Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4971 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4971 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 2909-23 proposto da:
Oggetto
LOCAZIONI USO DIVERSO
Giudizio ex art. 447bis c.p.c. Appello Proposizione con citazione e non con ricorso – Deposito oltre trenta giorni dopo la data della notificazione della sentenza del Tribunale Improcedibilità del gravame -Applicabilità dell’art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011 Esclusione
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante ‘pro tempore’, domiciliata ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME R.G.N. 2909/2023 Cron. Rep.
Ud. 10/10/2024
– ricorrente –
contro
Adunanza camerale
RAGIONE_SOCIALE in concordato, in persona del legale rappresentante ‘ pro-tempore ‘, che si dice elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME ma domiciliata ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentata e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME
contro
ricorrente –
Avverso la sentenza n. 1248/2022 d ella Corte d’appello depositata in data 26/07/2022;
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale 10/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
di Firenze, del
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE ricorre, sulla base di sei motivi, per la cassazione della sentenza n. 1248/22, del 26 luglio 2022, della Corte d’appello di Firenze, che ne ha dichiarato improcedibile il gravame esperito avverso la sentenza n. 442/20, del 18 giugno 2020, del Tribunale di Livorno, di rigetto della domanda dalla stessa proposta volta alla declaratoria di intervenuta risoluzione per inadempimento, in forza di clausola risolutiva espressa, del contratto di locazione immobiliare corrente con la società RAGIONE_SOCIALE e alla condanna di quest’ultima al rilascio della ‘ res locata ‘, oltre che al risarcimento del danno.
Riferisce, in punto di fatto l’odierna ricorrente di essere divenuta conferitaria -con contratto del 31 dicembre 2013 -del ramo d’azienda della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, avendo, per tale ragione, acquisito la proprietà di un complesso immobiliare sito in Collesalvetti, dalla conferente locato alla società RAGIONE_SOCIALE Tale contratto di locazione, in data 19 aprile 2012, era stato rinnovato per un novennio, prevedendosi, in forza della clausola risolutiva espressa, che il mancato pagamento anche di una sola rata del canone avrebbe costituito motivo di risoluzione ‘ ipso iure ‘ del contratto. Interveniva, successivamente, sempre tra la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, una scrittura integrativa del 1° settembre 2013, in base alla quale, per il periodo compreso tra il 1° settembre 2013 al 31
agosto 2015 -con previsione, poi, estesa anche al periodo dal 1° settembre 2015 al 31 agosto 2017 -le parti convenivano una riduzione del canone di locazione originariamente pattuito. Tuttavia, avendo la conduttrice continuato a corrispondere il canone dimidiato anche oltre il periodo convenuto , l’odierna ricorrente -subentrata alla locatrice nel rapporto contrattuale -comunicava, il 29 settembre 2017, l’avvenuta risoluzione del contratto in forza della suddetta clausola risolutiva.
Essendo, tuttavia, rimasta inevasa la richiesta di rilascio della ‘ res locata ‘, Immobiliare Montefiori adiva l’autorità giudiziaria, ex art. 447bis cod. proc. civ., per conseguire il rilascio, previa declaratoria di intervenuta risoluzione del contratto a norma dell’art. 1456 cod. civ. (ovvero, in subordine, dell’art. 1453 cod. civ.), nonché per ottenere la condanna di RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni, anche da occupazione ‘ sine titulo ‘.
Radicato, dunque, il giudizio, nel quale si costituiva RAGIONE_SOCIALE per resistere all’avversaria domanda, nel corso del suo svolgimento l’odierna ricorrente formulava anche domanda di liquidazione di interessi e rivalutazione, su quanto ad essa spettante a titolo di risarcimento del danno.
Il giudice di prime cure, tuttavia, rigettava ogni domanda, sul rilievo che la clausola risolutiva non potesse operare, essendo prevista per la sola ipotesi di mancato ‘integrale’ pagamento anche di un solo canone di locazione (mentre nel caso in esame la conduttrice aveva continuato a corrispondere il canone ‘dimidiato’) e, comunque, escludendo che tale inadempimento parziale potesse essere ritenuto di ‘non scarsa importanza’, così da comportare la risoluzione almeno a norma dell’art. 1453 cod. civ.; infine, il Tribunale livornese riteneva, comunque, inammissibile la domanda relativa a rivalutazione e interessi, in quanto nuova, o meglio tardivamente proposta.
Proposto gravame da Immobiliare Montefiori con atto di citazione, il giudice d’appello dopo aver disposto il mutamento del rito in quello locatizio -dichiarava lo stesso improcedibile.
A tale esito perveniva sul rilievo che la sentenza impugnata risultava resa a conclusione di giudizio svoltosi con rito del lavoro, sicché l’appello andava proposto con ricorso da depositarsi in cancelleria entro il termine di trenta giorni di cui all’art. 434, comma 2, cod. proc. civ.; nella specie, essendo stato proposto, invece, con citazione, la stessa avrebbe dovuto essere ‘non solo notificata, ma anche depositata nei termini previsti dalla suddetta norma’. Nel caso che occupa, per contro, il deposito dell’atto introduttivo risultava avvenuto in data 11 dicembre 2020, dunque oltre trenta giorni dopo la data della notificazione della sentenza del Tribunale, avvenuta il 2 novembre 2020.
Avverso la sentenza della Corte fiorentina ha proposto ricorso per cassazione Immobiliare Montefiori, sulla base -come detto -di sei motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione dell’art. 4 del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150 e dell’art. 426 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale dichiarato l’improcedibilità dell’appello proposto da essa Immobiliare Montefiori.
Assume, infatti, la ricorrente che l’operatività della sanatoria, cosiddetta ‘dimidiata’ della quale ha fatto applicazione, nel caso che occupa, la sentenza impugnata -è stata superata con l’avvento del d.lgs. n. 150 del 2011, art. 4, in materia di ridu zione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, che costituisce, si sottolinea ‘una ulteriore tappa del percorso che segna il lento declino del formalismo processuale, prevedendo una sanatoria «piena» dell’atto introduttivo difforme dal mode llo
legale, il quale risulta idoneo -sia che si tratti di citazione notificata o ricorso depositato nel termine di legge -ad impedire le decadenze e preclusioni che dovrebbero applicarsi qualora si facesse applicazione delle norme sul rito corretto che avrebbe dovuto essere (e non era stato) seguito’.
Si addebita, pertanto, alla Corte fiorentina di non aver fatto applicazione di tale norma, destinata ad operare anche nel caso in cui -come accaduto nell’ipotesi in esame -sia stata pronunciata ordinanza di conversione del rito.
È quanto, del resto, avrebbero affermato -si sottolinea -le Sezioni Unite di questa Corte, avendo esse ritenuto, secondo la ricorrente, ‘che la «sanatoria dimidiata» dell’atto introduttivo non ritualmente introdotto nella forma (ordinaria o speciale) prevista dalla legge per la controversia non è più coerente con la sopravvenuta previsione normativa di cui al d.lgs. n. 150 del 2011, art. 4, comma 5, secondo il quale gli effetti della domanda si producono con riferimento alla forma (e alla data) dell ‘ atto in concreto sia pur erroneamente prescelto e non a quella che esso avrebbe dovuto avere’ (viene richiamata Cass. Sez. Un., sent. 12 gennaio 2022, n. 758).
Nella specie, dunque, ai fini della tempestività dell’impugnazione rileverebbe solo la notifica dell’atto, e non pure il suo deposito.
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. -omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ‘per non avere la Corte d’appello di Firenze correttamente valutato l’applicabilità dell’art. 1456 cod. civ. in ordine alla mancata operatività della clausola risolutiva espressa’.
3.3. Il terzo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. -omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 1455 cod. civ., ‘per non avere la Corte d’appello di Firen ze correttamente valutato la sussistenza della gravità dell’inadempimento’.
3.4. Il quarto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. -omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione agli artt. 1223, 124 e 1226 cod. civ., ‘per avere il giudice di pr imo grado rigettato la richiesta di risarcimento del danno’.
3.5. Il quinto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. -omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 91 cod. proc. civ., ‘per aver il giudice statuito in ordi ne alla condanna al pagamento delle spese processuali relative alla fase istruttoria del processo di primo grado’, sebbene essa risultasse, in realtà, ‘non svolta’.
3.6. Il sesto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. -omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 1284 cod. civ., ‘per non avere la Corte d’appello di Firen ze deciso sul rigetto della domanda sugli interessi perché ritenuta «nuova rispetto a quelle formulate nel ricorso introduttivo»’.
Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
La ricorrente ha depositato memoria.
Non consta, invece, la presentazione di requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è inammissibile, in ciascuno dei motivi in cui si articola.
8.1. Il primo motivo è inammissibile, ex art. 360bis cod. proc. civ.
8.1.1. Diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, ai giudizi ex art. 447bis cod. proc. civ. non si applica la disciplina di cui all’art. 4 del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150.
È stato, infatti, osservato dalle Sezioni Unite di questa Corte -con affermazione che va oltre la portata del caso da esse deciso, concernente, specificamente, l’opposizione a decreto ingiuntivo emesso in relazione ad un contratto di locazione -che il suddetto decreto legislativo attu a ‘la delega contenuta nell’art. 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69, ai fini della «riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione che rientrano nell’ambito della giurisdizione ordinaria e che sono regola ti dalla legislazione speciale»’. Oggetto d i tale delega, prosegue il Supremo Collegio, ‘erano, dunque, «i procedimenti civili di natura contenziosa autonomamente regolati dalla legislazione speciale», da ricondurre ad uno dei modelli processuali «semplificati»
previsti dal libro secondo, titolo IV, capo I, dal libro quarto, titolo I, capo IIIbis , o dal libro secondo, titoli I e III, ovvero titolo II, del codice di procedura civile’ (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., 13 gennaio 2022, n. 927, non massimata sul punto).
L’art. 4 citato ‘rileva, pertanto, per i mutamenti di rito in favore di alcuno dei tre modelli elaborati dal decreto legislativo n. 150/2011 ed in funzione della trattazione dei procedimenti speciali regolati dalle disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione. Detta disciplina non opera, invece, nelle ipotesi di mutamento dal rito ordinario al rito speciale delle controversie di lavoro, o viceversa, restando tali fattispecie tuttora regolate dagli artt. 426 e 427 cod. proc. civ .’ (cfr., nuovamente, Cass. Sez. Un, sent. n. 927 del 2022, cit .). In conclusione, come di recente, ribadito da questa Corte, l ‘art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011 ‘ non costituisce una norma generale abrogativa e sostitutiva delle norme specifiche di cui agli articoli 426 e 427 cod. proc. civ., che rimangono le norme generali di coordinamento tra il rito ordinario e quello «lavoristico/locatizio» ‘ (così, in motivazione, § 11, Cass. Sez. 1, ord. 6 settembre 2024, n. 24000, Rv. 672478-01).
8.2. I restanti cinque motivi sono tutti inammissibili.
8.2.1. Non ricorre, infatti, alcuna ‘ omissione di pronuncia ‘ in ordine alle questioni oggetto della sentenza resa in prime cure (e riproposte in appello), sulle quali la Corte fiorentina nulla doveva statuire, stante la ritenuta -a ragione, per i motivi appena illustrati -intempestività dell’appello.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
10 Ricorrono le condizioni per applicare l’art. 96, comma 3, cod. proc. civ., e dunque per la condanna della ricorrente a pagare, alla controricorrente, una somma che si reputa equo fissare in € 1.000,00.
Deve, invero, ribadirsi come lo scopo di tale norma sia quello di sanzionare una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di ‘abuso del processo’ (cfr., ‘ ex multis ‘, Cass. Sez. Un., ord. 16 settembre 2021, n. 25041, Rv. 662248-02; Cass. Sez. 3, ord. 4 agosto 2021, n. 22208, Rv. 662202-01; Cass. Sez. Un., sent. 20 aprile 2018, n. 9912, Rv. 648130-02; Cass. Sez. 3, sent. 30 marzo 2018, n. 7901, Rv. 648311-01; Cass. Sez. 2, sent. 21 novembre 2017, n. 27623, Rv. 646080-01).
Tale ipotesi, in particolare, è stata ravvisata, quanto al giudizio di legittimità, in casi o di vera e propria ‘giuridica insostenibilità’ del ricorso (Cass. Sez. 3, sent. 14 ottobre 2016, n. 20732, Rv. 64292501), ‘non essendo sufficiente la mera infonda tezza, anche manifesta, delle tesi prospettate’ con lo stesso (così, Cass. Sez. Un., sent. n. 9912 del 2018, cit .), ovvero in presenza di altre condotte processuali al pari indicative dello ‘sviamento del sistema giurisdizionale dai suoi fini istituzionali’, e suscettibili, come tali, di determinare ‘un ingiustificato aumento del contenzioso’, così ostacolando ‘la ragionevole durata dei processi pendenti e il corretto impiego delle risorse necessarie per il buon andamento della giurisdizione’ (Cass. Sez. 3, ord. 30 aprile 2018, n. 10327, Rv. 648432-01). Rilevano, in tale prospettiva, ‘la proposizione di un ricorso per cassazione basato su motivi manifestamente incoerenti con il contenuto della sentenza impugnata, o completamente privo di autosufficienza’, ‘o ppure contenente una mera complessiva richiesta di rivalutazione nel merito della controversia o, ancora, fondato sulla deduzione del vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., ove sia applicabile, « ratione temporis », l’art. 348 -ter, comma
5, cod. proc. civ., che ne esclude l’invocabilità’ (Cass. Sez. 3, ord. n. 10327 del 2018, cit.).
Nella specie, l’abuso dello strumento impugnatorio è da ravvisare nella proposizione del ricorso in aperto contrasto con principio ricavabile da una sentenza delle Sezioni Unite (anteriore alla stessa pubblicazione della pronuncia d’appello oggetto del presente ricorso), senza neppure confrontarsi con essa, offrendo, in ipotesi, argomenti che potessero indurre questo Collegio -che, peraltro, invece, condivide pianamente il summenzionato arresto -a provvedere a norma dell’art. 374, comma 3, cod. proc. civ .
A carico della ricorrente, stante la declaratoria di inammissibilità del ricorso, sussiste l’obbligo di versare, al competente ufficio di merito, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudi ziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 65719801), ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando la società RAGIONE_SOCIALE a rifondere, alla società RAGIONE_SOCIALE, le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in € 4.2 00,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge, nonché a pagarle, ex art. 96, comma 3, cod. proc. civ., l’ulteriore importo di € 1.000,00 .
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, al
competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della