Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7382 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7382 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1921/2021 R.G. proposto da : COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-controricorrente-
nonchè contro
NOME COGNOMEintimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 2691/2020 depositata il 10/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
– Il ricorso riguarda la sentenza del 10.7.2020 con cui la Corte d’appello di Venezia ha dichiarato l’inammissibilità ex art. 342 c.p.c. del gravame proposto contro la decisione con cui il locale Tribunale di Verona ha respinto le domande proposte da NOME COGNOME e NOME COGNOME nei confronti di Cassa di Risparmio di Lucca (poi Banco BPM s.p.a.) volte alla dichiarazione di nullità delle pattuizioni relative a illegittima capitalizzazione degli interessi e tassi eccedenti le soglie usurarie relative ad un contratto di mutuo ipotecario sottoscritto in data 10.5.2005 e ad un contratto di mutuo chirografario sottoscritto in data 4.11.2009 e alla condanna dell’istituto di credito alla restituzione dell’indebito.
– Il Tribunale ha motivato il rigetto osservando che: era irrilevante ai fini della decisione la CTU contabile richiesta dagli attori in quanto non poteva supplire all’onere probatorio della parte; i tassi di interesse originariamente pattuiti in entrambi i contratti non eccedevano le soglie usurarie; nel mutuo con piano di ammortamento cosiddetto alla francese non si verificava alcun fenomeno anatocistico; i tassi di interesse pattuiti nei contratti erano determinati e, ai fini della verifica dell’usura, interessi corrispettivi e moratori non andavano sommati.
– La Corte d’appello ha dichiarato inammissibile il gravame sotto un duplice profilo:
premesso che l’art. 342 c.p.c. stabilisce che l’atto d’appello deve contenere le indicazioni prescritte dall’articolo 163 c.p.c. tra le quali è compresa al n. 3 del III comma – la determinazione della cosa oggetto della domanda, la citazione in appello era sprovvista di tale elemento, contenendo soltanto la richiesta di CTU contabile e di accoglimento dei motivi di impugnazione con conseguente nullità dell’atto; peraltro, anche ammettendo la
possibilità di applicare in appello la disposizione di cui all’articolo 164 comma 5 c.p.c. per vizi afferenti all’ editio actionis (a prescindere dai diversi orientamenti espressi in proposito dalla giurisprudenza di legittimità), dirimente era la considerazione che la sanatoria ivi prevista opera ex nunc, onde non valeva nella specie ad impedire il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado essendo decorso (già alla data della prima udienza di trattazione) il termine breve ex art. 325 c.p.c. per l’impugnazione;
b) l’appello non soddisfaceva i requisiti stabiliti dal I comma dell’art. 342 c.p.c. poiché i motivi di impugnazione non contenevano alcun concreto riferimento ai rapporti per cui è causa, onde non consentivano di comprendere in quale modo l’eventuale loro accoglimento avrebbe potuto effettivamente riflettersi sulle situazioni giuridiche dedotte in giudizio; invero: (i) quanto alla tematica della capitalizzazione, la tesi degli appellanti – a dire dei quali il piano di ammortamento alla francese opera in regime di capitalizzazione composta degli interessi generando, quindi, capitalizzazione – è affidata «alla perizia in atti», la quale, a propria volta, pur dichiarando di riferirsi ai contratti per cui è causa, conteneva « una serie di enunciati matematici astratti, privi di riferimento non solo alle norme e ai principi giuridici che governano la fattispecie, ma anche alle concrete modalità operative dei due mutui per cui e causa »; sicché né era evincibile dal complesso delle allegazioni difensive degli appellanti una chiara e distinta rappresentazione delle modalità secondo le quali erano stati concepiti e attuati i piani di ammortamento dei due contratti di finanziamento oggetto di controversia, né era indicata l’entità degli interessi frutto di asserita capitalizzazione composta incorporati nelle singole rate, né erano individuate le clausole dei contratti affette da nullità perché confliggenti con disposizioni di legge in materia di capitalizzazione degli interessi; ed analoghi valutazioni valevano per la parte dell’appello dedicato al tema
dell’usurarietà dei tassi di interessi, posto che, non solo non era stata proposta specifica impugnazione della sentenza nella parte in cui il Tribunale ha espressamente accertato la non usurarietà ab origene dei tassi pattuiti contrattualmente, ma l’appello si incentrava sulla errata tesi che ai fini della verifica del superamento delle soglie usurarie occorra considerare anche la misura degli interessi moratori e, comunque, l’astrattezza degli assunti – per mancanza di raccordo con i concreti rapporti contrattuali dedotti in giudizio – era ancor più manifesta perché la parte appellante non aveva individuato né le clausole negoziali denunciate di usurarietà, né la misura dei tassi corrispettivi e moratori pattuiti, né i periodi in cui si sarebbe verificato in concreto il superamento delle soglie e la misura del TEGM in detti periodi;
le predette considerazioni valevano a respingere la doglianza relativa alla mancata ammissione di CTU contabile, avendo la stessa una funzione strumentale.
– Contro la sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME affidandolo a tre motivi di cassazione. Banco BPM s.p.a. ha resistito con controricorso. Quest’ultimo ha anche depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
– Il Primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. degli artt. 342 c.p.c., 6 CEDU, 6 del Trattato sul funzionamento dell’unione europea: ritiene il ricorrente che « l’atto d’appello oltre ad aver individuato in modo preciso e dettagliato le parti della sentenza impugnata avrebbe anche ampiamente descritto le eccezioni proposte e le conseguenze chiaramente desumibili dalla lettura dell’atto »; in sintesi reputa di aver adeguatamente esposto i motivi in fatto e in diritto dell’interposto gravame.
1.1 – Il motivo è inammissibile in quanto manca sia di specifica illustrazione che di pertinenza rispetto alla decisione gravata.
1.1.1. – Con riguardo al primo profilo di inammissibilità si osserva che la Corte territoriale – come detto – ha rilevato che il petitum risultava del tutto omesso con conseguente vizio dell’ editio actionis essendosi l’appellante limitato a richiedere CTU contabile nonché l’accoglimento dei motivi di impugnazione senza che dette richieste fossero corredate da alcun concreto riferimento ai rapporti contrattuali oggetto di causa, bensì solo da dissertazioni astratte dedotte attraverso una perizia di parte del tutto teorica – su capitalizzazione e usurarietà degli interessi, e senza che, quindi, potesse comprendersi in quale modo l’eventuale loro accoglimento avrebbe potuto effettivamente riflettersi sulle situazioni giuridiche dedotte in giudizio.
Rispetto a detta argomentazione il ricorrente non indica in questa sede – com’era necessario ex art. 366 comma 1 n. 4 e 6 c.p.c. – né i passaggi della sentenza impugnata che intende censurare, né le ragioni per cui essi dovrebbero essere cassati, sicché va ribadito che l’odierna istante contrappone un motivo di censura che è privo di specificità e autosufficienza « poiché l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo , presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche puntualmente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, dovendo tale specificazione essere contenuta, a pena d’inammissibilità, nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di precisare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto al giudice d’appello, riportandone il contenuto
nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità, non potendo limitarsi a rinviare all’atto di appello » (v. Cass. n. 24048/2021).
1.1.2. – Quanto al secondo profilo va rilevato che la Corte d’appello ha anche osservato – come detto – che, « anche ammettendo la possibilità di applicare in appello la disposizione di cui all’articolo 164 comma 5 c.p.c. per vizi afferenti all’ editio actionis» (a prescindere dai diversi orientamenti espressi in proposito dalla giurisprudenza di legittimità), era dirimente la considerazione che « la sanatoria ivi prevista opera ex nunc e non varrebbe ad impedire il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado essendo decorso (già alla data della prima udienza di trattazione) il termine breve ex art. 325 c.p.c. per l’impugnazione »: anche con tali specifici argomenti il ricorrente non si confronta, dunque non indica le ragioni per cui essi dovrebbero essere cassati per violazione dell’art. 342 c.p.c. e dell’art. 6 della CEDU, laddove, invece essi sono condivisibili.
Come ha spiegato in proposito questa Corte « la norma di cui all’art. 342 c.p.c. va interpretata nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza tuttavia che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. Sez. U. 16 novembre 2017, n. 27199). In particolare, la disposizione in parola esige che « che le questioni e i punti contestati della sentenza impugnata siano chiaramente enucleati e con essi le relative
doglianze »; in tal senso, « in nome del criterio della razionalizzazione del processo civile, che è in funzione del rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata », si richiede « che la parte appellante ponga il giudice superiore in condizione di comprendere con chiarezza qual è il contenuto della censura proposta, dimostrando di aver compreso le ragioni del primo giudice e indicando il perché queste siano censurabili » (sent. cit., in motivazione, par. 5.1, v. in senso conforme, tra le altre, Cass. n. 24048/2021).
Ciò vuol dire che la formulazione dell’atto d’appello deve consentire di individuare: a) le statuizioni investite dall’impugnazione; b) il perché della loro ipotizzata erroneità, nei limiti in cui l’art. 342 c.p.c. ne consente la denuncia. I motivi dell’impugnazione devono in altri termini non solo indicare il quantum appellatum , ma anche il quia , ossia, quanto a questo secondo passaggio, in cui si compendia il requisito della specificità, offrire argomentazioni che, se fondate, privano secondo una valutazione ex ante la decisione impugnata della sua giustificazione logico-giuridica.
Sulle conseguenze della mancanza di specificità dei motivi, come accenna la Corte d’appello, si è discusso in passato (v. Cass. Sez. Un. n. 4991/1987 e il mutato orientamento di Cass. Sez. Un. n. 16/2000), ma il dibattito è da tempo superato, sia sul piano giurisprudenziale (basterà richiamare ulteriormente Cass. Sez. U. 16 novembre 2017, n. 27199), che su quello normativo, giacché la previsione dell’inammissibilità è dettata dall’art. 342 c.p.c. tanto nella versione introdotta nel 2012, quanto in quella licenziata dalla c.d. Riforma Cartabia nel 2022.
Ciò detto – come rileva la sentenza qui impugnata – anche ad ammettere che la sanatoria dell’art. 164 c.p.c. possa aver luogo, essa non può che operare ex nunc e, dunque, a condizione che il termine per l’impugnazione non sia già spirato, essendo fermo
l’indirizzo di questa Corte – formatosi in riferimento all’art. 358 c.p.c. – che la notificazione dell’atto d’appello, pur viziato, fa decorrere per l’appellante il termine « breve ».
– Il secondo motivo denuncia violazione o falsa applicazione in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. degli artt. 120 TUB, 820, 1194, 1283, 1419 c.c., 6 della delibera CICR del 9.2.2000, in quanto la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto che il piano di ammortamento alla francese non genera alcuna capitalizzazione degli interessi; il motivo – illustrato con una lunga dissertazione teorica sulla differenza tra capitalizzazione e anatocismo, su quanto stabilisce la delibera CICR a proposito delle modalità e dei criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, sui principi consolidati di legittimità circa le conseguenze che scaturiscono dalla violazione della norma di cui l’art. 1283 c.c. ed, infine, sulle ragioni per cui il mutuo con ammortamento c.d. alla francese genererebbe la capitalizzazione di interessi (riportando contributi teorici e formule di matematica finanziaria senza alcun riferimento comunque ai contratti di cui è causa) – conclude che la Corte d’appello avrebbe dovuto accertare l’applicazione di interessi composti in violazione del combinato disposto dell’art. 120 TUB e della delibera CICR e dichiarare la nullità parziale del contratto di mutuo fondiario accertando dovuto il solo interesse legale in regime semplice.
2.1. – Il motivo è inammissibile non solo perché – come già osservato dalla Corte d’appello – manca di riferimenti al concreto atteggiarsi della pattuizione intercorsa tra le parti, ma anche, alternativamente, perché il provvedimento impugnato ha deciso la questione di diritto concernente l’ammortamento alla francese in modo conforme alla giurisprudenza della Corte, tenuto conto dei principi fissati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 15130/2024, ipotizzando che il mutuo in discorso sia stato stipulato a tasso fisso,
laddove, diversamente, ipotizzando che il mutuo sia stato stipulato a tasso variabile, il motivo sarebbe inammissibile in quanto aspecifico giacché la censura non offre argomenti per reputare che detti principi siano applicabili al solo ammortamento alla francese a tasso fisso.
E cioè, se è pur vero che né dall’esposizione dei fatti di causa né dall’esposizione del motivo di ricorso emergono le specifiche condizioni contrattuali del mutuo ipotecario oggetto del contendere, sicché non è chiarito se si tratti di un mutuo a tasso fisso o variabile, circostanza non evincibile neppure dalla sentenza di primo grado, riportata dal resistente nel suo atto, è altrettanto vero che i principi affermati nella sentenza delle Sezioni Unite a proposito del mutuo a tasso fisso valgono senz’altro anche per il caso in cui il tasso convenuto sia di tipo variabile.
Le Sezioni unite – enunciando la regula iuris con riferimento ai piani di ammortamento « alla francese » standardizzati tradizionali a tasso fisso, hanno osservato invero che:
a) con il piano di ammortamento c.d. alla francese il mutuatario si obbliga a pagare rate di importo sempre identico composte dagli interessi, calcolati sull’intero capitale erogato e via via sul capitale residuo, e da frazioni di capitale quantificate in misura pari alla differenza tra l’importo concordato della rata costante e l’ammontare della quota interessi; il piano di ammortamento in questione si sviluppa a partire dal calcolo della quota interessi e deducendo per differenza la quota capitale e non viceversa; il rimborso delle frazioni di capitale conglobate nella rata in scadenza produce l’abbattimento del capitale (debito) residuo e la riduzione del montante sul quale sono calcolati gli interessi, determinando così la progressiva diminuzione della quota (della rata successiva) ascrivibile agli interessi e il corrispondente aumento della quota ascrivibile a capitale e così via;
deve escludersi che la quota di interessi in ciascuna rata sia il risultato di un calcolo che li determini sugli interessi relativi al periodo precedente o che generi a sua volta la produzione di interessi nel periodo successivo, poiché il metodo alla francese è costruito in modo tale che ad ogni rata il debito per interessi si estingue, a condizione ovviamente che il pagamento sia avvenuto nel termine prestabilito. « È, perciò, anche solo astrattamente inipotizzabile che siffatto ammortamento sia fondato su un meccanismo che trasforma l’obbligazione per interessi … in base di calcolo di successivi ulteriori interessi »; né « opposta conclusione potrebbe argomentarsi rilevando semplicemente che nel mutuo alla francese la capitalizzazione avviene in regime ‘composto’ che è una espressione descrittiva del fenomeno per cui la quota capitale è incrementata con gli interessi generati, però, non (necessariamente) su altri interessi ma sul capitale (debito) residuo, né destinati (necessariamente) a generare a loro volta (diventando parte della somma fruttifera di) ulteriori interessi nel periodo successivo (quantomeno nel regime di ammortamento «alla francese» standard e nella dinamica fisiologica del rapporto) »; la capitalizzazione composta è, quindi, solo un modo per calcolare la somma dovuta da una parte all’altra in esecuzione del contratto concluso tra loro, una forma di quantificazione di una prestazione;
il maggior carico di interessi del prestito non è una caratteristica propria dei piani di ammortamento « alla francese » standardizzati e non dipende da un fenomeno di produzione di « interessi su interessi », cioè di calcolo degli interessi sul capitale incrementato di interessi né su interessi « scaduti » (propriamente anatocistici), ma dal fatto che nel piano concordato tra le parti la restituzione del capitale è ritardata per la necessità di assicurare la rata costante (calmierata nei primi anni) in equilibrio finanziario, il che comporta la debenza di più interessi corrispettivi da parte del
mutuatario a favore del mutuante per il differimento del termine per la restituzione dell’equivalente del capitale ricevuto.
Orbene, tali principi trovano parimenti applicazione anche nel caso in cui il tasso convenuto nel piano di ammortamento standardizzato non sia fisso ma variabile, ancorato ovviamente ad un indice predeterminato, dal momento che, laddove la quota di interessi dovuta per ciascuna rata sia calcolata applicando il tasso convenuto solo sul capitale residuo, è perciò stesso escluso l’anatocismo, e ciò che cambierà sarà solo la quantificazione degli interessi dovuti: e cioè, se il tasso previsto nel mutuo con piano di ammortamento standardizzato alla francese è variabile, l’importo complessivo della rata, con la cadenza temporale di volta in volta prevista, varierà, in positivo o in negativo, in base all’andamento del tasso di interesse di riferimento, comportando di conseguenza un aumento o una riduzione della quota di interessi della rata medesima.
Ricapitolando, nel mutuo con piano di ammortamento alla francese standardizzato a tasso variabile:
i) non si determina alcuna capitalizzazione degli interessi perché la quota di interessi di ogni rata viene egualmente calcolata, come nel tasso fisso, sul debito residuo del periodo precedente, costituito dalla quota capitale ancora dovuta, detratto l’importo già pagato in linea capitale con le rate precedenti;
ii) se il piano di ammortamento riporta « la chiara e inequivoca indicazione dell’importo erogato, della durata del prestito, del tasso di interesse nominale (TAN) ed effettivo (TAEG), della periodicità (numero e composizione) delle rate di rimborso con la loro ripartizione per quote di capitale e di interessi », neppure sorge alcun vulnus in termini di trasparenza, giacché il mutuatario ha integrale cognizione, nei limiti di ciò che è possibile, degli elementi, giuridici ed economici, del contratto.
Né rileva, in senso contrario, che, per sua natura, il piano di ammortamento di un mutuo a tasso variabile non possa che essere indicativo, recando una mera ipotesi proiettiva dell’ammontare finale dell’importo da restituire, sulla base del tasso individuato al momento della conclusione del contratto: il mutuatario, entro detti limiti, può difatti rappresentarsi quale sarà la somma finale da restituire per interessi sulla base dell’unico parametro noto e disponibile al momento della pattuizione, effettuando quella comparazione tra le possibili offerte sul mercato, che è la principale delle facoltà in funzione delle quali il presidio della trasparenza delle condizioni opera. Salvo a non voler percorrere l’unica alternativa astrattamente praticabile, ma che si menziona evidentemente solo ad absurdum , consistente in un intervento del legislatore volto a negare in se stessa la liceità tout court dei mutui a tasso variabile.
3. – Il terzo motivo denuncia « nullità della sentenza in relazione all’articolo 360 c.p.c n. 3, per violazione degli artt. 2 e 3 l. n. 108/1996, 644 c.p., 1175, 1322, 1337, 1339, 1366, 1419 comma 2, 1815 comma 2, 1375, 2598 n. 3, 2043 cc. ed ancora 1224 c.c., d. lgs. 9.10.2002 n. 231 di attuazione della direttiva 2011/7/UE; artt 2,3,25, 41, 42 Cost. ». Procedendo dall’interpretazione della sentenza delle Sezioni Unite n. 19597/2020, il ricorrente intende dedurre una violazione di norme relativamente al tasso soglia di usura; il motivo è manifestamente inammissibile poiché non solo non specifica, con riguardo alle singole norme che reputa violate, quale siano le argomentazioni motivazionali della sentenza gravata che ledono le norme invocate né per quali ragion, ma ignora completamente la ratio decidendi della decisione della Corte distrettuale, la quale si è limitata a sottolineare che non era stata proposta specifica impugnazione della sentenza nella parte in cui il Tribunale aveva espressamente accertato la non usurarietà ab origine dei tassi pattuiti contrattualmente, e che relativamente
all’usura correlata ai tassi moratori, « l’astrattezza degli assunti e la mancanza di raccordo con i concreti rapporti contrattuali dedotti in giudizio si manifestava con ancor maggiore evidenza » in relazione tale tema considerato che « l’appellante non aveva individuato le clausole negoziali denunciate di usurarietà, la misura dei tassi corrispettivo e moratorio pattuiti, e (quanto al primo almeno) concretamente applicati dalla banca finanziatrice, i periodi in cui si sarebbe determinato il superamento delle soglie e la misura del TEGM nei periodi in questione ».
4. – Il ricorso in conclusione va respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese in favore di parte controricorrente, liquidate nell’importo di euro 7.200,00 cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis .
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1° Sezione