Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12735 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 12735 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 10187/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME NOME COGNOME, ASSOCIAZIONE PROFESSIONALE STUDIO LEGALE COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
-ricorrenti- contro
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA n.549/2020 depositata il 7.2.2020.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
3.4.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME e l’Associazione RAGIONE_SOCIALE (di seguito ‘SLZ’), dagli stessi composta, convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Forlì la cliente, NOMECOGNOME per ottenere il pagamento di € 11.238,65 a titolo di compensi per prestazioni professionali rese a favore della stessa per un procedimento civile di divorzio (proc. n. 663/2007 RG del Tribunale di Forlì), ed il solo avvocato NOME COGNOME anche per la costituzione di parte civile della NOME in un processo penale a carico del marito (proc. n. 2555/2007 RGNR del Tribunale penale di Forlì). Costituitasi tardivamente, NOME eccepiva il difetto di legittimazione di SLZ e contestava la domanda attorea, assumendo di avere effettuato il pagamento di € 5.000,00 con due assegni bancari.
Con sentenza n. 1055/2015 il Tribunale di Forlì dichiarava il difetto di legittimazione attiva dell’associazione professionale, e condannava NOME al pagamento in favore degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME della somma di € 2.518,37, accessori compresi, al netto degli acconti corrisposti, oltre interessi legali dalla domanda giudiziale al saldo, compensando unitariamente le spese del giudizio tra tutti gli attori e la convenuta.
Avverso questa sentenza, non notificata, NOME proponeva appello principale nell’ultimo giorno utile, dolendosi della compensazione delle spese disposta nei confronti di SLZ, ancorché soccombente per il riconosciuto difetto di legittimazione attiva.
Si costituivano gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME e congiuntamente l’associazione professionale SLZ, deducendo la nullità dell’appello per mancata indicazione del codice fiscale dell’associazione professionale, e l’inammissibilità e infondatezza del medesimo, e proponendo appello incidentale tardivo.
All’udienza del 27.9.2016, l’appellante sollevava eccezione di tardività dell’appello incidentale, reiterata in sede di precisazione delle conclusioni.
Con sentenza n. 549/2020 del 30.7.2019/7.2.2020, la Corte di Appello di Bologna riformava la gravata sentenza e, per l’effetto, condannava la SLZ, in base alla soccombenza sulla legittimazione attiva, alla refusione a favore di NOME NOME delle spese di lite del giudizio di primo grado, liquidate in € 4.835,00 oltre accessori, Iva e cpa come per legge, da distrarsi a favore del procuratore dichiaratosi antistatario, dichiarava inammissibile l’appello incidentale tardivo di COGNOME NOME e COGNOME COGNOME NOME, rilevando quanto a SLZ che il difetto di legittimazione attiva dichiarato in primo grado non era stato fatto oggetto d’impugnazione, e condannava COGNOME NOME e COGNOME COGNOME NOME in proprio e l’associazione professionale in solido alla rifusione a favore dell’appellante delle spese del giudizio di secondo grado, liquidate in € 3.777,00 per compensi, oltre € 387,55 per spese non imponibili, oltre accessori, Iva e CPA come per legge, da distarsi a favore del procuratore dichiaratosi antistatario.
Avverso questa sentenza, COGNOME NOME e COGNOME COGNOME NOME in proprio, e quali legali rappresentanti dell’associazione professionale, hanno proposto tempestivo ricorso a questa Corte l’1.4.2020, affidandosi a dodici motivi, e NOME ha resistito con controricorso.
Nell’imminenza della pubblica udienza del 3.4.2025, sia i ricorrenti che la controricorrente hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..
La Procura generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va respinta l’eccezione d’inammissibilità del ricorso sollevata da NOME in quanto la parte ricorrente non avrebbe individuato a quale dei tre ricorrenti (COGNOME NOME, COGNOME COGNOME NOME e Associazione professionale Studio Legale COGNOME) sarebbero riferibili i dodici motivi di ricorso fatti valere, atteso che quei tre soggetti hanno agito in primo grado per il pagamento delle prestazioni professionali di avvocato fornite a NOME per complessivi €11.238,65, vantando una solidarietà attiva nei confronti della cliente, ed in sede di legittimità hanno inteso far valere censure di interesse comune a tutti e tre i ricorrenti, salvo che in ordine ai compensi per la costituzione di parte civile della Nigi nel processo penale n. 2555/2007 RGNR del Tribunale penale di Forlì a carico del marito, rivendicati in misura maggiore a quanto liquidato in primo grado dal solo professionista impegnato in quella sede, l’avvocato NOME COGNOME (vedi pagina 33 del ricorso).
Del pari infondata é l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 comma 1° n. 3) c.p.c. sollevata dalla controricorrente, in quanto il ricorso, pur redatto con la disdicevole tecnica del ‘copia e incolla’ e quindi con riproduzione integrale di precedenti atti del giudizio, ed in spregio del Protocollo d’intesa tra la Corte di Cassazione ed il Consiglio Nazionale Forense sulla necessaria sinteticità, espone, anche se con qualche approssimazione, i fatti di causa, alle pagine da 2 a 5.
Infondata é anche l’eccezione d’inammissibilità del ricorso sollevata dalla controricorrente in relazione al fatto che gli attuali ricorrenti non hanno proposto appello incidentale tardivo avverso il capo della sentenza del Tribunale di Forlì n. 1055/2015, che ha dichiarato il difetto di legittimazione attiva dell’Associazione professionale RAGIONE_SOCIALE COGNOME, da ritenere ormai coperto da giudicato interno, perché non impugnato con l’appello principale da
NOME NOME La controricorrente proprio su quel difetto di legittimazione aveva fondato la sua richiesta, poi accolta in secondo grado, di condanna dell’associazione professionale alle spese processuali di primo grado per soccombenza, in luogo della compensazione delle spese, che era stata disposta unitariamente dal Tribunale di Forlì per i tre attori e per la NOME. Ed invero, il ricorso in prevalenza ripropone motivi di censura che i tre ricorrenti avevano fatto valere, attraverso l’appello incidentale tardivo dell’Associazione professionale RAGIONE_SOCIALE COGNOME, destinataria dell’appello principale, ed attraverso il contestuale appello incidentale tardivo adesivo di COGNOME NOME e COGNOME COGNOME NOME, contenuto nello stesso atto d’impugnazione, che riguardavano capi autonomi rispetto a quello relativo al difetto di legittimazione attiva dell’Associazione professionale RAGIONE_SOCIALE COGNOME, e che non sono stati esaminati nel merito dalla Corte d’Appello di Bologna, per ritenuta inammissibilità dell’appello incidentale tardivo di COGNOME NOME e COGNOME COGNOME NOME e per il difetto di legittimazione attiva dell’associazione professionale costituita dai predetti.
Ancora in via preliminare, va dichiarato inammissibile il ricorso dell’Associazione professionale RAGIONE_SOCIALE COGNOME in quanto é pacifica la formazione del giudicato interno sul difetto di legittimazione attiva di quell’associazione, dichiarato dal Tribunale di Forlì, per cui tale Associazione, per poter coltivare il giudizio nei gradi successivi, avrebbe dovuto impugnare specificamente con l’appello incidentale tardivo il capo della sentenza di primo grado che ne aveva dichiarato il difetto di legittimazione attiva, senza la quale evidentemente mancava anche la legittimazione all’impugnazione, mentre il suddetto appello incidentale non ha riguardato quel capo, come inequivocamente espresso dall’impugnata sentenza al secondo capoverso di pagina 5.
Col primo motivo, i ricorrenti lamentano la nullità della sentenza impugnata, per non aver la Corte d’Appello dichiarato l’inammissibilità dell’appello ex art. 348 c.p.c..
Il primo motivo é inammissibile per difetto di specificità. I ricorrenti, infatti, si sono limitati a lamentare la nullità dell’impugnata sentenza per non avere dichiarato l’inammissibilità dell’appello principale di NOME NOME ex art. 348 c.p.c., sottolineando poi che i due professionisti sopra citati erano gli unici componenti dell’Associazione professionale RAGIONE_SOCIALE COGNOME, ma non é dato comprendere quale sia l’effettiva doglianza ai sensi dell’art. 360 comma primo c.p.c. che si vorrebbe far valere, atteso che l’art. 348 c.p.c. si riferisce all’improcedibilità del ricorso per tardiva costituzione dell’appellante, o per la sua mancata comparizione alla prima udienza, o per ipotesi che non vengono invocate, e dato che comunque l’inammissibilità dell’appello ipotizzata, e non adeguatamente inquadrata, non determina la nullità della sentenza che non la rilevi.
Col secondo motivo, i ricorrenti prospettano il vizio di motivazione laddove la Corte ha rilevato che l’associazione professionale SLZ fosse soggetto diverso da tutti i membri che la compongono, ossia i soli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il secondo motivo di ricorso é inammissibile per difetto di specificità, in quanto ipotizza la nullità della motivazione della sentenza impugnata in ordine al fatto che l’Associazione professionale RAGIONE_SOCIALE COGNOME sia un soggetto diverso da tutti i membri che la compongono, limitandosi a riportare la giurisprudenza di merito già citata nell’atto di appello incidentale tardivo (che legittimava i professionisti ad agire anche tramite le loro associazioni professionali per il recupero giudiziale delle loro spettanze) per resistere alla richiesta della appellante principale, di riforma della sentenza di primo grado in punto di condanna alle
spese processuali di quel grado dell’associazione, senza individuare la parte della motivazione della sentenza impugnata censurata, i patti associativi in virtù dei quali i ricorrenti avrebbero attribuito all’associazione professionale anche la legittimazione ad agire per loro conto per ottenere in sede giudiziale il pagamento delle loro spettanze, ed il tipo di vizio ricompreso tra quelli dell’art. 360 comma primo c.p.c. che si intenderebbe far valere.
Va infatti ricordato, per completezza, che secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. ord. 3.5.2024 n. 11940; Cass. n.17718/2019; Cass. n. 15694/2011), poiché l’art. 36 cod. civ., stabilisce che l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, che ben possono attribuire all’associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti, poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati, ne consegue che, ove venga accertata dal giudice di merito tale circostanza, sussiste la legittimazione attiva dello studio professionale associato – cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomo centro d’imputazione di rapporti giuridici – rispetto ai crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente conferente l’incarico -, in quanto il fenomeno associativo tra professionisti può non essere univocamente finalizzato alla divisione delle spese ed alla gestione congiunta dei proventi (Cass. ord. 3.5.2024 n. 11940; Cass. n.17718/2019; Cass. n. 8768/2018; Cass. n.15417/2016), ma il motivo di ricorso in esame non contiene alcun riferimento al contenuto dei patti costitutivi dell’associazione professionale in questione.
Col terzo motivo, i ricorrenti sostengono la violazione dell’art. 334 c.p.c. in relazione agli artt. 331 c.p.c. e 1306 cod. civ., in quanto la ratio del predetto art. 334 c.p.c., consistente nell’esigenza di non penalizzare la parte rimasta parzialmente soccombente ma disposta ad accettare la sentenza se anche la
contro
parte accetta, sarebbe stata frustrata dalla declaratoria di inammissibilità dell’appello incidentale tardivo, poiché l’interesse all’impugnazione tardiva sarebbe sorto al momento della proposizione dell’impugnazione principale che aveva rimesso in discussione l’assetto delle spese processuali del giudizio di primo grado, che altrimenti gli appellanti incidentali tardivi sarebbero stati disposti ad accettare. I ricorrenti evidenziano poi, dopo avere riportato per intero il loro appello incidentale, che la giurisprudenza di questa Corte si é evoluta nel tempo, ammettendo l’appello incidentale tardivo anche contro capi autonomi rispetto a quelli impugnati con l’appello incidentale, e contro soggetti diversi dall’appellante principale, dal destinatario dello stesso, e dai soggetti chiamati ad integrare il contraddittorio, in particolare nei casi in cui sussista solidarietà dal lato passivo, o come nella specie dal lato attivo, dell’obbligazione.
Il terzo motivo di ricorso é infondato e dev’essere respinto.
L’impugnata sentenza ha considerato inammissibile l’appello incidentale tardivo proposto da COGNOME NOME e COGNOME COGNOME Monica oltre il termine di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza del Tribunale di Forlì n. 1055/2015, (avvenuta il 20.8.2015), scaduto il 29.2.2016 (giorno della notificazione dell’appello principale di NOME NOME all’Associazione professionale RAGIONE_SOCIALE COGNOME), ritenendo che non fosse configurabile un litisconsorzio necessario tra l’Associazione professionale RAGIONE_SOCIALE COGNOME e gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME che semplicemente nel giudizio di primo grado assumevano di essere concreditori della cliente NOME per il compenso da lei dovuto per il patrocinio prestato in suo favore dai due suddetti legali dello studio professionale, e che la solidarietà attiva tra i tre asseriti concreditori fosse venuta meno col passaggio in giudicato del capo della sentenza di primo grado che aveva dichiarato il difetto di legittimazione attiva dell’Associazione professionale Studio Legale COGNOME, e che non era
stato impugnato da quest’ultima, né da COGNOME NOME e COGNOME COGNOME NOME con l’appello incidentale tardivo. Ulteriormente l’impugnata sentenza, dopo avere richiamato il principio per cui ‘ l’impugnazione incidentale tardiva é sempre ammissibile, a tutela della reale utilità della parte, ove l’impugnazione principale metta in discussione l’assetto d’interessi derivante dalla sentenza cui la parte non impugnante aveva prestato acquiescenza, atteso che l’interesse ad impugnare sorge, anche nelle cause scindibili, dall’eventualità che l’accoglimento dell’impugnazione principale modifichi tale assetto giuridico’, citando il precedente della sentenza n. 15770/2018 di questa Corte, che si riferiva ad una causa relativa ai rapporti che si erano instaurati tra una banca ed una pluralità di investitori, ed ha ritenuto che l’accoglimento dell’appello principale di NOME, inerente solo alle spese processuali di primo grado relative al rapporto processuale instauratosi tra la stessa e l’Associazione professionale Studio Legale COGNOME non abbia messo in discussione l’assetto di interessi derivante dalla sentenza di primo grado, al quale COGNOME NOME e COGNOME COGNOME NOME avevano prestato acquiescenza.
E’ anzitutto condivisibile la negazione della sussistenza di un litisconsorzio necessario tra più concreditori dello stesso debitore, trattandosi nella specie di cause scindibili intraprese per un interesse comune dei concreditori, al quale era applicabile l’art. 332 e non l’art. 331 c.p.c., per cui in caso di mancata partecipazione al giudizio di appello dei concreditori COGNOME NOME e COGNOME COGNOME NOME, la sentenza della Corte d’Appello di Bologna, pronunciata nei confronti solo di NOME e dell’Associazione professionale Studio Legale COGNOME non avrebbe prodotto effetto contro i suddetti concreditori rimasti estranei secondo il disposto dell’art. 1306 cod. civ..
L’esegesi estensiva dell’art. 334 c.p.c. fornita dalla sentenza n.8486 del 28.3.2024 delle sezioni unite di questa Corte, poi
recentemente seguita dalle ordinanze di questa Corte del 5.7.2024 n. 18423 e del 29.5.2024 n. 15100, si riferisce a fattispecie di solidarietà dal lato passivo dell’obbligazione, nella quale i condebitori non convenuti nel giudizio di secondo grado, sfociato poi nella negazione della responsabilità solidale di un altro condebitore, non potrebbero fruire ai sensi dell’art. 1306 cod. civ. dell’effetto favorevole conseguito dall’appellante, ed anzi dall’accoglimento dell’appello principale ricaverebbero un pregiudizio, vedendo ristretto il numero dei condebitori solidali in vista di una futura azione di regresso del condebitore che abbia poi pagato il debito per l’intero, e da tale impatto dell’appello principale sull’assetto degli interessi regolati dalla sentenza di primo grado si é fatto discendere l’interesse dei condebitori non destinatari dell’appello principale alla proposizione dell’appello incidentale tardivo, con un’interpretazione estensiva dell’art. 334 c.p.c., che testualmente ne consente la proposizione solo da parte del destinatario dell’appello principale e dei soggetti chiamati ad integrare il contraddittorio in secondo grado in quanto litisconsorti necessari.
Nel caso di specie, però, data la diversità discendente dalla solidarietà solo attiva dell’obbligazione, dall’accoglimento dell’appello principale di NOME NOME contro l’associazione professionale volto solo ad ottenere la condanna di quest’ultima al pagamento delle spese processuali di primo grado, che erano state compensate, non poteva derivare in via diretta alcun pregiudizio diretto, ma solo un pregiudizio di mero fatto, per gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME soggetti comunque distinti dall’associazione professionale, che come già sopra evidenziato costituisce un autonomo centro d’imputazione di rapporti giuridici rispetto ai crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente conferente l’incarico.
Peraltro non essendo stato impugnato il capo della sentenza di primo grado che aveva dichiarato il difetto di legittimazione attiva dell’associazione professionale, il giudice di secondo grado é stato chiamato solo ad applicare alla predetta il principio della soccombenza, senza effetto nei confronti dei due professionisti, che nell’atto introduttivo si erano qualificati come concreditori della stessa, per i quali sarebbe comunque rimasta ferma la disposta compensazione delle spese processuali.
Ne deriva che correttamente l’impugnata decisione non ha ritenuto che l’impugnazione principale di NOME contro l’associazione professionale abbia rimesso in discussione l’assetto di interessi derivante dalla sentenza del Tribunale di Forlì alla quale i due professionisti avevano prestato acquiescenza, derivando il loro interesse all’impugnazione, per i motivi fatti valere con l’appello incidentale tardivo, già dalla pronuncia della sentenza di primo grado e non dall’appello principale di NOME.
4) Col quarto motivo, i ricorrenti prospettano la violazione dell’art. 334 c.p.c., in quanto la Corte non avrebbe riconosciuto che l’opposizione tardiva è comunque ammissibile, ancorché le sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n. 8925/2011, si siano espresse nel senso che il ricorso incidentale tardivo debba essere esaminato nel merito anche in caso di rinuncia all’impugnazione principale, a garanzia dell’equilibrio della posizione delle parti e del giusto processo.
Il quarto motivo deve ritenersi assorbito in senso improprio per effetto della reiezione del terzo motivo.
5) Col quinto motivo, articolato in riferimento ai nn. 3) e 4) del comma primo dell’art 360 c.p.c, i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 334 c.p.c., per avere la Corte omesso di pronunciarsi sulla domanda di pagamento dell’associazione professionale, nonché la violazione degli artt. 116 e 115 c.p.c.
Il quinto motivo, malamente formulato con richiamo dell’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c. per la violazione dell’art. 334 c.p.c., non illustrata nel corpo del motivo, e con richiamo all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., per l’omessa pronuncia della Corte d’Appello sulla domanda di implemento dei compensi, che era stata avanzata nell’appello incidentale tardivo, anche dall’Associazione professionale RAGIONE_SOCIALE COGNOME per asserita violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., é inammissibile per difetto di specificità.
Il vizio di motivazione sussiste quando viene rilevata l’assenza del criterio logico seguito dal giudice ai fini della decisione. Inoltre, nel ricorso per cassazione, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non riguarda una valutazione errata delle prove, ma l’aver deciso su prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o l’aver disatteso prove legali, o ancora l’accettazione acritica di elementi di prova soggetti a valutazione (vedi ex multis Cass. sez. lav. 5.9.2024 n. 23895; Cass. ord. 1.3.2022 n. 6758; Cass. sez. un. 30.9.2020 n. 26867).
Ove poi il motivo dovesse intendersi, nonostante il mancato richiamo alla violazione dell’art. 112 c.p.c., come una doglianza relativa all’omessa pronuncia sul motivo di appello col quale anche l’Associazione professionale RAGIONE_SOCIALE COGNOME aveva richiesto, nella sua controimpugnazione, l’aumento dei compensi professionali liquidati in primo grado, sarebbe infondato. Ed invero la Corte d’Appello di Bologna, al secondo capoverso di pagina 5 della sentenza impugnata, ha dato atto della formazione del giudicato sul difetto di legittimazione attiva della suddetta associazione, non attinto dai motivi di impugnazione fatti valere con l’appello incidentale tardivo, rimarcando in prosieguo, che i richiami in esso fatti, alla giurisprudenza di merito, che ammetteva che gli avvocati richiedessero giudizialmente anche tramite le loro associazioni professionali il pagamento dei compensi, era avvenuto solo allo scopo di ottenere la conferma della disposta
compensazione delle spese processuali, e non per vedere riconosciuta la legittimazione attiva dell’associazione professionale in contrasto con l’espressa statuizione contraria del Tribunale di Forlì. Pertanto in ragione del difetto di legittimazione attiva ormai accertato, coerentemente la sentenza impugnata non si é pronunciata sull’appello incidentale tardivo relativo alla maggiorazione dei compensi professionali richiesta dall’Associazione professionale RAGIONE_SOCIALE COGNOME
Col sesto motivo, i ricorrenti sostengono la violazione di legge in relazione all’art. 91 c.p.c. nella scelta dello scaglione utilizzato dal Tribunale di Forlì per la liquidazione delle spese processuali a loro carico, che doveva essere lo scaglione per le cause da € 1.101,00 ad € 26.000,00, e non quello per le cause da € 5.201,00 ad € 26.000,00, in quanto i compensi erano stati riconosciuti dovuti per € 2.518,37 ed era stato erroneamente applicato il criterio del disputatum (o petitum sostanziale) senza tener conto del limite del decisum .
Col settimo motivo, i ricorrenti sostengono la violazione degli artt. 4 del decreto n. 53 del 10.3.2014 e 91 c.p.c., per errata determinazione del parametro per la determinazione del compenso liquidabile, non essendosi tenuto conto che la causa era di modestissima importanza, priva di urgenza e che non era complessa, essendosi basata solo sull’acquisizione di documenti.
Con l’ottavo motivo, i ricorrenti si dolgono della nullità della decisione impugnata, in quanto la Corte d’Appello non avrebbe esaminato o scrutinato l’inammissibilità della richiesta distrazione delle spese di lite in prime cure, in difetto di appello del difensore stesso. Più precisamente, secondo i ricorrenti, il difensore istante in distrazione sarebbe l’unico soggetto legittimato ad impugnare il capo di pronuncia sulla distrazione e nei limiti di tale statuizione.
Col nono motivo, i ricorrenti sostengono la violazione di legge per aver la Corte accordato le spese in distrazione nonostante il mancato appello del difensore dichiaratosi antistatario.
Col decimo motivo i ricorrenti lamentano la nullità della sentenza impugnata, per non avere considerato la violazione dei principi di probità e di lealtà (art. 88 c.p.c.), in quanto COGNOME NOME e COGNOME COGNOME NOME erano gli unici difensori di sé stessi e gli unici componenti dell’associazione professionale.
Con l’undicesimo motivo, i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 88 c.p.c. e l’abuso del processo ad opera della controparte, che aveva chiesto la distrazione delle spese processuali nella memoria di replica, non consentendo loro il contraddittorio sul punto.
Col dodicesimo motivo, i ricorrenti sostengono la nullità della sentenza per omessa motivazione circa la compensazione delle spese di lite ex art. 92 c.p.c.
I motivi dal sesto al dodicesimo, attinenti alla misura dei compensi liquidati ed alla compensazione delle spese disposte dal Tribunale di Forlì, alle spese processuali liquidate in secondo grado ed alla distrazione ed all’asserita condotta processuale abusiva della COGNOME, devono ritenersi assorbiti in senso improprio per effetto del rigetto del terzo motivo.
Quanto alla richiesta formulata dalla controricorrente, NOME, di cancellazione ex art. 89 c.p.c. delle parole ‘ furberia ‘ ed ‘inganno ‘ utilizzate dai ricorrenti alla pagina 51 del ricorso nella frase ‘ L’impugnazione di A vs. il solo B in un processo dove sono parti C e D deve consentire qualunque riproposizione di questioni poiché altrimenti si legittima l’abuso, le furberie, l’inganno ‘, si ritiene che la stessa sia infondata, sia perché la mancanza di un intento lesivo dei ricorrenti emerge dall’uso delle lettere alfabetiche, anziché dei nominativi delle parti, e dall’impiego di termini forti, ma di per sé
non offensivi, sia perché la frase utilizzata era comunque volta a tutelare l’esercizio del diritto di difesa dei ricorrenti.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico dei ricorrenti in solido, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione respinge il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 1.800,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15% ed in € 200,00 per spese. Respinge la richiesta di cancellazione ex art. 89 c.p.c. avanzata da NOMECOGNOME Dà atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico dei ricorrenti in solido, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 3.4.2025