Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8011 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 8011 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 23798-2021 proposto da:
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, (già MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME
Oggetto
Mansioni pubblico impiego
R.G.N. 23798/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 19/02/2025
CC
COGNOME COGNOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME, NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME tutti elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende;
– controricorrenti –
nonché contro
ANNUNZIATA COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME GENOVESI COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME
– intimati –
avverso la sentenza n. 1154/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 24/03/2021 R.G.N. 4166/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/02/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE:
con ricorso proposto dinanzi al Tribunale di Roma i lavoratori in epigrafe, premesso di essere in possesso di dottorato di ricerca e di essere attualmente inseriti nella terza fascia della graduatoria di circolo e di istituto, lamentavano che, a seguito del d.m. n. 353 del 2014, era stata loro preclusa la possibilità di presentare domanda di inserimento nelle graduatorie di seconda fascia e chiedevano -e ottenevano con sentenza d ell’adito T ribunale – si ordinasse all’amministrazione di inserirli in tale graduatoria;
contro
tale sentenza proponeva appello il MIUR il quale deduceva la violazione dell’art. 102 cod. proc. civ. , per mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dei docenti controinteressati che, per effetto del dictum giudiziale, avrebbero potuto essere scavalcati nella graduatoria di seconda fascia di circolo e di istituto con potenziale pregiudizio ai fini dell’ eventuale assunzione;
la Corte d’appello di Roma riteneva infondati i rilievi sull’integrazione del contraddittorio (poiché i docenti avevano chiesto solo l’iscrizione nella graduatoria e non impugnato la stessa e in mancanza di indicazione, da parte dell’amministrazione app ellante, dei nominativi dei litisconsorti pretermessi) e dichiarava inammissibile, per genericità, l’appello ai sensi dell’art. 434 cod. proc. civ., condanna ndo il MIUR alla rifusione delle spese processuali;
contro
detta statuizione ha proposto ricorso per Cassazione il MIUR affidato a tre motivi, cui si sono opposti i lavoratori in epigrafe con controricorso assistito da memoria.
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo 102 cod. proc. civ., in relazione all’articolo 360 n. 3 cod. proc. civ., per la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari;
secondo il MIUR v ‘ era l’obbligo di integrare il contraddittorio nei confronti dei docenti controinteressati che finirebbero, altrimenti, per essere scavalcati in graduatoria con pregiudizio ai fini della chiamata all’insegnamento;
l’inserimento dei lavoratori nella seconda fascia delle graduatorie d’istituto del personale docente per la provincia di Roma comporta , infatti, la variazione di posizione di un numero cospicuo di aspiranti sia della terza che della seconda fascia delle graduatorie medesime;
non è vero, poi, quanto affermato dal giudice d’appello che il MIUR non avesse indicato i litisconsorti pretermessi, essendo stata tale indicazione fornita per relationem con riferimento a coloro che erano presenti nelle stesse graduatorie d’istituto della provincia di Roma;
con il secondo motivo si denuncia error in procedendo e « violazione dell’articolo 434 cod. proc. civ., ai sensi dell’articolo 360 n. 3 cod. proc. civ.»;
in particolare, il MIUR contesta l’affermazione di genericità dell’appello il quale, a suo avviso, ‘ attaccava ‘ specificamente la ratio decidendi della sentenza di primo grado in ordine alla ritenuta incoerenza dell’ordinamento amministrativo della scuola rispetto alla normativa comunitaria (la direttiva 2005/36 non escludendo, infatti,
la previsione di ulteriori condizioni per l’accesso all’insegnamento) e alla normativa nazionale che disciplina il dottorato di ricerca (titolo orientato non già alla attività di docenza ma primariamente a quella di ricerca);
con il terzo (ed ultimo) motivo si denuncia (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) violazione e falsa applicazione dell’articolo 91 cod. proc. civ., per avere il giudice d’appello, a seguito della declaratoria di inammissibilità del gravame, liquidato in misura irragionevole ed eccessiva, non esente da connotazione sanzionatoria, le spese di lite che avrebbero dovuto, viceversa, essere compensate;
in ordine logico va esaminato con priorità il secondo motivo di ricorso che censura l’apprezzamento di globale inammissibilità del gravame che è condensato nel dispositivo di sentenza: vale, infatti, richiamare in limine l’indirizzo di questa Corte secondo cui, ove sussistano cause che impongono di disattendere il ricorso, si è esentati, in applicazione del principio della ‘ragione più liquida’, dall’esaminare le questioni processuali concernenti la regolarità del contraddittorio o quelle che riguardano l’e sercizio di attività defensionali delle parti poiché, se anche i relativi adempimenti fossero necessari, la loro effettuazione sarebbe ininfluente e lesiva del principio della ragionevole durata del processo» (Cass. 18 aprile 2019, n. 10839; v. anche Cass. 11 marzo 2020, n. 6924);
4.1 senonché, tale (secondo) motivo di ricorso è fondato;
come noto, in caso di error in procedendo questa Corte è anche “giudice del fatto”, con la possibilità di accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito; invero le Sezioni Unite della Cassazione hanno statuito che, nei casi di vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, il giudice di legittimità, non dovendo limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità
della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, «è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda» (Cass. SS. UU. n. 8077 del 2012);
4.2 ciò posto, il primo passaggio dell’appello (punto 2, motivo III) richiamato dal MIUR nel suo ricorso per cassazione in ordine al censurato (supposto) contrasto tra ordinamento della scuola e disciplina comunitaria, trascritto per esteso ai fini dell’assolvimento degli oneri ex art. 366 n. 6 cod. proc. civ., è il seguente:
«Anzitutto appare corretto osservare come la normativa in epigrafe richiamata dal giudice a quo per legittimare l’equiparazione dei dottorati si è erroneamente applicata posto che viene utilizzata de plano per garantire ai ricorrenti un ‘ equipollenza che nessuna norma prevede senza considerare che l’accesso alla docenza può essere subordinato, come in effetti lo è, a requisiti ulteriori che nel caso di specie non sono riscontrabili negli odierni appellati. Giova a riguardo richiamare la giurisprudenza del Consiglio di Stato il quale ha affermato che «quanto, infine, al richiamo alla direttiva 2005/36/CE, come recepita dal decreto legislativo n. 206/2007, è risolutivo osservare come essa non abbia escluso che lo Stato membro possa subordinare l’accesso a una professione regolamentata al possesso di determinate qualifiche professionali (Cons. Stato, n. 2264 del 2018)»;
il secondo passaggio del gravame (pag. 5, punto 3, appello), anch’esso debitamente riportato e riguardante la seconda ratio decidendi della sentenza di primo grado sul presunto contrasto tra ordinamento della scuola e disciplina nazionale del dottorato di ricerca, è il seguente: «Il contenzioso per cui è causa, invece, afferisce all’inserimento nelle graduatorie di seconda fascia dei ricorrenti che
abbiano conseguito il dottorato di ricerca, al pari di quelli dotati dei titoli enucleati da ll’impugnato d.m. Se si osservano infatti i requisiti enucleati dalla disposizione regolamentare, si potrà facilmente rilevare come essi si riferiscano a titoli che esaltino una formazione orientata alla docenza. Al riguardo deve evidenziarsi che la frequenza e l’ottenimento del dottorato di ricerca non è primariamente orientato ad attività di docenza (ammessa dai singoli regolamenti di ateneo in misura residuale) ma piuttosto all’attività di ricerca (da intendersi come finalità primaria del corso dottorale) . A tal proposito si veda l’art. 4 della legge n. 210/1998 , il quale stabilisce che «I costi per il conseguimento del dottorato di ricerca forniscono le competenze necessarie per esercitare presso università enti pubblici o soggetti privati attività di ricerca di alta qualificazione» (sul dottorato di ricerca vedi anche il d.m. n. 270/2004, artt. 3 co. 8, e 6, co. 5-6-) »
4.3 pertanto, spiegando l’appello adeguatamente le ragioni per cui il dottorato di ricerca non è titolo per l’inserimento nella seconda fascia ma , piuttosto, attribuisce il diritto a partecipare ai concorsi, non può essere in questa sede condiviso il giudizio della Corte territoriale che ha ritenuto privo di specificità il gravame proprio in punto “di equipollenza del dottorato al titolo abilitante” a fronte di una deduzione – qui non conta verificare se fondata o meno nel merito – che affermava specificamente la non equiparabilità di detto titolo all’abilitazione professionale ai fini dell’iscrizione nelle graduatorie di fascia; ed è evidente che l’ ulteriore argomentazione della sentenza impugnata secondo cui «neppure risulta formulata una ricostruzione del quadro normativo del settore» non giova certo a supportare un epilogo in termini di inammissibilità del gravame, dovendo trovare applicazione il principio iura novit curia ;
4.4 già con riferimento al previgente testo degli artt. 434 cod. proc. civ., comma 1, e art. 342 cod. proc. civ., comma 1, sui requisiti di specificità dei motivi di impugnazione si sono contrapposti due orientamenti, uno più risalente e meno rigoroso, che considera sufficiente l’indicazione sommaria degli elementi che consentono di individuare i termini di fatto della controversia e delle ragioni per le quali è richiesta la riforma della sentenza (Cass. n. 11158 del 1995; Cass. n. 8181 del 1993, Cass. n. 16190 del 2004, Cass. n. 18674 del 2011), ed un secondo che sostiene invece che, perché sia valido, l’atto d’appello non deve soltanto consentire di individuare le statuizioni in concreto impugnate e i limiti dell’impugnazione, ma è indispensabile anche, pure quando la pronuncia di primo grado sia stata censurata nella sua interezza, che le ragioni su cui si fonda l’impugnazione siano formulate con un sufficiente grado di specificità e correlate con la motivazione della sentenza impugnata: con l’effetto che, se da un lato il grado di specificità dei motivi di appello non può essere previsto in via generale e assoluta, dall’altro lato esso richiede pur sempre che alle argomentazioni proprie della sentenza impugnata siano contrapposte le censure mosse dall’appellante, dirette a incrinarne il fondamento logico-giuridico (v. ex plurimis Cass. n. 5210 del 2003, Cass. n. 8926 del 2004, Cass. n. 967 del 2004, Cass. n. 11781 del 2005, Cass. n. 12984 del 2006, Cass. n. 9244 del 2007, e già Cass., S.U., n. 9628 del 1993, n. 9244 del 2007, Cass. n. 15166 del 2008, Cass. n. 25588 del 2010, Cass. S.U. n. 23299 del 2011, Cass. n. 1248 del 2013, Cass. n. 6978 del 2013);
4.5 anche a convenire con tale secondo rigoroso orientamento non par dubbio che nella specie, tenuto conto dei passaggi innanzi richiamati e trascurati dalla Corte territoriale, si era proposta dal MIUR
una critica adeguata e specifica della decisione impugnata, che consentiva al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice (cfr. Cass. n. 2814 del 2016; Cass. n. 25218 del 2011; Cass. SS.UU. n. 28057 del 2008, le quali ribadiscono che l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno del gravame, possono sostanziarsi finanche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado);
4.6 in proposito, occorre rammentare (come evidenziato da Cass. S.U. n. 5700 del 2014 e Cass. S.U. n. 9558 del 2014), che la Corte di Strasburgo afferma che le limitazioni all’accesso alla tutela giurisdizionale per motivi formali non devono pregiudicare l’intima essenza di tale diritto; in particolare tali limitazioni non sono compatibili con l’art. 6, comma 1 CEDU qualora esse non perseguano uno scopo legittimo, ovvero qualora non vi sia una ragionevole relazione di proporzionalità tra il mezzo impiegato e lo scopo perseguito (v. tra le altre Corte EDU Walchli c. Francia 26 luglio 2007, Faltejsek c. Repubblica Ceca 15 maggio 2008); la stessa Corte EDU ha poi affermato che il vincolo del rispetto del diritto ad un processo equo imposto dall’art. 6 comma 1 della CEDU si applica, si noti, anche ai provvedimenti di autorizzazione all’impugnazione (Corte EDU, Hansen c. Norvegia, 2 ottobre 2014, Dobric c. Serbia, 21 luglio 2011, punto 50);
4.6 anche sulla base di tali considerazioni questa Corte (Cass., Sez. L, n. 586 4 dell’8/3/2017) ha ritenuto che pure l’art. 434 cod. proc. civ., comma 1, nel testo introdotto dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. c) bis, conv. nella legge 7 agosto 2012, n. 134, in coerenza con il paradigma generale contestualmente introdotto nell’art. 342 cod. proc. civ., non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano
una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma, in ossequio ad una logica di razionalizzazione delle ragioni dell’impugnazione, è sufficiente che il ricorrente in appello individui in modo chiaro ed esauriente, sotto il profilo della latitudine devolutiva, il quantum appellatum e circoscriva l’ambito del giudizio di gravame, con riferimento non solo agli specifici capi della sentenza del Tribunale, ma anche ai passaggi argomentativi che li sorreggono (cfr. Cass. n. 2143 del 2015);
4.7 orbene, in presenza di tali presupposti, il motivo di ricorso va dunque accolto; la sentenza impugnata merita di essere, in parte qua, cassata;
il primo motivo è, invece, inammissibile;
lo è perché non prende adeguata posizione e comunque non contrasta validamente quel passaggio argomentativo della sentenza impugnata dove si afferma che la parte che assume il difetto di integrità del contraddittorio ha, in primis, l’onere di indicare quali siano i litisconsorti pretermessi;
trattasi di principio espresso più volte da questa Corte la quale ha ribadito che «la parte che deduce la non integrità del contraddittorio ha l’onere di indicare quali siano i litisconsorti pretermessi e di dimostrare i motivi per i quali è necessaria l’integrazione (Cass., Sez. L, n. 5679 del 2/3/2020, Cass., Sez. 2-, n. 17589 del 21/8/2020; cui adde Cass. 18 novembre 2013, n. 25810; Cass. 27 maggio 2009, n. 12346; Cass. 29 maggio 2007, n. 12504; Cass. 16 marzo 2006, n. 5880);
nel caso di specie, il Ministero non ha indicato chi sarebbero i controinteressati nei cui riguardi dovrebbe disporsi l’integrazione del contraddittorio ed ha solo genericamente ventilato il rischio -nel caso
di inserimento nella graduatoria dei controricorrenti -di un pregiudizio per altri «aspiranti sia di terza che di seconda fascia delle graduatorie medesime», senza concretizzarne l’effettività attraverso l’indicazione degli effetti che quel punteggio avrebbe avuto sulla graduatoria coinvolta, il che è insufficiente, per i principi appena espressi, a manifestare l’esistenza di un difetto processuale cui debba porsi rimedio;
si osserva poi come i dati predetti neppure emergano dagli atti del giudizio di legittimità, sicché non è neppure possibile procedere ad un rilievo officioso in proposito;
si consideri che lo stesso MIUR si limita a dire che tali ‘aspiranti’ sarebbero comunque identificabili per relationem con riferimento a una graduatoria della provincia di Roma ma richiama, a supporto di tale critica, (v. pag. 7, I cpv., ricorso per cassazione), il passaggio del motivo d’appello disatteso , in cui si afferma testualmente: «difatti, l’inserimento della parte ricorrente nella seconda fascia delle graduatorie di istituto del personale docente (peraltro neppure identificate) per la provincia di Roma comporterebbe la variazione di posizione di un numero cospicuo di aspiranti sia della terza che della seconda fascia delle graduatorie medesime»;
ebbene, se le graduatorie, per stessa ammissione del MIUR, non sono nella specie «neppure identificate» viene addirittura meno in radice la possibilità di effettuare la prospettata identificazione per relationem ;
il terzo motivo, che attiene alla pronuncia sulle spese, resta conseguentemente assorbito;
in conclusione, va accolto il secondo motivo di ricorso, dichiarato inammissibile il primo e assorbito il terzo; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese, alla
corte d’appello di Roma , quale giudice che avrebbe dovuto