Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 17657 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 17657 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/06/2025
RAGIONE_SOCIALE
-intimato – avverso la sentenza n. 3618/2023 del TRIBUNALE DI CATANIA, depositata il giorno 11 settembre 2023; udita la relazione svolta nella camera di consiglio tenuta il giorno 14
maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE quale società di gestione dell’Ambito Territoriale Ottimale (A.T.O.) ‘Catania 3’, emise, ai sensi dell’art. 50 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, intimazione ad adempiere nei
OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE SENTENZA GIUDICE COGNOME IN CAUSA INFERIORE A 1.100 EURO IN MATERIA DI TIA -APPELLABILITA’
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2625/2024 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’ Avv. NOME COGNOME e dall’ Avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
confronti della RAGIONE_SOCIALE per il pagamento della complessiva somma di euro 709,47, a titolo di T.I.A. (tariffa igiene ambientale) per l’anno 2012 in relazione ad immobili siti nel Comune di Paternò.
Avverso detta intimazione la società intimata dispiegò opposizione, deducendo, in sintesi, l’omessa notificazione di atti prodromici e l’estinzione della pretesa per decorso del termine di prescrizione.
Con sentenza n. 117/2022 depositata il 29 luglio 2022, l’adito Giudice di pace di Paternò, ricondotta l’azione nell’alveo dell’art. 615 cod. proc. civ. e ritenuta la propria giurisdizione, accolse l’opposizione ed annullò l’atto impugnato, sul rilievo della mancanza di prova della notifica di atti interruttivi nel termine quinquennale di prescrizione.
La decisione in epigrafe indicata ha dichiarato inammissibile l’appello interposto dalla RAGIONE_SOCIALE
A tal fine, e per quanto s’interesse, il Tribunale etneo ha:
(i) ritenuto la sentenza di prime cure, resa in controversia di valore inferiore ad euro 1.100, pronunciata secondo equità;
(ii) rilevato che a suffragio dell’appello non era stata dedotta alcuna violazione di norme sul procedimento, di norme costituzionali o comunitarie né dei principi regolatori della materia;
(iii) esclusa la sussistenza tra le parti di un contratto concluso « mediante la sottoscrizione di moduli o formulari, predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti » e quindi negata l’applicabilità dell’art. 113, secondo comma, cod. proc. civ.;
(iv) negato che il rapporto giuridico tra i litiganti fosse attinente a diritti indisponibili, osservando che « la tariffa d’igiene ambientale riveste natura patrimoniale e costituisce un diritto disponibile ».
Ricorre per cassazione RAGIONE_SOCIALE affidandosi a quattro motivi, illustrati da memoria.
Non svolge difese in grado di legittimità parte intimata.
All ‘odierna adunanza camerale, per la quale il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte, il Collegio si è riservato il deposito della ordinanza nel termine di cui al secondo comma dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è articolato in quattro motivi, tutti tesi a censurare la impugnata declaratoria di inammissibilità dell’appello.
1.1. Il primo, per violazione dell’art. 113 cod. proc. civ., assume che la sentenza di prime cure non integrava pronuncia secondo equità, in quanto concernente un rapporto giuridico relativo a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’art. 1342 del codice civile .
Posta la natura corrispettiva (e non di tributo) della T.I.A., parte ricorrente sostiene che, pur mancando nella specie un vero e proprio contratto, il r egolamento per l’espletamento del servizio di igiene urbana costituisca proposta delle prestazioni di raccolta e conferimento del rifiuto, sinallagmaticamente correlate all’obbligazione pecuniaria a carico dei contribuenti/utenti: conseguentemente, poiché il rapporto è sottoposto ad una regolamentazione uniforme imposta dal Comune all’adesione dell’utente , si realizza uno schema, che replica in tutto la previsione ex art. 1342 cod. civ. e che è quindi in essa sussumibile, se non altro in via analogica.
1.2. Il secondo motivo , per violazione dell’art. 339, terzo comma, cod. proc. civ., rappresenta di avere, a suffragio dell’appello, formulato plurime censure di errores in procedendo , nonché di violazione dei princìpi regolatori della materia, tra cui l’inosservanza del principio di libera valutazione delle prove di cui all’art. 116 cod. proc. civ..
1.3. Il terzo motivo, per violazione dell’art. 114 cod. proc. civ., deduce che il rapporto giuridico controverso è relativo a diritti indisponibili (come tale preclusivo di pronuncia secondo equità), in
quanto avente ad oggetto il diritto del Comune di percepire dall’utente il corrispettivo per il servizio di igiene ambientale.
1.4. Il quarto motivo denuncia, infine, per violazione dell’art. 132, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per motivazione apparente.
Priorità logica impone innanzitutto il vaglio del terzo motivo di ricorso, il quale è fondato, nei sensi in appresso puntualizzati.
2.1. La sua disamina postula brevi considerazioni sistematiche sulla tariffa o tributo comunale, destinato alla copertura dei costi relativi alla gestione dei rifiuti urbani in Italia.
In subiecta materia , si sono succedute nel tempo differenti discipline: dapprima, il d.lgs. 15/11/1993, n. 507 ha istituito la Tassa per lo Smaltimento dei Rifiuti Solidi Urbani (c.d. TARSU); poi, il d. lgs. 05/02/1997, 22 (c.d. «decreto Ronchi») ha istituito la Tariffa di Igiene Ambientale (c.d. TIA1); quindi, il d.lgs. 03/04/2006, n. 152 (cd. «Codice dell ‘ Ambiente»), ha istituito la Tariffa Integrata Ambientale (c.d. TIA 2); ancora, il d.l. 06/12/2011, n. 2011 (convertito nella legge 22 dicembre 2011, n. 214), ha istituito il Tributo Comunale sui Rifiuti e sui Servizi (c.d. TARES); ed infine, la legge 27/12/2013, n. 147 ha istituito la Tassa sui Rifiuti (c.d. TARI), che è attualmente in vigore.
In sintesi, TARSU, TIA1, TIA2, TARES e TARI rappresentano fasi evolutive della normativa italiana riguardante la tariffazione/tassazione dei rifiuti urbani, con cambiamenti significativi nella loro natura giuridica (da tributo a corrispettivo) e nella disciplina applicabile (in particolare per quanto riguarda l’IVA e la giurisdizione competente in caso di controversie).
In particolare, la tariffa d’igiene ambientale (c.d. TIA 1), disciplinata dall’art. 49, comma 14, del d.lgs. n. 22 del 1997, nonché dall’art. 7, comma 2, del d.P.R. 27/04/1999, n. 158, si distingue dalla tariffa
integrata ambientale (c.d. TIA2), disciplinata dall’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006.
Alla c.d. TIA1, infatti, la giurisprudenza (sulla scorta della sentenza della Corte costituzionale del 24/07/2009, n. 238) ha riconosciuto, a dispetto del nomen tariffa, la natura di vero e proprio tributo.
Elemento dirimente, a tal fine, era il presupposto della TIA1, individuato dalla legge nella semplice occupazione o detenzione di aree scoperte o locali a qualunque uso adibiti: con la conseguenza che era illegittima l’applicazione dell’Iva, non potendosi applicare un’imposta su una tassa.
Quanto invece alla TIA 2, questa Corte, nella sua veste più tipica di organo della nomofilachia, hanno chiarito la tariffa, di cui all’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006, come interpretata dall’art. 14, comma 33, del d.l. 31/05/2010 (convertito nella legge 30/07/2010, n. 122), ha natura contrattuale, ed è pertanto soggetta ad IVA ai sensi degli artt. 1, 3, 4, commi 2 e 3, del d.P.R. 26/10/1972, n. 633 (così Cass., SEz. U, 07/05/2020, nn. 8631-8632).
Sul solco tracciato dalle Sezioni Unite si è posta la successiva giurisprudenza di legittimità.
Così, ad esempio, Cass. 01/06/2021, n. 15288/2021, nel ribadire la natura contrattualistica della TIA 2, ha precisato che i servizi erogati e il corrispettivo, pagato per essi, costituiscono due quote di un rapporto composto da una prestazione e una controprestazione, che legittima il pagamento dell’Iva. In tale contesto, è stato sottolineato che il legislatore ha legittimamente interpretato la disciplina della c.d. TIA 2, dettata dall’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006, per impedire che tra le possibili varianti di senso si potesse propendere per la natura tributaria della tariffa, come, invece, era avvenuto, in epoca appena precedente, per la c.d. TIA 1.
2.2. Orbene, il pagamento della TARSU, della TIA1, della TIA2, della TARES e della TARI – a prescindere dalla loro natura giuridica – è obbligatorio per legge, atteso che il citato art. 3 del d.P.R. n. 633/1972, come interpretato da consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. 23/05/2018, n. 12744; Cass. 21/06/2018, n. 16332; Cass. 19/02/2019, n. 4876; Cass. 29/05/2019, n. 14753; Cass. 07/06/2019, n. 15529 e Cass. 06/08/2019, n. 20972), prevede che «le prestazioni verso corrispettiv o dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere» costituiscono prestazioni di servizi, «quale ne sia la fonte».
Si tratta, in altri termini, di prestazioni patrimoniale imposte, che altro non sono che ‘ imposizioni in senso sostanziale ‘ (o ‘ imposizioni di fatto ‘), in cui, nonostante l’eventuale fonte contrattuale, il corrispettivo è fissato unilateralmente ed in via autoritativa e al privato è rimessa soltanto la libertà (astratta) di richiedere la prestazione o il bene essenziale oppure rinunziarvi.
Occorre qui precisare che la nozione di «prestazione patrimoniale imposta» è più ampia di quella di «tributo», in quanto abbraccia non soltanto le prestazioni imposte con atto autoritativo (c.d. imposizioni in senso formale), ma anche obbligazioni, assunte contrattualmente, nelle quali – vuoi per la presenza di monopoli fiscali (con conseguente fissazione di corrispettivi estranei alla logica di mercato nonostante la natura negoziale del rapporto), vuoi perché la determinazione del quantum debeatur (dunque, la parte della disciplina che provoca la decurtazione patrimoniale) è comunque frutto di determinazioni autoritative – il privato, in considerazione della particolare natura del bene o del servizio di cui ha bisogno (nella specie, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti), partecipa in modo solo apparentemente libero o volontario alla formazione dell’obbligazione, trovandosi in realtà in
una particolare situazione di condizionamento o di sostanziale coazione.
2.3. Tanto premesso, tra la società che gestisce il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti ed il singolo utente, che di tale servizio usufruisce, non intercorre in senso stretto un rapporto la cui fonte è ravvisabile nella volontà contrattuale pienamente libera delle parti, tanto che la legge non dà alcun sostanziale rilievo, genetico o funzionale, alla volontà delle parti nel rapporto tra gestore ed utente del servizio.
Invero, i servizi concernenti lo smaltimento dei rifiuti sono istituiti obbligatoriamente dai Comuni, che li gestiscono sulla base di una disciplina regolamentare da essi stessa unilateralmente fissata, con la previsione di un importo autoritativamente determinato allo scopo di ripartire le pubbliche spese necessarie a garantirli.
Il rapporto che si instaura – essendo relativo alla fornitura di un pubblico servizio – scaturisce, dunque, da un atto predisposto e disciplinato in maniera unilaterale da parte dell’ente senza possibilità alcuna di apportare modifiche da parte dell’utente , in capo al quale, quando si verifica il presupposto del prelievo coattivo, sorge l’obbligo della prestazione patrimoniale che è sinallagmaticamente correlata a quella dell’erogazione del servizio.
Per quanto qui rileva, dunque, la TIA2 integra, ad un tempo, prestazione patrimoniale di natura privatistica, ma anche importo comunque dovuto e, dunque, ‘ imposto ‘, semplicemente in ragione del possesso e della detenzione di locali o aree atti alla produzione di ‘ rifiuti urbani ‘, normativamente e ragionevolmente parametrata ad una soltanto presuntiva e potenziale produzione di rifiuti, essendo commisurata ‘ alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte ‘ (art. 238, comma 2, d.lgs. n. 152/2006). Tale importo,
Cons. est. NOME COGNOME
costituito da una quota fissa, relativa alla sussistenza del servizio, e da una quota variabile, relativa alla produzione di rifiuti presuntiva di ciascuna singola utenza, è, dunque, obbligatorio, come pure evidenziato dalle citate pronunce nn. 8631-8632 di questa Corte, in quanto volto a garantire la completa copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani.
Ne consegue che il rapporto sinallagmatico, sottostante al pagamento della TIA2, attiene a diritti indisponibili, in considerazione dell’indisponibilità del diritto del Comune al conseguimento (irrinunciabile, una volta emanato il regolamento che lo preveda) del corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti; indisponibilità che discende direttamente dalle finalità di pubblico interesse perseguite dall’Amministrazione e che non è per nulla elisa dalla possibilità di una riduzione o revisione in sede di conciliazione, tanto riguardando la facoltà dell’ente percettore, conferitagli appunto in ragione del pubblico interesse alla sua percezione in misura corretta, di autodeterminarsi in ordine all’entità della prestazione di esigere.
2.4. Proprio l’indisponibilità del diritto impone di escludere che il Giudice di pace si sia pronunciato secondo equità.
In base ad un orientamento che può dirsi consolidato, infatti, la regola del giudizio equitativo non è, invero, compatibile con il carattere indisponibile delle situazioni dedotte in causa, dovendo la disposizione dell’art. 113, secondo comma, cod. proc. c iv. essere letta in correlazione con quella del successivo art. 114 cod. proc. civ., secondo cui in tanto il merito della causa è deciso secondo equità in quanto esso riguardi diritti disponibili delle parti che ne facciano concorde richiesta (Cass. 22/03/2007, n. 6990; Cass. 12/06/2002, n. 8375).
Si è, al riguardo precisato che « la circostanza che la prima norma concerne tutte le cause di competenza del giudice di pace il cui valore
non eccede i due milioni di lire e la seconda solo quelle di valore superiore per le quali il giudizio equitativo sia stato domandato, non giustifica una conclusione restrittiva, giacché se la ratio della prevista richiesta delle parti per le cause di valore superiore sta nella finalità di evitare che le regole di diritto possano essere disapplicate in controversie con più rilevanti implicazioni economiche, ed è dunque esclusiva di tali cause, la ratio del limite costituito dalla non indisponibilità del diritto non è in alcun modo collegata alle conseguenze economiche della decisione, ma alle ragioni della indisponibilità, quali che esse siano. È, dunque, indipendente dal valore della causa ed assume identica valenza in entrambe le ipotesi ›› (così la citata Cass. n. 8375 del 2002).
Questa Corte reputa prioritaria, in difetto di evidenti ragioni che militino per una sua rimeditazione o perfino per un suo superamento, l’opportunità di non mutare un orientamento in materia processuale (ove di grande pregnanza è l’esigenza di affidamento nella stabilità delle interpretazioni) che può dirsi consolidato, poiché non contraddetto da tempo, ma soprattutto che garantisce una più piena estrinsecazione del diritto di difesa (consentendo un’impugnazione di merito assai ampia) quando sono coinvolti diritti indisponibili.
Va, pertanto, data continuità al principio di diritto, già affermato da Cass. 25/08/2014, n. 18184 e, ancor prima, da Cass. 29/09/2004, n. 19531 e, di recente, ribadito da Cass. 04/03/2025, n. 5782, secondo il quale non può essere decisa dal Giudice di pace secondo equità una causa che, pur rientrando nei limiti della sua competenza per valore, abbia ad oggetto il diritto di una delle parti di percepire dall’altra l’importo corrispondente ad una prestazione per legge dovuta, quello dovendo qualificarsi indisponibile.
2.5. Ha, in definitiva, errato il Tribunale di Catania a ritenere inammissibile l’appello proposto dall’ odierna ricorrente: difatti, la
sentenza del Giudice di pace che decide con riguardo ad intimazione di pagamento relativa al pagamento della TIA2, riguardando un diritto indisponibile del Comune, deve intendersi pronunciata secondo diritto, indipendentemente dal valore della controversia ed è, pertanto, appellabile senza che operino i limiti di cui all’art. 339, ultimo comma, cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis successivo alla modifica introdotta dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40.
2.6. Va, in conclusione, enunciato il seguente principio di diritto: «in tema di tariffa integrata ambientale disciplinata dall’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006 (cosiddetta TIA 2), l’intimazione di pagamento, avente ad oggetto il diritto di una delle parti di percepire dall’altra l’importo corrispondente ad una prestazione dovuta per legge, ha ad oggetto una prestazione patrimoniale imposta e riguarda, pertanto, un diritto indisponibile. Pertanto, la sentenza del Giudice di pace, che decide su detta intimazione, deve intendersi pronunciata secondo diritto, indipendentemente dal valore della controversia; ed è appellabile senza che operino i limiti di cui all’art. 339, ultimo comma, cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis, successivo alla modifica introdotta dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40».
L’accoglimento del terzo motivo consente di dichiarare assorbiti il primo ed il secondo motivo.
Il quarto motivo di ricorso è infondato.
Sul punto, occorre ribadire che, come ormai da un decennio precisato da questa Corte (Cass., Sez. U, 05/08/2016, n. 16599; Cass., Sez U, 03/11/2016, n. 22232), il vizio di motivazione meramente apparente ricorre allorquando il giudice della sentenza impugnata, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto, omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decis ione, di specificare ed illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire sulla base di quali
argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata .
La motivazione è solo apparente (e, pertanto, la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo ) quando, benché graficamente esistente, non renda però percepibile il fondamento della decisione, siccome recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento.
Nulla di tutto questo si riscontra nel caso di specie.
Il Tribunale etneo, pur con motivazione sintetica, ha adeguatamente esplicitato il percorso argomentativo che lo ha condotto alla declaratoria d’inammissibilità dell’appello, rendendo in tal modo possibile il controllo sul ragionamento posto alla base del decisum .
Per tale ragione, la motivazione della sentenza impugnata, ponendosi sicuramente al di sopra del cd. ‘ minimo costituzionale ‘ non incappa affatto in una di quelle sole gravi anomalie argomentative rilevanti ai sensi del novellato art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ. (sul tema, basti qui rinviare alle pronunce gemelle di Cass., Sez. U, 07/04/2014, nn. 8053-8054).
In definitiva, la sentenza impugnata, in accoglimento del terzo motivo, assorbiti il primo ed il secondo e rigettato il quarto, va cassata con rinvio al Tribunale di Catania , quale giudice d’appello, in persona di diverso magistrato, per l’esame nel merito della controversia.
Al giudice del rinvio è altresì demandata la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il terzo motivo, dichiara assorbiti il primo ed il secondo e rigetta il quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia al
Tribunale di Catania, in persona di diverso magistrato, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione