Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2647 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2647 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 12628/2022 r.g. proposto da:
COGNOME NOME, nella qualità di procuratore speciale della RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso, il quale dichiarano di voler ricevere le comunicazioni e notifiche all’ indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE quale incorporante la RAGIONE_SOCIALE giusta atto di fusione a rogito del notaio dott. NOME COGNOME in data 11/12/2019, nella qualità di liquidatore dell’Ente Nazionale per la RAGIONE_SOCIALE Carta, i n persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv . NOME COGNOME giusta procura speciale rilasciata su foglio separato in data 9/1/2024, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, in Roma, in INDIRIZZO
– controricorrente-
E
Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia ope legis in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
E
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore; NOME COGNOME in proprio e quale socio di maggioranza della RAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 7216 /2021, depositata in data 3/11/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/1/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
1.La società RAGIONE_SOCIALE per le piante da cellulosa e carta (RAGIONE_SOCIALE), facente parte del gruppo RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE) – il Ministero dell’economia e delle finanze (MEF), poi, è succeduto a titolo universale a RAGIONE_SOCIALE, mentre la RAGIONE_SOCIALE è
divenuta liquidatrice di RAGIONE_SOCIALE con il decreto-legge n. 207 del 2008, convertito in legge n. 14 del 2009 – produceva piante tartufigene.
La RAGIONE_SOCIALE vendeva alla RAGIONE_SOCIALE piante tartufigene con contratto del 5/11/1992; le piante erano di produzioni relative agli anni 1990/1991 e 1992/1993.
3. Il tribunale di Roma, con sentenza n. 14593 del 2003 – relativa ad altro giudizio -, divenuta definitiva, accoglieva la domanda di risarcimento danni di RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE Dichiarava la risoluzione del contratto intercorso tra le parti il 5/11/1992 per colpa della RAGIONE_SOCIALE
La condanna veniva pronunciata nei confronti del MEF, nella qualità di interventore volontario «anche quale legale rappresentante dell’ENCC in l.c.a., quest’ultimo successore universale ex art. 110 c.p.c. della controllata SAF», con condanna al pagamento della somma di euro 30.661,13.
4. Il tribunale di Roma, con la sentenza n. 1850 del 2008, nella controversia tra NOME COGNOME (acquirente nel 1991), RAGIONE_SOCIALE (venditrice) e RAGIONE_SOCIALE (terzo chiamato in causa da Flovis) – giudizio cui non partecipava la FAS 175 -, accoglieva la domanda del COGNOME di risoluzione contrattuale, con condanna al pagamento di euro 8444,07, a titolo di restituzione del corrispettivo pagato. Accoglieva anche la domanda di risarcimento del danno per l’importo di euro 459.933,58.
Il tribunale accoglieva anche la domanda di garanzia presentata, ex art. 106 c.p.c., dalla convenuta RAGIONE_SOCIALE nei confronti del MEF, quale soggetto «succeduto all’Ente RAGIONE_SOCIALE Liquidazione Coatta Amministrativa, a sua volta successore a titolo universale della RAGIONE_SOCIALE». Il tribunale risolveva i contratti
«in data 18/3/1991 ed in data 2/5/1991, per inadempimento» della RAGIONE_SOCIALE
Venivano poi stipulati tre contratti tra la venditrice RAGIONE_SOCIALE e l’acquirente RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE, rispettivamente in data 10/1/1992, per lire 93.600.000, in data 25/1/1993 per lire 89.440.000 e in data 31/1/1994 per lire 76.800.000.
Il tutto poggiava su un contratto di esclusiva del 24/7/1990 tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE
Con atto di citazione del 10/1/2012, quindi a circa 20 anni dei fatti di causa COGNOME EnzoCOGNOME quale mandatario della RAGIONE_SOCIALE agiva in giudizio nei confronti della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, che aveva venduto alla RAGIONE_SOCIALE con i contratti del 10/1/1992, del 25/1/1993 e del 31/1/1994, piante prive di inoculo tartufigeno, concretizzando, dunque, una vendita di aliud pro alio .
Ciò emergeva dalla sentenza del tribunale di Roma n. 14593 del 2003 che aveva «dichiarato l’inadempimento contrattuale della RAGIONE_SOCIALE condannandola al risarcimento dei danni e spese di giudizio in favore della RAGIONE_SOCIALE».
La responsabilità della RAGIONE_SOCIALE sarebbe derivata da « culpa in vigilando ».
La responsabilità della RAGIONE_SOCIALE, ora RAGIONE_SOCIALE, succeduto all’RAGIONE_SOCIALE, sarebbe stata solidale, in quanto RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE sarebbero state «entrambe responsabili dei danni sofferti dalla Società attrice».
Pertanto, con l’atto di citazione COGNOME Enzo, quale mandatario di RAGIONE_SOCIALE, chiedeva «dare atto che la società RAGIONE_SOCIALE ha venduto a suo tempo alla Società RAGIONE_SOCIALE (quale distributrice esclusiva per il Lazio di piante tartufigene da lei prodotte) le stesse piante di cui ai tre contratti descritti in premessa dichiarandole
tartufigene e quindi idonea alla produzione di tartufi, mentre tali non erano».
Chiedeva altresì darsi atto che si era trattato «di vendita di aliud pro alio in quanto dette piante non hanno prodotto tartufi» essendo prive di inoculo tartufigeno.
Per l’effetto dovevano essere dichiarati «risolti per grave inadempimento, fatto e colpa concorrenti della RAGIONE_SOCIALE e della società RAGIONE_SOCIALE (quest’ultima per culpa in vigilando ) gli stessi contratti».
La RAGIONE_SOCIALE doveva essere condannata alla restituzione delle somme percepite quantificate in lire 259.840.000 oltre Iva, pari ad euro 134.169.
Inoltre, COGNOME NOME, per conto di RAGIONE_SOCIALE, chiedeva di condannare «in solido la società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e il Ministero dell’economia e delle finanze» al risarcimento dei danni quantificati in euro 12.869.760,00.
Si costituiva nel giudizio di prime cure la RAGIONE_SOCIALE deducendo che la domanda di COGNOME Enzo, quale mandatario di SAF 1975, era documentalmente provata. Negava, però, la propria responsabilità, ma, comunque, la domanda di COGNOME Enzo doveva essere accolta nei confronti del MEF, succeduto a RAGIONE_SOCIALE, gruppo di cui faceva parte la controllata RAGIONE_SOCIALE.
La RAGIONE_SOCIALE proponeva anche domanda riconvenzionale nei confronti del MEF quanto al pagamento della somma di euro 77.140,00, relativa all’acquisto delle piante tartufigene.
Si costituiva in giudizio la RAGIONE_SOCIALE, soggetto liquidatore dell’ente Nazionale cellulosa e carta (ENCC), che deduceva il difetto di legittimazione del MEF, che non aveva stipulato i tre contratti, oltre alla non configurabilità di alcuna responsabilità
in capo RAGIONE_SOCIALE «non risultando l’attrice legata da alcun rapporto contrattuale con la stessa».
Il tribunale Roma, con sentenza n. 13101/2015, depositata il 16/6/2015, dichiarava il difetto di legittimazione passiva di RAGIONE_SOCIALE riconoscendo invece la legittimazione passiva del MEF.
Il tribunale condannava la RAGIONE_SOCIALE a pagare in favore di COGNOME Enzo, mandatario della RAGIONE_SOCIALE, la somma di euro 134.169,00, a titolo di restituzione del prezzo versato.
Condannava la RAGIONE_SOCIALE pagare in favore di COGNOME EnzoCOGNOME quale mandatario della RAGIONE_SOCIALE, la somma di euro 12.869.760, a titolo di risarcimento del danno da lucro cessante.
Il tribunale evidenziava che l’attrice aveva formulato esclusivamente domande contrattuali, ma non era stata presentata azione contrattuale nei confronti della produttrice SAF e del MEF. Tale tipologia di responsabilità era, infatti, di natura extracontrattuale.
Solo in sede di comparsa conclusionale l’attrice aveva invocato gli articoli da 1519bis a 1519nonies c.c..
Il tribunale rigettava la domanda riconvenzionale trasversale proposta dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per il «risarcimento pari alle somme dalla prima sborsate per l’acquisto delle piante poi oggetto di successiva compravendita tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE».
Non era stato, infatti, dimostrato che le piante acquistate da RAGIONE_SOCIALE, con i tre contratti indicati, del 10/1/1992, del 25/1/1993 e del 31/1/1994, erano le medesime acquistate da RAGIONE_SOCIALE (acquirente) da RAGIONE_SOCIALE (venditrice) con contratto del 5/11/1992.
Chiariva il tribunale che «nell’odierno giudizio si ha riguardo a tre contratti intervenuti tra distributrice ed acquirente finale il primo dei quali essendo datato 10/1/1992 non può perciò solo ricomprendere la fornitura (a monte), oggetto del contratto del 5/11/1992».
Quanto ai contratti in data 25/1/1993 e 31/1/1994, il tribunale rilevava che «non può perciò concludersi nel senso che la mancanza di qualità della intera fornitura presupposta o ‘a monte’ si sia tradotta nella mancanza di qualità della merce oggetto dei contratti (a valle), conclusi tra distributrice e privato produttore» (quindi tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE).
Pertanto, non risultando viziata l’intera partita iniziale compravenduta tra produttore (RAGIONE_SOCIALE) e distributore (RAGIONE_SOCIALE), non poteva dirsi provato il vizio inficianti la partita finale.
Pertanto, il tribunale condannava esclusivamente RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore di COGNOME EnzoCOGNOME in qualità di mandatario della SAF 1975 della somma di euro 134.169,00 e di euro 12.869.760,00.
Rigettava le domande proposte da COGNOME EnzoCOGNOME in qualità di mandatario della SAF 1975, nei confronti del MEF.
Rigettava le domande proposte da RAGIONE_SOCIALE nei confronti del MEF.
Dichiarava il difetto di legittimazione passiva di RAGIONE_SOCIALE quale soggetto liquidatore dell’ente Nazionale cellulosa e carta (ENCC).
Condannava NOME RAGIONE_SOCIALE a rimborsare all’attrice RAGIONE_SOCIALE rappresentata da COGNOME Enzo, le spese di lite.
Condannava COGNOME NOMECOGNOME quale mandatario della SAF 1975, a rifondere all’MEF le spese di lite, liquidate in euro 47.070,00.
Condannava RAGIONE_SOCIALE a rimborsare all’MEF le spese di lite, liquidate in euro 7795,00.
10. Avverso la sentenza di primo grado, depositata il 16/6/2015, proponeva appello principale la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione,
in data 13/1/2016, con scadenza del termine semestrale lungo in data 16/1/2016.
L’appello principale veniva notificato alla RAGIONE_SOCIALE, all’indirizzo dell’Avv. NOME COGNOME, sito in Roma, INDIRIZZO pur avendo mutato indirizzo il difensore già dall’anno 2013, in Roma, INDIRIZZO
Pertanto, la RAGIONE_SOCIALE provvedeva alla nuova notifica presso della RAGIONE_SOCIALE, in Roma, INDIRIZZO ciò accadeva in data 3/11/2016, dopo la scadenza del termine semestrale per l’impugnazione.
Nell’atto di appello principale la RAGIONE_SOCIALE evidenziava l’errore commesso dal tribunale di, il quale aveva «mandato ‘assolto’ l’unico e vero responsabile dei danni subiti dalla RAGIONE_SOCIALE e cioè il Ministero dell’Economia e Finanze e per esso l’ENCC, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE».
In realtà, rileva l’appellante principale, essa non aveva mai prodotto piante tartufigene, ma si era sempre limitata a distribuire presso i clienti del Lazio le piante di produzione SAF «la quale aveva contrattualmente attribuita questa qualifica».
Del resto, nei contratti stipulati tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, era contenuta sempre la dizione «Modulo di fornitura piante tartufigene di produzione RAGIONE_SOCIALE».
I terzi estranei al contratto avrebbero compiuto «la ‘frode processuale’ prevista dall’art. 515 codice penale per come incontestabilmente provata nei documenti allegati al processo di primo grado».
L’intento della RAGIONE_SOCIALE non era mai stato quello di vendere piante tartufigene prive di micorrizzazione ma soltanto quello di reperire clienti nelle Lazio interessati alla tartuficoltura».
Pertanto, RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e NOME COGNOME, in proprio, chiedevano «1) rigettare tutte le domande proposte in tribunale dalla società agricola forestale 1975 di COGNOME NOME (già RAGIONE_SOCIALE) contro la s.RAGIONE_SOCIALE. RAGIONE_SOCIALE in liquidazione per assoluto difetto di prova sulla responsabilità di quest’ultima riferita alla mancata produzione di tartufi ; 2) dichiarare che nulla è dovuto dalla società appellante e/o dal socio costituito COGNOME NOME ; 3) per l’effetto di cui sopra revocare la condanna alle spese di lite della società RAGIONE_SOCIALE a favore della società agricola forestale 1975 ed a favore del Ministero economia e finanze; 3) in ogni caso dichiarare che la società RAGIONE_SOCIALE ha commesso frode processuale vendendo piante dichiarare tartufigene al 90% ; 4) dare atto che tutte le piante indicate nei 3 contratti venivano consegnate direttamente dalla RAGIONE_SOCIALE all’RAGIONE_SOCIALE, senza alcun intervento della RAGIONE_SOCIALE; Per effetto del Dl 30/12/2008, art. 41, comma 16-octies dichiarare il MEF unico responsabile del danno subito dalla predetta RAGIONE_SOCIALE: 6) dare atto altresì che la messa in liquidazione della RAGIONE_SOCIALE non la priva della personalità giuridica ; 7) conseguentemente condannare detto Ministero e la sRAGIONE_SOCIALE in solido al risarcimento dei danni in favore della RAGIONE_SOCIALE per come quantificati nella sentenza di primo grado cioè euro 134.169,00 per danno emergente ad euro 12.896.000,00 per lucro cessante».
Si costituiva nel giudizio di gravame la SAF 1975 in data 6/4/2016, proponendo anche appello incidentale.
11.1. In particolare, l’appellante incidentale, chiedeva, in primo luogo, la condanna di SAF e del MEF, per le domande presentate da SAF 1975 e da RAGIONE_SOCIALE; in secondo luogo, chiedeva la
riforma della sentenza di prime cure in ordine alla condanna alle spese di SAF 1975 nei confronti del MEF.
12. La domanda presentata da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di SAF e, quindi, del MEF – cui aderiva la SAF 1975 – con «considerazioni ad adiuvandum all’impugnazione proposta» da COGNOME, doveva essere accolta, essendo sorto un interesse proprio dell’appellata «che consiste nella necessità che il debitore di RAGIONE_SOCIALE, cioè RAGIONE_SOCIALE, mantenga integre le proprie garanzie patrimoniali, tra le quali rientra anche il credito dalla stessa vantato nei confronti del MEF, non riconosciutole in primo grado con motivazioni più che discutibili».
Doveva dunque essere accolta la domanda di RAGIONE_SOCIALE nei confronti del MEF. Quest’ultimo non aveva offerto la prova che le piante erano idonee alla produzione di tartufi. Il Ministero e la SAF erano produttori delle piante. Pertanto, si chiedeva «la condanna del Ministero produttore a tenere indenne l’odierna appellante del pagamento delle giusto risarcimento del danno patito da RAGIONE_SOCIALE».
Si chiedeva anche la riforma della sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva disposto la condanna al rimborso delle spese di lite in favore del MEF.
La vicenda traeva origine da una condotta inadempiente riconducibile unicamente ad una società a capitale pubblico, RAGIONE_SOCIALE, il cui patrimonio era stato assorbito dal Ministero.
Pertanto, nelle conclusioni l’appellante incidentale RAGIONE_SOCIALE chiedeva: «rigettare l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE unicamente nella parte in cui viene richiesto, in riforma della sentenza impugnata, il rigetto di tutte le domande proposte dalla RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE contro la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione; riformare la sentenza n.
13101/2015 del tribunale civile di Roma in data 16/6/2015 nella parte in cui rigetta le domande proposte da COGNOME NOMECOGNOME in qualità di mandatario della RAGIONE_SOCIALE nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, nonché le domande proposte da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze e, per l’effetto, condannare in solido la società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e il Ministero dell’economia e finanze (quale successore a titolo universale della SAF) al risarcimento dei danni subiti dalla società RAGIONE_SOCIALE nella misura di euro 12.869.760,00, per lucro cessante, oltre ad euro 134.169,00 per danno emergente ».
La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 7216/2021, depositata il 3/11/2021, dichiarava inammissibile l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione nei confronti della RAGIONE_SOCIALE ora RAGIONE_SOCIALE
Evidenziava, infatti, la tardività dell’appello principale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE.
Rilevava, infatti, la Corte territoriale che, essendo intervenuta la pubblicazione della sentenza di primo grado il 16/6/2015, la notifica dell’atto d’appello «avrebbe dovuto essere eseguita correttamente al più tardi entro il successivo 16/2/2016».
Tuttavia, la prima notifica effettuata presso il vecchio studio del difensore della RAGIONE_SOCIALE non era andata a buon fine, tanto che ne era stata eseguita una successiva (questa andata a buon fine) presso il loro studio, ma solo in data 3/11/2016, oltre il termine di legge.
Tuttavia, già dall’anno 2013 il difensore della RAGIONE_SOCIALE, Avv. NOME COGNOME aveva comunicato al consiglio dell’ordine degli avvocati il mutamento del proprio indirizzo in INDIRIZZO
La prima notifica, dunque, era inesistente in rerum natura (si citava Cass. n. 17736 del 2019), non essendo dunque suscettibile di sanatoria ex art. 156, 3º comma, c.p.c., a seguito della costituzione in giudizio dell’appellato e non essendo possibile la riattivazione del relativo procedimento, trattandosi di «vizio imputabile al notificante in considerazione dell’agevole possibilità di accertare l’ubicazione dello studio attraverso la consultazione telematica degli avvocati» (si citava anche Cass. n. 8618 del 2019).
Il trasferimento dello studio del difensore era avvenuto nel corso del giudizio di primo grado, ma sempre all’interno del circondario del tribunale di Roma.
13.1. Era inammissibile anche l’appello proposto nei confronti di tutte le parti personalmente da NOME COGNOME in proprio, quale socio di maggioranza della RAGIONE_SOCIALE «non essendo stato il predetto mai parte nel giudizio di primo grado».
13.2. La Corte territoriale, poi, per quel che ancora qui rileva, reputava tardivo «per le ragioni esposte relative all’appello dell’appellante principale», l’appello proposto dalla società agricola 1975 in via incidentale adesiva, a sostegno del gravame principale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti del MEF, «ed altrettanto inammissibile» l’appello proposto dalla SAF 1975 nei confronti del Ministero.
Ed infatti, la sentenza del tribunale relativa al capo inerente al rigetto della domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE direttamente nei confronti del MEF «non andava impugnata in via incidentale all’esito della costituzione della parte del presente giudizio avvenuta comunque tardivamente rispetto alla scadenza semestrale, ma avrebbe dovuto essere impugnata in via principale».
Aggiungeva la Corte d’appello che «analogamente è a dirsi con riferimento all’appello adesivo incidentale atteso che, avendo la
parte sostanzialmente aderito pedissequamente al gravame proposto dall’appellante principale, senza alcuna prospettazione aggiuntiva rispetto alle ragioni esposte dalla suddetta appellante, non può trovare applicazione il disposto di cui all’art. 334 c.p.c. atteso che l’interesse ad impugnare era sorto evidentemente già all’atto della sentenza di primo grado e non quale conseguenza della costituzione della controparte» (si citava Cass. n. 2248 del 2018).
Quanto al merito, la Corte d’appello rilevava che nel novembre del 1992 era stato stipulato un contratto di fornitura di piante tartufigene, che era stato oggetto del contenzioso tra le parti definito con la sentenza del tribunale di Roma del 5/5/2003, con cui si era riconosciuto l’inadempimento della produttrice RAGIONE_SOCIALE, con condanna del MEF alla restituzione degli acconti dall’acquirente versati.
Tuttavia, i tre contratti stipulati dalla SAF 1975 risalivano al 10/1/1992, al 25/1/1993 ed al 31/1/1994.
Era anche vero che su tali contratti risultava venditrice la RAGIONE_SOCIALE sulla quale evidentemente era sorto l’obbligo contrattuale nei confronti della contraente, ma le piante da fornirsi erano quelle della SAF. Tuttavia, solo fino al 5/1/1992 era esistente un contratto di esclusiva di cui al precedente contratto poi risolto del 24/7/1990.
Pertanto, come correttamente evidenziato dal primo giudice – ad avviso della Corte d’appello – «non v’è prova certa (né essa sarebbe acquisibile per il tramite di CTU) che le piante riconosciute improduttive solo dalla Flovis ma non dalle altre parti ed in particolare dal MEF, siano effettivamente quelle oggetto della fornitura di cui al contratto del 5/11/2012 e tantomeno in quale quantitativo potrebbero appartenere a quelle di effettiva produzione della RAGIONE_SOCIALE.p.a.».
Pertanto, «correttamente il giudice di prime cure ha ritenuto non provato che la somma di cui la odierna appellante ha chiesto la restituzione e pari ad euro 77.146,00 fosse effettivamente inerente alla fornitura viziata».
La Corte territoriale reputava inammissibili le domande proposte dalla RAGIONE_SOCIALE per la prima volta dinanzi alla Corte con lo specifico riferimento a quelle indicate nell’atto di appello di cui ai punti 3 (frode processuale), 4,5,6 e 7 (limitatamente alla richiesta di condanna del MEF è in solido con RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni in favore di RAGIONE_SOCIALE). Ciò in quanto, l’appellante principale, con il proprio atto di costituzione nel giudizio di primo grado, ha richiesto in via riconvenzionale la condanna del MEF alla restituzione delle sole somme pari ad euro 77.000,00, per l’acquisto da parte sua dalla SAF delle piante tartufigene poi a loro volta rivendute all’appellante principale. Non era stata mai proposta una domanda di garanzia o di manleva dinanzi al tribunale.
Pertanto, la Corte d’appello dichiarava inammissibile l’appello principale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, ora RAGIONE_SOCIALE
Dichiarava inammissibile l’appello proposto in proprio da COGNOME NOME.
Dichiarava inammissibile l’appello incidentale adesivo proposto dalla SAF 1975.
Dichiarava inammissibile l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE limitatamente ai capi 3,4,5,6,7 (limitatamente alla richiesta di condanna del MEF è in solido con RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni in favore di RAGIONE_SOCIALE, e 9.
Rigettava per il resto l’appello, confermando la sentenza appellata.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME NOMECOGNOME nella qualità di procuratore speciale della RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOMECOGNOME depositando anche memoria scritta.
Hanno resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE quale incorporante la RAGIONE_SOCIALE giusto atto di fusione dell’11/12/2019, depositando anche memoria scritta, ed il MEF.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione degli articoli 177, terzo comma, 350, secondo comma, 359,164, terzo comma, 291, c.p.c.».
Ad avviso della ricorrente l’ordinanza emessa dalla Corte d’appello di Roma il 18/10/2016, con cui era stata disposta la rinnovazione della notifica da parte della SAF 1975 nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, essendo stata pronunciata sull’accordo delle parti, non poteva in alcun modo essere revocata dalla sentenza della Corte d’appello.
In base al combinato disposto dell’art. 359 c.p.c., che dispone per l’appello il rinvio alle norme relative al procedimento davanti al tribunale, e degli articoli 164, 3º comma c.p.c. e 291 c.p.c., la costituzione del convenuto aveva sanato i vizi della citazione.
L’ordinanza emessa all’udienza del 18/10/2016 «non è stata mai contestata da alcuna parte durante il corso dell’intero giudizio».
Per tale ragione, dunque, per la ricorrente, «la costituzione della RAGIONE_SOCIALE per conto della RAGIONE_SOCIALE ha sanato qualsiasi vizio della notifica dando luogo a contraddittorio integro».
La giurisprudenza richiamata dalla Corte d’appello non era applicabile per tre motivi:i) perché era successiva «al rinnovo della notifica dell’atto di appello all’Avv. COGNOME in data 2/11/2016;ii) perché atteneva «al rinnovo della notifica dell’atto di appello a singola controparte che dà inizio a giudizio autonomo e non a giudizio
già incardinato contro più convenuti»; iii) perché «il cancelliere non può certificare che la stessa sentenza è passata in giudicato per una sola parte e non ancora per le altre parti ritualmente costituite».
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione degli articoli 170,325 e 327 c.p.c.».
Evidenzia la ricorrente che il processo civile «non si esaurisce con il deposito della sentenza (di accoglimento o rigetto) ma prosegue fino al momento del suo passaggio in giudicato nei termini indicati dagli articoli richiamati in premessa».
Per tale ragione, dunque, «l’elezione di domicilio fatta dalla RAGIONE_SOCIALE (poi RAGIONE_SOCIALE) presso l’Avv. NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO ha avuto (e deve avere) legittimo effetto fino al passaggio in giudicato della sentenza n. 13101/2015 che ha definito giudizio di primo grado».
Prosegue la ricorrente affermando che, se poi la sentenza è stata appellata, «la proposizione del gravame non incide sulle pregresse situazioni per quanto attiene alla rappresentanza delle parti in causa e domicili dei propri difensori».
L’art. 170 c.p.c. esonerebbe il notificante dall’accertamento del domicilio della controparte «quando questo domicilio è stato dichiarato in corso di causa», prolungando la sua validità fino all’intero decorso dei termini indicati dagli articoli 325 del 327 c.p.c.
Vi sarebbe un onere, ai fini della ricezione dell’appello, di «comunicare la variazione del domicilio a coloro che hanno l’obbligo di dare comunicazioni successive alla pubblicazione della sentenza: appello e/o biglietto di cancelleria: quest’ultimo, infatti, non risulta comunicato all’Avv. COGNOME in INDIRIZZO e la cancelleria non ha provveduto a reiterare la comunicazione al nuovo domicilio di INDIRIZZO in Roma, proprio perché l’Avv. COGNOME ha
comunicato il nuovo domicilio solo al consiglio dell’ordine e non alla cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza 13101/2015».
Per tale ragione, sempre ad avviso della ricorrente, l’appello notificato al difensore di Ligestra Due nel domicilio indicato in atti del primo grado dovrebbe considerarsi tempestivo.
I primi due motivi, che vanno affrontati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono inammissibili.
3.1. In primo luogo, – dopo aver osservato che all’udienza del 18/10/2016 non v’è stato alcun accordo delle parti sul contenuto dell’ordinanza, non essendo peraltro la RAGIONE_SOCIALE a quel momento, ancora parte del giudizio d’appello – si rileva che la sentenza della Corte d’appello, che ha dichiarato intempestivo l’appello principale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE non è stato in alcun modo impugnato da tale società, rendendo definitiva la pronuncia della Corte d’appello di Roma sul punto.
Risulta, dunque, il difetto di legittimazione ad impugnare da parte della SAF 1975, che, in sede di gravame, aveva proposto appello incidentale tardivo adesivo.
La SAF 1975 non ha, dunque, impugnato l’unico capo della sentenza che la riguardava, ossia quello con cui la Corte d’appello ha dichiarato inammissibile l’appello incidentale formulato dalla stessa, in quanto proposto tardivamente, ossia oltre i termini per l’impugnazione.
Al contrario, la SAF 175 ha impugnato la parte della sentenza d’appello che ha dichiarato inammissibile, in quanto non tempestivo, il gravame articolato dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della Ligestra RAGIONE_SOCIALE
3.2. Inoltre, non v’è dubbio che l’appellante principale RAGIONE_SOCIALE ha erroneamente notificato il gravame al vecchio indirizzo del difensore della RAGIONE_SOCIALE, Avv. NOME COGNOME
presso il vecchio indirizzo in Roma, INDIRIZZO in luogo del nuovo indirizzo, sempre in Roma, INDIRIZZO
Il tentativo di notifica era stato tempestivo, in quanto la sentenza del tribunale di Roma, pubblicata il 16/6/2015, è divenuta definitiva, considerando il periodo di sospensione dal 1/8/2015 al 31/8/2015 (31 giorni), in data 16/1/2016.
La prima notifica è stata tentata, dunque, in data 13/1/2016, ma non è andata a buon fine, risultando inesistente, perché eseguita nel vecchio indirizzo del difensore, già modificato sin dal 2013, come da comunicazione al consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma.
La seconda notifica, invece, è stata effettuata con spedizione del 3/11/2016 e ricezione dell’8/11/2016, oltre il termine massimo per impugnare la sentenza di prime cure.
Va applicata, dunque, la consolidata giurisprudenza di questa Corte per cui la notificazione non compiutasi in ragione del trasferimento del difensore della controparte è inesistente (Cass., sez. 6-1, 27/6/2019, n. 17336; poi Cass., sez. 3, 28/10/2020, n. 23760).
Si è precisato che non si tratta di giuridica inesistenza per difformità dal paradigma legale, bensì di inesistenza « in rerum natura », trattandosi di «inesistenza per ‘totale mancanza materiale dell’atto’, secondo la ricostruzione di Cass., Sez. un., 20 luglio 2016, n. 14916), per non avere conseguito il suo scopo consistente nella consegna, secondo i diversi congegni previsti dalla legge, dell’atto da notificare al destinatario medesimo; di guisa che detta abortita notifica neppure è suscettibile di sanatoria per il raggiungimento dello scopo in conseguenza della costituzione dell’appellato» (Cass., sez. 6-1, n. 17336 del 2019).
Si è chiarito anche che nell’ipotesi di notifica dell’atto di impugnazione non andata a buon fine, ove risulti il trasferimento del
difensore domiciliatario della parte destinataria della notifica, al fine di stabilire se il mancato perfezionamento sia imputabile al notificante, per la riattivazione del procedimento notificatorio entro il termine di cui all’art. 325 c.p.c., occorre distinguere a seconda che il difensore al quale viene effettuata detta notifica eserciti o meno la propria attività nel circondario del tribunale dove si svolge la controversia, essendo nella prima ipotesi onere del notificante accertare, anche mediante riscontro delle risultanze dell’albo professionale, quale sia l’effettivo domicilio del difensore, a prescindere dalla comunicazione, da parte di quest’ultimo, nell’ambito del giudizio, del successivo mutamento (Cass., sez. 5, 28/3/2019, n. 8618; Cass. n. 12360 del 2015).
Risulta calzante anche la pronuncia di questa Corte per cui la notificazione della sentenza di primo grado presso il domicilio dichiarato nel giudizio “a quo” ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione, che abbia avuto esito negativo perché il procuratore si sia successivamente trasferito altrove, non ha alcun effetto giuridico, dovendo essere effettuata al domicilio reale del procuratore (quale risulta dall’albo, ovvero dagli atti processuali), anche se non vi sia stata rituale comunicazione del trasferimento alla controparte, in quanto il dato di riferimento personale prevale su quello topografico, e non sussiste alcun onere del procuratore di provvedere alla comunicazione del cambio di indirizzo; tale onere è infatti previsto per il domicilio autonomamente eletto, mentre l’elezione presso lo studio del procuratore ha la mera funzione di indicare la sede dello studio del procuratore, costituendo pertanto onere del notificante l’effettuazione di apposite ricerche atte ad individuare il luogo di notificazione (Cass., sez. L, 30/10/2019, n. 27911).
5. Trova applicazione, dunque, la regola processuale, disegnata dall’art. 334 c.p.c., per cui se l’impugnazione principale è inammissibile, come nella specie, per tardività, l’impugnazione incidentale tardiva diviene inefficace.
Si è infatti affermato che l’inammissibilità del ricorso principale determina l’inefficacia del ricorso incidentale proposto tardivamente, cioè oltre il termine (breve o annuale – ora semestrale-) di impugnazione della sentenza, avendo esso assunto (in conseguenza di inammissibilità del ricorso principale) natura e funzione di ricorso principale ed essendo quindi divenuto privo di rilievo il termine proprio del ricorso incidentale (Cass., sez. L, 1/2/1996, n. 881; di recente Xass., sez. 5, 16/11/2018, n. 29593).
6. Va, peraltro, aggiunto, conformemente a quanto accertato e dichiarato dalla Corte d’appello di Roma, che, nel caso che ci riguarda, l’appello incidentale articolato dalla SAF 1975 aveva natura adesiva rispetto all’appello principale presentato dalla RAGIONE_SOCIALE
Ed infatti, in sede di appello incidentale la RAGIONE_SOCIALE ha chiesto espressamente la «riforma della sentenza di primo grado, nella parte in cui dispone il rigetto delle domande proposte sia da RAGIONE_SOCIALE sia da RAGIONE_SOCIALE nei confronti del Ministero dell’economia e delle Finanze».
Pertanto, è stata espressamente richiesto l’accoglimento della domanda di RAGIONE_SOCIALE; ciò proprio sulla considerazione che «è necessario svolgere le seguenti considerazioni ad adiuvandum all’impugnazione proposta, dettate soprattutto da un interesse proprio dell’appellata, che consiste nella necessità che il debitore di RAGIONE_SOCIALE, cioè RAGIONE_SOCIALE, mantenga integre le proprie garanzie patrimoniali, tra le quali rientra anche il credito
dalla stessa vantato nei confronti del MEF, non riconosciutole in primo grado con motivazioni più che discutibili».
Saf 1975 chiedeva, dunque, nelle conclusioni dell’appello incidentale la riforma della sentenza n. 13101 del 2015 resa dal tribunale civile di Roma, nella parte in cui rigettava la domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE nei confronti del MEF, con condanna in solido della RAGIONE_SOCIALE e del MEF al risarcimento dei danni.
6.1. Trova applicazione, allora, la giurisprudenza di legittimità per cui le regole sull’impugnazione tardiva, sia ai sensi dell’art. 334 c.p.c., che in base al combinato disposto di cui agli artt. 370 e 371 c.p.c., si applicano esclusivamente a quella incidentale in senso stretto e, cioè, proveniente dalla parte contro cui è stata proposta l’impugnazione, mentre per il ricorso di una parte che abbia contenuto ‘adesivo’ a quello principale si deve osservare la disciplina dell’art. 325 c.p.c., cui è altrettanto soggetto qualsiasi ricorso successivo al primo, che abbia valenza d’impugnazione incidentale qualora investa un capo della sentenza non impugnato o lo investa per motivi diversi da quelli fatti valere con il ricorso principale – nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto inammissibile l’impugnazione incidentale tardiva proposta contro il ricorrente principale, ritenendo l’interesse all’impugnazione sorto già in conseguenza dell’emanazione della sentenza di appello e non per effetto del ricorso principale – (Cass., sez. 3, 24 agosto 2020, n. 17614; Cass., sez.un., 29 ottobre 2020, n. 23903; Cass., sez. 5, 7 ottobre 2015, n. 20040; Cass., sez. 3, 10 marzo 2008, n. 6284). Il ricorso incidentale ‘adesivo’, dunque, a differenza del ricorso incidentale in senso stretto, va proposto, a pena di inammissibilità, nel termine ordinario di impugnazione (Cass., sez. 2, 22 dicembre 2021, n. 41254).
Si è chiarito che l’impugnazione incidentale tardiva è ammessa in via generale anche nei confronti di capi diversi ed autonomi rispetto a quelli toccati dall’impugnazione principale avversa, ex art. 334 c.p.c. (Cass., sez. 3, 9/7/2020, n. 14596; Cass., sez. 3, 5/9/2022, n. 26139), con la sola finalità di dar modo alla parte parzialmente soccombente -che avrebbe altrimenti prestato acquiescenza alla sentenza – di impugnare anch’essa quest’ultima, una volta venuto a conoscenza dell’impugnazione principale avversaria (Cass., sez. 5, 30/1/2018, n. 2248; Cass., sez. 2, 24/4/2012, n. 6470; Cass., sez. 3, 11/6/2008, n. 15483; Cass., Sez.U., 7/11/1989, n. 4640; Cass., sez. 3, 29/5/2024, n. 15100).
In dottrina, si è sottolineato che la possibilità del ricorso incidentale tardivo, a prescindere dal contenuto delle censure, riferibili, o meno, al capo della sentenza impugnato con il ricorso principale, esalta la finalità del regime di impugnazione incidentale tardiva, che è quello proprio di consentire alla parte parzialmente soccombente, che sia disposta ad accettare la sentenza se anche la controparte l’accetta, di attendere la decisione di quest’ultima senza dover proporre impugnazione per evitare la decadenza del termine, rendendo più facile per entrambe le parti l’accettazione della sentenza.
6.2. Nella recente sentenza di questa Corte, a sezioni unite (Cass., Sez.U., n. 8486 del 2024), in tema di obbligazioni solidali, si è evidenziato che la ratio dell’art. 334 c.p.c. è una «finalità transattivo-ritorsiva», nel senso che la norma ha lo scopo di indurre la parte parzialmente vittoriosa a rinunciare all’impugnazione, per non correre il rischio che l’appellato, attraverso l’impugnazione tardiva, possa rimettere in discussione anche le parti della sentenza favorevole all’appellante principale.
La ratio della norma sarebbe dunque frustrata se si impedisse all’appellato di impugnare tardivamente anche capi di sentenza diversi da quelli impugnati in via principale, perché l’esigenza di favorire la definitiva composizione della lite, dissuadendo le parti dall’impugnazione, sussiste anche in questa ipotesi.
Inoltre, l’interesse a proporre l’impugnazione tardiva non coincide con quello che sorge dalla mera soccombenza, ma è un interesse diverso e sorge dall’impugnazione altrui, «che tende a modificare l’assetto di interessi che l’impugnato, in mancanza dell’altrui impugnazione principale, avrebbe accettato» (Cass., Sez.U., n. 8486 del 2024).
6.3. Con la conseguenza che l’impugnazione incidentale tardiva presuppone che l’interesse alla sua proposizione scaturisca, appunto, proprio dalla proposizione dell’impugnazione avversaria. In caso di reciproca soccombenza, l’impugnazione incidentale tardiva, prevista dall’art. 334 c.p.c. per consentire alla parte l’accettazione della sentenza purché l’avversario tenga analogo comportamento, è ammissibile – nonostante lo spirare del termine ordinario anche l’acquiescenza – anche nei confronti di un capo autonomo della sentenza rispetto a quello investito dal impugnazione principale, «sempreché l’interesse a proporre impugnazione incidentale dipenda dall’avvenuta proposizione di quella principale» (Cass., n. 2248 del 2018).
L’impugnazione incidentale tardiva è sempre ammissibile, a tutela della reale utilità della parte, ove l’impugnazione principale metta in discussione l’assetto di interessi derivanti dalla sentenza cui la parte non impugnante aveva prestato acquiescenza, atteso che l’interesse ad impugnare sorge, anche nelle cause scindibili, dall’eventualità che l’accoglimento dell’impugnazione principale
modifichi tale assetto giuridico (Cass., sez. 1, 16/11/2015, n. 23396).
6.4. Tanto è vero che ai sensi dell’art. 334, secondo comma, c.p.c., se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile, l’impugnazione incidentale perde ogni efficacia, rispondendo a questa logica di collegamento di interesse tra le due impugnazionie. Venuta meno, per inammissibilità, l’impugnazione principale, viene perciò soltanto meno anche l’interesse all’impugnazione incidentale che trovava nella prima la ragione della propria proposizione (Cass., n. 2248 del 2018).
6.5. Si è anche precisato che le regole sull’impugnazione tardiva, sia ai sensi dell’art. 334 c.p.c., che in base al combinato disposto di cui agli artt. 370 e 371 c.p.c., operano esclusivamente per il ricorso incidentale in senso stretto e, cioè, proveniente dalla parte contro cui è stata proposta l’impugnazione principale e non anche per quello che abbia contenuto adesivo al ricorso principale – neppure ove contenga censure aggiuntive rispetto a quest’ultimo – che va proposto, a pena di inammissibilità, nel termine ordinario di impugnazione (Cass., sez. 2, 22/12/2021, n. 41254).
6.6. Si è anche chiarito che è inammissibile l’impugnazione incidentale tardiva di un capo della sentenza autonomo rispetto a quello investito dall’impugnazione principale, se l’interesse a proporla preesiste all’altrui gravame e sorge immediatamente dalla decisione – nella specie, la S.C. ha confermato la pronuncia di inammissibilità dell’appello incidentale tardivo avente ad oggetto il capo della sentenza con il quale veniva rigettata la domanda risarcitoria proposta nei confronti di un terzo chiamato, diverso dall’appellante principale, posto che l’interesse all’impugnazione era sorto con la stessa sentenza di primo grado- (Cass., sez. 3, 14/11/2024, n. 29448).
Nella specie, quindi, a seguito dell’appello principale articolato dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti anche della SAF 1975, quest’ultima ha proposto appello incidentale tardivo in adesione alla domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti del MEF, oltre che per la condanna alle spese in favore del MEF.
Pertanto, trattandosi di appello incidentale tardivo adesivo, la Corte d’appello correttamente lo ha ritenuto inammissibile.
La sentenza del tribunale è stata depositata il 16/6/2015, sicché il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., semestrale, maturava il 16/1/2016, mentre l’appello incidentale adesivo è stato depositato solo in data 6/4/2016.
Solo per evitare equivoci si evidenzia che non può trovare qui applicazione la decisione di questa Corte a sezioni unite, per cui, in tema di obbligazioni solidali, l’impugnazione incidentale tardiva è ammissibile anche quando riveste le forme dell’impugnazione adesiva rivolta contro la parte destinataria dell’impugnazione principale, in ragione del fatto che l’interesse alla sua proposizione può sorgere dall’impugnazione principale o da un’impugnazione incidentale tardiva (Cass., Sez.U., 28/3/2024, n. 8486; anche Cass., Sez.U., 27/11/2007, n. 24627; contra , ma per una fattispecie tutta peculiare di responsabilità degli amministratori vedi Cass., Sez.U., 29/10/2020, n. 23903).
Per le obbligazioni solidali, infatti, è consentito il ricorso incidentale adesivo tardivo, in quanto «si è inteso subordinare l’interesse ad impugnare alla messa in discussione, mediante la proposizione dell’appello principale, del ‘complessivo’ risultato del giudizio di primo grado da parte del coobbligato solidale che si era astenuto dal proporre gravame, così consentendo, altresì, di pervenire ad un accertamento uniforme dell’esistenza e del modo di
essere dell’obbligazione solidale nell’alveo di operatività dell’art. 332 c.p.c.» (Cass., Sez.U., n. 8486 del 2024).
Nella specie, invece, non si è in presenza di obbligazioni solidali, in quanto, in realtà, la SAF 1975 ha proposto l’originaria domanda giudiziale nei confronti della venditrice delle piante tartufigene, avendo poi avanzato domanda anche nei confronti del MEF, in qualità di produttore delle piante.
L’appello principale della RAGIONE_SOCIALE infatti, non ha modificato in alcun modo l’assetto degli interessi complessivo nella vicenda processuale.
Non è possibile, dunque, proporre appello incidentale tardivo adesivo, in un’ipotesi in cui l’impugnazione ad adiuvandum da parte della SAF 1975, è avvenuta per la dichiarata «necessità che il debitore dell’RAGIONE_SOCIALE, cioè RAGIONE_SOCIALE, mantenga integre le proprie garanzie patrimoniali, tra le quali rientra anche il credito dalla stessa vantato nei confronti del MEF».
Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione degli articoli 2909 c.c. e 115 c.p.c.».
Per la ricorrente, le sentenze del tribunale di Roma n. 14593/2003 e 42560/2005 avrebbero individuato nel MEF il soggetto «tenuto a garantire la sRAGIONE_SOCIALE dalle richieste risarcitorie di terzi acquirenti per danno emergente e lucro cessante subito dagli stessi per effetto dell’acquisto delle piante tartufigene di produzione SAF».
In particolare, la ricorrente fa riferimento al contratto di esclusiva intercorso tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE stipulato in data 24/7/1990, per la durata di 2 anni. Il termine sarebbe stato poi prorogato fino al 30/8/1994, avendo la RAGIONE_SOCIALE prenotato nel periodo un numero di piante superiore a quello fissato in via negoziale (n. 15.000 per anno).
Non sarebbe condivisibile il ragionamento del tribunale di Roma che ha rigettato la domanda di RAGIONE_SOCIALE contro il MEF deducendo un ‘motivo temporale’, in quanto il primo contratto tra la RAGIONE_SOCIALE e la SAF e del 10/1/1992, quindi anteriore all’acquisto del 5/11/1992 di piante tartufigene da parte di RAGIONE_SOCIALE da SAF.
Tale ragionamento potrebbe valere per il primo contratto, ma non per i successivi del 25/1/1993 e del 31/1/1994.
Tra l’altro, il contratto di esclusiva prevedeva una prima scadenza biennale al 1/9/92 ed una proroga di due anni in presenza di acquisti annuali superiori a 15.000 unità.
Aggiungeva la ricorrente che tutte le piante acquistate tramite RAGIONE_SOCIALE venivano sempre consegnate direttamente da RAGIONE_SOCIALE.
La Corte d’appello avrebbe dunque violato l’art. 115 c.p.c. «perché ha ignorato le risultanze dei documenti prodotti da RAGIONE_SOCIALE».
Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente si duole della «violazione degli articoli 105 e 334 c.p.c.».
Il tribunale di Roma ha accolto la domanda solo nei confronti di RAGIONE_SOCIALE rigettando quella nei confronti del MEF con una motivazione -a giudizio della ricorrente -«giuridicamente inaccettabile perché premia (non si sa con quale autorità) una frode in commercio accertata anni prima dallo stesso tribunale».
La domanda iniziale della ricorrente SAF 1975 contro il MEF «andava in ogni caso accolta e quindi anche l’appello Flovis è meritevole di accoglimento».
Chiarisce la ricorrente che «la mancanza iniziale di interesse della ricorrente a proporre appello alla sentenza in questione (13101/2015 in giudizio 2826/2012) poiché la condanna di NOME garantiva il
recupero di quanto statuito in questa sentenza a favore di RAGIONE_SOCIALE», mentre «solo dopo l’appello Flovis questa certezza è venuta meno e ha costretto la ricorrente a proporre appello incidentale Consegue, quindi, che anche questo appello è tempestivo e quindi meritevole di accoglimento».
Precisa ancora la ricorrente che la garanzia del MEF è per le vendite di aliud pro alio effettuate da SAF in favore di RAGIONE_SOCIALE «non è quella del produttore», ma quella stabilita con sentenza «in attuazione o dell’art. 1944 c.c. o per la successione di persona a persona».
Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione dell’art. 2900 c.c. e 105 c.p.c.».
Per la ricorrente, dunque, sussiste il credito proprio nei confronti della RAGIONE_SOCIALE di complessivi euro 13.003.929,00, «che ha diritto di richiedere sia alla debitrice che al suo garante MEF».
I motivi terzo, quarto e quinto, che vanno trattati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono inammissibili.
Infatti, una volta reputato inammissibile perché tardivo l’appello principale articolato dalla RAGIONE_SOCIALE è, di conseguenza, inammissibile perché tardivo anche l’appello incidentale adesivo articolato da COGNOME NOMECOGNOME quale mandatario della SAF 175.
Resta efficace, però, l’appello principale tempestivamente proposto dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti del MEF.
Sul punto, però, la SAF 1975 non ha legittimazione ad impugnare un capo della sentenza che esamina l’infondatezza dell’appello principale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti del MEF.
I motivi sono, peraltro, del tutto infondati, consistendo in una mera rivisitazione di tutti gli elementi istruttori, già ampiamente
esaminati nella fase di merito con giudizio pienamente meritale, non replicabile in questa sede.
Si è, in presenza, tra l’altro, di una doppia decisione conforme di merito, ex art. 348ter c.p.c., all’epoca vigente, introdotto dal decreto-legge n. 83 del 2012, in quanto sia il giudice di prime cure che la Corte d’appello hanno affermato, con precisione, che, manca del tutto la prova che le piante tartufigene acquistate da RAGIONE_SOCIALE presso la RAGIONE_SOCIALE con il contratto di vendita del 5/11/1992, siano le medesime che hanno costituito oggetto del contratto del 10/1/1992, come pure dei due successivi contratti del 25/1/1993 e del 31/1/1994
Poiché il contratto di compravendita delle piante tartufigene da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE è avvenuto il 5/11/1992, la Corte di merito, con ragionamento di fatto tutt’altro che irragionevole, non ha ritenuto che fosse stata raggiunta la prova che tali piante abbiano fatto oggetto del contratto stipulato precedentemente, dieci mesi prima, in data 10/1/1992, tra la venditrice RAGIONE_SOCIALE e l’acquirente RAGIONE_SOCIALE.
Ciò risulta in modo limpido dalla motivazione della sentenza della Corte d’appello la quale ha affermato che «come correttamente evidenziato dal primo giudice, non v’è prova certa (né essa sarebbe acquisibile per il tramite di CTU) che le piante riconosciute improduttive solo dalla Flovis ma non dalle altre parti ed in particolare dal MEF, siano effettivamente quelle oggetto della fornitura di quel contratto del 5/11/2012 e tantomeno in quale quantitativo potrebbero appartenere a quelle di effettiva produzione della RAGIONE_SOCIALE».
Dovendosi peraltro tenere presente che il contratto di esclusiva era stato sottoscritto tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE in data 24/7/1990, con durata biennale (cfr. motivazione della sentenza
della Corte d’appello «è altrettanto vero che suddetti contratti risulta che le piante da fornirsi erano quelle della RAGIONE_SOCIALE s.p.a. nei cui confronti, peraltro, solo fino al 5/1/1992 era esistente un contratto di esclusiva di cui al precedente contratto poi risolto del 24/7/1990».
Per i giudici di merito, dunque, le piante vendute da RAGIONE_SOCIALE a staffa 175 con i 3 contratti delle 10/1/1992, del 25/1/1993 e della 31/1/1994, potevano essere state acquistate dalla RAGIONE_SOCIALE anche da produttori diversi dalla SAF.
Inoltre, deve osservarsi, che la sentenza del tribunale di Roma n. 14593 del 2003, nel giudizio relativo alla domanda di risarcimento dei danni proposta da RAGIONE_SOCIALE contro RAGIONE_SOCIALE aveva ad oggetto piante tartufigene vendute con il contratto del 5/11/1992, sicché quel giudicato non può fare stato nella odierna vicenda processuale.
Va, poi, anche rimarcato che nel giudizio insorto tra NOME COGNOME, la RAGIONE_SOCIALE ed il MEF, definito con sentenza del tribunale di Roma n. 1850 del 2008, la RAGIONE_SOCIALE, chiamata in giudizio dall’attore, ha chiesto espressamente lo spostamento della prima udienza per chiamare in giudizio il MEF, ai fini di essere da questo garantita.
Ciò, invece, non è avvenuto del giudizio in esame, in ordine alle domande di condanna risarcimento dei danni avanzate da SAF 1975. È stata, infatti, la SAF 1975 a chiamare direttamente in giudizio il MEF per il risarcimento del danno, sia pure quale produttore delle piante tartufigene e non quale venditore delle stesse.
La domanda di manleva è stata proposta inammissibilmente per la prima volta dalla RAGIONE_SOCIALE nel corso del giudizio di appello (cfr. sentenza della Corte d’appello di Roma n. 7216 del 2021, ove si legge «non avendo la stessa mai proposto in effetti una domanda di manleva dinanzi al tribunale»).
Inoltre, non può non osservarsi che nel giudizio definito con la sentenza del tribunale di Roma n. 1850 del 2008, non era parte in causa la SAF 1975, attrice – poi appellante incidentale adesiva – in questa sede.
Tra l’altro, non è stato provato che le piantine tartufigene oggetto di quel giudizio siano state oggetto della partita di quel contratto del 5/11/1992.
Le piante acquistare dal COGNOME non risultano essere le medesime consegnate alla SAF 1975 a seguito dei 3 contratti sopra richiamati.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico della ricorrente si liquidano come da dispositivo.
Non sussistono i presupposti per la condanna della ricorrente per lite temeraria ex art. 96 c.p.c.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della RAGIONE_SOCIALE le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi euro 40.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e cpa.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore del MEF le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi euro 30.0000,00, oltre spese prenotate a debito, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 30 gennaio