Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6885 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2   Num. 6885  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
U.P. 28/11/2024
Sanzioni amministrative -questione processuale
SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 16083NUMERO_DOCUMENTO) proposto da: AVV_NOTAIO,  rappresentato  e  difeso  da  se stesso  ai  sensi  dell’art.  86  c.p.c.,  con  elezione  di  domicilio digitale all’indirizzo PEC: EMAIL;
–
ricorrente –
contro
COMUNE  RAGIONE_SOCIALE  BARI,  in  persona  del  Sindaco pro  tempore , rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente  domiciliata  presso  lo  studio  dell’AVV_NOTAIO, in Roma, INDIRIZZO;
–
controricorrente – avverso  la  sentenza  del  Tribunale  di  Bari  n.  3882/2020, pubblicata il dicembre 2020;
udita la  relazione  della  causa  svolta  nella  pubblica  udienza del 28 novembre 2024 dal AVV_NOTAIO relatore NOME COGNOME;
udito il P.G., in persona  del AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso; udito l’AVV_NOTAIO quale ricorrente.
SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO
AVV_NOTAIO proponeva opposizione, avanti al Giudice di pace di Bari, avverso un verbale di contestazione elevato il 27 maggio 2012 dalla Polizia locale di quella stessa città in ordine alla violazione prevista dall’art. 7, commi 10 e 14, c.d.s. per aver sostato, con il veicolo di sua proprietà, negli spazi riservati dalla segnaletica al corpo consolare.
Il citato Giudice di pace rigettava l’opposizione con sentenza n. 4241/2012.
 Avverso  questa  sentenza  formulava  appello  l’opponente soccombente  con  citazione  notificata  a  mezzo  posta  con invio in data 9 maggio 2013, con successiva iscrizione della causa a ruolo in data 20 maggio 2013.
Si costituiva il Comune  di Bari, quale appellato, che eccepiva, in via pregiudiziale, l’inammissibilità del gravame in quanto tardivamente proposto.
Alla prima udienza il Tribunale di Bari disponeva il mutamento di rito (da ordinario a quello del lavoro) ai sensi dell’art. 4, comma  1,  d.  lgs.  n.  150/2011  e,  all’esito dell’udienza  di  discussione,  veniva  letto  pubblicamente  il dispositivo della sentenza, con il quale l’appello era dichiarato inammissibile,  in  accoglimento  della  suddetta eccezione dell’Ente appellato.
Con la motivazione della sentenza (n. 3882/2020, pubblicata il 9/12/2020), il giudice di secondo grado rilevava che  l’atto  di  appello  avrebbe  dovuto  essere  proposto  nella forma del ricorso,  ai  sensi  dell’art.  7,  comma  1,  d.  lgs.  n.
150/2011, e, poiché, invece, era stato formulato con atto di citazione  notificato  entro  la  scadenza  del  termine  di  cui all’art.  327  c.p.c.,  ma  depositato  oltre  detto  termine  in cancelleria,  l’impugnazione  si  sarebbe  dovuta  qualificare come tardiva e, perciò, inammissibile.
A sostegno di tale assunto il Tribunale barese osservava che il disposto dell’art. 4, comma 5, del citato d. lgs. n. 150/2011 – con specifico riferimento alla parte in cui prevede che ‘gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le norme del rito seguite prima del mutamento’ -non si applica ai giudizi impugnatori, ma solo a quelli di primo grado, ragion per cui, con riguardo al giudizio di appello in questione, non poteva aver luogo la ‘salvezza’ degli effetti processuali conseguenti all’avvenuta proposizione dell’atto di appello nella forma della citazione anziché del ricorso.
Contro la predetta sentenza di appello ha proposto ricorso per  cassazione,  affidato  a  cinque  motivi,  l’AVV_NOTAIO.
Ha resistito con controricorso l’intimato Comune di Bari.
Con decreto depositato il 21 aprile 2022, la Prima Presidente rigettava  l’istanza  del  ricorrente  di  rimessione  del  ricorso alle  Sezioni  unite  (non  sussistendo  i  presupposti  di  cui all’art.  374  c.p.c.)  e  trasmetteva  la  causa  alla  Sezione Seconda.
Il  ricorrente  ha  depositato  memoria  ai  sensi  dell’art.  378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
 Con  il  primo  motivo  il  ricorrente  denuncia -ai  sensi dell’art.  360,  comma  1,  n.  1,  c.p.c.  l’illegittimità  e/o
erroneità e/o nullità della sentenza impugnata in relazione al combinato disposto di cui agli artt. 2, 23, 24, comma 1, 70, 102, comma 1, e 111 Cost., nonché dell’art. 47 della Carta dei diritti UE, degli artt. 6 e 13 CEDU, come riconosciuti dall’art. 6 del Trattato UE, 2 e 19 del Trattato UE, 2907, comma 1, e 2908 c.c., 1 c.p.c., 2, alle E, l.a.c. 1865, n. 2248, 43 e 53 R.D. n. 12/1941 e 3 della legge n. 3761/1877, deducendo l’eccesso di potere giurisdizionale da parte del Tribunale di Bari, in particolare per difetto assoluto di giurisdizione (violazione dei c.d. ‘limiti esterni’ della giurisdizione del giudice ordinario) in riferimento ad ambito riservato al legislatore (c.d. invasione o sconfinamento), e/o per omesso esercizio (o diniego di fatto) di giurisdizione. Il tutto in relazione alla ravvisata illegittimità della motivazione della sentenza del Tribunale di Bari, che, pur avendo disposto ai sensi dell’art. 4, comma 1, d. lgs. n. 150/2011 – la conversione del rito da quello ordinario a quello del lavoro, aveva ritenuto inapplicabile il successivo comma 5 della stessa norma, sul presupposto della sua riferibilità al solo giudizio di primo grado, così determinando -per effetto di uno ‘stravolgimento radicale delle norme di rito’ -un’ invasione creatrice in ambito riservato al legislatore o, in ogni caso, incorrendo in un omesso esercizio (o diniego di fatto) della giurisdizione.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce -in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. l’illegittimità, erroneità e/o nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 4 d. lgs. n. 150/2011, in combinato disposto con gli artt. 2, comma 1, e 7 citato d. lgs., nonché gli artt. 165 e 327 c.p.c. e  con  l’interpretazione  delle  norme  regolatrici  la  fattispecie resa  dalla  giurisprudenza  nazionale  e  comunitaria  e  dalla dottrina.
A tal proposito il ricorrente sostiene che la ricostruzione operata dal Tribunale di Bari non è condivisibile per una ragione fondamentale: la data di deposito in cancelleria dell’atto introduttivo (sia che si tratti di ricorso sia che si tratti di citazione) assume rilievo -in senso assoluto -unicamente per le controversie individuali di lavoro o previdenziale e assistenziali (artt. 409 e segg. e 442 e segg.) e per quelle richiamate dall’art. 447 -bis c.p.c. e non anche per le controversie previste e regolate dal d. lgs. 150/2011, che, sebbene richiamino la disciplina di tre diversi riti processuali (il ‘rito ordinario di cognizione’, il ‘rito del lavoro’ e il ‘rito sommario di cognizione’), sono caratterizzate da disposizioni generali (artt. 1-5), applicabili sia in primo grado che in appello, limitando l’applicabilità delle norme di quegli stessi riti e segnandone la differenza, rappresentando la peculiarità del sistema di ‘semplificazione dei riti’.
Con il terzo motivo viene riproposta la stessa doglianza di cui al precedente, riconducendola, tuttavia, anche al vizio di violazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Con il quarto motivo il ricorrente deduce -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. l’illegittimità, erroneità e/o nullità della sentenza impugnata per vizio di motivazione (siccome omessa e/o apparente e/o perplessa o incomprensibile e/o intrinsecamente contraddittoria in modo manifesto e irriducibile, circa la dichiarata inammissibilità dell’appello), nonché per violazione del principio di ‘corrispondenza tra chiesto e pronunciato (per omessa/apparente pronuncia su esplicito motivo di appello, nonostante gli specifici fatti dedotti e non segnatamente contestati, e le prove proposte); ciò in relazione al combinato disposto di cui agli artt. 3, 24, 25, 97, 111,
commi 1, 2, 6 e 7, Cost., 296, comma 2, TFUE, 41, comma 2, lett. c, 47, commi 1 e 2, Carta dei diritti fondamentali UE, 19  Trattato  UE,  6  e  13  CEDU,  112,  115,  132,  134  e  156 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c.
Con il quinto ed ultimo motivo il ricorrente denuncia -con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. -l’illegittimità, erroneità e/o nullità della sentenza impugnata, in relazione agli artt. 7, commi 1, lett. d, 2 e 4 d. lgs. n. 150/2011, nonché all’art. 120, commi 2 e 3 c.d.s. e 23 Cost., contestando la sussistenza della contestatagli violazione al c.d.s., poiché quest’ultimo così come il suo regolamento di attuazione -non prevedono alcuna riserva di posti al ‘corpo consolare’, che, perciò, non può considerarsi un avente diritto ad un parcheggio autorizzato.
 In  via  pregiudiziale  vanno  rigettate  tutte  le  eccezioni  di inammissibilità del ricorso come formulate dal controricorrente, siccome infondate.
Infatti, il ricorso propone motivi sufficientemente specifici e chiari,  che  si  rapportano  (fatta  eccezione  per  il  primo:  v. infra )  adeguatamente  alle  questioni  giuridiche  affrontate  e decise nella sentenza impugnata, oltre ad allegare complessive argomentazioni che, in via potenziale, potrebbero essere idonee a sollecitare un possibile mutamento della giurisprudenza di legittimità.
 Ciò  posto,  osserva  il  collegio  che  il  primo  motivo  è inammissibile.
Invero, con esso si denuncia -in modo del tutto eccentrico e senza alcuna correlazione, come anticipato, con la sentenza impugnata -un asserito eccesso di potere giurisdizionale, ricondotto ad un possibile difetto assoluto di giurisdizione o ad un omesso esercizio o diniego di
giurisdizione, e ciò rispetto ad una pronuncia con riferimento alla quale non si era posta alcuna questione di giurisdizione (peraltro nemmeno prospettata nei gradi di merito). Tanto perché è incontrovertibile la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario rispetto alla natura dell’azione proposta, ovvero di opposizione diretta ad ottenere l’annullamento di un verbale di contestazione per violazione al c.d.s., appositamente disciplinata dall’art. 7 del d. lgs. n. 150/2011, in combinato disposto con le altre norme generali di riferimento di detto d. lgs.
In  effetti,  come  poi  evincibile  dal  contenuto  dei  successivi due motivi, la questione controversa che è stata prospettata non  è  altro  che  una  mera  questione  processuale  circa  la forma  di  proposizione  e  la  valutazione  sulla  tempestività dell’appello  con  riferimento  ad  una  siffatta  causa,  che  non implica affatto la configurabilità di una presupposta questione di giurisdizione.
8.  Il  secondo  e  terzo  motivo  possono  essere  esaminati congiuntamente  siccome  attinenti  alla  prospettazione  delle medesime richiamate violazioni, ancorché ricondotte ad  un vizio ravvisato come denunciabile sia in relazione al n. 3 che al n. 4 dell’art. 360 c.p.c.
Questi  due  motivi  sono  quelli  effettivamente  attinenti  alla questione processuale involta dalla sentenza impugnata.
Con gli stessi il ricorrente adduce l’illegittimità od erroneità della  decisione  di  secondo  grado,  laddove -pur  avendo disposto  in  prima  udienza,  a  seguito  della  proposizione dell’appello  con  atto  citazione  spedito  l’ultimo  giorno  (9 maggio  2013)  di  scadenza  del  termine  di  cui  all’art.  327 c.p.c.  (non  essendo  stata  notificata  la  sentenza  di  primo grado) ma depositato oltre il suo spirare (il 20 maggio 2013) -il mutamento del rito ai sensi dell’art. 4, comma 1, d. lgs.
n.  150/2011,  ha  poi  ritenuto  inapplicabile  il  disposto  del successivo quinto comma, pervenendo alla dichiarazione di inammissibilità  dell’appello  perché  tardivo,  sul  presupposto che sarebbe stato necessario che l’atto di citazione venisse oltre ad essere notificato – anche depositato nel termine di cui al citato art. 327 c.p.c.
Le due censure non sono fondate.
Occorre, infatti, rilevare che giurisprudenza di questa Corte -dalla quale non si ha ragione per discostarsi – è univoca nell’affermare che l’art. 4, comma 5, del d. lgs. n. 150/2011 non si applica al giudizio di appello e che il giudizio di opposizione ex art. 7 d. lgs. è assoggettato alle forme del rito del lavoro ai sensi dell’art. 2 del citato d. lgs. e come espressamente previsto dal comma 1 dello stesso art. 7, ove non diversamente stabilito dalle disposizioni del medesimo articolo: tra queste ultime non si rinviene alcuna norma sulla forma dell’appello, ragion per cui si applica la disciplina di cui all’art. 434 c.p.c., disposizione la cui applicabilità non è ricompresa tra quelle escluse dal comma 1 del citato art. 2 del d. lgs. in disamina.
Allora, nel caso di specie, risultando inconferenti gli altri precedenti evocati dal ricorrente, deve trovare conferma il consolidato principio (cfr. Cass. n. 25061/2015; Cass. n. 19298/2017; Cass. n. 27340/2018; Cass. n. 21153/2021 e, da ultimo, Cass. n. 19754/2024) secondo cui il giudizio di opposizione al verbale di accertamento di violazione di norme del codice della strada, instaurato successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2011, è soggetto al rito del lavoro, sicché l’appello avverso la sentenza di primo grado, da proporsi con ricorso, è inammissibile ove l’atto sia stato depositato in cancelleria (oltre il termine di decadenza di trenta giorni dalla notifica della sentenza ovvero, in caso
di mancata notifica) oltre il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c.,  anche  laddove  il  gravame  sia  stato  irritualmente proposto  con  citazione,  assumendo  in  tal  caso  comunque rilievo solo la data di deposito di quest’ultima, giacché non può trovare applicazione, onde superare la decadenza maturata  a  carico  dell’appellante,  l’art.  4,  comma  5,  del citato d.lgs., riferendosi tale norma esclusivamente al mutamento  del  rito  disposto  in  primo  grado  e  non  già  in appello.
Pertanto, non potendo trovare applicazione in appello l’art. 4, comma 5, d. lgs. n. 150/2011 (e dovendosi ritenere tamquam non esset l’eventuale provvedimento adottato erroneamente dal giudice di appello, come nella specie, ed inidoneo a configurare un legittimo affidamento in capo all’appellante circa la sanatoria del vizio dell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado, a decadenza già avvenuta) ed applicandosi i principi appena in precedenza ribaditi, i due motivi in esame vanno respinti.
I restanti due motivi -il quarto e il quinto -rimangono assorbiti, siccome attengono a contestazioni afferenti al merito della violazione ascritta al ricorrente (sul piano dello svolgimento motivazionale della pronuncia impugnata al riguardo e su quello relativo alla prospettata insussistenza delle condizioni per la configurabilità della contestata infrazione al codice della strada); ciò per effetto del rigetto dei due precedenti motivi sulla questione processuale pregiudiziale ed assorbente dell’inammissibilità dell’appello.
In definitiva, per tutte le argomentazioni complessivamente  svolte,  il  ricorso  deve  essere  rigettato, con  conseguente  condanna  del  soccombente  ricorrente  al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
Infine, ai  sensi  dell’art.  13,  comma  1 -quater, del  d.P.R.  n. 115  del  2002,  occorre  dare  atto  della sussistenza  dei presupposti  processuali  per  il  versamento,  da  parte  del ricorrente,  di  un  ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo unificato  pari  a  quello  previsto  per  il  ricorso,  a  norma  del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte  rigetta il ricorso e condanna  il ricorrente al pagamento  delle  spese  del  presente  giudizio,  liquidate  in complessivi  euro  800,00,  di  cui  euro  100,00  per  esborsi, oltre contributo forfettario, iva e c.p.a. nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002  dà  atto  della  sussistenza  dei  presupposti  processuali per  il  versamento,  da  parte  del  ricorrente,  di  un  ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma,  nella  camera  di  consiglio  della  II