Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 32778 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 32778 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11807/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè
NOME
contro
NOMECOGNOME
PEPE
ASSUNTA
-intimate- avverso la SENTENZA del TRIBUNALE di BENEVENTO n. 2173/2021 depositata il 27/10/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
1. -Il commercialista NOME COGNOME ha tenuto la contabilità della società RAGIONE_SOCIALE, di cui erano socie NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il COGNOME è stato però citato in giudizio sia dalle due socie in proprio che, inizialmente, dalla NOME COGNOME quale legale rappresentante della società, per avere causato danni a quest’ultima in relazione alle dichiarazioni dei redditi. In particolare, per non avere presentato quella per l’anno 2008 e per avere errato nella compilazione di quella del 2010 e 2011.
A causa di tali errori, la società si è vista notificare avvisi di accertamento da parte del Fisco volti a recuperare le somme omesse con le predette dichiarazioni.
2. -Il giudizio di primo grado si è tenuto davanti al Giudice di pace di Benevento, il quale nel 2016, ha emesso una sentenza non definitiva, dichiarando non legittimata attivamente NOME COGNOME quale rappresentante della società: ciò in quanto aveva agito in nome e per conto di essa la COGNOME senza esserne tuttavia rappresentante legale.
Ha dunque rimesso la causa sul ruolo per istruirla quanto alle domande delle altre due parti (le socie in proprio), ed è stato alla
fine della istruzione che è intervenuta nuovamente la società, questa volta rappresentata dall’altra socia, che era la effettiva rappresentante legale.
L’intervento è stato dichiarato tardivo.
Nonostante ciò, il Giudice di Pace, alla fine, ha condannato il commercialista a rifondere i danni alla società RAGIONE_SOCIALE Bacco’, confermando il difetto di legittimazione attiva della COGNOME e rigettando la domanda proposta dalla COGNOME.
-Questa decisione è stata impugnata in via principale dalle due socie e, con appello incidentale tardivo, dal commercialista.
Il Tribunale di Benevento ha accolto l’appello incidentale tardivo rigettando quello principale.
-Ricorre per Cassazione la Taverna di Bacco con tre motivi, cui ha fatto seguito il controricorso di NOME, illustrato da memoria.
Ragioni della decisione
-Con il primo motivo si prospetta una violazione degli articoli 324 e 334 c.p.c.
La tesi è la seguente.
Il commercialista, convenuto in primo grado, ha proposto un appello incidentale tardivo, che in tanto è ammissibile in quanto sia rivolto verso l’appellante principale, altrimenti non lo è.
Il giudice di appello avrebbe, secondo la ricorrente, ritenuto ammissibile l’appello incidentale, pur essendo tale appello rivolto solo verso la Taverna del Bacco, ossia verso la ricorrente, che però non era appellante, anziché avverso le due socie, che avevano proposto l’appello principale.
Sostiene la società ricorrente che, infatti, era chiaro che la società non aveva fatto appello principale, essendosi invece quest’ultima limitata a partecipare al giudizio di secondo grado ai soli fini del contraddittorio.
Il motivo è infondato.
Infatti, l’appello incidentale tardivo è ammissibile anche a prescindere dal fatto che la società qui ricorrente abbia o meno proposto un appello principale, e, ricordiamo, lo hanno proposto le due socie.
Ciò in quanto l’interesse alla impugnazione incidentale tardiva può sorgere non necessariamente da una impugnazione principale: l’interesse ad impugnare, in capo a chi diversamente non lo avrebbe fatto, può sorgere anche da una altra impugnazione incidentale (Cass. Sez. Un. 8486/ 2024) e anche da quella proposta avverso un capo non autonomo di sentenza (Cass. 15100/ 2024).
Ove anche si ammettesse che l’impugnazione tardiva va rivolta esclusivamente verso l’impugnazione principale, la sua ammissibilità presuppone un giudizio concreto e non astratto (Cass. 20935/ 2024), che la corte di merito, qui, ha ben condotto, in quanto ha ritenuto che anche la società aveva impugnato il capo relativo alla compensazione delle spese, e dunque doveva ritenersi anche essa, insieme alle socie, appellante principale. Ed ha ricavato tale accertamento dalle stesse conclusioni dell’atto di appello.
2. -Il secondo motivo prospetta violazione degli articoli 83, 105 e 122 c.p.c.
La censura attinge il capo di sentenza relativo alla domanda della società ricorrente.
Come si è detto, la società era stata ‘esclusa’ in un primo momento dal Giudice di Pace, con decisione non definitiva, in quanto per suo conto ed in suo nome aveva agito una della due socie, la RAGIONE_SOCIALE, non legittimata, ossia non avente la rappresentanza della società.
Nel prosieguo del giudizio, la società era intervenuta a mezzo della effettiva rappresentante legale, allo scopo di sanare il difetto di legittimazione, ma il Giudice di pace ha ritenuto tardivo questo intervento, e, di conseguenza, ha ritenuto di non dovere prendere
in considerazione le prove che con tale intervento erano state proposte, finendo così con il rigettare la domanda.
In appello, questa ratio è stata confermata: il Tribunale ha ritenuto che la domanda della società era tardiva e dunque non poteva essere presa in considerazione.
Con questo motivo di ricorso la società censura questa decisione e sostiene che non si trattava di un intervento volontario vero e proprio, soggetto come tale alle preclusioni proprie degli interventi, ma si trattava di un atto di sanatoria, ossia di un atto con cui interveniva in giudizio la vera rappresentante legale della società, ovviamente per conto di quest’ultima, allo scopo di sanare il difetto di rappresentanza dichiarato dal Giudice di Pace con la decisione non definitiva.
Questo motivo è infondato.
Lo è in quanto la qualificazione di quell’atto in termini di intervento volontario non è mai stata impugnata. Quella qualificazione è stata fatta in primo grado dal Giudice di pace, che, per primo, ha dichiarato tardivo l’intervento, ma non è stata oggetto di appello. Il che è pacifico. La società, secondo il giudice di secondo grado, si è limitata in appello ad impugnare le spese; secondo la stessa società invece non c’è stata proprio impugnazione, come abbiamo visto al motivo precedente, ma semplice intervento ai fini della ‘regolarità del contraddittorio’. Dunque, non vi è stata, appaiono concordi le parti ed il giudice, una impugnazione sulla qualificazione dell’atto: se fosse un intervento in causa, da parte di una società di cui era stato dichiarato il difetto di legittimazione, o se fosse invece un mero atto di sanatoria. Né, posto che fosse un intervento, come ritenuto dai giudici, vi è stata impugnazione sulla sua tardività.
Bisogna dunque tenere per fermo che l’atto della società qui ricorrente era un atto di intervento, fatto dopo lo scadere del termine, con conseguente inammissibilità delle domande in esso contenute ma soprattutto di inammissibilità delle prove.
3. -Il che incide sulla sorte del terzo motivo che prospetta violazione dell’articolo 115 c.p.c.
Secondo la ricorrente, il giudice di merito ha rigettato la domanda illegittimamente in quanto le prove della sua fondatezza erano state chiaramente allegate.
Il motivo è condizionato dal rigetto del precedente.
La domanda della società è stata giudicata tardiva sin dal primo grado. Non vi è stata impugnazione sul giudizio di tardività, e, di conseguenza, non solo la domanda è stata ritenuta dai giudici di merito ‘tamquam non esset’, per usare le loro parole, ma inammissibili sono state giudicate le richieste istruttorie che la sorreggevano.
Il ricorso va pertanto rigettato. La spese, in ragione dell’esito alterno del procedimento, possono compensarsi.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13 .
Così deciso in Roma, il 02/12/2024.