Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18945 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 18945 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/07/2025
SENTENZA
sul ricorso 3626-2024 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME
Oggetto
Costituzione rapporto privato
R.G.N. 3626/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 16/04/2025
PU
DEVOTO NOME COGNOME DI NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NAPOLI NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME LILIANACOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME COGNOME tutti rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 307/2023 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 11/08/2023 R.G.N. 146/2023; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/04/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso; uditi gli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME uditi gli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
udito l’avvocato NOME COGNOME
Fatti di causa
La Corte di appello di Torino, con la sentenza n. 307/2023, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto le domande dei lavoratori, in epigrafe indicati, i quali avevano chiesto la ricostituzione del rapporto in capo ad Intesa Sanpaolo S.p.a. a causa della non genuinità del contratto di appalto e della violazione della clausola di salvaguardia di cui all’art. 6 CCNL 23.3.2009 o, in subordine, l’accertamento della codatorialità di Intesa Sanpaolo S.p.a. e Intrum Italy S.p.a.
I lavoratori avevano dedotto di essere addetti al recupero crediti, attività inizialmente svolta internamente alla stessa Banca e, poi, nel 2012, affidata ad Intesa Sanpaolo Group Services e, per i crediti in sofferenza relativi ai contratti di leasing , a Intesa Sanpaolo Provis; avevano precisato che nel 2018 Intesa Sanpaolo S.p.a. aveva esternalizzato tutte le
attività di recupero crediti, affidandole alla neocostituita RAGIONE_SOCIALE con il passaggio alle dipendenze di quest’ultima, ex art. 2112 cod. civ., dei dipendenti: in particolare, era stato conferito, con atto del 19.11.2018, a RAGIONE_SOCIALE (divenuta poi RAGIONE_SOCIALE) il ramo di azienda organizzato presso Intesa Sanpaolo Group Services nella struttura denominata Direzione recupero crediti per l’attività di sollecito e recupero del credito ed ogni attività accessoria e strumentale nonché il ramo di azienda presso Provis; avevano riferito, poi, che con contratto del 28 novembre 2018 Intesa Sanpaolo S.p.a. e Intesa Sanpaolo Group Services avevano affidato a Intrum Italy S.p.a. l’incarico di amministrare, gestire, recuperare e riscuotere i crediti deteriorati al 31.10.2018 e il 90% dei crediti classificati come ‘sofferenze’ dopo l’ottobre 2018 e che avevano stipulato contratti di locazione relativi a ciascuna sede in cui si svolgeva l’attività del ramo ceduto.
La Corte territoriale, contestando la specificità dei motivi di gravame relativamente alle parti argomentative che non contrastavano adeguatamente la motivazione della sentenza appellata, ha ritenuto, sul presupposto che si verteva in una ipotesi di un appalto cd. leggero, in primo luogo inammissibili i capitoli di prova articolati in ordine alla mancanza di autonomia di RAGIONE_SOCIALE e all’esercizio del potere di controllo esercitato da Intesa Sanpaolo S.p.a. su RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE; ha, poi, rilevato la genuinità del contratto di appalto, da qualificare appunto ‘leggero’ come detto, tenuto conto del preminente rilievo dell’elevato numero dei dipendenti e della elevata professionalità degli stessi nonché la legittimità del trasferimento ex art. 2112 cod. civ. del ramo di azienda della Direzione Recupero Crediti; infine, ha precisato che la
clausola di salvaguardia di cui all’art. 6 dell’accordo sindacale del 23.3.2009 non era stata violata in quanto la stessa non era divenuta parte integrante del contratto individuale di lavoro né la garanzia di rientro alle dipendenze di Intesa Sanpaolo S.p.a. rappresentava un diritto quesito né, infine, tale diritto era entrato in modo irretrattabile nel patrimonio dei lavoratori in quanto la cessione del ramo di azienda a RAGIONE_SOCIALE S.p.a. era successiva al 1° agosto 2018; in ogni caso, la clausola, secondo i giudici di seconde cure, comportava solo l’impegno a riallocare in Intesa Sanpaolo S.p.a. sia le attività sia il personale alle stesse addette e non un diritto soggettivo pieno.
Per la cassazione di tale sentenza hanno presentato ricorso i lavoratori in epigrafe indicati, affidato a sette motivi, cui entrambe le società hanno resistito con controricorso.
Nelle more del giudizio NOME COGNOME ha rinunciato al ricorso con accettazione da parte delle controricorrenti.
Le parti hanno depositato memorie.
L’Avvocata Generale della Procura Generale presso la Corte Suprema di Cassazione ha depositato requisitoria scritta concludendo per l’accoglimento del ricorso: le conclusioni sono state reiterate nella discussione della pubblica udienza.
Ragioni della decisione
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, si denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e ss., 1353, 2932 cod. civ., per avere la sentenza impugnata erroneamente interpretato l’art. 6 dell’accordo sindacale 23.3.2009 e gli obblighi assunti da Intesa Sanpaolo ed avere negato il diritto agli originari ricorrenti alla ricostituzione del rapporto in capo a Intesa Sanpaolo S.p.a.
Con il secondo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2077, 2103, 2113, 1353 e ss. e 1362 cod. civ., 115 e 345 cpc, per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che, nonostante l’ avverarsi della condizione, il diritto alla ricostituzione del rapporto di lavoro non integrasse un diritto soggettivo pieno entrato in modo irretrattabile nel patrimonio individuale dei ricorrenti.
I suddetti motivi non riguardano la posizione dei seguenti lavoratori: COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, ai quali non si applicava la clausola di salvaguardia di cui all’art. 6 dell’accordo del 23.3.2009 in quanto dipendenti di Intesa Sanpaolo Provis.
Con il terzo motivo si eccepisce, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, il vizio in procedendo in ordine alla mancata ammissione della istruttoria, in violazione degli artt. 115, 421 e 437 cpc, volta a dimostrare l’esercizio del potere direttivo e di controllo da parte di Intesa Sanpaolo S.p.a. nei confronti dei singoli gestori di RAGIONE_SOCIALEp.a.
Con il quarto motivo si obietta, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione ed errata applicazione dell’art. 2697 co. 1 e 2 cod. civ., relative alla ripartizione dell’onere della prova in relazione agli atti di gestione del rapporto di lavoro.
Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, l’omesso esame circa un fatto decisivo della controversia, rappresentato dalla circostanza che RAGIONE_SOCIALE aveva deciso di cambiare il programma di gestione dell’at tività di recupero credito, sostituendo il sistema messo a disposizione da Intesa Sanpaolo con altro sistema già utilizzato per la gestione dell’attività stessa per
tutti gli altri suoi clienti, e ciò non fu possibile per il divieto opposto da Intesa Sanpaolo S.p.a.
Con il sesto motivo i ricorrenti si dolgono, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, della violazione e falsa applicazione dell’art. 29 D.lgs. n. 276/2003, per avere ritenuto la Corte territoriale erroneamente rilevanti gli indici sintomatici della subordinazione, in particolare, il mancato esercizio del potere disciplinare da parte del committente, nel vagliare la legittimità del contratto di appalto, così come per avere sovrapposto la fattispecie del trasferimento del ramo di azienda con quella dell’appalt o.
Con il settimo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione dell’art. 29 D.lgs. n. 276/2003, per avere la Corte distrettuale erroneamente ritenuto rilevante, ai fini della configurabilità di un appalto cd. leggero, il numero dei dipenden ti e l’elevata professionalità degli stessi.
Preliminarmente va dichiarata l’estinzione del processo relativamente alla posizione di NOME COGNOME avendo rinunciato quest’ultima al ricorso ed essendo la rinuncia stata accettata dalle controricorrenti. Nulla va disposto in ordine alle spese ex art. 391 cpc.
Per ragioni di pregiudizialità logico-giuridica va esaminato preliminarmente il settimo motivo.
Esso è fondato.
La Corte territoriale ha ritenuto che fosse configurabile, in quello intercorso tra Intesa Sanpaolo S.p.a. e Intrum RAGIONE_SOCIALE S.p.a. un appalto cd. leggero per la preponderanza del servizio appaltato sia per il numero del personale addetto al servizio (oltre 500 addetti passati alle dipendenze di tarsia S.p.a.) sia per la professionalità specifica dei lavoratori addetti al recupero crediti sia per il costo elevato delle
retribuzioni di gran lunga superiori al corrispettivo del servizio fornito.
A parere di questo Collegio tali elementi non sono di per sé, sufficienti ad includere la fattispecie concreta nella categoria degli appalti cd. leggeri.
Per ritenere sussistente un appalto cd. leggero occorre, invece, come è stato affermato in sede di legittimità, che i lavoratori ceduti costituiscano un gruppo coeso per professionalità, con precisi legami organizzativi preesistenti alla cessione e specifico know-how tali da individuarli come una struttura unitaria funzionalmente idonea e non come una sommatoria di dipendenti (Cass. n. 6256/2019).
Inoltre, è necessario, negli appalti cd. leggeri, in cui l’attività si risolve prevalentemente o quasi esclusivamente nella prestazione di lavoro, che in capo all’appaltatore sussista una effettiva gestione dei propri dipendenti (Cass. n. 18455/2023).
Affinché, quindi, possa configurarsi un genuino appalto di opere o servizi ai sensi dell’art. 29, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003, è necessario verificare, specie nell’ipotesi di appalti ad alta intensità di manodopera (c.d. labour intensive ), che all’appaltatore sia stata affidata la realizzazione di un risultato in sé autonomo, da conseguire attraverso una effettiva e autonoma organizzazione del lavoro, con reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, impiego di propri mezzi e assunzione da parte sua del rischio d’impresa.
Il solo elevato numero dei dipendenti e la elevata professionalità degli stessi, come invece opinato dalla Corte di appello, non sono, pertanto, presupposti idonei e bastanti, da soli, per consentire la sussunzione dell’appalto in oggetto
in uno cd. leggero: andavano esaminati, a tal fine, anche la coesione del gruppo ed il possesso di specifiche e qualificanti tecniche da parte dei lavoratori e non solo la loro professionalità in astratto.
È, poi, conseguenziale che, ai fini di un corretto inquadramento, diventava, nella fattispecie in esame, indispensabile anche e soprattutto accertare e valutare, con estremo rigore, una eventuale assenza di autonomia da parte di RAGIONE_SOCIALE e verifi care se l’attività di quest’ultima fosse rimasta indissolubilmente legata, in termini di vera e propria dipendenza funzionale, ad alcune attività rimaste alla cedente.
In relazione a tale problematica, venendo all’esame del terzo, del quarto, del quinto e del sesto motivo, va rilevato che la Corte territoriale ha ritenuto corretta la decisione di primo grado che aveva respinto le istanze istruttorie articolate dagli originari ricorrenti in quanto le circostanze relative alla assenza di autonomia di RAGIONE_SOCIALE.p.a. e la soggezione al potere direttivo di Intesa Sanpaolo S.p.a. erano state dedotte in modo generico, dovendosi considerare la particolarità del servizio appaltato caratterizzato dal permanere della titolarità dei crediti deteriorati gestiti da RAGIONE_SOCIALE in capo ad Intesa che, inevitabilmente, comportava per la titolare dei crediti la necessità di fornire le informazioni e la documentazione necessaria per la esecuzione del mandato; quanto ai capitoli di prova orale riferiti alla mancanza di autonomia di RAGIONE_SOCIALE, la Corte di merito ha sottolineato o la loro inammissibilità, perché non precisi, o la loro irrilevanza; ha, poi, evidenziato, quanto all’esercizio dei poteri di controllo, che i capitoli di prova si riferivano a richieste di informazioni e documenti ascrivibili ad Intesa
RAGIONE_SOCIALE sul corretto esercizio dell’attività da parte dei servicer senza alcun controllo diretto sui gestori e disposizioni sulla gestione della singola posizione creditoria, ribadendo che l’esercizio del potere disciplinare rappresentava un elemento decisivo nell’indagine sulla autonomia della organizzazione del servizio appaltato.
Orbene, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, il giudizio sulla superfluità o sulla genericità di una prova per testimoni è insindacabile in cassazione, involgendo una valutazione di fatto, che, tuttavia, può essere censurata se basata su erronei principi giuridici ovvero su incongruenze di carattere logico (Cass., sez. 1, 10/08/1962, n. 2555; Cass., sez. 3, 06/09/1963, n. 2450; Cass., sez. 3, 16/11/1971, n. 3284; Cass., sez. 3, 24/02/1987, n. 1938; Cass., sez. 2, 10/09/2004, n. 18222; Cass., sez. L, 21/11/2022, n. 34189).
Tanto si è verificato nel caso di specie in cui la Corte territoriale, non ammettendo le chieste prove testimoniali articolate dagli originari, non ha adeguatamente valutato che, a ben vedere, alcuni dei capitoli -che i ricorrenti ritrascrivono in omaggio al principio di autosufficienza -non erano carenti degli elementi di specificità richiesti dall’art. 244 cod. proc. civ., proprio perché volti a dimostrare il tema delle direttive direttamente impartite dalla committente: capitoli che erano corredati da una corposa produzione documentale nonché che i poteri di controllo di Intesa Sanpaolo S.p.a. erano svolti direttamente sull’attività dei gestori.
Condivisibili, poi, sono anche le argomentazioni della requisitoria scritta dell’Avvocata Generale allorquando ha evidenziato che ‘parimenti censurabile risultano le
conclusioni della Corte di appello a proposito della mancata prova circa il compimento di atti di gestione del personale dipendente di Intrum direttamente da parte di ISP. In un caso, come quello di specie, nel quale almeno per un certo periodo il personale della società appaltatrice era tenuto a rivolgere le domande di permessi e di ferie alla società appaltante, sarebbe stato preciso onere di quest’ultima dimostrare (non limitandosi alla mera affermazione a fronte della deduzione di segno opposto) che in realtà la decisione non era alla stessa demandata, ma che il relativo potere spettava alla formale datrice di lavoro. A fronte della prova documentale riguardante l’effettivo destinatario delle domande, sarebbe stato preciso onere della resistente dedurre prima, e provare poi, che in realtà ad un destinatario formale corrispondeva un diverso decisore sostanziale: secondo un meccanismo davvero peculiare che peraltro indica in sé una certa ‘confusione’ nella suddivisione dei poteri di gestione del personale d ella appaltatrice’ e che la sussistenza o meno di un potere disciplinare in capo all’appaltante non era un dato decisivo ‘posto che posto che il discrimine significativo in ordine alla liceità dell’appalto riguarda la sussistenza di un potere direttivo e di controllo sui lavoratori, senza che sia richiesto l’esercizio diretto del potere di irrogare sanzioni’.
Rilevante, inoltre, era accertare se effettivamente, quando RAGIONE_SOCIALE aveva deciso di cambiare il programma di gestione dell’attività di recupero crediti, sostituendo il sistema messo a disposizione da Intesa Sanpaolo S.p.a., vi era stato, un esplicito divieto da parte di quest’ultima.
In particolare, alla stregua della loro formulazione, i capitoli articolati indicavano circostanze di fatto evidentemente decisive ai fini della dimostrazione della liceità dell’appalto, per cui il giudizio di genericità operato dai giudici di merito non risulta giustificato proprio perché la prova dedotta era esclusivamente finalizzata a dimostrare la sussistenza di un potere di controllo, di impartire direttive e di compiere atti di gestione del personale dipendente di Intrum da parte di Intesa Sanpaolo: prova orale che era idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che avevano determinato il convincimento del giudice di merito, privando la ratio decidendi di fondamento (così, tra le altre, Cass., sez. 6 -1, 07/03/2017, n. 5654; Cass., sez. 2, 29/10/2018, n. 27415; Cass., sez. 6 -1, 17/06/2019, n. 16214; Cass., sez. 6 -3, 2021, n. 16435).
È carente di idonea giustificazione -e, solo in quanto tale, in questa sede censurabile -la conclusione della Corte territoriale che ha escluso che i capitoli di prova in esame, anche se non integralmente, non apparissero, almeno in parte, in condizione di poter dimostrare in modo pacifico la non genuinità dell’appalto.
Va poi sottolineato che, nel rito del lavoro, l’esercizio dei poteri istruttori del giudice, che può essere utilizzato a prescindere dalla maturazione delle preclusioni probatorie in capo alle parti, vede quali presupposti la ricorrenza di una semiplena probatio e l’individuazione ex actis di una pista probatoria (Cass. n. 26597/2020; Cass. n. 28134/2018; Cass. n. 11845/2018).
È quindi, criticabile anche la statuizione della Corte territoriale secondo cui la doglianza relativa al mancato esercizio dei poteri istruttori di ufficio era infondata posto che pacificamente l’onere probatorio incombeva sui ricorrenti e l’esercizio dei poteri istruttori di ufficio non poteva esonerare la parte gravata dall’onere della prova, perché, per quanto sopra detto, le risultanze di causa offrivano già significativi dati di indagine, al fine di superare lo stato di incertezza dei fatti costitutivi dei diritti di cui si controverteva.
L’accoglimento del terzo, quarto, quinto, sesto e settimo motivo, nei sensi di cui sopra, consente di ritenere assorbiti i restanti motivi del ricorso.
Alla stregua di quanto esposto, la gravata sentenza deve essere cassata in relazione alle censure accolte e la causa va rinviata alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame tenendo conto dei citati principi di diritto e provvederà, altresì, alle determinazioni sulle spese anche del presente giudizio.
PQM
La Corte dichiara estinto il processo relativamente alla posizione processuale di NOME COGNOME nulla disponendo in ordine alle spese; accoglie il terzo, il quarto, il quinto, il sesto e il settimo motivo nei sensi di cui in motivazione, assorbiti i restanti; cassa la sentenza in relazione alle censure accolte e rinvia alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 aprile 2025