Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20200 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 20200 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 22/07/2024
1. La Corte d’Appello di L’ARAGIONE_SOCIALE , in esito al rinvio disposto da questa Corte con sentenza n. 23206/2022, ha confermato l’accoglimento della domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e volta a ottenere la volta a ottenere la condanna della convenuta al risarcimento del danno dal medesimo subito, previo accertamento della non genuinità del contratto d’appalto stipulato tra l’RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, alle cui dipendenze il lavoratore era stato assunto per svolgere mansioni di assistenza RAGIONE_SOCIALE non medica presso la RAGIONE_SOCIALE Montereale.
La domanda era stata inizialmente accolta in relazione al periodo 17.9.2008 in poi dal Tribunale di L’ARAGIONE_SOCIALE, in funzione di giudice del lavoro, che aveva condannato la RAGIONE_SOCIALE al pagamento di € 17.008,74 in linea capitale.
La sentenza di primo grado era stata poi riformata dalla Corte d’Appello di L’ARAGIONE_SOCIALE, con sentenza n. 110/2018, che venne tuttavia cassata, avendo questa Corte rilevato d’ufficio la mancata integrazione del contraddittorio in appello nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, che aveva partecipato al giudizio di primo grado in quanto chiamata in causa su ordine del giudice.
Riassunto il processo e integrato il contraddittorio, la Corte d’Appello di L’ARAGIONE_SOCIALE ha ritenuto corretta la decisione di primo grado e ha quindi confermato l’accertamento della non genuinità dell’appalto e la condanna dell’RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle differenze di retribuzione.
Contro la sentenza della Corte d’Appello in sede di rinvio RAGIONE_SOCIALE L’A RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a un unico motivo.
La lavoratrice e la RAGIONE_SOCIALE si sono difese con controricorso.
Entrambi i controricorrenti hanno depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
DIRITTO
1.Con l’unico motivo, il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 20 e 29, comma 1, del d. lgs. n. 276/2003, nonché dell’art. 1655 cod. civ.
La RAGIONE_SOCIALE contesta alla Corte territoriale l’errore di avere qualificato l’appalto intercorso tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE «alla stregua di un appalto c.d. ‘ pesante ‘ » e di avere da ciò tratto la conclusione che non si fosse trattato di un genuino appalto, bensì di una illegittima somministrazione di manodopera.
Il ricorso è inammissibile, perché, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di norme di legge, mira ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice del merito e si risolve in una critica del ragionamento decisorio seguito dalla Corte territoriale quanto agli accertamenti di fatto, sollecitandone una revisione, non consentita in sede di legittimità.
2.1. Non è affatto vero, in particolare, che la Corte d’Appello abbia qualificato l’appalto tra l’RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE «alla stregua di un appalto c.d. ‘ pesante ‘ » e che la sua decisione sia dipesa da un siffatto errore di qualificazione. Al contrario, il giudice del rinvio, all’esito di una
minuziosa disamina del materiale istruttorio disponibile, ha ritenuto insussistente «l’autonoma organizzazione del lavoro da parte della cooperativa, che deve caratterizzare tutti gli appalti genuini, anche quelli c.d. ‘leggeri’ o ‘ labour intensive ‘».
È dunque del tutto irrilevante l’assenza, nella sentenza impugnata , «di un’adeguata ed attenta attività di analisi valutativa e di conseguente adeguata esposizione argomentativa in ordine all’imprescindibile e propedeutico tema della corretta qualificazione dell’appalto dedotto in giudizio (‘leggero’ o ‘pesante’), alla l uce delle norme regolatrici». Infatti, la Corte d’Appello ha dato per assodato che si trattasse di un appalto c.d. leggero, ma ha ricordato che per la genuinità anche di questo tipo di appalto è richiesta un’autonoma organizzazione in capo all’appaltatore, con assunzione del relativo rischio d’impresa.
Il principio è corretto e del tutto conforme alla giurisprudenza di questa Corte. La distinzione tra i due tipi di appalto rileva essenzialmente al fine di affermare che, nell’appalto c.d. leggero, non è indizio decisivo di illiceità il fatto che il person ale dipendente dell’appaltatore utilizzi mezzi ed attrezzature messe a disposizione dal committente, ma « a condizione che comunque sussista l’apporto organizzativo dell’appaltatore, vale a dire quel quid pluris che fa della combinazione dei beni un complesso finalizzato al perseguimento del risultato oggetto dell’appalto » (Cass. n. 31128/2021; conf. Cass. n. 22989/2020 e 21413/2019, nonché, da ultimo, Cass. n. 10012/2024).
Del resto, l’art. 29, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003, nel definire il contratto di appalto (genuino) rispetto a quello di somministrazione di lavoro, disciplinato dai precedenti artt. 20-28 dello stesso decreto, richiama i due principali elementi che, ai sensi dell’art. 1655 c.c., caratterizzano il contratto d’appalto, ovverosia la permanenza in capo all’appaltatore dell’esercizio del potere direttivo e organizzativo nei confronti dei dipendenti e l’assunzione del rischio di impresa. Ed è appunto su questi aspetti che si è concentrato l’accertamento del fatto da parte della Corte d’Appello di L’ARAGIONE_SOCIALE, in se stesso insindacabile in questa sede di legittimità.
2.2. Che la materia del contendere fosse concentrata sull’accertamento dei fatti e sulla valutazione delle prove -e ciò fin dall’impugnazione contro la sentenza di primo grado -risulta evidente dalla stessa descrizione dello svolgimento del processo contenuta nel ricorso per cassazione, laddove si legge che «Nell’atto di gravame l’azienda appellante eccepiva la illogicità e la contraddittorietà della pronuncia di primo grado nella parte in cui il Tribunale … valutava erroneamente e superficialmente gli esiti istruttori e, in particolare, le deposizioni testimoniali».
2.3. È appena il caso di aggiungere -posto che la RAGIONE_SOCIALE non ne fa un motivo di ricorso, ma si limita a una generica lagnanza per quello che definisce un «inspiegabile contrasto» -che nessun limite alla cognizione del giudice del rinvio poteva derivare dal diverso esito dell’accertamento sul fatto nel precedente grado d’appello. Infatti, la relativa sentenza era stata cassata per difetto di integrità del contraddittorio, sancendone la nullità che imponeva la totale rinnovazione del giudizio di secondo grado.
2.4. Infine, si deve osservare che nessun contrasto sussiste tra la presente decisione e quella adottata, con riguardo al medesimo contratto d’appalto tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, nella sentenza di questa Corte n. 24572/2022.
Anche in quel caso, infatti, sono stati ribaditi i medesimi principi qui affermati: da un lato, che «l’utilizzazione da parte dell’appaltatore di attrezzature fornite dall’appaltante non implica l’illiceità dell’appalto ove il compimento dell’opera non richieda l’uso di attrezzature o macchinari notevoli, ma possa essere realizzato anche con l’uso di mezzi modesti, ferma restando la necessaria esistenza in capo all’appaltatrice di un’autonoma organizzazione con assunzione del relativo rischio di impresa »; d all’altro lato, che «una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice del merito … non consentita in sede di legittimità».
Sulla base di tali condivise premesse, il giudizio sull’ammissibilità del ricorso per cassazione non può mutare a seconda dell’esito dell’insindacabile accertamento del fatto riservato ai giudici del merito.
Anche in quella pronuncia furono dunque applicati i medesimi principi -sul piano sostanziale e processuale -e il diverso esito finale di quel processo deriva soltanto alla difformità degli accertamenti di fatto svolti dal giudice del merito e dal tipo di censure proposte dai ricorrenti.
Dichiarato inammissibile il ricorso, le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, per quanto riguarda il rapporto tra la RAGIONE_SOCIALE e la lavoratrice.
Le spese devono invece essere compensate nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, che non può essere considerata parte vittoriosa, né soccombente, non avendo concluso per l’accoglimento o per il rigetto del ricorso, ma essendosi limitata a chiedere di «decidere la presente controversia secondo diritto e giustizia».
Si dà atto che, in base all’esito del giudizio, sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P. Q. M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la parte RAGIONE_SOCIALE a rifondere le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 3.500,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge, in favore COGNOME;
compensa le spese di lite tra l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio in data 16 aprile 2024.
Il Presidente
NOME COGNOME