Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 14421 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 14421 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/05/2024
Oggetto: Responsabilità civile -Responsabilità del professionista -Coadiutore del curatore fallimentare -Giudizio di rinvio;
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1547/2022 R.G. proposto da
NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (Pec: EMAIL) come da procura speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Curatore fallimentare, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (Pec: EMAIL), elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (Pec:
CC 9 novembre 2023
Ric. n. 1547/2022
Pres. COGNOMENOME Scrima
RAGIONE_SOCIALE COGNOME EMAIL), come da procura in calce al controricorso;
-resistente – avverso la sentenza della Corte di appello di POTENZA n. 687/2021 pubblicata in data 2/11/2021;
udita la relazione svolta nella RAGIONE_SOCIALE di consiglio del 9 novembre 2023 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Fatti di causa
Con atto citazione del 4 novembre 2003, la RAGIONE_SOCIALE convenne, dinanzi al Tribunale di Melfi, NOME COGNOME sostenendo che quest’ultima avesse svolto, per conto della procedura fallimentare, nel periodo novembredicembre del 1995, prestazioni di “consulenza Iva, compilazione bustepaga, assunzioni e licenziamenti” percependo una somma complessiva di Euro 4.246.77, senza alcuna autorizzazione del giudice delegato e senza essere iscritta in alcun albo professionale e chiedendo, pertanto, la declaratoria della nullità delle “prestazioni svolte” e la condanna di NOME COGNOME alla restituzione della indicata somma.
Il Tribunale di Melfi, con sentenza pubblicata l’8 febbraio 2008, accolse la domanda, dichiarando la “nullità delle prestazioni di opera professionale” svolte da NOME e condannandola a restituire Euro 4.246.77, oltre gli interessi legali.
Avverso la sentenza del Tribunale, NOME COGNOME propose gravame, respinto dalla Corte d’appello di Potenza con sentenza n. 81 del 2014.
Per quanto ancora di rilievo, la Corte d’appello osservò che l’allegazione dell’appellante circa l’avvenuta produzione di un certificato di iscrizione presso la RAGIONE_SOCIALE nella categoria dei prestatori di “servizi in materia di contabilità e consulenza fiscale formati da altri soggetti” era tardiva -come già rilevato dal Tribunale -, osservò peraltro che tale iscrizione avrebbe consentito a NOME COGNOME soltanto di
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collaborare con soggetti abilitati allo svolgimento di tali servizi, i quali, per legge, possono esercitare in via esclusiva l’attività professionale. Dunque, la Corte di Appello, rilevando il difetto di un’attività professionale concretamente svolta da un soggetto abilitato, per effetto di quanto previsto dall’art. 2231 c.c., dichiarò affetto da nullità assoluta il rapporto tra la curatela del RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, non ritenendo rilevante il fatto che potessero essere nominati coadiutori anche soggetti non iscritti in albi professionali (il cui compenso va liquidato sulla scorta delle tariffe previste per i periti e per i consulenti tecnici), dovendo comunque in tal caso trattarsi di prestazioni differenti da quelle che possono essere rese da professionisti abilitati.
Avverso la sentenza di appello, NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, a cui ha resistito il RAGIONE_SOCIALE.
Questa Corte (Cass. Sez. 2, 25/07/2019 n. 20193) ha accolto il ricorso, cassato la sentenza impugnata, rinviato alla Corte d’appello e affermato il principio di diritto così ufficialmente massimato: ‘ La nomina di un coadiutore, ai sensi dell’art. 32, comma 2, legge fall., resta assoggettata alle norme pubblicistiche che regolano l’affidamento di incarichi nella procedura fallimentare e l’attività prestata non è perciò riconducibile all’esecuzione di un contratto d’opera professionale, atteso che la curatela si avvale di esso per ricevere un contributo tecnico al perseguimento delle finalità istituzionali; ne consegue che al rapporto che si instaura tra le parti è inapplicabile la disciplina risultante dagli artt. 1418 e 2231 c.c., in forza della quale l’esecuzione di una prestazione d’opera professionale di natura intellettuale, effettuata da chi non sia iscritto nell’apposito albo previsto dalla legge, dà luogo a nullità assoluta del contratto tra professionista e cliente, privando il professionista non iscritto del diritto al pagamento del compenso ‘.
Riassunto il procedimento da NOME COGNOME, costituitosi il RAGIONE_SOCIALE, la Corte d’appello di Potenza , in sede di rinvio, con sentenza n.
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687 del 2021 ha rigettato l’appello, con condanna dell’appellante alle spese di tutti i gradi giudizio.
Avverso quest’ultima sentenza resa dalla Corte d’appello in sede di rinvio, NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione articolato in cinque motivi; ha resistito il RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza RAGIONE_SOCIALEle ai sensi dell ‘ art. 380-bis 1 c.p.c.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
Nessuna delle parti ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell ‘ ‘ art. 384 c.p.c., ai sensi dell’art.360, comma 1, n. 3 c.p.c. -Nullità della sentenza’ in quanto la C orte d’appello con la sentenza impugnata non si sarebbe uniformata al principio di diritto stabilito dalla Suprema Corte, fornendone una falsa ed apparente applicazione.
Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112 e 329 c.p.c., in relazione agli artt. 1285, 1286 e 1287 (sulle obbligazioni alternative) c.c. e all’ art. 38 legge fallimentare – ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c. -Nullità della sentenza ‘ ; censura in particolare, la sentenza impugnata perché, violando i principi del devolutum e della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, la Corte del rinvio ha deciso la causa in base ad una questione già rigettata implicitamente e mai oggetto di impugnazione ovvero quella circa la mancata autorizzazione da parte del Tribunale fallimentare al Curatore di potersi avvalere di coadiutori.
Con il terzo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta la ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. art. 329 e 346 c.p.c., in relazione agli artt. 32 e 38 l.fall. (applicabili) e all’art. 2909 c.c. sul giudicato, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c. -Nullità della sentenza. Violazione del principio di acquiescenza e sulla decadenza dalle domande e dalle eccezioni non riproposte ‘ ; sostiene che la difesa del fallimento ha prestato
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RAGIONE_SOCIALE COGNOME acquiescenza alla sentenza del Tribunale, omettendo di riproporre in appello la questione della mancata autorizzazione attraverso l’appello incidentale subordinato.
Con il quarto motivo di ricorso, la ricorrente denuncia la ‘ violazione e erronea applicazione degli ‘ artt. 112, 115 c.p.c. (disponibilità delle prove), in relazione agli artt. 32 e 38 l.f. vecchia formulazione, ai sensi dell’art. 360, c.1, nn. 3 e 4 c.p.c. ‘ ; in particolare, deduce che, esistendo in atti l’autorizzazione alla nomina dei coadiutori, la Corte d’appello non ha applicato correttamente il principio sulla responsabilità del Coadiutore per un atto che riguardava il Curatore in quanto per le eventuali irregolarità dell’auto rizzazione risponde sempre il Curatore restando fermo il diritto del Coadiutore al compenso.
Con il quinto motivo di ricorso, denuncia la ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 90, 91, 92 c.p.c. ‘ ; osserva che la Corte d’appello ha errato nel condannare la parte vittoriosa, anche se parzialmente vittoriosa, alle spese di giudizio.
In via di sintesi, preliminarmente, va dato conto della vicenda processuale attraverso le affermazioni contenute nella pronuncia rescindente e in quella rescissoria.
6.1. La Corte di cassazione (Sez. 2, ord. n. 20193/2019), ha ritenuto fondati i primi due motivi di ricorso della COGNOME, odierna ricorrente, affermando che:
« La Corte d’Appello, investita da NOME COGNOME del gravame con cui si deduceva l’avvenuta autorizzazione del curatore ad avvalersi di coadiutori proveniente dal giudice delegato, ha non di meno ritenuto la nullità del rapporto intercorso tra la ricorrente e la curatela, in forza dell’art. 2231 c.c..
Tuttavia, secondo consolidata interpretazione giurisprudenziale, il coadiutore del curatore fallimentare (figura prevista dal secondo comma dell’art. 32 legge fall., nella formulazione applicabile ai fatti di causa, e dunque anteriore al d.lgs. n. 5 del 2006), adempie ad un’opera integrativa
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dell’attività del curatore, svolgendo funzioni di collaborazione e di assistenza nell’ambito e per gli scopi della procedura concorsuale, sicché assume la veste di ausiliario del giudice (ad es., Cass. Sez. 1, 6/01/2005, n. 1568; Cass. Sez. 2, 09/05/2011, n. 10143). L’opera prestata dal coadiutore, di cui all’art. 32, secondo comma, del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, esula, quindi, da quella autonoma relativa alla vera e propria prestazione d’opera professionale, atteso che la curatela fallimentare si avvale di esso per riceverne un contributo tecnico al perseguimento di finalità istituzionali della procedura. Ne consegue che, essendo il coadiutore officiato dal fallimento per svolgere la propria opera in determinate attività ed operazioni (come nella specie si assume dalla ricorrente avvenuto a seguito dell’istanza del curatore nell’audizione del 13 luglio 1995), non può dirsi instaurato tra curatela e professionista un contratto avente ad oggetto una prestazione d’opera intellettuale regolato dagli artt. 2231 e ss. c.c.. Lo stesso compenso spettante al coadiutore del curatore trova titolo nel decreto di liquidazione emesso dal giudice delegato alla stregua della tariffa giudiziale concernente gli ausiliari giudiziari, e viene posto carico della massa fallimentare (arg. da Cass. Sez. 1, 15/09/1978 , n. 4146; Cass. , 13/12/1980, n. 6453; Cass. Sez. 1, 30/10/2014, n. n. 23086; Cass. Sez. 2, 03/05/2018, n. 10513).
La nomina di un coadiutore, ai sensi dell’art. 32, comma 2, legge fall., resta dunque assoggettata alle norme pubblicistiche che regolano l’affidamento di incarichi nella procedura fallimentare, e l’attività prestata dal medesimo coadiutore non è perciò riconducibile all’esecuzione di un rapporto contrattuale d’opera professionale, disciplinato dalle disposizioni codicistiche (art. 2229 e ss. c.c.). In particolare, a differenza di quanto ricavabile dall’impugnata sentenza della Corte d’Appello di Potenza, non trova comunque applicazione al rapporto che si instaura tra il coadiutore del curatore e la procedura concorsuale la disciplina risultante dagli articoli 1418 e 2231 c.c., in forza della quale l’esecuzione di una prestazione d’opera professionale di natura intellettuale, effettuata da chi non sia iscritto nell’apposito albo previsto dalla legge, dà luogo a nullità assoluta del
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contratto rapporto tra professionista e cliente, privando il professionista non iscritto in detto albo -ed a maggior ragione quello che non sia munito nemmeno della prescritta qualifica professionale, nella specie consulente incaricato della gestione contabile e fiscale di un’azienda commerciale – del diritto al pagamento del compenso » (punto II in motivazione, ordinanza Cass. cit.).
6.2. In sede di rinvio, la Corte d’appello con la sentenza impugnata ha rimarcato ‘in punto di diritto’ che secondo l’orientamento di legittimità consolidato ( citando, tra l’altro, Cass. Sez. 1, 28/01/2005 n. 1824) « il giudizio di rinvio conseguente alla cassazione della pronuncia di secondo grado per motivi di merito (giudizio di rinvio proprio), come avvenuto nel caso in esame, non costituisce la prosecuzione della pregressa fase di merito e non è destinato a confermare o riformare la sentenza di primo grado, ma integra una nuova ed autonoma fase che, pur soggetta, per ragioni di rito, alla disciplina riguardante il corrispondente procedimento di primo o secondo grado, ha natura rescissoria (nei limiti posti dalla pronuncia rescindente), ed è funzionale alla emanazione di una sentenza che, senza sostituirsi ad alcuna precedente pronuncia, riformandola o modificandola, statuisce direttamente sulle domande proposte dalle parti ». Ha aggiunto che in tale specie di giudizio vige il divieto di proporre domande nuove, strutturandosi il giudizio di rinvio come giudizio chiuso e che, in ipotesi di annullamento con rinvio per violazione di norme di diritto, la pronuncia della Corte di cassazione vincola al principio affermato e ai relativi presupposti di fatto, onde il giudice del rinvio deve uniformarsi non solo alla “regola” giuridica enunciata, ma anche alle premesse logico-giuridiche della decisione adottata, attenendosi agli accertamenti già compresi nell’ambito di tale enunciazione, senza poter estendere la propria indagine a questioni che, pur se non esaminate nel giudizio di legittimità costituiscono il presupposto stesso della pronuncia di annullamento, formando oggetto di giudicato implicito interno, atteso che il riesame delle suddette questioni verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione,
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in contrasto col principio di intangibilità (citando tra le più recenti: Cass. Sez. L, 23/07/2010 n. 17353) (pagg. 3 – 5 della sentenza impugnata).
Tanto premesso in diritto, ha poi delimitato il thema decidendum richiamando i contenuti delle decisioni di merito di primo e secondo grado e il principio di diritto espresso dalla Cassazione (pagg. 5-7 della sentenza impugnata);
Ha ritenuto poi che l’enunciato principio di diritto da parte della Corte di cassazione « vale a travolgere la sentenza n. 82 del 2008 emessa dal Tribunale di Melfi … fondata sul presupposto (riconosciuto errato dalla Suprema Corte) che il rapporto tra la curatela fallimentare e il coadiutore sia disciplinato dagli artt. 2229 e 2231 c.c. e che siano affette da nullità le prestazioni rese da NOME COGNOME, non avendo quest ‘ultim a dimostrato di essere munita del l’iscrizione in albi professionali necessaria per l’espletamento delle attività di ‘ consulenza Iva, compilazione buste paga, assunzioni e licenziamenti ‘ » e per conseguenza, ha ritenuto fondati i motivi proposti dalla predetta con l’appello (pag. 8 della sentenza impugnata).
Nel contempo, ha affermato « Tuttavia non ricorrono le condizioni per l’accoglimento nel merito e per la conseguente riforma della sentenza del Tribunale di Melfi » in quanto il giudice di primo grado ha fondato l’accoglimento della domanda della RAGIONE_SOCIALE su un’altra causa petendi ovvero sulla mancata dimostrazione della iscrizione della COGNOME in albi professionali invece che su quella, pure introdotta dalla RAGIONE_SOCIALE, relativa alla mancata autorizzazione del giudice delegato all’attività svolta , domanda riproposta in appello dalla RAGIONE_SOCIALE in ossequio al principio sancito d all’art. 346 c.p.c. (pagg. 8 -10 della sentenza impugnata).
Il giudice del rinvio, quindi, ha concluso che, pur considerando il principio sancito dalla Corte di cassazione, « è pacificamente acquisito che in atti non sia rinvenibile alcun provvedimento di autorizzazione del giudice delegato e alcun decreto di liquidazione del compenso »; in proposito ha ritenuto che il decreto del 13.07.1995 del Tribunale di Melfi, valorizzato dalla
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RAGIONE_SOCIALE appellante, non contenesse invero detta autorizzazione e quindi nel dispositivo ha confermato espressamente la sentenza di prime cure.
Tanto sinteticamente richiamato e venendo all’esame del ricorso, va osservato che il primo motivo non è fondato.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla parte ricorrente, non sussiste la nullità della sentenza impugnata per come prospettata, non potendo in alcun modo sostenersi che la Corte di merito, in sede di rinvio, non abbia comunque applicato il principio di diritto affermato d questa Corte (v. sentenza impugnata p. 8).
Viceversa, sono fondati il secondo e terzo motivo e vanno accolti nei limiti e per le considerazioni di seguito illustrate.
Invero, la sentenza impugnata ha realmente violato il principio del chiesto e pronunciato allorquando, per un verso, ha ritenuto che l’enunciato principio di diritto da parte della corte di cassazione vale a travolgere la sentenza n. 82 del 2008 emessa dal Tribunale di Melfi perché fondata sul presupposto ritenuto errato dalla Corte di cassazione e cioè che il rapporto tra la curatela fallimentare e il coadiutore sia disciplinato dagli artt. 2229 e 2231 c.c. e che siano affette da nullità le prestazioni rese da NOME COGNOME non avendo questa dimostrato l’iscrizione all’RAGIONE_SOCIALE compilazione buste paga assunzioni e licenziamenti, e che conseguentemente i motivi proposti dall’appello dalla predetta sono fondati e per l’altro, – preso atto della cassazione della pronuncia di appello perché fondata sul presupposto ritenuto errato dalla Corte di cassazione che il rapporto tra la curatela fallimentare e il coadiutore fosse disciplinato dagli artt. 2229 e 2231 c.c. e che fossero affette da nullità le prestazioni rese da NOME COGNOME non avendo questa dimostrato l’iscrizione all’RAGIONE_SOCIALE compilazione buste paga assunzioni e licenziamenti-, ha « tuttavia » ritenuto che « non ricorrono le condizioni per l’accoglimento nel merito e per la conseguente riforma della sentenza del Tribunale di Melfi », fondando l’accoglimento della domanda della RAGIONE_SOCIALE sull’altra causa petendi (mancata autorizzazione del giudice delegato all’attività svolta) e
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richiamando l’orientamento consolidato di legittimità in tema di art . 346 c.p.c. circa l’escl usione per la parte vittoriosa del l’onere di riproporre espressamente in appello le domande e le eccezioni, non accolte in primo grado e rimaste assorbite.
Ebbene, il principio di diritto applicabile, non è quello richiamato erroneamente dalla Corte d’appello nel caso di specie e cioè , quello secondo cui la parte rimasta totalmente vittoriosa in primo grado non ha l’onere di proporre appello incidentale per chiedere il riesame delle domande e delle eccezioni respinte, ritenute assorbite o comunque non esaminate con la sentenza impugnata dalla parte soccombente, essendo sufficiente la riproposizione di tali domande od eccezioni in una delle difese del giudizio di secondo grado (così, in relazione alla domanda di garanzia condizionata all’accoglimento della domanda principale respinta in primo grado: Cass. Sez. U, 19/04/2016 n. 7700; Cass. Sez. 6 – 2, 16/01/2017 n. 832; Cass. Sez. 3, 8/01/2020 n. 121).
Invece, alla fattispecie in esame si attaglia altro principio, che qui va richiamato e ribadito, secondo cui allorché la parte abbia proposto nello stesso giudizio, in forma alternativa o subordinata, due o più domande fra loro concettualmente incompatibili, la sentenza con la quale il giudice di merito abbia accolto la domanda subordinata non implica soltanto la pronuncia favorevole sulla qualificazione giuridica esposta dall’attore a sostegno della stessa, ma comporta anche un preciso accertamento dei fatti, alternativo a quello posto a fondamento della domanda principale. Ne consegue che l’attore parzialmente vittorioso, per evitare la formazione del giudicato, deve formulare impugnazione avverso l’accoglimento della domanda subordinata, condizionandola all’accoglimento del gravame sulla domanda principale, in quanto solo in tal modo può ottenere la revisione dell’accertamento compiuto dal giudice circa l’esistenza dei fatti costituenti le ragioni della pretesa subordinata accolta, incompatibile con quella principale (così, da ultimo: Cass. Sez. 1, 14/12/2022 n. 36572, Cass. Sez. 3, 4/04/2017 n. 8674, Cass. Sez. 2, 30/05/2013 n. 13602; già Cass. Sez.
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3, 16/06/2003 n. 9631 e Cass. Sez. L, 21/04/2009 n. 9479, nonché Cass. Sez. 3, 12/12/2014 n. 26159 ove è stato affermato che quando è proposta domanda di risoluzione per inadempimento, subordinatamente a quelle di nullità e di annullamento del contratto, ed è inoltre formulata “in ogni caso” specifica domanda di risarcimento, l’accoglimento in primo grado della principale, con rigetto della richiesta risarcitoria, consente di riproporre in appello, ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ., la domanda subordinata, perché assorbita nell’accoglimento di quella principale, ma non anche la risarcitoria, rispetto alla quale l’avvenuta soccombenza richiede la proposizione di un tempestivo appello incidentale).
Ciò che rileva ai fini dell’applicazione del primo ovvero del secondo dei ricordati principii è il tipo di rapporto che esiste tra le domande cumulativamente proposte dalla stessa parte in primo grado.
Ed invero, qualora si tratti di domande alternative, ma compatibili, ovvero legate da rapporto di subordinazione l’accoglimento della principale o della domanda alternativa compatibile non obbliga l’attore, che voglia insistervi, a proporre appello incidentale, essendo sufficiente la riproposizione della domanda ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ. Qualora si tratti, invece, di domande incompatibili e sia accolta la subordinata, l’attore che voglia insistere nella domanda alternativa incompatibile non accolta ovvero nella domanda principale ha l’onere di riproporla con appello incidentale, eventualmente condizionato all’accoglimento dell’appello principale (in tal senso, v. Cass. Sez. 3 4/04/2017 n. 8674).
Nel caso di specie, si verte in tale seconda situazione poiché risulta che le domande volte a dichiarare nulle le prestazioni svolte dalla convenuta e ad ottenerne la condanna alla restituzione della somma indicata, l’una in ragione della mancata autorizzazione del giudice delegato alla nomina della COGNOME co me coadiutore e l’altra in ragione della mancata iscrizione della stessa all’RAGIONE_SOCIALE professionale , erano state avanzate come alternative l’una all’altra, non avendo peraltro il RAGIONE_SOCIALE nemmeno accennato al fatto che la seconda fosse subordinata alla prima.
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E’ quindi evidente che l’una sia incompatibile con l’altra poiché la prima presuppone l’accertamento della insussistenza secondo i canoni pubblicistici del provvedimento autorizzatorio del giudice delegato al Curatore di avvalersi del coadiutore, con conseguente non legittimità dei compensi; la seconda presuppone invece l’accertamento della mancata iscrizione all’RAGIONE_SOCIALE professionale del coaudiutore cui consegue la nullità delle prestazioni professionali e l’obbligo restitutorio dei compensi ai sens i degli artt. 1418 e 2231 c.c..
Pertanto, in mancanza di appello incidentale non riproposto dalla parte, odierna resistente, la Corte d’appello non avrebbe dovuto pronunciare sulla domanda alternativa.
Dall’accoglimento del secondo e terzo motivo di ricorso discende l’assorbimento dei restanti motivi.
In conclusione, il ricorso va accolto in relazione al secondo e al terzo motivo, rigettato il primo e assorbiti i restanti, e per l’effetto, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata alla Corte d’appello di Potenza , in diversa composizione, che si atterrà ai principi sopra richiamati e provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
Per questi motivi
La Corte accoglie il ricorso in relazione al secondo e al terzo motivo, rigetta il primo, assorbiti il quarto e il quinto motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Potenza, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile il 9