Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22005 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22005 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2852/2023 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
-controricorrenti – avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 1362/22, depositata il 17 giugno 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 aprile 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con lodo del 26 novembre 2015, l’arbitro nominato per la risoluzione di una controversia insorta tra NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME a seguito del recesso del primo dallo RAGIONE_SOCIALE costituito con atto del 30 luglio 2001, ed avente ad oggetto la ripartizione degli utili in relazione al fatturato, rigettò le domande reciprocamente proposte dalle parti.
L’impugnazione proposta dal COGNOME fu accolta dal Tribunale di Piacenza, che con sentenza del 5 novembre 2019 dichiarò la nullità del lodo, qualificato come lodo irrituale, rilevando che l’arbitro aveva abdicato alla sua funzione di amichevole compositore, mediante un procedimento marcatamente formalizzato, e ritenendo totalmente insufficiente la c.t.u. espletata nel corso del procedimento, non accompagnata da un ricostruzione tecnico-contabile dell’andamento del volume d’affari, della contabilità e del concreto e reale dipanarsi dei rapporti tra le parti.
La predetta sentenza fu impugnata dalla COGNOME e dal COGNOME dinanzi alla Corte d’appello di Bologna, che con sentenza del 17 giugno 2022 ha rigettato le domande proposte dal COGNOME.
Premesso che, ai fini della qualificazione del lodo come rituale o irrituale, e quindi dell’individuazione del mezzo d’impugnazione, non assume rilievo il contenuto letterale della clausola compromissoria, dovendosi tenere invece conto della natura dell’atto concretamente posto in essere dall’arbitro, la Corte ha attribuito al lodo carattere rituale, rilevando che l’arbitro aveva deciso secondo diritto, all’esito di un procedimento contraddistinto da una marcata formalizzazione, incompatibile con la connotazione risultante dalla clausola compromissoria, che prevedeva un arbitrato irrituale. Ha ritenuto pertanto applicabile il mezzo d’impugnazione di cui all’art. 828 cod. proc. civ., e, rilevato che l’atto di citazione era stato notificato ben oltre la scadenza del termine annuale previsto da tale disposizione, ha dichiarato inammissibile l’impugnazione.
Ha aggiunto la Corte che, anche a voler attribuire al lodo carattere irrituale, non avrebbe potuto trovare applicazione l’art. 808ter cod. proc. civ.,
riguardante esclusivamente le convenzioni di arbitrato stipulate dopo la sua entrata in vigore, e non riferibile quindi alla clausola in questione, stipulata nell’anno 2001, con la conseguenza che il lodo sarebbe stato impugnabile soltanto per incapacità degli arbitri o per vizio del consenso. Precisato che la circostanza, fatta valere dall’attore, che l’arbitro non avesse agito quale amichevole compositore avrebbe potuto assumere rilievo soltanto se avesse dato luogo ad un vizio della volontà, ha escluso che il comportamento dell’arbitro, il quale aveva agito nel rigoroso rispetto del contraddittorio e consentito alle parti di svolgere regolarmente le proprie difese, potesse tradursi in un errore di fatto, idoneo a determinare l’invalidità del lodo. Ha escluso inoltre che il predetto errore, configurabile soltanto nel caso in cui l’arbitro non abbia preso visione degli elementi della controversia o ne abbia supposti altri inesistenti, o abbia dato come contestati fatti pacifici o viceversa, potesse essere determinato dal mancato espletamento di una più ampia c.t.u., comprendente l’indagine sull’apporto del singolo socio al fatturato prodotto dall’associazione, osservando che, anche qualora fosse stato possibile accertare un maggiore apporto dell’attore, avrebbe dovuto comunque trovare applicazione il criterio di ripartizione degli utili previsto dall’art. 4 dell’atto costitutivo.
Avverso la predetta sentenza il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, illustrati anche con memoria. La COGNOME ed il COGNOME hanno resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 807, 808, 808ter e 828 cod. proc. civ. e dell’art. 1362 cod. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha attribuito al lodo carattere rituale, pur avendo dato atto della volontà delle parti di accedere ad un arbitrato irrituale. Premesso infatti che l’insufficienza del contenuto letterale della clausola compromissoria, ai fini della qualificazione del lodo, non ha impedito alla Corte territoriale d’individuare chiaramente la comune intenzione delle parti, osserva che il lodo stesso aveva ribadito il carattere irrituale dell’arbitrato, aggiungendo che la natura dell’attività concretamente posta in
essere dall’arbitro costituiva un elemento meramente sussidiario, che avrebbe potuto essere preso in considerazione soltanto in assenza di una chiara scelta delle parti. Afferma l’inconsistenza degli elementi sintomatici utilizzati dalla sentenza impugnata, non risultando la decisione secondo diritto incompatibile con una composizione amichevole della controversia e non essendosi l’arbitro attenuto alle regole ed ai termini dell’ordinario procedimento civile, ma avendo gestito il procedimento come meglio ha creduto.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 808ter cod. proc. civ. e degli artt. 1418, 1419, 1427, 1429, 1710 e 1711 cod. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto irrilevante l’omissione da parte dell’arbitro dell’attività di amichevole compositore. Premesso che, anche in epoca anteriore all’entrata in vigore dell’art. 808ter cit., il lodo irrituale era ritenuto annullabile per incapacità delle parti o dell’arbitro o per vizi del consenso, sostiene che la violazione del principio della domanda poteva essere fatta valere come eccesso o difetto del mandato conferito agli arbitri, mentre l’omissione di pronuncia o di attività era ritenuta idonea a determinare la nullità radicale del lodo. Precisato inoltre che la clausola compromissoria evidenziava il comune intento delle parti di ottenere la definizione di qualsiasi controversia secondo equità e buon senso, da parte di un organo che per affinità e competenza professionale fosse in grado di percepire il nucleo tecnico ed economico della questione, osserva che l’arbitro aveva invece assunto la veste di giudicante formale, sovraccaricando il procedimento di adempimenti inutili, ma omettendo di prendere in considerazione i prospetti prodotti dalle parti, rifiutando di svolgere le indagini tecniche che gli avrebbero impedito d’incorrere in un errore di fatto, e decidendo la causa sulla base di valutazioni di stretto diritto.
3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 808ter cod. proc. civ. e degli artt. 1418, 1419, 1427, 1429, 1710 e 1711 cod. civ., nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che l’adesione dell’arbitro ad una c.t.u. incompleta integrasse un errore di fatto, senza considerare che, non avendo il c.t.u. indagato in alcun modo in ordine agli apporti dei singoli associati al fatturato dello RAGIONE_SOCIALE ed all’imputabilità delle uscite allo
RAGIONE_SOCIALE, non era possibile formarsi alcun convincimento in ordine alla correttezza della contabilità. Aggiunge che l’esistenza di rilevanti scostamenti tra gli apporti effettivi degli associati e le percentuali previste dall’atto costitutivo era comprovata da altri mezzi istruttori, le cui risultanze, aventi carattere decisivo, erano state del tutto ignorate dall’arbitro, il quale, rifiutando di disporre l’indagine tecnico-contabile, aveva sostanzialmente snaturato il procedimento.
Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata o del procedimento, sostenendo che la Corte d’appello ha omesso di rilevare gli errores in procedendo commessi dall’arbitro, i quali avevano inciso pesantemente sul diritto di difesa di esso ricorrente.
Il primo motivo, avente ad oggetto la qualificazione della fattispecie come arbitrato rituale, è infondato.
Ai fini della dichiarazione d’inammissibilità dell’impugnazione, la Corte territoriale si è infatti attenuta correttamente al principio più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in caso di divergenza tra la natura dell’arbitrato prevista dalla clausola compromissoria e quella del procedimento concretamente svoltosi, il mezzo d’impugnazione del lodo arbitrale dev’essere individuato sulla base, non già della volontà manifestata dalle parti, ma della natura dell’atto posto in essere dall’arbitro, sicché, ove sia stato pronunciato un lodo irrituale, nonostante alcune parti sostengano di avere in realtà pattuito un arbitrato rituale, l’impugnazione non può essere proposta dinanzi alla corte d’appello, nel termine previsto dall’art. 828 cod. proc. civ., ma, sia pure allo scopo di far valere il carattere rituale del lodo, dinanzi al giudice individuato in base alle norme ordinarie sulla competenza e con l’osservanza del doppio grado di giurisdizione, facendo valere i vizi propri degli atti negoziali (cfr. Cass., Sez. II, 18/02/2016, n. 3197; 8/11/2013, n. 25258).
E, viceversa, ove -come nel caso di specie -gli arbitri abbiano ritenuto, anche implicitamente, la natura rituale dell’arbitrato, avendo provveduto nelle forme di cui agli artt. 816 e ss. c.p.c., l’impugnazione del lodo, anche se diretta a far valere la natura irrituale dell’arbitrato ed i conseguenti errores in procedendo commessi dagli arbitri, va proposta davanti alla Corte d’appello,
ai sensi dell’art. 827 c.p.c. e ss., e non nei modi propri dell’impugnazione dell’arbitrato irrituale, ossia davanti al giudice ordinariamente competente, e facendo valere soltanto i vizi che possono inficiare qualsiasi manifestazione di volontà negoziale (Cass., Sez. I, 24/03/2011, n. 6842; 6/09/2006, n. 19129; conf., in motivazione, Cass. 3197/2016).
L’applicabilità di tale principio, pertanto, non può essere esclusa, nel caso in esame, in virtù della mera circostanza, fatta valere dal ricorrente, che al lodo pronunciato dall’arbitro sia stato attribuito carattere rituale, a fronte di una clausola compromissoria che prevedeva lo svolgimento di un arbitrato irrituale. Ed invero, in forza dei principi suesposti, sebbene l’interpretazione della convenzione di arbitrato svolga un ruolo fondamentale nell’accertamento della natura del lodo concretamente emesso, dovendosi presumere, in difetto di elementi contrari, che gli arbitri si siano adeguati a quanto previsto dalle parti, ove risulti altrimenti chiaro, dalla procedura seguita o dalla qualificazione espressamente data dagli arbitri, che è stato emesso un lodo rituale o irrituale, ciò è decisivo ai fini dell’individuazione del mezzo d’impugnazione esperibile, senza che si debba o si possa risalire all’interpretazione della volontà espressa dalle parti nella convenzione (cfr. Cass., Sez. I, 24/03/2011, n. NUMERO_DOCUMENTO).
Nella specie, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, non poteva -di conseguenza – escludersi il potere del giudice adìto di accertare esso stesso la natura del lodo, ai fini del riscontro dell’ammissibilità dell’impugnazione, sulla base della procedura concretamente adottata per giungere alla sua emissione: l’evidenza della riconducibilità di tale procedura al paradigma di cui all’art. 816 cod. proc. civ. (nel testo, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, anteriore alle modificazioni introdotte dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) emerge d’altronde dalla stessa affermazione, posta a sostegno dell’impugnazione del lodo, che l’arbitro si era discostato dalla volontà manifestata dalle parti nella clausola compromissoria, comportandosi di fatto come un arbitro rituale, attraverso la scelta di un procedimento rigorosamente formalizzato.
Quanto poi alla lesione dell’affidamento asseritamente ricollegabile all’individuazione del regime impugnatorio sulla base delle indicazioni emergenti
dal lodo o dalla procedura seguita ai fini della sua emissione, anziché dalla volontà manifestata dalle parti nella clausola compromissoria, è appena il caso di rilevare che, in tema d’impugnazioni, il principio dell’apparenza, secondo cui il rimedio esperibile contro un provvedimento giurisdizionale deve essere individuato con riferimento esclusivo a quanto previsto dalla legge per le decisioni assunte secondo il rito in concreto adottato, anziché secondo quello astrattamente applicabile, mira proprio a tutelare l’affidamento riposto dalla parte impugnante in ordine alla qualificazione del provvedimento prescelta dal giudice o comunque emergente dal procedimento seguito, consentendole di attenersi alla stessa, indipendentemente dalla sua esattezza (cfr. Cass., Sez. I, 21/06/2021, n. 17646; 13/02/2015, n. 2948; Cass., Sez. III, 23/10/2020, n. 23390).
6. Gli altri motivi sono invece inammissibili, avendo ad oggetto argomentazioni contenute nella sentenza impugnata che, in quanto attinenti al merito dell’impugnazione del lodo, devono ritenersi svolte soltanto ad abundantiam , e quindi concretamente ininfluenti sulla decisione, riguardando questioni il cui esame risultava precluso dalla dichiarazione d’inammissibilità dell’impugnazione, avente carattere pregiudiziale.
Qualora infatti il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità, con la quale si sia spogliato della potestas iudicandi sul merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni di merito, le stesse devono ritenersi estranee alla ratio decidendi , e quindi prive di effetti giuridici, con la conseguenza che la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnarle, essendo tenuta a censurare soltanto la dichiarazione d’inammissibilità, la quale costituisce la vera ragione della decisione (cfr. Cass., Sez. Un., 1/02/2021, n. 2155; Cass., Sez. III, 19/09/2022, n. 27388; Cass., Sez. VI, 19/12/2017, n. 30393).
7. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controri-
correnti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 24/04/2024