Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14844 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14844 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 28735/2021 r.g. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentata e difesa come da procura speciale su atto separato allegato al presente ricorso, dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata presso il di lui studio sito in Roma, INDIRIZZO, il quale richiede di ricevere le comunicazioni e le notificazioni all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato
– ricorrente –
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, avvocato della Avvocatura comunale, in virtù di procura speciale in calce al controricorso, la quale chiede di ricevere tutte le comunicazioni all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato
-controricorrente –
avverso la sentenza del Tribunale di Cassino n. 547/2021, depositata in data 14 aprile 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/5/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOMEAVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE:
Con atto di citazione notificato il 5/4/2017 il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE proponeva appello avverso la sentenza del giudice di pace di RAGIONE_SOCIALE n. 3570/2016, depositata il 5/10/2016, con cui il giudice di prime cure, su domanda di NOME COGNOME, aveva annullato il «contratto di concessione uso loculo» del 2011 stipulato tra le parti, condannando il RAGIONE_SOCIALE alla restituzione di euro 775,00, oltre interessi e spese di lite.
In particolare, il giudice di primo grado, dopo aver respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione, aveva rilevato che il loculo era già stato concesso alla NOME nel 1986 per 99 anni, sì che il contratto del 2011 sarebbe stato concluso «nella erronea convinzione della non sussistenza di un precedente diritto», e doveva dunque essere annullato.
Nell’atto di appello il RAGIONE_SOCIALE deduceva il difetto di giurisdizione del giudice ordinario per essere la controversia devoluta alla cognizione del giudice amministrativo.
Si costituiva l’appellata NOME COGNOME eccependo l’inammissibilità dell’appello ai sensi degli articoli 113,339 e 342 c.p.c., nonché l’infondatezza nel merito delle censure dell’appellante.
Il tribunale di Cassino accoglieva l’appello proposto dal RAGIONE_SOCIALE, annullava la sentenza del giudice di pace e dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, per essere la controversia devoluta alla cognizione del giudice amministrativo.
Infatti, il giudice d’appello rilevava che era fondata l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, chiarendo che «tale motivo è senz’altro ammissibile sia perché articolato in modo specifico sia in virtù di quanto disposto all’ultimo comma dell’art. 339 c.p.c., giusta il quale l’appello è sempre proponibile ‘per la violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia’».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME.
Ha resistito con controricorso il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto «quali gli articoli 113, 2º comma, c.p.c., 339, 3º comma, c.p.c., e, 360 c.p.c., in correlativo richiamo, per pari conseguente violazione, con gli articoli 112 c.p.c. ed articoli 348bis e 348ter c.p.c., in quanto la sentenza di primo grado avrebbe dovuto, per l’esiguità del valore della lite e per la sua natura di decisione di equità di legge, essere impugnata, o direttamente per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., ovvero, per l’appello di cui alla tassatività dei motivi previsti di cui all’art. 339, 3º comma, c.p.c.».
Per la ricorrente, invece, il giudice di secondo grado a fronte delle violazioni espresse di legge «incorse nell’appello», ai sensi degli
articoli 113, secondo comma, c.p.c. e 339, terzo comma, c.p.c., «rilevate esaustivamente con le richieste di inammissibilità di cui alla memoria dell’istante, nulla decide, omettendone qualsiasi apprezzamento».
Il giudice d’appello avrebbe dovuto pronunziarsi, preliminarmente, sui motivi di inammissibilità, incardinando «il (sub) procedimento di cui agli articoli 348bis e 348ter c.p.c., ovvero «per mancanza di ragionevole probabilità di essere accolta».
Pertanto, «mancando l’applicazione doverosa di tale filtro in conseguenza delle richieste formulate dall’appellata, il giudice di secondo grado ha palesemente violato la disciplina di cui all’art. 112 c.p.c. omettendo ingiustificatamente di pronunziarsi su quelle. Né il giudice d’appello ha rilevato il mancato ricorso per cassazione per il c.d. omisso medio »
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della «violazione e/o falsa applicazione per violazione dell’art. 342, primo comma, c.p.c., e, con relativa violazione degli articoli 342, 348bis e 348ter c.p.c., laddove nonostante la richiesta di inammissibilità proposta sull’avversa mancanza di indicazioni dei motivi, il giudice, omette di applicarvi il filtro di cui agli articoli sopra richiamati, ebbene, omette di pronunciare sulla domanda, senza alcuna giustificazione».
Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta «il difetto di extra petita ovvero violazione dei principi di diritto di cui agli articoli 339 seguenti c.p.c., laddove mancando i motivi di appello, nonostante il rilievo dell’istante, il giudice di secondo grado, decide sul merito, arbitrariamente e senza alcuna doverosa corrispondenza con legittimi motivi».
I motivi, che possono essere trattati congiuntamente per ragioni di stretta connessione, sono in parte inammissibili e in parte infondati.
4.1. L’inammissibilità consegue dal fatto che il ricorso per cassazione ed i tre distinti motivi non sono autosufficienti, in quanto la ricorrente non riporta, neppure per stralcio, il contenuto degli atti processuali, soprattutto quanto articolato nell’atto di appello avverso la sentenza del giudice di pace, non consentendo a questa Corte di comprendere l’effettiva portata del gravame.
I motivi sono anche infondati.
Invero, la controversia va qualificata come avente ad oggetto profili di equità necessaria ai sensi dell’art. 113, secondo comma, c.p.c., in base al quale «il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede euro 1100, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’art. 1342 del codice civile».
Il potere di decidere secondo equità è previsto in due casi: oltre a quello di cui al secondo comma dell’art. 113 c.p.c., esclusivamente attribuito al giudice di pace e per il quale è usuale la denominazione di «giudizio necessario di equità», in quanto imposto dal legislatore, vi è anche l’ipotesi contemplata dal successivo art. 114 c.p.c., la quale, presupponendo una concorde richiesta delle parti, dà invece luogo al giudizio di equità facoltativo (o «concordato»).
L’art. 339 c.p.c., nella formulazione anteriore al d.lgs. n. 40 del 2006, prevedeva l’inappellabilità delle sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità («sono inappellabili le sentenze del giudice di pace pronunziate secondo equità»).
Di conseguenza, in quanto «sentenze pronunciate in unico grado» esse erano assoggettate esclusivamente al rimedio del ricorso in cassazione (Cass., 19 gennaio 2005, n. 1080).
L’esclusione dell’appello era stata giustificata sia da esigenze di economia processuale, sia dall’inopportunità di assoggettare ad un riesame di merito decisioni rese sulla base di un giudizio connotato da «unicità» e «irripetibilità» quale quello di equità. Tuttavia, la scelta di rendere appellabili sentenze di equità del giudice di pace (sia pur per motivi di impugnazione predeterminati), era stata dettata dalla finalità di alleggerire il carico della Corte di cassazione in ordine alla «giustizia minore», ponendo un filtro all’accesso alla Corte di legittimità, in relazione alle controversie di modesto valore economico.
8. Di qui la scelta del legislatore di cui al d.lgs. n. 40 del 2006, che ha modificato l’art. 339, terzo comma, c.p.c., prevedendo un appello a «critica vincolata» per le sentenze pronunciate dal giudice di pace secondo equità.
Pertanto, si è previsto che «le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità a norma dell’art. 113, secondo comma, sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia».
Pertanto, l’unico rimedio impugnatorio ordinario ammesso avverso le sentenze emesse dal giudice di pace nell’ambito della sua giurisdizione equitativa necessaria (art. 113, secondo comma, c.p.c.) è rappresentato dall’appello a motivi limitati, ex art. 339, terzo comma, c.p.c., nel testo novellato dal d.lgs. n. 40 del 2006, e ciò anche in relazione a motivi attinenti alla giurisdizione, alla violazione di norme sulla competenza e al difetto di motivazione, essendo le stesse ricorribile per cassazione solo in caso di accordo tra le parti per omettere l’appello, ex art. 360, secondo comma, c.p.c., ovvero di pronuncia secondo equità su concorde richiesta delle parti medesime, ex art. 114 c.p.c. (Cass., sez. 6-3, 16 novembre 2021,
n. 34524; Cass., sez. 6-1, 17 novembre 2017, n. 27356; Cass., sez. 2, 15 gennaio 2024, n. 1517, in motivazione, con riferimento alle sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità ai sensi dell’art. 113, secondo comma c.p.c.).
La riforma dell’art. 339, terzo comma, c.p.c., ha dunque recepito i suggerimenti della Corte costituzionale (sentenza n. 206 del 200), con la quale si è statuito che il giudice di pace, quando decide secondo equità, deve rispettare le norme processuali (ossia unicamente le regole che presidiano lo svolgimento del giudizio di cognizione davanti al giudice di pace; Cass., sez. 3, 27 ottobre 2022, n. 31830), costituzionali e comunitarie (Cass., sez. 2, 15 gennaio 2024, n. 1517, in motivazione, ove si richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 206 del 2004).
9. Per questa Corte, dunque, il ricorso per cassazione è ammesso avverso le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado (art. 360, primo comma, c.p.c.), mentre la sentenza impugnata dal giudice di pace, emessa successivamente al d.lgs. n. 40 del 2006, è appellabile, ai sensi dell’art. 339 c.p.c., nei casi tassativamente previsti da tale norma, trattandosi di appello «a critica vincolata».
A seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 40 del 2006, le sentenze del giudice di pace pubblicate a partire dal 3 marzo 2006 sono ricorribili per cassazione solo in due ipotesi (nessuna delle quali qui ricorrente): se le parti sono d’accordo per omettere l’appello, in base alla previsione generale di cui all’art. 360, secondo comma, c.p.c.; se il giudice di pace ha pronunciato secondo equità su concorde richiesta delle parti ex art. 114 c.p.c. (Cass., sez. 6-2, 31 luglio 2017, n. 19050; anche Cass., sez. 6-3, 18 gennaio 2018, n. 1213).
10. Poiché la sentenza del giudice di pace di Roma è stata emessa il 5 ottobre 2016, trova applicazione l’art. 339, terzo comma, c.p.c.,
nella formulazione seguita al d.lgs. n. 40 del 2006, essendo dunque inammissibile il ricorso per cassazione, e dovendosi invece impugnare la decisione con l’appello a «critica vincolata» di cui all’art. 339 c.p.c.
11. Per tale ragione, erra la ricorrente quando reputa che «il giudice di secondo grado, a fronte delle violazioni espresse di legge incorsa nell’appello, ai sensi degli articoli 113, secondo comma, c.p.c. e 339, terzo comma, c.p.c., rilevate esaustivamente con le richieste di inammissibilità di cui alla memoria dell’istante, nulla decide, omettendone qualsiasi apprezzamento», mentre «la sentenza di primo grado avrebbe dovuto, per l’esiguità del valore della lite e per la sua natura di decisione di guida di legge, essere impugnata, o, direttamente per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., ovvero, per l’appello di cui alla tassatività dei motivi previsti di quell’art. 339, comma terzo, c.p.c.».
Del tutto correttamente, il giudice d’appello ha superato l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla COGNOME, in quanto nell’atto di appello del RAGIONE_SOCIALE era stato dedotto il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
Per questa Corte, infatti, riguardo alle sentenze pronunciate dal giudice di pace nell’ambito della sua giurisdizione equitativa necessaria, l’appello a motivi limitati, previsto dall’art. 339, comma 3, c.p.c., è l’unico rimedio impugnatorio ordinario ammesso, anche in relazione a motivi attinenti alla giurisdizione, alla violazione di norme sulla competenza ed al difetto radicale di motivazione (Cass., sez. 6-3, 16 novembre 2021, n. 34524).
Inoltre, quanto alla mancata pronuncia del giudice d’appello sui motivi di inammissibilità del gravame, in pretesa violazione dell’art. 112 c.p.c., in realtà il tribunale, in sede di appello, affrontando la
questione di giurisdizione, ha ritenuto superate le doglianze di cui all’art. 348bis c.p.c.
Qualora infatti il giudice d’appello avesse ritenuto fondata l’eccezione di inammissibilità, e segnatamente ove avesse ritenuto che l’impugnazione era inammissibile perché non aveva «una ragionevole probabilità di essere accolta», avrebbe seguito il procedimento di cui all’art. 348ter c.p.c., provvedendo all’audizione delle parti all’udienza di cui all’art. 350 c.p.c., prima di procedere alla trattazione.
È evidente che, reputando sussistente il difetto di giurisdizione, l’impugnazione aveva una ragionevole probabilità di essere accolta, tanto che il giudice d’appello non ha seguito il procedimento di cui all’art. 348ter , primo comma, c.p.c. («all’udienza di cui all’art. 350 il giudice, prima di procedere alla trattazione, sentite le parti, dichiara inammissibile l’appello, a norma dell’art. 348bis , primo comma, con ordinanza succintamente motivata»).
Il tribunale, peraltro, dichiarando il difetto di giurisdizione, ha anche superato implicitamente l’eccezione di inammissibilità dell’appello per assenza dei motivi (motivi di appello che non sono stati trascritti neppure per stralcio e neppure indicati in modo sintetico, nonostante il giudice di appello avesse affermato che il motivo sul difetto di giurisdizione era stato «articolato in modo specifico»).
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico della ricorrente e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore del controricorrente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi euro 300,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, oltre Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23 maggio