Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20208 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 20208 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 17999/2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e domiciliata presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione;
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e domiciliata presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione;
-controricorrente-
nonché
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO, presso il quale è elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di L’RAGIONE_SOCIALE, n. 297/2023, pubblicata il 15 giugno 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME ha lavorato con la qualifica di Assistente tutelare IV livello con contratto di lavoro a tempo determinato prima e a tempo indeterminato poi quale dipendente della RAGIONE_SOCIALE, prestando sempre servizio presso l’RSA di Montereale.
Essa ha convenuto in giudizio l’RAGIONE_SOCIALE davanti al Tribunale di L’RAGIONE_SOCIALE, chiedendo di essere inquadrata come dipendente dell’RAGIONE_SOCIALE e la condanna di controparte al risarcimento del danno patito in quanto avrebbe svolto sempre le mansioni previste per la qualifica di Operatore Socio Sanitario, superiori a quelle di Assistente tutelare di IV livello.
Il Tribunale di L’RAGIONE_SOCIALE ha disposto l’integrazione del contradittorio nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 386/2016, ha accolto la domanda della ricorrente.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello che la Corte d’appello di L’RAGIONE_SOCIALE, nel contraddittorio con la sola lavoratrice, con sentenza n. 133/2018, ha accolto l’appello dell’RAGIONE_SOCIALE.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione.
La Corte di cassazione, con sentenza n. 23672/2022, ha rilevato che il giudizio di appello si era svolto in assenza della RAGIONE_SOCIALE, che era ormai divenuta litisconsorte necessario, e ha cassato la decisione impugnata con rinvio al giudice di appello.
NOME COGNOME ha riassunto il giudizio davanti alla Corte d’appello di L’RAGIONE_SOCIALE la quale, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 297/2003, ha rigettato l’originario appello dell’RAGIONE_SOCIALE.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE LRAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo.
NOME COGNOME si è difesa con controricorso.
RAGIONE_SOCIALE si è difesa con controricorso.
NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso parte ricorrente denuncia il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per «violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione alle seguenti norme: art. 29, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003; art. 20 d.lgs. n. 276 del 2003; art. 1655 c.c.».
La P.A. ricorrente contesta alla corte territoriale l’errore di avere qualificato l’appalto intercorso tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE «alla stregua di un appalto c.d. pesante» e di avere da ciò tratto la conclusione che non si fosse trattato di un appalto genuino, bensì di una illegittima somministrazione di manodopera.
Il ricorso è inammissibile, perché, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di norme di legge, mira ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice del merito e si risolve in una critica del ragionamento decisorio seguito dalla corte territoriale quanto agli accertamenti di fatto, sollecitandone una revisione, non consentita in sede di legittimità.
2.1) Non è affatto vero, in particolare, che la Corte d’Appello abbia qualificato l’appalto tra l’RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE «alla stregua di un
appalto c.d. pesante» e che la sua decisione sia dipesa da un siffatto errore di qualificazione. Al contrario, il giudice del rinvio, all’esito di una minuziosa disamina del materiale istruttorio disponibile, ha ritenuto insussistente «l’autonoma organizza zione del lavoro da parte della cooperativa, che deve caratterizzare tutti gli appalti genuini, anche quelli c.d. ‘leggeri’ o ‘ labour intensive ‘».
È dunque del tutto irrilevante l’assenza, nella sentenza impugnata, «di un’adeguata ed attenta attività di analisi valutativa e di conseguente adeguata esposizione argomentativa in ordine all’imprescindibile e propedeutico tema della corretta qualificazion e dell’appalto dedotto in giudizio (‘leggero’ o ‘pesante’), alla luce delle norme regolatrici». Infatti, la Corte d’Appello ha dato per assodato che si trattasse di un appalto c.d. leggero, ma ha ricordato che per la genuinità anche di questo tipo di appal to è richiesta un’autonoma organizzazione in capo all’appaltatore, con assunzione del relativo rischio d’impresa.
Il principio è corretto e del tutto conforme alla giurisprudenza di questa Corte di cassazione. La distinzione tra i due tipi di appalto rileva essenzialmente al fine di affermare che, nell’appalto c.d. leggero, non è indizio decisivo di illiceità il fatto che il personale dipendente dell’appaltatore utilizzi mezzi ed attrezzature messe a disposizione dal committente, « a condizione che comunque sussista l’apporto organizzativo dell’appaltatore, vale a dire quel quid pluris che fa della combinazione dei beni un complesso finalizzato al perseguimento del risultato oggetto dell’appalto » (Cass. n. 31128/2021; conf. Cass. n. 22989/2020 e 21413/2019, nonché, da ultimo, Cass. n. 10012/2024).
Del resto, l’art. 29, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003, nel definire il contratto di appalto (genuino) rispetto a quello di somministrazione di lavoro, disciplinato dai precedenti artt. 20-28 dello stesso decreto, richiama i due principali elementi che, ai sensi dell’art. 1655 c.c., caratterizzano il contratto d’appalto, ovverosia la permanenza in capo all’appaltatore dell’esercizio del potere direttivo e organizzativo nei confronti dei dipendenti e l’assunzione del rischio di impresa. Ed è appunto su qu esti aspetti che si è concentrato l’accertamento del fatto da
parte della Corte d’Appello di L’RAGIONE_SOCIALE, in sé stesso insindacabile in questa sede di legittimità.
2.2) Che la materia del contendere fosse concentrata sull’accertamento dei fatti e sulla valutazione delle prove e ciò fin dall’impugnazione contro la sentenza di primo grado – risulta evidente dalla stessa descrizione dello svolgimento del processo contenuta nel ricorso per cassazione, laddove si legge che «Nell’atto di gravame l’azienda appellante eccepiva la illogicità e la contraddittorietà della pronuncia di primo grado nella parte in cui il Tribunale … valutava erroneamente e superficialmente gli esiti istruttori e, in particolare, le deposizioni testimoniali».
2.3) È appena il caso di aggiungere – posto che la ricorrente non ne fa un motivo di ricorso, ma si limita a una generica lagnanza per quello che definisce un «inspiegabile contrasto» – che nessun limite alla cognizione del giudice del rinvio poteva derivare d al diverso esito dell’accertamento sul fatto nel precedente grado d’appello. Infatti, la relativa sentenza era stata cassata per difetto di integrità del contraddittorio, sancendone la nullità che imponeva la totale rinnovazione del giudizio di secondo grado.
2.4) Infine, si deve osservare che nessun contrasto sussiste tra la presente decisione e quella adottata, con riguardo al medesimo contratto d’appalto tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza di questa Corte n. 24572/2022.
Anche in quel caso, infatti, sono stati ribaditi i medesimi principi qui affermati: da un lato, che «l’utilizzazione da parte dell’appaltatore di attrezzature fornite dall’appaltante non implica l’illiceità dell’appalto ove il compimento dell’opera non ric hieda l’uso di attrezzature o macchinari notevoli, ma possa essere realizzato anche con l’uso di mezzi modesti, ferma restando la necessaria esistenza in capo all’appaltatrice di un’autonoma organizzazione con assunzione del relativo rischio di impresa »; d all’altro lato, che «una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice del merito … non consentita in sede di legittimità».
Pure in quella pronuncia sono stati applicati, dunque, i medesimi principi – sul piano sostanziale e processuale – e il diverso esito finale di quel processo deriva
soltanto alla difformità degli accertamenti di fatto svolti dal giudice del merito e dal tipo di censure proposte dai ricorrenti.
Dichiarato inammissibile il ricorso, le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, per quanto riguarda il rapporto tra la ricorrente e la lavoratrice.
Le spese devono invece essere compensate nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, che non può essere considerata parte vittoriosa, né soccombente, non avendo concluso per l’accoglimento o per il rigetto del ricorso, ma essendosi limitata a chiedere di «decidere la presente controversia secondo diritto e giustizia».
Si dà atto che, in base all’esito del giudizio, sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi de ll’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte,
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 3.500,00 per compensi, oltre a € 200,00 per esborsi, spese generali al 15% e accessori di legge;
compensa le spese nei confronti della controricorrente RAGIONE_SOCIALE;
ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della P.A. ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norm a dell’art. 13, comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto .
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV sezione civile, il 16 aprile