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Arbitrato rituale: la procedura conta più del patto

La Corte di Cassazione chiarisce che per impugnare un lodo arbitrale, rileva la natura del procedimento concretamente seguito dall’arbitro e non la volontà iniziale delle parti. Se l’arbitro, pur incaricato per un arbitrato irrituale, adotta una procedura formale, il lodo si qualifica come arbitrato rituale. Di conseguenza, l’impugnazione deve rispettare i termini e le forme previste per tale rito, pena l’inammissibilità, come accaduto nel caso di specie, relativo a una controversia tra ex soci di uno studio professionale.

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Pubblicato il 13 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Arbitrato rituale: prevale la procedura seguita o l’accordo tra le parti?

Nell’ambito della risoluzione delle controversie, la scelta tra arbitrato e giustizia ordinaria è cruciale. Ma cosa accade quando la forma di arbitrato svolta non corrisponde a quella pattuita? Con l’ordinanza n. 22005/2024, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: per determinare il corretto mezzo di impugnazione di un lodo, si deve guardare alla procedura concretamente seguita, non alla volontà originaria delle parti. Questa decisione evidenzia l’importanza di comprendere la distinzione tra arbitrato rituale e irrituale e le conseguenze procedurali che ne derivano.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da una controversia sorta tra un professionista e i suoi ex associati di uno studio di ingegneria e architettura, in seguito al recesso del primo. Il disaccordo riguardava la ripartizione degli utili. Per risolvere la questione, le parti avevano fatto ricorso a un arbitro, come previsto da una clausola compromissoria che indicava un arbitrato irrituale (o libero).

L’arbitro, nel 2015, emetteva un lodo che respingeva le domande di tutte le parti. Il professionista receduto impugnava tale decisione davanti al Tribunale, che accoglieva la sua richiesta dichiarando la nullità del lodo. Il Tribunale lo qualificava come irrituale, ma riteneva che l’arbitro avesse fallito nel suo ruolo di compositore amichevole, adottando un procedimento eccessivamente formalizzato.

Contro questa decisione, gli ex associati si rivolgevano alla Corte d’Appello. Quest’ultima ribaltava la sentenza di primo grado, dichiarando inammissibile l’impugnazione originaria del professionista. Il motivo? Secondo la Corte territoriale, nonostante l’accordo per un arbitrato irrituale, l’arbitro aveva di fatto condotto un procedimento del tutto assimilabile a un arbitrato rituale. Di conseguenza, l’impugnazione avrebbe dovuto seguire le forme e i termini previsti dall’art. 828 c.p.c., termini che non erano stati rispettati.

L’Arbitrato Rituale e il Principio della Cassazione

Il professionista soccombente ricorreva quindi in Cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello avesse errato nel qualificare il lodo come rituale, andando contro la chiara volontà delle parti espressa nella clausola compromissoria. La Suprema Corte, tuttavia, ha rigettato il ricorso, confermando l’orientamento consolidato della giurisprudenza.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha stabilito un principio cardine: in caso di divergenza tra la natura dell’arbitrato prevista dalle parti e quella del procedimento concretamente svoltosi, il mezzo di impugnazione del lodo deve essere individuato sulla base della natura dell’atto posto in essere dall’arbitro, non della volontà manifestata nella clausola compromissoria.

In altre parole, se l’arbitro si comporta come un giudice, seguendo un iter formale, rispettando il contraddittorio in modo rigoroso e decidendo secondo diritto, il procedimento assume le caratteristiche di un arbitrato rituale. Di conseguenza, il lodo che ne deriva ha l’efficacia di una sentenza e deve essere impugnato come tale, dinanzi alla Corte d’Appello e nei termini perentori previsti dalla legge.

Questo approccio, noto come “principio dell’apparenza”, serve a tutelare l’affidamento delle parti sulla qualificazione del provvedimento che emerge dal procedimento seguito. Se il procedimento appare rituale, la parte che intende impugnarlo deve attenersi alle regole di quella procedura, a prescindere da ciò che era stato pattuito anni prima nel contratto.

La Cassazione ha inoltre dichiarato inammissibili gli altri motivi di ricorso, poiché, una volta stabilita l’inammissibilità dell’impugnazione originaria per ragioni procedurali, il giudice non ha più il potere di esaminare il merito della controversia. Le eventuali argomentazioni sul merito contenute nella sentenza d’appello sono state considerate semplici obiter dicta (argomentazioni ad abundantiam), prive di valore decisorio.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

L’ordinanza in esame offre una lezione fondamentale per chiunque si affidi all’arbitrato. La forma è sostanza: non basta stipulare una clausola per un arbitrato irrituale se poi, nei fatti, il procedimento si svolge con le formalità tipiche di un giudizio. Le parti e i loro legali devono monitorare attentamente lo svolgimento della procedura arbitrale, poiché da essa dipenderà la natura del lodo e, soprattutto, il corretto (e spesso stringente) percorso per una sua eventuale contestazione. Agire secondo la forma sbagliata o fuori tempo massimo può precludere definitivamente la possibilità di far valere le proprie ragioni, come amaramente imparato dal ricorrente in questa vicenda.

Come si stabilisce se un lodo arbitrale va impugnato secondo le regole dell’arbitrato rituale o irrituale?
La qualificazione dipende dalla natura del procedimento concretamente seguito dall’arbitro e non dalla volontà inizialmente manifestata dalle parti nella clausola compromissoria. Se il procedimento è stato formale e ha seguito le regole processuali, si considera un arbitrato rituale.

Cosa succede se un arbitro, incaricato di un arbitrato irrituale, conduce di fatto un procedimento formale e rituale?
Il lodo che ne risulta deve essere impugnato secondo le norme previste per l’arbitrato rituale (dinanzi alla Corte d’Appello e nel termine previsto dall’art. 828 del codice di procedura civile), indipendentemente dall’accordo originale delle parti.

Se un giudice dichiara un’impugnazione inammissibile per motivi procedurali, può comunque esaminare le questioni di merito?
No. Una volta emessa una statuizione di inammissibilità, il giudice si spoglia del potere di giudicare il merito della controversia. Eventuali argomentazioni sul merito contenute nella sentenza sono considerate irrilevanti ai fini della decisione (cosiddette ‘ad abundantiam’) e non hanno effetti giuridici.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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