SENTENZA CORTE DI APPELLO DI ROMA N. 4863 2025 – N. R.G. 00003724 2019 DEPOSITO MINUTA 26 08 2025 PUBBLICAZIONE 26 08 2025
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI ROMA
Terza Sezione Civile composta dai magistrati
NOME COGNOME Presidente
NOME COGNOME Consigliere rel.
NOME Roberto COGNOME Consigliere
riunita in camera di consiglio, pronuncia la seguente
S E N T E N Z A
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 3724 del registro generale degli affari contenziosi dell’anno 2019, vertente
tra
Avv. NOME COGNOME
e
COGNOME NOME, in proprio e n.q. di procuratore speciale di Avv. ti NOME COGNOME e NOME COGNOME
e
COGNOME NOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’appellante in epigrafe impugna la sentenza n.2419 del 2018 con cui il Tribunale di Velletri ha deciso quanto segue: ‘ Richiamati integralmente l’atto di citazione, la comparsa di costituzione e risposta contenente domanda riconvenzionale e tutti gli atti di causa, preliminarmente va dichiarata inammissibile l’istanza di interruzione del giudizio formulata dalla difesa di sul presupposto del decesso della convenuta COGNOME in data 28.12.2016.
Invero, ai fini dell’interruzione del processo, il verificarsi di uno degli eventi previsti dall’art. 300 c.p.c. produce effetto solo se il procuratore della parte, cui si riferisce l’evento interruttivo, lo dichiari in udienza o lo notifichi alle altre parti; per converso, nessun rilievo assume la circostanza che l’evento interruttivo risulti dalla documentazione agli atti del processo
(e cioè, dal certificato di morte prodotto dalla difesa del ), atteso che la valutazione dell’effettivo verificarsi di un danno in caso di prosecuzione del processo può essere utilmente compiuta solo dal procuratore della parte colpita dall’evento (v., ex multis, Cass. civ., sez. 2, 24.4.2018, n. 10048; 28.5.2012, n. 8494; 22.5.1998, n. 5116).
Nel merito, la domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. va rigettata per le ragioni di seguito esposte.
La funzione della sentenza costitutiva di cui all’art. 2932 c.c. è quella di sostituire un atto negoziale voluto dalle parti; conseguentemente, detta pronuncia non può realizzare un effetto maggiore e diverso da quello che sarebbe stato possibile alle parti, o un effetto che, comunque, eluda le norme di legge che governano, nella forma e nel contenuto, l’autonomia negoziale.
Tanto premesso, si osserva che nel contratto preliminare concluso in data 28.4.2007 manca l’indicazione degli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria, prescritto dall’art. 46 D.P.R. 380/2001 (cd. Testo Unico dell’edilizia) a pena di nullità negli atti relativi ad edifici (o loro parti), la cui costruzione sia iniziata dopo il 17.3.1985, né sono contenuti gli estremi della licenza o concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria, ovvero, trattandosi di opera iniziata anteriormente al 1°.9.1967, la dichiarazione del proprietario o di altro avente titolo attestante che l’opera è iniziata in data anteriore alla suddetta data, in ossequio al disposto dell’art. 40 L. 47/1985.
Orbene, poiché il legislatore ha richiesto che tale dichiarazione sia effettuata dall’alienante, senza alternativa alcuna di talché deve escludersi l’efficacia sanante della dichiarazione sugli estremi della concessione edilizia effettuata dal difensore della parte, non trattandosi di attività processuale, ma di attività di natura negoziale riservata alla parte (v, in tal senso, Cass. civ., sez. 2, 27.10.2015, n. 21855) -presidiando la verità sostanziale di tale dichiarazione con la sanzione penale, in difetto di una dichiarazione successiva destinata ad integrare la lacuna di tale indicazione nel contratto preliminare, non può essere emanata la sentenza di trasferimento coattivo prevista dall’art. 2932 c.c., atteso lo si ribadisce -che questa non può realizzare un effetto maggiore o diverso da quello che, in materia immobiliare, sarebbe stato possibile alle parti, o che, comunque, eluda le norme di legge che governano, nella forma o nel contenuto, l’esercizio dell’autonomia negoziale delle parti.
Va parimenti disattesa l’ulteriore domanda proposta dal , volta ad ottenere il risarcimento dei danni conseguenti al protesto dell’assegno
bancario n. NUMERO_DOCUMENTO, tratto sul c/c n. 167 acceso presso la Banca Popolare di Roma, ag. n. 7, dell’importo di euro 3.000,00, asseritamente consegnato a COGNOME NOME per garantire il pagamento dei lavori di pulitura dell’immobile di INDIRIZZO
Giova osservare, sotto il profilo giuridico, che l’emissione di un assegno in bianco o postdatato, consegnato a garanzia di un debito con l’intesa della restituzione al debitore qualora questi adempia regolarmente alla scadenza della propria obbligazione, rimanendo nel frattempo nelle mani del creditore come titolo esecutivo da far valere in caso di inadempimento, è contraria alle norme imperative contenute negli artt. 1 e 2 R.D. 1736/1933 e dà luogo ad un giudizio negativo sulla meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, alla luce del criterio della conformità a norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume enunciato dall’art. 1343 c.c., con conseguente nullità del patto di garanzia (v. Cass. civ., sez. 1, 24.5.2016, n. 10710).
Va evidenziato che chi emette un assegno bancario privo della data di emissione, valevole come da promessa di pagamento, con l’intesa che il prenditore possa utilizzare il documento come titolo di credito in epoca successiva apponendovi data e luogo di emissione, si assume la responsabilità della eventuale attribuzione al medesimo documento delle caratteristiche dell’ assegno bancario, e pertanto può rispondere dell’illecito amministrativo previsto dall’art. 1 L. 386/1990 (come sostituito dall’art. 28 D. Lgs. 507/1999) se, al momento dell’utilizzazione del titolo, non vi sia l’autorizzazione ad emetterlo (v. Cass. civ., sez. 2, 20.6.2007, n. 14322).
Ne deriva, in base al principio di autoresponsabilità, che il imputet sibi i danni asseritamente subiti per effetto della consegna di un assegno privo di data al COGNOME, riempito in parte qua da quest’ultimo e negoziato quando il conto corrente bancario su cui esso era stato tratto era stato chiuso.
Per converso, va accolta la domanda riconvenzionale volta ad ottenere il risarcimento del danno derivante dall’occupazione degli immobili oggetto del contratto preliminare.
Invero, posto che nel contratto preliminare era previsto il trasferimento del possesso dei due immobili che ne costituivano oggetto al momento del rogito e che il non ha provato le precise circostanze fattuali in cui sarebbe stato concluso l’asserito successivo accordo per il trasferimento della detenzione a titolo gratuito, che peraltro avrebbe interessato secondo la sua stessa impostazione difensiva soltanto l’immobile sito in
INDIRIZZO e non anche il locale magazzino ubicato in INDIRIZZO, lo stesso è tenuto a corrispondere l’indennità di occupazione avendo privato COGNOME NOME e della libera disponibilità dei due cespiti. Tale indennità va corrisposta nella misura indicata dal c.t.u., non essendovi ragioni per discostarsi dalle valutazioni compiute dall’ausiliario in considerazione della specifica competenza di quest’ultimo e dell’assenza di puntuali e tempestive osservazioni da parte della difesa del entro il termine del 20.6.2014 assegnato all’udienza del 27.1.2014, oltre a quella maturata successivamente, fino al rilascio degli immobili liberi da persone e cose, non avendo il convenuto in riconvenzionale titolo che lo legittimi alla detenzione.
La regolamentazione delle spese di lite segue il principio della soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c., con liquidazione operata come in dispositivo, in conformità al D.M. 55/2014, tenuto conto che le prestazioni professionali sono terminate dopo la sua entrata in vigore (v. Cass. civ., SS.UU., 12.10.2012, n. 17406, a proposito del previgente D.M. 140/2012), applicando i parametri medi previsti per le controversie di valore compreso tra euro 260.000,01 ed euro 520.000,00.
Le spese della c.t.u., liquidate come da separato decreto, vanno poste definitivamente a carico di .
P.Q. M
Il Tribunale di Velletri -II Sezione civile -in composizione monocratica nella persona della dott.ssa NOME COGNOME, definitivamente pronunziando, così provvede:
rigetta la domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c.;
rigetta la domanda di risarcimento proposta da ;
condanna al pagamento, in favore di e di COGNOME NOME, dell’importo di euro 109.654,71, a titolo di indennità di occupazione, oltre agli interessi dalla data del deposito della pronuncia al saldo;
condanna al rilascio degli immobili siti in Anzio alla INDIRIZZO ed al INDIRIZZO liberi da persone e cose;
condanna alla rifusione delle spese processuali sostenute da controparte, liquidate in euro 21.387,00 per compensi, oltre accessori di legge;
f) pone le spese della c.t.u. definitivamente a carico di .’. Le parti appellate costituite hanno chiesto il rigetto dell’impugnazione. La causa, previa precisazione delle conclusioni, è stata trattenuta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello è inammissibile per genericità.
La Corte ritiene opportuno riportare il testo del motivo d’appello in ordine al rigetto della domanda ex art. 2932 c.c. ‘ In particolare si osserva che tale contratto preliminare contiene in sé tutti gli elementi identificativi dei beni immobili da alienare e tutte le indicazioni catastali ed urbanistiche essenziali per la stipula di un qualdiasi atto pubblico. In ogni caso, le argomentazioni esposte dal Tribunale di Velletri si appalesano assolutamente incoferenti e superficiali e certamente non bastano a motivare il rigetto della domanda principale formulata dall’attore, anche in consiuderazione della sostanziale e formale acquiescenza (non contestazione della domanda spiegata) delle convenute al trasferimento dei beni immobili oggetto di scrittura privata del 28/04/2007 e di quelle successive che sono state completamente ignorate dal giudice di prime cure (v.doc.n.2) .’
Dall’esame di quanto sopra emerge chiaramente che l’appellante non ha formulato una critica specifica alla sentenza, né ha indicato l’errore che il Tribunale avrebbe commesso. Quanto alla sostanziale acquiescenza della controparte non indica l’atto o il documento che comproverebbe il suo assunto. In ogni caso, occorre aggiungere, neppure la comprovata acquiescenza sarebbe stata rilevante, trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle parti.
Si duole poi che il Tribunale non abbia accolto la sua istanza d’interruzione del giudizio per morte di una delle controparti, così argomentando ‘ Per quanto concerne la richiesta di interruzione del processo, formulata dall’attore, per l’intervenuto decesso della sig.ra COGNOME se ne ribadisce la fondatezza e se ne reitera anche in tale fase processuale la richista. Il procuratore della parte, alla luce della documentata morte della propria assistita era tenuto, anche per dovere deontologico, a chiedere l’interruzione del giudizio, essendo palese che una qualsiasi sentenza avrebbe spiegato effetti nei confronti degli eredi della parte rappresentata .’. Appare evidente che l’appellante prescinde dalla motivazione del rigetto dell’istanza contenuta nella sentenza tant’è che non la sottopone neppure a critica, limitandosi ad insistere per l’accoglimento. Sicchè anche sotto tale profilo l’appello è inammissibile.
Ed ancora. Il impugna la sentenza nella parte in cui ha accolto la domanda riconvenzionale ed assume che ‘ Assolutamente prive di alcun pregio risultano le argomentazioni sottese all’accoglimento della domanda riconvenzionale delle convenute attesa la ssosluta inattendibilità ed
erroneità della Consulenza versata in atti, di cui sin d’ora se ne chiede la rinnovazione, in tale fase di appello, anche perché non ha tenuto in alcuna considerazione la particolare vetustà degli immobili ed I lavori eseguiti dall’attore durante tutto il periodo di occupazione che certamente non può e non deve considerarsi in alcun modo ‘illegittima’.
-E’ proprio questo il gravissimo errore in cui incorre il giudice di prime cure, e ciò il ritenere che l’attore abbia occupato in maniera ‘illegittima’ l’immobile, pur in prensenza di un contratto preliminare di compravendita e di un somma giòà versata a titolo di caparra pari ad € 100.000,00 che ovviamente dovrebbe venire restituita al ‘doppio’ come per legge .’.
Sull’illegittimità dell’occupazione dell’immobile appare appena il caso di osservare che il Tribunale ha escluso fosse stata fornita la prova della consegna degli immobili al e, sul punto, l’accertamento non è censurato se non genericamente con l’allegazione che era stato sottoscritto il preliminare e consegnata al promittente venditore la caparra. Circostanze in sé del tutto inconferenti quanto al trasferimento del possesso.
Per quanto concerne la determinazione del quantum le allegazioni relative alla vetustà (non precisata) degli immobili ed ai lavori eseguiti (non indicati), così come formulate, non assurgono al rango di censura secondo la prescrizione dell’art. 342 c.p.c. in quanto del tutto generiche in difetto della indicazione degli atti di primo grado in cui dette circostanze sarebbero state tempestivamente rappresentate dal e della prova sia del mancato apprezzamento della vetustà da parte del CTU che dell’esecuzione dei lavori.
Quanto alla richiesta di rimessione alla Corte Costituzionale della questione d’illegittimità dell’art. 300 c.p.c. la Corte la ritiene irrilevante poiché del tutto indifferente ai fini del decidere. L’art. 300 c.p.c. pone a carico di chi rappresenta la parte deceduta l’onere di dichiarare l’evento ai fini dell’interruzione. E ciò sul presupposto che l’interruzione valga a tutelare l’interesse della parte deceduta e non quello della controparte.
Anche l’appello sulle spese è inammissibile in quanto il non indica la ragione per cui sostiene che il Tribunale abbia errato nell’individuare lo scaglione da applicare.
Va accolta, piuttosto, la domanda di correzione dell’errore materiale, formulata da parte appellata, con l’aggiunta nella parte dispositiva della condanna al pagamento dell’indennità maturata anche sino al rilascio degli immobili, giusta quanto stabilito in parte motiva.
Le spese di lite seguono la soccombenza e, pertanto, devono porsi a carico dell’appellante.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, deduzione o eccezione disattesa, così provvede:
rigetta l’appello;
ordina che nella parte dispositiva della sentenza gravata, al capo c), sia aggiunto ‘ oltre a quella maturata successivamente, fino al rilascio degli immobili liberi da persone e cose’;
condanna alla rifusione delle spese di lite in favore di COGNOME, in proprio e n.q. di procuratore speciale di nella misura che liquida in euro 20.000,00, oltre spese
generali ed oneri di legge.
D à atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1, quater d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115 come successivamente modificato e integrato, che sussistono i presupposti per il versamento da parte dell’appellante di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
Così deciso nella camera di consiglio del 22.7.2025.
Il Consigliere estensore
Il Presidente