Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2045 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2045 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 5896-2020 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME, COGNOME e NOME COGNOME, ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in ROMA alla INDIRIZZO;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2316/2019 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 25/11/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/01/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
Lette le memorie dei ricorrenti;
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
COGNOME NOME conveniva in giudizio i fratelli NOME e NOME deducendo che era deceduto il fratello NOME, il quale con testamento del 23 settembre 2002 l’aveva istituita erede universale.
Proponeva quindi querela di falso avverso il testamento recante la data successiva del 25 maggio 2003 con il quale il de cuius aveva istituito eredi i tre fratelli in quote eguali.
Si costituivano i convenuti che contestavano la domanda proponendo a loro volta querela di falso avverso il testamento favorevole all’attrice, chiedendo in ogni caso che fosse dichiarata aperta la successione testamentaria a loro favore.
Il Tribunale di Palermo con la sentenza n. 3776 del 23 settembre 2013 dichiarava apocrifi entrambi i testamenti, con la conseguente apertura della successione legittima.
Avverso tale sentenza proponeva appello COGNOME NOME al quale resistevano COGNOME NOME e COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali eredi di COGNOME NOME.
Disposto il rinnovo delle operazioni peritali, la Corte d’Appello di Palermo, con la sentenza n. 2316 del 25/11/2019, in parziale accoglimento del gravame ha dichiarato aperta la successione testamentaria del de cuius sulla base del testamento del 23
settembre 2002, con la condanna degli appellati al rimborso della metà delle spese di lite, compensando la restante parte.
Gli esiti della nuova indagine peritale deponevano per la autenticità di entrambe le schede, ma la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato la falsità di entrambi i testamenti, era stata impugnata solo dall’attrice sicché era passata in giudicato l’affermazione circa la falsità del successivo testamento del 25 maggio 2003.
Alcun rilievo aveva la circostanza che le disposizioni testamentarie coincidessero con le regole della successione legittima e che la richiesta di conferma della sentenza impugnata equivalesse alla richiesta di tenere valido il contenuto del secondo testamento, atteso che ben diversi sono i titoli della successione legittima e di quella testamentaria.
L’attrice aveva, quindi, diritto alla restituzione dei beni caduti in successione con i frutti maturati, ma non poteva disporsi la relativa condanna in mancanza di una puntuale allegazione dei beni e dei frutti da restituire.
Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso COGNOME NOME NOME NOME, quali eredi sia di COGNOME NOME che di COGNOME NOME, sulla base di tre motivi, illustrati da memorie.
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali eredi di COGNOME NOME, resistono con controricorso.
Il primo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per non avere il giudice di appello rilevato che il contenuto della scheda testamentaria favorevole ai loro danti causa aveva un contenuto che preludeva ad una devoluzione dei beni ereditari conforme a quanto dettato dalla successione legittima.
La Corte d’Appello non ha tenuto conto del contenuto della consulenza tecnica d’ufficio esperita in appello, che aveva rilevato l’autenticità di entrambi i testamenti, limitandosi a riconoscere valido solo quello anteriore, sol perché non era stato proposto appello incidentale.
E’ stato trascurato che l’intento dei convenuti non era certo quello di rinunciare al contenuto della scheda testamentaria del maggio 2003, e ciò anche alla luce del fatto che all’esito della controversia i convenuti erano risultati sostanzialmente vittoriosi.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 602, 587 e 679 c.c. in quanto la sentenza non ha tenuto conto che per effetto del successivo testamento era stato revocato quello a favore dell’attrice. Inoltre, la sentenza avrebbe posto in essere una refomatio in peius, senza che ne ricorressero i presupposti.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono inammissibili.
Le censure, infatti, non si confrontano con il contenuto della sentenza impugnata che, dopo aver preso atto che la sentenza del Tribunale aveva dichiarato la falsità di entrambi i testamenti, ha evidenziato che, sebbene le indagini peritali avessero sovvertito la valutazione espressa dal perito nominato in primo grado, tuttavia tale diverso accertamento poteva portare alla riforma della sentenza solo in relazione alla parte che l’aveva effettivamente impugnata, e ciò perché la falsità del testamento favorevole ai convenuti non era stata contestata da questi con uno specifico motivo di appello incidentale, essendosi quindi formato sul punto un giudicato interno.
Risulta incensurabile la conclusione del giudice di appello che ha correttamente rilevato che a fronte di una soccombenza dei convenuti, quanto all’accertamento della falsità del testamento ai medesimi favorevole, frutto dell’espressa declaratoria di nullità dell’ultimo olografo in ordine di tempo, al fine di rimettere in discussione tale accertamento erano onerati della proposizione di appello incidentale, non potendo a tal fine giovare la mera richiesta di conferma della decisione di primo grado (cfr. sulla necessità di dover proporre impugnazione incidentale per la parte pur vittoriosa, che però sia rimasta soccombente anche per effetto del rigetto di un’eccezione, Cass. S.U. n. 11799/2017).
Manca in realtà nel primo motivo la specifica indicazione del fatto storico di cui sarebbe stata omessa la disamina da parte del giudice di appello, come invece imposto dalla novella di cui al n. 5 dell’art. 360, co. 1, c.p.c., emergendo peraltro che proprio la astratta coincidenza tra il contenuto del testamento invocato dai ricorrenti e le previsioni in tema di successione legittima era stata valutata dalla Corte distrettuale che aveva correttamente rimarcato la differenza che scaturisce dalla diversa fonte della vocazione (la dottrina ha infatti correttamente evidenziato che pur in presenza di coincidenza quanto al contenuto tra successione testamentaria e successione legittima, ben diversa è la disciplina, in quanto solo nella prima opera l’istituto dell’accrescimento, trovando invece applicazione nella seconda la specifica previsione di cui all’art. 522 c.c., ed essendo dubbio come debba operarsi nel caso in cui nelle more tra la redazione della scheda e l’apertura della successione venga a cambiare la normativa in tema di successione legittima cui pure il testatore abbia fatto riferimento).
Ma la pur astratta coincidenza degli effetti tra la successione regolata dal testamento e quella regolata dalla legge non può indurre a ritenere sufficiente per invocare la prima, una volta che il Tribunale aveva dichiarato la nullità dell’olografo, la mera richiesta di conferma della sentenza impugnata, atteso che, avendo l’attrice proposto appello al fine di far valere la validità del testamento in proprio favore, in caso di accoglimento dell’appello principale, avrebbe prevalso il testamento sulla successione legittima, come chiaramente si ricava dall’art. 457 co. 2 c.c., sicché si imponeva, al fine di scongiurare gli effetti pregiudizievoli derivanti dall’accoglimento del gravame della controparte, che gli appellati avessero impugnato a loro volta in via incidentale, onde rimettere in discussione l’accertamento negativo circa l’autenticità della scheda a loro favore.
Né appare giovare alla tesi dei ricorrenti il richiamo al principio della revoca del testamento per effetto della redazione di un testamento posteriore incompatibile, in quanto tale effetto è pur sempre correlato alla validità del testamento successivo, validità che però era stata esclusa dal Tribunale, con pronuncia che andava quindi anche per tale ragione impugnata da parte dei ricorrenti.
Né infine deve destare sorpresa il fatto che, pur a fronte di un accertamento tecnico che aveva rilevato l’autenticità di entrambe le schede, la riforma abbia toccato solo la sentenza sfavorevole alla dante causa dei controricorrenti, trattandosi di effetto logicamente derivante dalla necessità per il soccombente di dover impugnare la pronuncia a sé sfavorevole, non potendo vantare alcun diritto alla riforma d’ufficio.
Il terzo motivo di ricorso che denuncia la violazione dell’art. 91 c.p.c., quanto alla condanna dei ricorrenti al rimborso parziale delle spese di lite in favore della controparte, è evidentemente da disattendere, essendo stato esplicitamente avanzato sul presupposto della fondatezza dei primi due motivi di ricorso.
Attesa l’infondatezza del ricorso, i ricorrenti sono condannati alle spese del presente giudizio, da liquidarsi secondo dispositivo.
Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese del presente giudizio in favore dei controricorrenti che liquida in complessivi € 4.500,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15 % sui compensi, ed accessori di legge;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater , del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore somma pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda