Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19060 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 19060 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/07/2025
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Oggetto
Dott. NOME COGNOME
Presidente
APPALTO PRIVATO
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
Ud. 23/05/2025
Dott. NOME COGNOME
Rel. Consigliere
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 7210/2020 R.G. proposto da: COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente e ricorrente incidentale nonché
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME con domicilio digitale presso l’indirizzo pec del difensore;
-intervenuta –
avverso la sentenza n. 4609/2019 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 19/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Udito il P.G., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato in data 19.11.1999, COGNOME NOME COGNOME evocava in giudizio innanzi al Tribunale di Matera Buono Michele, esponendo che il convenuto – titolare di un rapporto di appalto con il Consorzio per l’industrializzazione della Provincia di Matera – gli aveva affidato in subappalto, in forza di un accordo verbale, i lavori di interramento dei tubi nel cavidotto della zona industriale di Pisticci, per un compenso commisurato ai prezzi del Genio Civile. Tanto premesso, l’attore, sul presupposto di aver svolto le lavorazioni commissionate e di non aver ricevuto, tuttavia, alcun corrispettivo, chiedeva la condanna del Buono al pagamento dell’importo di lire 52.980.865, oltre IVA e accessori.
Si costituiva in giudizio, resistendo alla domanda, COGNOME NOMECOGNOME il quale, per quel che ancora rileva nella presente sede di
legittimità, deduceva che il prezzo dei lavori era stato pattuito a corpo, nella misura fissa ed invariabile di lire 25.000.000; deduceva, altresì, che l’attore era incorso in numerosi inadempimenti nell’esecuzione delle opere commissionate, in relazione ai quali spiegava domanda riconvenzionale di risarcimento del danno patito.
Istruita la causa con prova per interpello e per testi, nonché con l’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale, con sentenza n. 567/2010, in parziale accoglimento della domanda principale, ritenuta provata, in base alle risultanze dell’ela borato peritale, l’esecuzione delle opere subappaltate, condannava il Buono al pagamento in favore dell’attore dell’importo di euro 19.647,86 (pari a lire 38.043.565) oltre accessori, e rigettava la domanda riconvenzionale.
2. Sul gravame interposto da COGNOME, la Corte d’Appello di Potenza, con sentenza n. 406/2019, pubblicata in data 19.06.2019, riformava la pronuncia di prime cure limitatamente al quantum liquidato a titolo di corrispettivo del subappalto, condannando l’appellante al pagamento della somma di euro 12.911,42 (pari a lire 25.000.000). A fondamento della propria decisione, la Corte distrettuale osservava che: a) era pacifico ed incontestato che tra le parti fosse intercorso un rapporto di subappalto, sebbene non formalizzato per iscritto; b) il convenuto aveva infatti contestato le sole modalità di esecuzione di alcune delle lavorazioni commissionate all’attore, lamentandone la diversa qualità o quantità rispetto a quelle progettate ed appaltate dal Consorzio, committente principale; c) il Tribunale aveva ritenuto di non dare rilievo a tali contestazioni, sul presupposto che il collaudo
finale delle opere da parte del Consorzio aveva avuto esito positivo, in applicazione del principio secondo cui, nel contratto di subappalto, il sub-committente non è legittimato, né ha interesse a sollevare doglianze in ordine alla quantità e alla qualità delle lavorazioni eseguite dal sub-appaltatore, ove egli non abbia a sua volta ricevuto simili contestazioni dal committente principale; d) i motivi di appello con i quali il Buono aveva lamentato l’inesatta valutazione delle prove da parte del primo giudice erano inammissibili per difetto di specificità, in quanto non si confrontavano con la ratio decidendi del Tribunale; e) in particolare, non era idonea a contrastare il ragionamento logico del giudice di prime cure la generica affermazione dell’appellante secondo cui, dalle deposizioni testimoniali, era emersa la prova dell’esecuzione di alcune lavorazioni direttamente da parte della ditta Buono allo scopo sopperire alle mancanze del subappaltatore : infatti, nell’atto di appello non erano state indicate le opere di cui si deduceva l’esecuzione diretta del sub -committente, cosicché non era possibile procedere ad alcun raffronto tra queste ultime e quelle per le quali l’impresa sub -appaltatrice aveva ottenuto il compenso in base alla contabilità del Consor zio, ‘ onde verificare se tali lavorazioni mancanti rientravano nell’oggetto del subappalto e comunque se e in quale misura avrebbero inciso sul compenso o comunque sul sinallagma contrattuale ‘ (cfr. pag. 9 della sentenza); f) in ogni caso, le dichiarazioni testimoniali sui pretesi vizi e difetti delle lavorazioni afferivano a valutazioni di natura tecnica, le quali, oltre ad essere inibite ai testi, nella fattispecie contrastavano con l’esito positivo del collaudo, dal quale emergeva che tutte le opere, comprese quelle subappaltate
all’impresa Stagno, erano state eseguite a regola d’arte; g) sulla scorta di tali argomentazioni, risultava assorbito, o comunque inammissibile, anche il motivo di gravame relativo al mancato accoglimento della domanda riconvenzionale di risarcimento del danno, stante la genericità delle deduzioni dell’appellante c irca gli inadempimenti ascritti allo Stagno e ai pregiudizi che ne sarebbero conseguiti; h) era invece fondato il motivo di appello relativo alla quantificazione del corrispettivo spettante al subappaltatore per l’opera prestata: il Tribunale, infatti, non aveva tenuto conto degli esiti della prova testimoniale esperita sul punto, sulla cui ammissibilità e rilevanza l’originario attore non aveva sollevato alcuna contestazione, dalla quale era emerso che le parti avevano concordato il corrispettivo a corpo in lire 25.000.000.
Per la cassazione di detta decisione ha proposto ricorso NOMECOGNOME sulla base di tre motivi, cui COGNOME NOME COGNOME ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale, affidato a due motivi.
L’Impresa RAGIONE_SOCIALE NOME e NOME RAGIONE_SOCIALE ha depositato, rispettivamente nelle date del 20.03.2025 e del 21.03.2025, atto di costituzione di nuovo difensore e ‘ memoria di costituzione volontaria ex art. 300 c.p.c. ‘, dando atto del sopravvenuto decesso di COGNOME NOME e della devoluzione ereditaria, in forza di testamento olografo, della ditta del controricorrente ai tre figli del de cuius , la cui attività questi ultimi deducono di aver proseguito costituendo la s.n.c. sopra menzionata.
Il Sostituto Procuratore Generale, dott.ssa NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale.
In prossimità dell’udienza, le parti hanno depositato memorie con le quali hanno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Questioni preliminari
Preliminarmente si deve dichiarare inammissibile l’intervento della Impresa RAGIONE_SOCIALE Paolo RAGIONE_SOCIALE che, al di là di altri motivi di inammissibilità relativi alla procura che ratione temporis avrebbe dovuto essere conferita con atto pubblico o con scrittura privata autenticata (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 12434 del 19/04/2022 Rv. 664786; conf. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20692 del 09/08/2018, Rv. 650007), in ogni caso non può considerarsi successore nel diritto controverso a seguito del decesso del ricorrente COGNOME Saverio Francesco.
Ricorso principale
1.1 C on il primo motivo, rubricato ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 1670 c.c. (art. 360 n. 3) ‘, COGNOME COGNOME deduce che la Corte distrettuale avrebbe erroneamente interpretato la motivazione della decisione di primo grado, la quale, a dire del ricorrente, non aveva applicato alla fattispecie l’art. 1670 c.c., né aveva respinto le difese dell’orig inario convenuto sul presupposto che al sub-committente, in assenza di contestazioni del committente principale, fosse preclusa la denuncia dei vizi dell’opera realizzata dal subappaltatore. Sostiene che il Tribunale aveva operato, in realtà, sulla base di un diverso ragionamento, secondo cui, in particolare, non avendo il Consorzio sollevato
contestazioni di sorta, le opere (incluse quelle subappaltate) dovevano ritenersi eseguite a regola d’arte. In proposito, il ricorrente deduce di aver esperito un’azione diretta, e non in via di regresso, volta a conseguire il risarcimento del pregiudizio economico patito in conseguenza dei vizi delle lavorazioni curate dal subappaltatore, cui il sub-committente stesso aveva dovuto porre rimedio con il proprio diretto intervento.
Parte ricorrente d educe, quindi, che l’assenza di contestazioni da parte del Consorzio, che aveva ricevuto un’opera eseguita a regola d’arte proprio grazie ai lavori riparatori eseguiti dall’originario convenuto, non avrebbe potuto in alcun modo giustificare il rigetto della domanda riconvenzionale di risarcimento del danno in applicazione del principio di diritto di cui all’art. 1670 c.c., del tutto inconferente rispetto alla vicenda sottoposta all’esame del giudice.
2 . Con il secondo motivo, nel denunziare, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 4 c.p.c., la violazione e la falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c. e 2733 c.c., il ricorrente deduce che la Corte distrettuale avrebbe liberamente valutato la confessione giudiziale resa da COGNOME NOME COGNOME il quale aveva ammesso, in sede di interpello, che non erano stati eseguiti i lavori di ripristino dei marciapiedi e dei cordoli e che non erano stati collocati dei tubi.
Il terzo motivo è così rubricato: ‘ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ‘. Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale non avrebbe esaminato i fatti posti a fondamento della domanda riconvenzionale, provati, a suo dire, con la confessione resa dallo COGNOME e con le risultanze delle deposizioni testimoniali. Quanto
all’omessa indicazione, nell’atto di appello, delle opere mancanti che avevano richiesto l’intervento del sub -committente, il Buono deduce che il giudice di seconde cure avrebbe potuto agevolmente individuare dette lavorazioni sulla base del semplice raffronto tra le opere indicate dal convenuto nella comparsa di risposta di primo grado e le dichiarazioni rese dai testi escussi nel corso della fase istruttoria.
Le censure, suscettibili di esame congiunto, sono inammissibili, in quanto non si confrontano specificamente con la ratio decidendi della sentenza impugnata.
Con esse, infatti, a fronte della declaratoria di inammissibilità, da parte della Corte distrettuale, dei motivi di gravame proposti avverso l’accoglimento della domanda attorea e i l rigetto della domanda riconvenzionale, COGNOME NOME ha denunciato, per un verso, la violazione della norma sostanziale applicata dal giudice di merito al rapporto di subappalto intercorso tra le parti (primo motivo), ed ha censurato, per altro verso, la valutazione del compendio istruttorio, sotto i profili dell’apprezzamento della prova per interrogatorio formale (secondo motivo) e del l’omesso esame di fatti decisivi (terzo motivo). Con nessuna delle tre censure è stata invece specificamente attinta la statuizione di inammissibilità dei motivi di appello, mediante la deduzione di un error in procedendo in cui sarebbe incorso il giudice di seconde cure. Sul punto, va assicurata continuità all’insegnamento di questa Corte, secondo cui ‘ Nel giudizio di cassazione, i motivi che, a fronte della dichiarazione di inammissibilità del gravame, attingano direttamente l’apprezzamento di merito operato dal giudice d’appello, senza censurare l'”error in procedendo” cui questi è
incorso, così da rimuovere la ragione in rito che aveva impedito la valutazione nel merito delle censure mosse con l’atto di appello, determinano l’inammissibilità del ricorso, derivando da tale omissione il passaggio in giudicato della statuizione di inammissibilità e il conseguente venir meno dell’interesse della parte a far valere in sede di legittimità l’erroneità delle ulteriori statuizioni della decisione impugnata ‘ (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 24550 del 11/08/2023, Rv. 668574; conf. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21514 del 20/08/2019, Rv. 654633).
Né possono essere considerate idonee a veicolare una effettiva e specifica critica alla soluzione in rito, cui è pervenuto il giudice di seconde cure, le argomentazioni esposte nel primo e nel terzo motivo del ricorso, secondo cui la Corte distrettuale avrebbe ‘ palesemente errato ‘ a non ritenere attinta dall’appellante la motivazione della pronuncia di primo grado (cfr. pag. 6 del ricorso), ovvero secondo cui i motivi di gravame sarebbero stati ‘ sollevati in maniera specifica e puntuale ‘ (cfr. pag. 9 del ri corso).
Tali generiche deduzioni non sono infatti sufficienti a scardinare la motivazione della Corte distrettuale, che ha ritenuto il gravame inammissibile, per un verso, perché non si era confrontato con la ratio decidendi della sentenza di primo grado e, per altro verso, perché la circostanza lamentata dall’appellante, secondo cui dalle prove orali sarebbe emerso che alcune lavorazioni erano state eseguite direttamente dalla ditta COGNOME non era comunque idonea a contrastare il ragionamento logico del Tribunale, ‘ considerato che nell’atto di appello non si indica quali sarebbero le lavorazioni mancanti e le doglianze tra quelle elencate nella comparsa di costituzione in primo grado, che avrebbero
trovato riscontro probatorio, onde confrontarle con quelle per le quali l’impresa subappaltatrice ha richiesto il pagamento e con quelle poi conteggiate dal Ctu all’esito del confronto con la contabilità del Consorzio committente, onde verificare se tali e ventuali lavorazioni mancanti rientravano nell’oggetto del subappalto e comunque se ed in quale misura avrebbero inciso sul compenso e comunque sul sinallagma contrattuale. In mancanza di tale specifico rilievo non è dimostrata la rilevanza degli esiti istruttori rispetto ai fatti di causa ‘ (cfr. pagg. 9 -10 della sentenza).
Il ricorrente non si è specificamente confrontato con tali argomentazioni della Corte d’Appello, né ha dimostrato di aver sollevato dei motivi di impugnazione specifici e pertinenti con la motivazione della sentenza del Tribunale, dando atto delle argomentazioni esposte a fondamento del gravame volte a confutare la statuizione di primo grado in relazione alle risultanze istruttorie acquisite al giudizio.
Dunque, fermo restando che il Buono non ha dedotto alcun error in procedendo , le censure in esame risultano inammissibili anche sotto tale profilo. Va infatti ribadito che ‘ Ove il giudice d’appello abbia dichiarato inammissibile uno dei motivi di gravame, ritenendolo privo di specificità, la parte rimasta soccombente che ricorra in cassazione contro tale sentenza, ove intenda impedirne il passaggio in giudicato nella parte relativa alla dichiarata inammissibilità, ha l’onere di denunziare l’errore in cui è incorsa la sentenza gravata e di dimostrare che il motivo d’appello, ritenuto non specifico, aveva invece i requisiti richiesti dell’art. 342 c.p.c. ‘ (cfr. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 18776 del 04/07/2023, Rv. 668172). Si è affermato, in particolare, che, ove il ricorrente
denunci che la sentenza d’appello ha erroneamente dichiarato inammissibile l’impugnazione ritenendo i motivi di gravame non attinenti alle argomentazioni del primo giudice, è necessario – per il principio di specificità – che l’atto di appello sia trascritto in modo completo (o quantomeno nelle parti salienti) nel ricorso, così da dimostrare che nel suddetto atto di impugnazione non erano ravvisabili gli errori e la mancata attinenza dei motivi di appello alle motivazioni del giudice di primo grado indicati dal giudice del gravame, dovendosi ritenere, in mancanza, che la Corte non sia posta in grado di valutare la fondatezza e la decisività delle censure alla pronuncia di inammissibilità, in quanto non abilitata a procedere all’esame diretto degli atti del merito (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 23249 del 20/08/2021, Rv. 662072).
Diversamente, nel ricorso, COGNOME NOME si è limitato ad affermare che sarebbe stato sufficiente, per il giudice di merito, procedere al ‘ semplice raffronto tra le lavorazioni indicate in comparsa di costituzione e risposta del primo grado e le prove testimoniali sulle quali l’appellante ha molto dedotto in comparsa conclusionale ‘ per ‘ addivenire ad una soluzione di segno contrario a quella assunta ‘ (cfr. pag. 10 del ricorso). Sennonché, tali deduzioni, oltre a confermare le lacune espositive dell’atto di appello rilevate dalla Corte distrettuale, per colmare le quali sarebbe stato necessario attingere, a dire del Buono, alla comparsa di risposta di primo grado, ai verbali di escussione dei testi e alla comparsa conclusionale, si espongono a loro volta a rilievo di inammissibilità per difetto di specificità, in quanto si limitano a rinviare agli atti e ai documenti delle fasi di merito, senza riportarne, nemmeno sinteticamente, il contenuto, così impedendo
a questa Corte, alla quale, come detto, è precluso l’esame diretto degli atti di causa, di valutare la fondatezza delle censure (Cass. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015, Rv. 636120).
Sotto un diverso profilo, il terzo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente ha denunciato l’omesso esame dei ‘ fatti posti a fondamento della domanda riconvenzionale ‘ (cfr. pag. 9 del ricorso), è inammissibile anche perché in esso non viene indicato alcun fatto specifico, inteso come accadimento in senso storiconaturalistico, che il giudice di merito non avrebbe tenuto in considerazione. D’altra parte, la censura si pone su di un piano del tutto inconferente con le argomentazioni della sentenza impugnata, la quale a monte non ha ritenuto dimostrata la rilevanza delle risultanze istruttorie, sul presupposto che l’appellante non aveva indicato quali opere avesse realizzato direttamente, né aveva dedotto che le stesse fossero state subappaltate alla ditta COGNOME In ordine alla questione sollevata con il terzo motivo di ricorso, sussiste dunque una statuizione del giudice di merito in relazione alla quale il dedotto vizio di omesso esame risulta del tutto privo di consistenza, dovendosi ribadire che la censura di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c., deve riguardare un fatto storico considerato nella sua oggettiva esistenza, senza che possano considerarsi tali né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 10525 del 31/03/2022, Rv. 664330).
Ricorso incidentale
6. C on il primo motivo si deduce ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4, per
avere la Corte di Appello deciso oltre i limiti delle conclusioni dell’atto di appello ‘ . Il ricorrente incidentale deduce che COGNOME NOME, nelle conclusioni dell’atto di gravame, si era limitato a richiedere il rigetto tout court della domanda proposta dal subappaltatore e l’accoglimento della riconvenzionale di risarcimento del danno. Sostiene che, in difetto di qualsivoglia richiesta di riduzione del quantum liquidato dal Tribunale a titolo di corrispettivo dell’appalto, la Corte distrettuale non avrebb e potuto riformare tale capo della sentenza di primo grado, riconoscendo all’originario attore il minor importo di euro 12.911,42, senza incorrere nel vizio di ultrapetizione.
La censura è infondata.
La circostanza che l’appellante avesse domandato, nelle conclusioni dell’atto di gravame, l’integrale rigetto della domanda della ditta RAGIONE_SOCIALE, non precludeva affatto al giudice di seconde cure di accogliere solo parzialmente l’appello e riformare solo in parte, quindi, la sentenza di primo grado, riconoscendo all’originario attore una somma inferiore a quella liquidata dal Tribunale: infatti, ‘ Il giudice di appello che riformi in parte la sentenza impugnata, indipendentemente da una specifica richiesta dell’appellante, il quale abbia invece domandato nelle sue conclusioni la sola riforma integrale della sentenza, non viola il principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art. 112 cod. proc. civ., in quanto il “petitum” immediato dell’impugnazione è la riforma della sentenza, mentre l’ampiezza di detta riforma dipende dall’esito dello scrutinio degli specifici motivi di appello proposti ‘ (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 26908 del 19/12/2014, Rv. 633936).
Orbene, come risulta dall’esame della sentenza impugnata, ‘ l’appellante si duole che il Tribunale non abbia considerato la prova testimoniale in ordine alla circostanza che il prezzo convenuto per il subappalto fosse stato di lire 25.000.000 a corpo ‘ (cfr. pag. 5 della sentenza). Il medesimo ricorrente incidentale, d’altra parte, ha dedotto che ‘ la ditta COGNOME RAGIONE_SOCIALE proponeva appello … evidenziando che … il Tribunale sempre aderendo alle conclusioni del C.T.U. aveva errato, poiché, quest’ultimo nel de terminare il corrispettivo dei lavori eseguiti dall’impresa COGNOME aveva applicato i prezzi stabiliti dal Genio Civile e non quelli pattuiti a corpo per un importo di £. 25.000.000 ‘ (cfr. pagg. 3 -4 del ricorso incidentale).
Secondo quanto riportato dallo stesso COGNOME, l’appellante aveva dunque censurato la statuizione di prime cure anche in punto di determinazione del corrispettivo spettante al subappaltatore, né rileva a tal proposito che egli non avesse formalmente riprodotto la doglianza nella parte dell’atto di gravame destinata alle conclusioni, dovendosi ribadire che l’interpretazione dell’effettivo contenuto dell’atto di appello – attività che compete al giudice di merito e non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità – deve avvenire non solo in base alla letterale formulazione delle conclusioni, ma tenendo conto delle sostanziali finalità che la parte intende perseguire, che, anche se non riportate nelle conclusioni, possono ricavarsi dai motivi di reclamo avverso la sentenza di primo grado emergenti dal complesso dell’atto (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza 14/07/2003, n. 10979, Rv. 565004; pronuncia resa in una fattispecie nella quale la S.C. ha cassato la sentenza di merito, che non aveva pronunciato su un motivo d’appello, in ordine al quale non erano state tratte precise conclusioni, da cui tuttavia emergeva
una precisa volontà di impugnazione e che non avrebbe avuto senso formulare in difetto di una domanda di riforma della sentenza impugnata). Infatti, la mancata riproduzione, nella parte dell’atto di appello a ciò destinata, delle conclusioni relative ad uno specifico motivo di gravame non può per ciò solo equivalere a difetto di impugnazione, ovvero essere causa di nullità della stessa, se dal contesto complessivo dell’atto risulti, sia pur in termini non formali, una univoca manifestazione di volontà di proporre impugnazione per quello specifico motivo (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 25751 del 15/11/2013 n., Rv. 628627; Cass. Sez. L, Sentenza n. 7585 del 15/05/2003, Rv. 563134; Cass. Sez. L, Sentenza n. 407 del 22/01/1986, Rv. 444021).
7. Con il secondo motivo, nel denunziare, in relazione all’art. 360 nn. 3, 4 e 5, primo comma, c.p.c., la violazione degli artt. 112, 115, 116 e 61 c.p.c., nonché dell’art. 2697 c.c., il ricorrente incidentale deduce che la Corte d’Appello, nella determina zione del compenso spettante al subappaltato re, avrebbe omesso l’esame della consulenza tecnica d’ufficio, che aveva accertato le lavorazioni eseguite dalla ditta COGNOME quantificando in lire 38.043.565 il congruo corrispettivo dovuto per le stesse.
La censura è infondata.
Infatti, tenuto conto della graduazione delle fonti di determinazione del corrispettivo dell’appalto stabilita dall’art. 1657 c.c., che prevede la possibilità per il giudice di ricorrere alle tariffe o agli usi solamente in mancanza dell’accordo delle part i, correttamente la Corte distrettuale non ha preso in considerazione la somma calcolata dal CTU in applicazione dei prezzi stabiliti dal Genio Civile, per lire 38.043.565, una volta ritenuto provato che i
contraenti avevano concordato un compenso a corpo pari a complessive lire 25.000.000. In proposito, vale la pena soggiungere che il ricorrente incidentale non ha mosso alcuna censura alla ricostruzione della volontà delle parti operata dal giudice di merito in punto di determinazione del corrispettivo a corpo, né ha attinto la pronuncia impugnata nella parte in cui la Corte d’Appello ha osservato che lo COGNOME non aveva sollevato contestazioni circa l’attendibilità dei testi, ovvero circa l’ammissibilità de lla prova testimoniale in ordine al contenuto del contratto.
In conclusione, il ricorso principale deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorso incidentale rigettato.
Le spese di lite, in ragione della reciproca soccombenza, vengono compensate.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto, rispettivamente, per il ricorso principale e per quello incidentale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e rigetta quello incidentale; compensa integralmente tra le parti le spese di lite del giudizio di legittimità.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente
incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello rispettivamente previsto per il ricorso principale e per quello incidentale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione