Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8913 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8913 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/04/2025
Oggetto: contratti bancari
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4685/2021 R.G. proposto da COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi da ll’ avv. NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata dalla Banca Finanziaria Internazionale s.p.a., a sua volta rappresentata dalla RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa da ll’ avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Catania n. 1911/2020, depositata il 10 novembre 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per
cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Catania, depositata il 10 novembre 2020, di reiezione dell’appello avverso la sentenza del locale Tribunale che aveva respinto la loro opposizione al decreto con cui era stato loro ingiunto di pagare, in via solidale, in favore della Società Gestione RAGIONE_SOCIALE quale mandataria della Banco Popolare soc. coop., la somma di euro 64.862,87, quale saldo di un conto corrente acceso dal primo e garantito da fideiussione rilasciata dalla seconda;
la Corte di appello ha riferito che il giudice di prime cure aveva respinto l’opposizione al decreto ingiuntivo accertando la controversa autenticità delle sottoscrizioni apposte sulle condizioni speciali del contratto di conto corrente, la legittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e della commissione di massimo scoperto, l’assenza della allegata usurarietà de gli interessi applicati, l’effettiva anticipazione dell’importo indicato in una fattura e la validità della fideiussione, qualificata quale fideiussione omnibus, rilasciata dalla predetta NOME COGNOME;
ha, quindi, disatteso il gravame evidenziando, in particolare, la mancata contestazione degli estratti conto nel termine di cui all’art. 1832 cod. civ., l’attendibilità delle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio grafologica disposta al fine di accertare l’autenticità delle sottoscrizioni apposte alle condizioni particolari del contratto di conto corrente, la correttezza della valutazione del Tribunale in ordine alla legittimità della capitalizzazione degli interessi passivi e della commissione di massimo scoperto e alla mancata applicazione di interessi usurari, nonché l’inammissibilità dell’eccezione di nullità della fideiussione per violazione della normativa antitrust in quanto sollevata tardivamente;
il ricorso è affidato a sette motivi;
resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE quale mandataria della Banca Finanziaria Internazionale s.p.a., a sua volta mandataria della
RAGIONE_SOCIALE cessionaria del credito in contestazione e costituita già nel grado di appello;
la ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo i ricorrenti denunciano , con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione degli art. 112 cod. proc. civ., nella parte in cui ha ritenuto che il disconoscimento dell’a ddebito corrispondente all’importo fattura asseritamente anticipata fosse precluso dalla tacita approvazione del relativo estratto conto ai sensi dell’art. 1832 cod. civ., benché la banca non avesse sollevato tale eccezione e, comunque, non avesse dato alcuna prova dell’effettivo inoltro di tale estratto;
con il medesimo motivo deduce, altresì, in via subordinata, la violazione dell’art. 1832, secondo comma, cod. civ., in relazione alla ritenuta «irretrattabilità» della questione relativa all’assenza di una giusta causa del predetto addebito, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso e la violazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione alla mancata valutazione degli effetti del disconoscimento della fattura in oggetto e alla conseguente allocazione sulla parte debitrice dell’onere di dimostrare l’esatto importo del credito vantato dalla banca;
il motivo è, nei limiti che seguono, fondato;
-nel contratto di conto corrente, l’approvazione anche tacita dell’estratto conto, ai sensi dell’art. 1832, primo comma, cod. civ. preclude qualsiasi contestazione in ordine alla conformità delle singole annotazioni ai rapporti obbligatori dai quali derivano gli accrediti e gli addebiti iscritti nell’estratto conto, ma non impedisce di sollevare contestazioni in ordine alla validità ed all’efficacia dei rapporti obbligatori dai quali derivano i suddetti addebiti ed accrediti, e cioè quelle fondate su ragioni sostanziali attinenti alla legittimità, in
relazione al titolo giuridico, dell ‘ inclusione o dell ‘ eliminazione di partite del conto corrente (cfr. Cass. 20 novembre 2018, n. 30000; Cass. 27 novembre 2016, n. 23421; Cass. 26 maggio 2011, n. 11626);
nel caso in esame, in cui si controverte in ordine alla correttezza dell’annotazione a debito dell’importo di una fattura anticipato dalla banca in favore del creditore, contestata in ragione della asserita assenza di una richiesta di anticipazione, la ritenuta approvazione del conto ex art. 1832 cod. civ. preclude la possibilità di contestare la verità storica dell’operazione di addebitamento (che non è in discussione tra le parti, ma che, anzi, costituisce il presupposto della doglianza), ma non anche il dato dell ‘erronea annotazione di addebito per insussistenza del titolo giuridico posto a fondamento, ossia la richiesta di anticipazione della fattura recante l’importo addebitato;
ne consegue che la Corte di appello, nel ritenere che la tacita approvazione del conto ai sensi dell’art. 1832 cod. civ., aveva reso «incontestabili le registrazioni a debito e credito nella loro realtà contabile», non ha fatto corretta applicazione del riferito principio di diritto;
inammissibile è, invece, la censura nella parte con cui si deduce la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato in relazione alla dichiarata preclusione per approvazione tacita del l’estratto conto pur in assenza di relativa deduzione della banca, venendo in rilievo la rilevazione di una decadenza, quale quella stabilita dall’art. 1832 cod. civ. (cfr. , oltre alle menzionate Cass. n. 23421 del 2016 e Cass. n. 11626 del 2011, Cass. 19 gennaio 2016, n. 817; Cass. 9 giugno 2010, n. 13889) , che, in quanto tale, va rilevata d’ufficio; – del pari inammissibile è la censura nella parte in cui esprime un vizio motivazionale, ricorrendo una ipotesi di cd. «doppia conforme» di cui all’art. 348 -ter , quinto comma, cod. proc. civ., e non avendo il ricorrente assolto all’ onere del ricorrente indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della
sentenza di rigetto dell’appello onde dimostrare che esse sono tra loro diverse e che, dunque, non trova applicazione la regola preclusiva della censura per omesso esame di fatti decisivi e controversi (cfr. Cass. 28 febbraio 2023, n. 5947; Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774);
-in ogni caso, si evidenzia che l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio deve intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché è inammissibile la censura, investendo, come nel caso in esame, l’omessa considerazione di un’argomentazione difensiva, irritualmente, estende il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr. Cass. 26 gennaio 2022, n. 2268; Cass. 6 settembre 2019, n. 22397);
con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1283, 1325, secondo comma, e 1375 cod. civ. e 120 t.u.b., nonché la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso e la violazione dell’art. 2697 cod. civ. ;
con tale motivo aggrediscono la decisione della Corte territoriale nella parte in cui non ha esaminato il motivo di appello vertente sulla violazione del criterio della pari periodicità nella capitalizzazione degli interessi attivi e passivi stabilito da ll’art. 25 d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342, perpetrata attraverso la previsione di una «sproporzione abissale» tra i tassi passivi e quelli attivi;
il motivo è infondato;
pur rispondendo al vero che la Corte di appello non si è pronunciata sul punto, ciò non giustifica l’accoglimento del motivo, poiché la questione sollevata si presenta priva di pregio;
in proposito, si rammenta che, alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, secondo comma, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ.
ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (cfr. Cass. 19 aprile 2018, n. 9693; Cass. 28 giugno 2017, n. 16171; Cass., Sez. Un., 2 febbraio 2017, n. 2731);
-orbene, va osservato che il requisito della reciprocità, quale presupposto per la liceità della capitalizzazione periodica degli interessi ammessa dall’art. 25, d.lgs. n. 342 del 1999 non viene meno ove il tasso pattuito per i saldi periodici debitori sia diverso da quello previsto per quelli creditori, poiché l’effetto accrescitivo dell’anatocismo in favore del cliente non si annulla a causa della minor rilevanza del tasso percentuale e l’asimmetria dipende dall’incremento dell’indebitamento (così, Cass. 24 aprile 2024, n. 11014);
con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono della omessa e/o apparente motivazione sul punto della dedotta indeterminatezza della commissione di massimo scoperto oltre il fido, nonché della violazione degli artt. 117, quarto comma, t.u.b., 2 l. 7 marzo 1996, n. 108, e 644 cod. pen., sul punto del rigetto della prospettata nullità di tale commissione per superamento del tasso soglia previsto dalla normativa in tema di usura;
il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile;
quanto al primo profilo, si rileva che la Corte territoriale ha ritenuto che la clausola che riconosceva la commissione di massimo scoperto era determinata, essendo stata pattuita nella misura dell1% da calcolarsi sullo scoperto ed era contabilizzata con cadenza trimestrale;
-una siffatta motivazione consente di individuare l’ iter argomentativo
seguito dal giudice, per cui si sottrae alla censura articolata, avuto riguardo al ribadito principio secondo cui il sindacato di legittimità sulla motivazione si è ormai ridotto alla verifica del rispetto del cd. minimo costituzionale che nel caso in esame risulta essere presente (cfr. Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053; nello stesso senso, più recentemente, Cass. 16 maggio 2024, n. 13621; Cass. 11 aprile 2024, n. 9807; Cass. 7 marzo 2024, n. 6127);
sotto altro aspetto, la censura si risolve in una critica alla valutazione degli elementi probatori effettuata dal giudice -in particolare, dell’interpretazione della clausola contrattuale e dell’individuazione del contenuto della stessa -che è a lui riservata;
in ordine al secondo profilo di doglianza, si osserva che la Corte di appello ha ritenuto che la mancata puntuale allegazione dei fatti costitutivi della dedotta usura ostasse all ‘accoglimento del motivo di gravame articolato sul punto;
-parte ricorrente si limita a ritenere «non pertinente» l’argomentazione resa in proposito, senza, tuttavia, indicare in modo chiaro le ragioni per cui il principio affermato dalla sentenza di appello non troverebbe applicazione al caso in esame;
sostiene, poi, che la commissione di massimo scoperto assume rilevanza ai fini dell’ applicazione della normativa in tema di usura, ma tale assunto non risulta porsi in contraddizione con quanto affermato dalla Corte di appello, la quale ha fondato la sua decisione su una distinta ratio decidendi ;
con il quarto motivo i ricorrenti criticano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 117, terzo, quarto e sesto comma, t.u.b., 1284, terzo comma, cod. civ., 112 e 116 cod. proc. civ. e omesso esame di un fatto decisivo e controverso del giudizio, nella parte in cui ha motivato solo apparentemente sul motivo di appello concernente la allegata nullità del tasso di interesse debitore pattuito per indeterminatezza e, comunque, ha erroneamente inteso le condizioni
economiche indicate nel contratto di conto corrente;
il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile;
la Corte di appello ha, in proposito, osservato che la doglianza formulata sul punto era infondata atteso che il documento contrattuale indicava le condizioni economiche applicate, in particolare il tasso del fido annuo nominale e quello oltre fido annuale effettivo;
anche in tal caso, la motivazione espressa è rispettosa del cd. minimo costituzionale che nel caso in esame risulta essere presente, rendendo palese l’iter argomentativo seguito dal giudice ;
-in ordine all’asserita violazione delle norme sostanziali di riferimento, la doglianza si risolve, nuovamente, in una critica alla valutazione degli elementi probatori effettuata dal giudice -in particolare, dell’interpretazione della clausola contrattuale e dell’individuazione del contenuto della stessa -che è a lui riservata;
con il quinto motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 112, 183 e 345 cod. proc. civ., per aver la sentenza impugnata dichiarato inammissibile il motivo di appello vertente sulla nullità della polizza vita sottoscritta, il cui acquisto era stato addebitato sul conto corrente in oggetto, in ragione del fatto che la relativa questione era stata introdotta nel primo grado di giudizio solo in sede di memoria depositata ai sensi dell’art. 183, sesto comma, n. 1, cod. proc. civ. e non con l’atto di opposizione al decreto ingiuntivo;
il motivo è infondato;
la nullità contrattuale, siccome oggetto di un’eccezione in senso lato, è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, a condizione che i relativi presupposti di fatto siano stati acquisiti al giudizio di merito nel rispetto delle preclusioni assertive e istruttorie (cfr. Cass. 25 gennaio 2025, n. 1851; Cass. 23 febbraio 2024, n. 4867; Cass. 18 ottobre 2023, n. 28983; Cass. 19 ottobre 2022, n. 30885);
nel caso in esame, parte ricorrente non deduce l’avvenuta rituale acquisizione agli atti del giudizio degli elementi necessari per la
rilevazione della nullità da parte del giudice;
priva di pregio è, poi, la tesi dei ricorrenti secondo cui sarebbe sempre possibile modificare la domanda originaria con la memoria di cui all’art. 183, sesto comma, n. 1, cod. proc. civ., con conseguente «allargamento» della causa petendi , qualora tale modifica si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l’atto introduttivo e sia a questa collegata;
infatti, come affermato nella Cass., Sez. Un., 15 giugno 2015, n. 12310, peraltro richiamata dagli stessi ricorrenti, la modifica della domanda ammessa con tale memoria non può risolversi nella proposizione di domande ulteriori o aggiuntive, «dovendosi trattare pur sempre delle stesse domande iniziali modificate -eventualmente anche in alcuni elementi fondamentali -, o, se si vuole, di domande diverse che però non si aggiungono a quelle iniziali ma le sostituiscono e si pongono pertanto, rispetto a queste, in un rapporto di alternatività»;
nel caso in esame, invece, è evidente che la eccezione degli opponenti si aggiungeva a quelle già proposte e non si sostituiva alle stesse, palesando l’assenza di tale necessario rapporto;
con il sesto motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per errata e falsa lettura del motivo di impugnazione in relazione all’art.
« 360 n. 4 c.p.c.», omessa valutazione di un fatto decisivo e controverso, violazione degli artt. 112 cod. proc. civ., 1175, 1375, 1469 bis e 1956 cod. civ. e 117 e 119 t.u.b., nella parte in cui ha dichiarato inammissibile per genericità il motivo di gravame avente a oggetto la nullità della fideiussione per indeterminatezza del suo oggetto;
evidenziano, in proposito, che la Corte territoriale non aveva «ben letto la censura sollevata», chiara nel dedurre che la sottoscrizione del documento di garanzia era priva della indicazioni dei contratti in essere tra il debitore principale e la banca cui lo stesso si riferiva;
-aggiungono che il giudice di appello non aveva preso in
considerazione la qualità di consumatore della garante e le relative norme applicabili, nonché la ricorrenza degli estremi per la liberazione del fideiussore ai sensi dell’art. 1956 cod. civ.;
il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile;
la Corte territoriale ha riferito che il giudice di primo grado aveva respinto l’eccezione di nullità della fideiussione per mancata indicazione delle obbligazioni cui si riferiva la garanzia osservando che si trattava di una fideiussione omnibus , per tale intendendosi una fideiussione destinata a garantire tutte le obbligazioni che il garantito aveva o avrebbe contratto con la banca beneficiaria;
ha, quindi, ritenuto che gli appellanti non avessero puntualmente aggredito tale ratio decidendi e, per tale ragione, che il motivo di appello fosse inammissibile ai sensi dell’art. 342 cod. proc. civ. ;
la doglianza contesta siffatta valutazione che, tuttavia, appare corretta, atteso che i ricorrenti insistono nel dolersi della mancata indicazione dei contratti in essere tra il garantito e la beneficiaria senza considerare che il giudice di primo grado aveva ritenuto che la fideiussione si estendeva a tutti i contratti, indipendentemente dal fatto che la garante fosse a conoscenza degli stessi o meno;
in ordine alla mancata considerazione della qualità di consumatore della garante medesima, si rileva che i ricorrenti omettono di indicare se e in quale atto hanno allegato siffatta qualità, non consentendo a questa Corte di esaminare l’ammissibilità della censura, sotto il profilo della concludenza, nonché la sua fondatezza;
sul punto, dunque, la doglianza pecca della necessaria specificità;
può aggiungersi che, come rilevato in precedenza, il potere di rilevazione della nullità negoziale esige che la stessa emerga ex actis non potendo il giudice procedere di sua iniziativa ad accertamenti di fatto al fine di stabilire se essa sussiste o meno;
conseguentemente, ove si lamenti, in sede di legittimità, il mancato rilievo ufficioso della menzionata invalidità, occorre dedurre, a pena di
inammissibilità della censura per difetto di specificità, anche l’emersione nel corso del giudizio di merito degli elementi che avrebbero dovuto indurre il giudice a ravvisare detta nullità;
-in ordine, poi, all’omessa rilevazione dell’estinzione della fideiussione ex art. 1956 cod. civ., si osserva che la questione non risulta essere stata trattata nella sentenza di appello;
in una siffatta evenienza è onere della parte ricorrente allegare la avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, onde consentire a questa Corte di poter verificare l’ammissibilità delle censure, sotto il profilo dell’assenza di novit à, oltre che la sua fondatezza, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di merito (cfr. Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675);
infatti, non sono prospettabili, per la prima volta, in sede di legittimità le questioni non appartenenti al tema del decidere dei precedenti gradi del giudizio di merito, né rilevabili di ufficio (cfr. Cass. 25 ottobre 2017, n. 25319; Cass. 9 luglio 2013, n. 17041; Cass. 30 marzo 2007, n. 7981), posto che il giudizio di cassazione ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo e alle questioni di diritto proposte (così, anche, Cass. 26 marzo 2012, n. 4787);
-con l’ultimo motivo i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., «nonché del principio che consente al giudice di rilevare d’ufficio la nullità degli atti negoziali», per aver la sentenza impugnata ritenuto che l’eccezione di nullità della clausola 6 della fideiussione, avente a oggetto la deroga alla disciplina dell’art. 1957 cod. civ., sollevata per violazione della disciplina antitrust per la prima volta in sede di appello, era inammissibile poiché tardiva;
il motivo è fondato;
la Corte territoriale, pur dando atto, che la doglianza si fondava sulla
nullità della clausola di deroga dall’osservanza del termine semestrale di cui all’art. 1957 cod. civ. e non già sul mancato rispetto di tale termine, ha ritenuto che la doglianza fosse finalizzata all’esame dell’eccezione di decadenza dal l’azione della banca nei confronti del fideiussore ex art. 1957 cod. civ. e ha concluso che la stessa, non essendo stata tempestivamente sollevata dal garante nel corso del giudizio di merito, si risolveva nella prospettazione di una nuova eccezione non consentita dall’art. 345 cod. proc. civ.;
tuttavia, avendo gli appellanti sollevato un’eccezione di nullità della clausola contrattuale, la Corte avrebbe dovuto considerare che la stessa era rilevabile d’ufficio e prospettabile in ogni stato e grado (salvo il rispetto degli oneri di allegazione e probatori);
erroneamente, invece, ha ritenuto applicabile la disciplina propria dell ‘eccezione di estinzione della garanzia fideiussoria, avente natura di eccezione in senso proprio e in quanto da proporre con l’atto di opposizione al decreto ingiuntivo, con argomentazione, dunque, non pertinente rispetto al motivo di gravame formulato dagli appellanti;
la sentenza impugnata va, dunque, cassata con riferimento ai motivi del ricorso accolti e rinviata, anche per le spese, alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione
P.Q.M.
La Corte accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il primo e il settimo motivo del ricorso e rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata con riferimento ai motivi del ricorso accolti e rinvia, anche per spese, alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 14 marzo 2025.