorie, riferite a domande definitivamente respinte, a prescindere dai richiesti accertamenti istruttori.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla controricorrente, che liquida in € 5.000,00 per compenso, oltre spese prenotate a debito; dà atto, i n applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte
della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto .
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile