Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2640 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2640 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n° 23747 del ruolo generale dell’anno 2020 , proposto da
RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa con il patrocinio ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, (C.F. 80224030587, per il ricevimento degli atti FAX NUMERO_TELEFONO e PEC EMAIL), presso i cui uffici in Roma, alla INDIRIZZO domicilia.
Ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE , in proprio e nella qualità di mandatari a dell’ATI costituita con la SRAGIONE_SOCIALE, in persona del liquidatore e legale rappresentante pro-tempore NOME COGNOME, con sede in Roma, INDIRIZZO (c.f.: 04218751008), rappresentata e difesa, anche disgiuntamente tra loro, dall’avv. NOME COGNOME (c.f.: CODICE_FISCALE – pec: EMAIL – fax: NUMERO_TELEFONO) e dall’avv. NOME COGNOME (c.f.: CODICE_FISCALE pec: EMAIL; fax NUMERO_TELEFONO ed
elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Roma, INDIRIZZO giusta procura in calce al controricorso.
Controricorrente Ricorrente incidentale
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n° 1060 depositata il 12 febbraio 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 gennaio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .-L’RAGIONE_SOCIALE dopo aver affidato in appalto integrato (con contratto del 20 settembre 2005) alla all’Associazione temporanea di imprese (Ati) costituita dalla RAGIONE_SOCIALE, mandataria, e dalla RAGIONE_SOCIALE, la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori di adeguamento ed ammodernamento tra i Km. 32+300 e 41+400 della S.S. 131 ” Carlo Felice ” verso corrispettivo di euro 29.487.385,29 -lo risolveva per inadempimento dell’appaltatore ai sensi degli artt. 136 e 138 del d.lgs. n° 163/2006 con atto del 9 ottobre 2013.
2 .-La COGNOME, in proprio e nella qualità di mandataria dell’Ati, dopo aver promosso un accertamento tecnico preventivo (ai sensi dell’art. 696 cod. proc. civ.), adiva il tribunale di Roma chiedendo di pronunciare la risoluzione dell’appalto per colpa della Stazione appaltante, previa dichiarazione di illegittimità della risoluzione disposta da Anas.
Chiedeva quindi di condannare quest’ultima al pagamento (a) di euro 31.847.570,97, pari alla differenza tra il corrispettivo contrattuale dei lavori eseguiti e il valore degli stessi secondo il prezzo di mercato, (b) di euro 743.241,35 per il risarcimento del danno da lucro cessante (10% dei lavori non eseguiti), (c) di euro 1.202.226,58 per pregiudizio derivante dalla mancata
qualificazione dell’appaltatore sui lavori non eseguiti e (d) di euro un milione per danno all’immagine.
3 .- Nel contraddittorio con Anas, il giudice adito con sentenza non definitiva n° 9619 del 15 maggio 2017 dichiarava la risoluzione dell’appalto per inadempimento di Anas ed accertava che Anas non aveva diritto di escutere le polizze fideiussorie n° 253669007, e relative appendici 1-7, e n° 293668864, prestate da Assicurazioni Generali s.p.a. per l’esatto adempimento delle obbligazioni dell’appaltatore.
Disponeva quindi la prosecuzione del giudizio con separata ordinanza.
4 .- La sentenza non definitiva veniva impugnata da RAGIONE_SOCIALE con appello principale e dalla COGNOME con appello incidentale.
Al termine del secondo grado, la Corte d’appello di Roma rigettava entrambe le impugnazioni con la sentenza menzionata in epigrafe.
Per quanto qui ancora interessa, osservava la Corte che era infondato il primo motivo di impugnazione, col quale Anas aveva eccepito l’improcedibilità dell’accertamento tecnico preventivo ante causam e l’inutilizzabilità dei suoi esiti, non venendo meno la validità della relazione di a.t.p. per la mancanza dell’urgenza, né essendo improcedibile il mezzo di istruzione preventiva in ragione di una supposta (ma inesistente) obbligatorietà della procedura di accordo bonario (art. 240 d.lgs. n° 163/2006).
E nemmeno poteva dirsi che il procedimento di istruzione preventiva si fosse illegittimamente sostituito al giudizio della Commissione di collaudo.
Passando al secondo motivo di appello, concernente più propriamente il merito della lite, osservava che era onere della Stazione appaltante ( ex artt. 25, secondo comma, lettera a] e 26, secondo comma, lettera c] del d.P.R. n° 554/1999) individuare le cave necessarie all’esecuzione dell’appalto.
Nel progetto definitivo tali cave (site in località INDIRIZZO e Segariu) erano state effettivamente individuate, ma la prima era sprovvista di autorizzazione ed inidonea all’estrazione di inerti (inquinati da minerali pesanti derivanti dalle lavorazioni della attigua miniera d’oro), mentre la seconda era idonea a fornire materiali per stabilizzati, nonché per calcestruzzi e conglomerati bituminosi, ma non per estrarre i materiali che in misura maggiore servivano per i lavori appaltati.
A fronte di tale situazione, l’Ati aveva reperito una ulteriore cava (in località Crabili), prendendo da essa i materiali terrosi occorrenti. Tale situazione, ben conosciuta da Anas, era stata accettata, nonostante essa implicasse una modificazione del progetto e, dunque, del contratto, mai messa per iscritto.
In conclusione, l’errata indicazione delle cave da parte della Stazione appaltante, essendo stata superata dal concorde uso di fatto della terza cava, nella piena consapevolezza di entrambi i contraenti, non assumeva il carattere di inadempimento grave.
5 .- Era poi accaduto che per la cava COGNOME la Regione Sardegna avesse inviato alla proprietaria, NOME COGNOME un invito a provvedere alla Valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) già dal 2004 (dunque in epoca ben precedente all’appalto).
Pur non avendo provveduto, la COGNOME si era vista rinnovare i permessi di coltivazione sino al 30 marzo 2012, quando la Regione, avvedutasi dell’inadempienza della titolare, annullò il già concesso provvedimento di proroga e sospese l’efficacia della autorizzazione estrattiva: donde, ancora una volta, l’impossibilità di prosecuzione dei lavori di appalto.
Nonostante l’esecuzione secondo buona fede del contratto imponesse alla COGNOME di monitorare costantemente la situazione autorizzativa della cava e di segnalare alla proprietaria la sussistenza di criticità potenzialmente pregiudizievoli, ciò non era sufficiente, secondo la Corte, ad attribuire solo all’appaltatore la
colpa della chiusura della cava, in quanto vi era anche l’altro inadempimento di Anas, che non aveva provveduto al reperimento di siti estrattivi idonei (come era suo obbligo di legge) e non aveva nemmeno collaborato con l’Ati nella ricerca di uno nuovo.
In conclusione, i reciproci inadempimenti erano equivalenti, ma non così gravi da dar luogo alla risoluzione del contratto.
6 .- Rimaneva quindi da vedere, secondo la Corte, se fosse stato violato l’obbligo di Anas di leale collaborazione nell’esecuzione del contratto nella ricerca di una ulteriore e nuova cava.
RAGIONE_SOCIALE aveva contestato l’assunto della sua mancata collaborazione a tale ricerca, ma, in primo luogo, dalla nota prot. AO.CH.02.01.492/VDN-ff del 24 dicembre 2012 della Mambrini risultava che l’appaltatore avesse dato pronta notizia alla Stazione appaltante della revoca della autorizzazione della cava Crabili ben prima della data indicata da Anas (21 febbraio 2013, data della nota prot. AO.CH.02.01.71NDN-ff).
In secondo luogo, Anas aveva menzionato due documenti comprovanti, a suo dire, il suo interessamento presso il Presidente della Regione e l’Assessorato ai lavori pubblici (nota CCA -0009681P del 19 marzo 2013 e nota CCA-0016683-P del 14 maggio 2013), che tuttavia non risultavano prodotti in atti, in quanto, nonostante le ricerche del Collegio, non erano stati rinvenuti tra quelli versati nei fascicoli processuali di entrambe le parti.
In conclusione, il contratto era stato correttamente risolto dal tribunale a causa dell’inadempimento di Anas, consistito nella mancata collaborazione con la COGNOME nella ricerca di un nuovo sito estrattivo e nel non aver fornito ‘ alcuna collaborazione per risolvere il problema ‘.
7 .-Passando all’esame dell’appello incidentale, la Corte premetteva che la COGNOME aveva impugnato quattro ‘ decisioni ‘ del tribunale -concernenti in parte i criteri di determinazione delle somme spettanti a seguito della risoluzione del contratto per
inadempimento dell’Anas ed in parte ai criteri di liquidazione dei danni subiti dalla COGNOME -che erano state estrapolate dalla motivazione e che tuttavia non trovavano corrispondenti statuizioni nel dispositivo, tanto che la sentenza impugnata non conteneva alcuna condanna restitutoria o risarcitoria a carico di Anas.
Pur essendo molto labile il confine tra la natura meramente ordinatoria-istruttoria e quella decisoria di tali passaggi motivazionali, la Corte le riteneva comunque incompatibili (anche in ragione della estensione stessa delle argomentazioni) con il contenuto tipico dell’ordinanza ex art. 134 cod. proc. civ.: ragione per cui esse dovevano essere intese come vere e proprie ‘ statuizioni definitive ‘ della sentenza.
Nel merito, osservava la Corte d’appello che la pretesa della COGNOME di ottenere la restituzione delle prestazioni non restituibili in forma specifica mediante il riconoscimento del loro valore venale, anziché in base ai prezzi del contratto risolto (come ritenuto dal tribunale), era infondato, non potendo la risoluzione contrattuale provocare un incremento del valore delle prestazioni così come stimato in contratto.
Insussistente era anche il danno, reclamato dalla COGNOME, di perdita delle possibilità di accrescimento della sua qualificazione, in quanto il prezzo contrattuale era di quasi trenta milioni di euro ed implicava, dunque, che l’impresa avesse già conseguito il massimo livello di qualificazione ex art. 3 d.P.R. n° 34/2000, ragione per cui gravava su di essa l’onere di provare di aver subito un danno effettivo, mentre non aveva nemmeno allegato di non aver potuto partecipare ad altre gare di appalto.
Il danno all’immagine non poteva presumersi, dal momento che i potenziali clienti pubblici o privati scelgono con estrema cura e professionalità i soggetti affidatari delle opere e non formano il loro convincimento in base ad una generica notizia di risoluzione contrattuale.
Infine, la COGNOME non aveva diritto nemmeno al risarcimento del danno derivante dalle riserve, in quanto oggetto di una rinuncia contenuta in una transazione del 21 luglio 2010, non prodotta in atti, ma desumibile dai documenti versati in causa e, dunque, rilevabile d’ufficio anche in mancanza di una specifica eccezione di Anas.
Le spese del grado sono state interamente compensate.
8 .- Per la cassazione di questa sentenza ricorre la RAGIONE_SOCIALE affidando l’impugnazione a cinque motivi.
Propone controricorso e ricorso incidentale Anas in base a cinque motivi.
Il ricorso è stato assegnato per la trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
Entrambi i litiganti hanno depositato una memoria ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
9 .- Col primo motivo di ricorso principale Anas lamenta, ai sensi dell’art. 360 n° 4 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 696 cod. proc. civ.
Il procedimento per accertamento tecnico preventivo sarebbe stato espletato senza che ricorresse il requisito dell’urgenza, donde la sua inutilizzabilità nel giudizio di merito: vizio che la Corte avrebbe dovuto rilevare con conseguente inutilizzabilità degli esiti del mezzo di istruzione preventiva.
Col secondo mezzo di ricorso principale la ricorrente lamenta, questa volta in base all’art. 360 n° 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 696 dello stesso codice, nonché dell’art. 240 del d.lgs. n° 163/2006, degli artt. 32 e 33 del d.m. n° 145/2000 e dell’art. 191 del d.P.R. n° 207/2010.
Il procedimento di istruzione preventiva sarebbe precluso negli appalti pubblici, sia perché le parti avrebbero dovuto far valere le riserve nella procedura ex art. 240 del d.lgs. n° 163/2006
(‘ Accordo bonario ‘), sia perché le pretese dell’appaltatore sarebbero soggette al giudizio della Commissione di collaudo, cui il mezzo di istruzione preventiva si sarebbe illegittimamente sostituito.
10 .- I due mezzi, esaminabili congiuntamente in ragione della loro evidente connessione, sono inammissibili.
Anzitutto, essi non colgono una delle rationes decidendi poste dalla Corte a fondamento del rigetto del primo motivo di appello dell’Anas ed avente carattere dirimente.
La Corte, infatti, ha chiarito che ‘ i fatti che il Tribunale ha desunto dalla relazione del CTU nominato in sede di ATP e che sono realmente decisivi sono molto pochi (…) e sono nella loro quasi totalità provati dai documenti prodotti in giudizio per cui erano direttamente esaminabili dal Tribunale (come lo sono ora da parte di questo collegio) anche prescindendo del tutto dalla relazione stilata dal CTU nel procedimento di accertamento tecnico preventivo ‘.
In sostanza, la Corte, pur avendo esaminato uno ad uno i vari profili di inammissibilità del mezzo di istruzione preventiva prospettati da Anas, ha poi concluso nel senso della sostanziale irrilevanza ai fini decisori del mezzo istruttorio (in ragione della sufficienza delle altre prove documentali versate in atti), con un passaggio motivazionale che né il primo, né il secondo motivo di ricorso per cassazione sottopongono a censura.
In ogni modo, anche volendo esaminare nel merito i rilievi di Anas -volta che sia ritenuto sussistente il requisito dell’urgenza dal giudice che ha ammesso l’Atp è evidente che tale requisito, involgendo un giudizio di fatto, non può essere rivisto nella presente sede di legittimità, sia perché è rimasto del tutto ignoto sotto quale profilo il giudice dell’istruzione preventiva abbia ravvisato l’urgenza di provvedere e come abbia replicato su tale punto l’Anas in quel procedimento e nel successivo giudizio davanti
al tribunale; sia perché la valutazione del requisito dell’urgenza e della rilevanza dell’accertamento tecnico preventivo è riservata al giudice del merito, il cui apprezzamento, concretandosi in una indagine di fatto, non è censurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato (Cass., sez. III, 14 febbraio 2012, n° 2103): motivazione che, qui, come già detto, non è stata trascritta, né riassunta.
D’altra parte, è anche noto che il giudice del merito, in virtù del principio del libero convincimento, ha facoltà di apprezzare in piena autonomia tutti gli elementi presi in esame dal consulente tecnico e le considerazioni da lui espresse che ritenga utili ai fini della decisione, onde ben può trarre materia di convincimento anche dalla consulenza espletata in sede di accertamento preventivo, pur se il consulente abbia ecceduto i limiti del mandato conferito, una volta che la relazione di quest’ultimo sia stata ritualmente acquisita agli atti (Cass., sez. III, 9 marzo 2010, n° 5658).
E quanto ai rilievi della improcedibilità dell’a.t.p., derivanti dalla obbligatoria procedura di accordo bonario e della necessaria sottoposizione dei risultati dell’appalto al giudizio della Commissione di collaudo, la Corte ha ben chiarito che nessuna norma prevede quanto allega Anas, la quale, d’altro canto, si è limitata nella sede d’appello a riproporre pedissequamente le tesi del primo grado, senza addurre argomentazioni in diritto idonee a scardinare l’assunto del giudice di merito.
11 .- Col terzo mezzo di ricorso principale Anas si duole, ai sensi dell’art. 360 n° 3 cod. proc. civ., della violazione degli artt. 53, 136 del d.lgs. n° 163/2006, 168, 169 del d.P.R. n° 207/2010, 25, 26 e 140 del d.P.R. n° 554/1999.
La Corte, nel predicare il suo inadempimento nella individuazione delle cave idonee, non avrebbe considerato che nella fattispecie si era in presenza di un appalto integrato, nel quale il consenso si
forma sul progetto definitivo e non su quello esecutivo, che deve essere realizzato dall’appaltatore.
Ne deriverebbe da un lato che la Corte capitolina avrebbe applicato gli artt. 25 e 26 del d.P.R. n° 554/1999, in tema di appalto ordinario, e non invece l’art. 140 dello stesso d.P.R., il quale porrebbe ad esclusivo carico dell’impresa la redazione del progetto esecutivo e, dunque, anche l’individuazione delle cave.
12 .- Il mezzo è infondato.
Com’è noto, la realizzazione di un’opera pubblica è preceduta da una fase di progettazione, che secondo l’art. 16 della legge n° 109/1994 e l’art. 15 del d.P.R. n° 554/1999 (applicabili ratione temporis ), si svolge secondo ‘ tre livelli ‘: preliminare, definitiva ed esecutiva.
Tralasciando la fase della progettazione preliminare, che qui non rileva, il successivo art. 25, secondo comma, lettera a), del d.P.R. n° 554 stabilisce che il progetto definitivo comprende una ‘ relazione descrittiva ‘, la quale, a tenore dell’art. 26, secondo comma, lettera c), deve indicare ‘ le eventuali cave e discariche da utilizzare per la realizzazione dell’intervento con la specificazione dell’avvenuta autorizzazione ‘.
Inoltre, stando al tenore dell’art. 25, secondo comma, lettera f), il progetto definitivo deve comprendere uno ‘ studio di impatto ambientale ove previsto dalle vigenti normative ovvero studio di fattibilità ambientale ‘, il quale, in base all’art. 29, primo comma, ‘ è predisposto contestualmente al progetto definitivo sulla base dei risultati della fase di selezione preliminare dello studio di impatto ambientale, nonché dei dati e delle informazioni raccolte nell’àmbito del progetto stesso anche con riferimento alle cave e alle discariche ‘.
Da ultimo, l’art. 35, primo comma, del d.P.R. n° 554 prevede che il progetto esecutivo sia ‘ redatto nel pieno rispetto del progetto definitivo ‘.
Tutte queste fasi della progettazione sono assegnate dalla legge alla competenza della Pubblica amministrazione, la quale, dunque, di regola, provvede alla redazione del progetto preliminare, di quello definitivo e di quello esecutivo.
Può darsi, tuttavia, che la PA preferisca procedere ad una gara d’appalto, che, anziché svolgersi in base ad offerte presentate sul progetto esecutivo, abbia luogo su offerte presentate sul solo progetto definitivo, rimettendo quindi la redazione dell’ultima fase di progettazione all’appaltatore selezionato all’esito della gara stessa.
Si ha in questo caso la figura dell’appalto integrato, previsto dall’art. 19 della legge n° 109/1994, a tenore del quale i contratti di appalto possono avere ad oggetto (‘ la sola esecuzione di lavori pubblici ‘ oppure) ‘ la progettazione esecutiva (…) e l’esecuzione di lavori pubblici ‘.
Ora, come è dato notare dalla lettura delle norme sopra riportate, l’individuazione delle cave idonee all’estrazione dei materiali era comunque rimessa alla Stazione appaltante, tenuta a determinare i luoghi di interesse per l’attività estrattiva già nella progettazione definitiva.
D’altra parte, proprio nel caso di appalto integrato, l’art. 140, terzo comma, del d.P.R. n° 554/1999 precisa nuovamente (in aderenza a quanto già disposto dal precedente art. 35, primo comma) che ‘ l progetto esecutivo non può prevedere alcuna variazione alla qualità e alle quantità delle lavorazioni previste nel progetto definitivo ‘.
Non appare, dunque, meritevole di accoglimento la tesi della ricorrente che dall’appalto integrato fa discendere l’obbligo a carico esclusivo dell’appaltatore di individuare le cave utilizzabili.
Le conclusioni sopra esposte sembrano, del resto, coerenti con l’orientamento di questa Corte, che, in un caso analogo al presente (nel quale la Stazione appaltante aveva omesso di procedere a studi e sondaggi preliminari in una situazione in cui era
agevolmente ipotizzabile la presenza di reperti archeologici nel sottosuolo), ha precisato che l’obbligo di procedere a tali indagini, inserendosi nella fase della progettazione definitiva, gravava sull’ente committente quale preciso obbligo previsto dall’art. 16, quarto comma, della legge n° 109 del 1994, peraltro non trasferibile all’appaltatore (Cass., sez. I, 3 maggio 2024, n° 11904).
Va poi aggiunto che -nonostante sia vero che il rilascio delle autorizzazioni amministrative non fa propriamente parte del progetto definitivo e che, pertanto, tale incombente può essere pattiziamente posto a carico dell’appaltatore è pure vero che, volta che fosse stata ottenuta dalla COGNOME l’autorizzazione all’uso di una nuova cava, si sarebbe posto un problema di adeguamento del progetto, ancora una volta di pertinenza del committente (per un caso del tutto analogo: Cass., sez. I, 7 luglio 2023, n° 19362).
In definitiva, la Corte d’appello ha correttamente ritenuto che la negligente individuazione delle cave COGNOME e Segariu e l’improprio utilizzo della terza cava, Crabili, pur integrando reciproci inadempimenti imputabili ad entrambe le parti, non avevano gravità sufficiente da giustificare la risoluzione dell’appalto e tale conclusione non è scalfita dal motivo in esame, col quale Anas pretende di addossare unicamente alla COGNOME l’obbligo di individuare i siti estrattivi e di assicurarsi della loro regolarità amministrativa.
13 .- Col quarto motivo di ricorso principale la ricorrente deduce violazione degli artt. 1321, 1362 e seguenti 1372 ‘ in relazione alle previsioni del Capitolato Speciale d’appalto ‘, riconducendo la censura all’art. 360 n° 3 cod. proc. civ.
Secondo Anas il giudice di merito avrebbe omesso di attribuire la giusta valenza alle pattuizioni contrattuali contenute nel Capitolato Speciale.
In particolare, con gli artt. 7, 8, 9, 10 del Capo secondo, 1 e 3, lettera D, del Capo primo era stato posto a carico dell’appaltatore l’obbligo di verificare la situazione delle cave, di presentare la domanda di apertura e di farsi carico di ogni altro onere di coltivazione connesso e conseguente.
Anche con la sottoscrizione della dichiarazione congiunta ai sensi dell’art. 71, terzo comma, del d.P.R. n° 554/1999 le parti avevano dato espressamente atto del permanere delle condizioni per l’immediata esecuzione dei lavori, riconoscendo quindi implicitamente l’adeguatezza del Progetto Definitivo in punto di consistenza e tipologia dei luoghi e delle aree oggetto dell’appalto.
14 .- Il mezzo è infondato.
Invero, come è stato deciso con la già citata Cass. sez. I, 3 maggio 2024, n° 11904, il carattere derogatorio della disciplina dettata dall’art. 19, primo comma, lettera b), della legge n° 109 del 1994, ne impone un’interpretazione restrittiva.
È, pertanto, esclusa la possibilità di porre a carico dell’appaltatore l’effettuazione degli studi e delle indagini preliminari, che, costituendo un adempimento indispensabile per la compiuta individuazione dell’opera da realizzare, non può aver luogo successivamente alla redazione del progetto definitivo, come pretenderebbe Anas nel caso in esame, risultando altrimenti impossibile la predisposizione di un progetto esecutivo che non preveda modificazioni alla qualità ed alla quantità dei lavori da eseguire, e determinandosi anche un’alterazione della gara per l’aggiudicazione dell’appalto, il cui svolgimento sulla base di un’inadeguata rappresentazione dell’opera impedirebbe ai partecipanti di formulare offerte attendibili.
Pertanto, da un lato, l’obbligo di verificare la concreta utilizzabilità dei siti estrattivi, sotto il profilo fattuale e sotto quello amministrativo, non incombeva alla COGNOME (o, a tutto concedere, l’obbligo della COGNOME di ottenere le autorizzazioni
avrebbe comunque determinato la necessità di modifica del progetto da parte di Anas).
Dall’altro, neanche le clausole contenute nel Capitolato speciale (come pure la dichiarazione resa nel verbale previsto dall’art. 71, terzo comma, del d.P.R. n° 544) potevano derogare alla disciplina prevista per la redazione del progetto definitivo ed esecutivo nell’appalto integrato, facendo gravare unicamente sull’appaltatore un obbligo che ex lege doveva invece essere assolto dalla Stazione appaltante.
15 .- Col quinto motivo di ricorso principale Anas lamenta un’omessa pronuncia e, dunque, la violazione degli artt. 112 e 342 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360 n° 4 dello stesso codice.
In data 21 luglio 2010 l’Ati aveva transatto le riserve fino ad allora iscritte (pari ad euro 53.015.672,87 al SAL 14), per l’importo di euro 13.650.000,00 a saldo di ogni pretesa derivata e/o derivante dalla controversia arbitrale, nonché a definizione di qualsiasi riserva avanzata o avanzabile in sede di ulteriore esecuzione dei lavori.
Il tribunale aveva statuito sulla valenza di tale transazione in termini contrari alla tesi di Anas e la Corte, investita di uno specifico motivo sul punto, lo avrebbe totalmente pretermesso.
Unitamente a tale mezzo conviene prendere in esame il quarto motivo di ricorso incidentale formulato dalla COGNOME.
Con tale doglianza -rubricata ‘ Nullità della sentenza (ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.) in relazione alla violazione dell’art. 112 c.p.c. ‘ -la COGNOME deduce che il tribunale, a fronte della domanda risarcitoria dell’appaltatore fondata sulle riserve, aveva ritenuto di escludere tali pretese in quanto oggetto di una transazione del 21 luglio 2010, nella quale la COGNOME aveva rinunciato a qualsiasi ulteriore pretesa ‘ avanzata o avanzabile dall’ulteriore corso dei lavori ‘, donde l’ammissione di c.t.u. sulle ulteriori pretese della COGNOME, ma derivanti da fatti diversi da quelli compresi nell’accordo transattivo.
La Corte, a fronte del motivo col quale l’appaltatrice lamentava la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., aveva affermato che, benché non prodotta da Anas, l’esistenza della transazione era ampiamente provata in atti e che la rinuncia agli ulteriori ristori incideva direttamente sull’esistenza del diritto, potendo così essere presa in considerazione senza necessità di una specifica eccezione di parte.
Donde la violazione del regime delle eccezioni previsto dall’art. 167 cod. proc. civ. e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 dello stesso codice.
16 .- Il motivo di ricorso principale è del tutto infondato, in quanto la Corte d’appello ha espressamente preso in esame la questione della transazione delle prime ventidue riserve e l’ha risolta in senso favorevole ad Anas, asserendo che ‘ Emerge dagli atti del processo (né, del resto, l’appellante incidentale nega l’esistenza della transazione e l’effetto della stessa di estinguere ogni diritto ad ulteriori risarcimenti per i danni lamentati nelle riserve) che con l’atto di transazione in oggetto si è estinto il diritto della RAGIONE_SOCIALE ad ulteriori risarcimenti per i danni denunciati nelle prime 22 riserve ‘.
Tanto premesso, è palese che la Corte territoriale abbia esaminato la questione della transazione posta da RAGIONE_SOCIALE col motivo di appello trascritto alle pagine 4445 dell’odierno ricorso: donde l’infondatezza del quinto mezzo principale che denuncia un’omessa pronuncia.
Il motivo di ricorso incidentale è, invece, inammissibile, in quanto contrario alla consolidata giurisprudenza di questa Corte.
È, infatti, noto che l’eccezione di transazione è eccezione in senso lato e che, pertanto, è rilevabile ex officio ( ex multis : Cass., sez. III, 27 settembre 2021, n° 26118, con ricostruzione dell’ iter giurisprudenziale di tale orientamento e menzione di altri precedenti).
D’altra parte, è pure noto che la rilevabilità officiosa delle eccezioni in senso lato, cioè della rilevanza in iure dei fatti che le integrano, se non è condizionata all’onere di allegazione della parte che dell’eccezione può beneficiare dei detti fatti, né tanto meno al rispetto dei termini di preclusione assertivi concernenti le eccezioni in senso stretto, è pur sempre condizionata alla emergenza ex actis degli elementi fattuali sulla cui base quella eccezione possa essere rilevata dal giudice o dedotta dalla parte interessata (per tutte: Cass, sez. III, 23 febbraio 2024, n° 4867).
Ora, la Corte territoriale ha osservato che ‘ l’esistenza della transazione e del suo contenuto ampiamente provata dalla documentazione in atti ‘ (sentenza pagina 22) e sulla base di tale constatazione processuale ha poi affermato che emergeva ‘ dagli atti del processo (…) che con l’atto di transazione in oggetto si è estinto il diritto della RAGIONE_SOCIALE ad ulteriori risarcimenti per i danni denunciati nelle prime 22 riserve ‘: conclusione che appare coerente con l’indirizzo giurisprudenziale sopra citato in tema di rilevabilità d’ufficio della transazione, sia essa novativa o non novativa.
Peraltro, a fronte di tale percorso motivazionale, la COGNOME non ha dedotto che i documenti indicati dalla Corte (dai quali emergeva la conclusione della transazione) fossero inesistenti o di contenuto inconciliabile con quanto ritenuto in sentenza: sicché anche per tale ragione deve ritenersi che il giudice del merito abbia del tutto correttamente rilevato ex officio l’esistenza dell’accordo transattivo.
17 .-Si passa ora all’esame dei residui motivi del ricorso incidentale.
Col primo motivo -intitolato ‘ In relazione al primo motivo di appello incidentale disatteso dalla Corte d’Appello di Roma: nullità della sentenza in relazione alla violazione dell’art. 1458 c.c. ‘ -la COGNOME lamenta che la Corte abbia confermato la decisione del tribunale con la quale era stato stabilito che l’equivalente
monetario delle prestazioni non restituibili in natura (a seguito della risoluzione) andava ragguagliato ai prezzi fissati nel contratto risolto, anziché al valore venale delle prestazioni stesse.
18 .- Il mezzo è infondato.
Come si legge nella sentenza impugnata (pagina 20), il tribunale aveva stabilito che, per le prestazioni non restituibili in forma specifica, l’ammontare monetario delle restituzioni dovute alla appaltatrice doveva essere liquidato in base ai prezzi determinati nel contratto di appalto risolto.
Tale statuizione è stata confermata dalla Corte territoriale, la quale si è uniformata all’orientamento di legittimità più volte seguito (da ultimo con Cass. sez. I, 3 aprile 2024, n° 8765, con menzione di altri precedenti), secondo il quale, a seguito della risoluzione dell’appalto pubblico, ‘ il contenuto dell’obbligo restitutorio a carico della committente va determinato con riferimento al momento della pronuncia di risoluzione e in relazione all’ammontare del corrispettivo originariamente pattuito ‘.
In conclusione, va affermato che il valore venale dei beni da restituire va considerato, in materia di appalto pubblico, quello accertato sulla base della procedura ad evidenza pubblica, come correttamente ritenuto dal tribunale e dalla Corte territoriale.
19 .- Col secondo mezzo incidentale -rubricato ‘ In relazione al secondo motivo di appello disatteso dalla Corte d’appello di Roma: nullità della sentenza (ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) in relazione alla violazione dell’art. 1226 c.c., dell’art. 2697 c.c. del DPR 34/00 (art.3, 15 e 18) e dell’art.115 e 116 c.p.c. ‘ -la ricorrente incidentale lamenta che la Corte abbia confermato la decisione del primo giudice nella parte in cui è stato escluso il danno derivante dalla impossibilità di far valere l’avvenuta esecuzione dei lavori ai fini del miglioramento della sua qualificazione.
Essa aveva depositato in causa l’attestato rilasciato dalla RAGIONE_SOCIALE Organismo di Attestazione (SOA), dal quale emergeva che la COGNOME non aveva la qualificazione massima in tutte le categorie di lavori, come invece erroneamente aveva ritenuto dalla Corte d’appello sulla base del solo corrispettivo di appalto (superiore a trenta milioni di euro).
Dalla risoluzione per inadempimento di Anas sarebbe, dunque, derivata l’impossibilità di ottenere il certificato di esecuzione, necessario per ottenere presso la SOA un incremento della qualificazione.
Non era nemmeno condivisibile l’esclusione del risarcimento sul rilievo della mancata dimostrazione della partecipazione ad altre gare, in quanto, trattandosi di prova negativa, poteva essere fornita anche mediante presunzioni.
Peraltro, lo stesso Consiglio di Stato aveva ritenuto congrua la liquidazione del 3% dell’importo contrattuale (pari per l’appunto a quanto richiesto dalla COGNOME, ossia euro 1.202.226,58) a titolo di danni cosiddetti ‘ curriculari ‘.
In conclusione, la Corte avrebbe dovuto far buon uso del criterio equitativo previsto dall’art. 1226 cod. civ.
20 .-Il motivo è inammissibile, non cogliendo l’esatta ratio decidendi della sentenza.
Invero, la Corte capitolina ha escluso il risarcimento del danno cosiddetto ‘ curriculare ‘ sul rilievo che la COGNOME non aveva allegato, né provato di aver perduto altri appalti o di non aver partecipato a gare specifiche.
Dunque, l’esclusione del risarcimento è stata motivata in ragione della mancanza di allegazione e prova di un danno effettivo.
Con il motivo in esame la COGNOME fa osservare che essa aveva depositato in causa le certificazioni in suo possesso, dalle quali emergeva, a suo dire, che essa non aveva la classifica VIII per tutte le categorie di lavori.
Sennonché, tale documentazione è stata ritenuta insufficiente dal tribunale e dalla Corte, e, prima ancora, è stato ritenuto mancante l’allegazione della perdita di ulteriori gare d’appalto.
Tale percorso logico deve essere condiviso, in quanto -nonostante il risarcimento del danno curriculare non abbia costituito oggetto di specifiche decisioni di questa Corte (mancanza di precedenti attestata anche da Cass., sez. I, 7 luglio 2023, n° 19362) -esiste nondimeno un orientamento della giurisprudenza amministrativa (per tutte: Cons. stato 2 gennaio 2024 n° 26) secondo il quale tale tipologia di danno, al di là dell’incremento degli specifici requisiti di qualificazione e di partecipazione alle singole gare, deve essere oggetto di puntuale dimostrazione, ancorata alla perdita di un livello di qualificazione già posseduta ovvero alla mancata acquisizione di un livello superiore, quali conseguenze immediate e dirette della mancata aggiudicazione, ed alla mancata acquisizione di un elemento costitutivo della specifica idoneità tecnica richiesta dal bando oltre la qualificazione SOA, sicché solo all’esito di tale dimostrazione, relativamente all’ an , è possibile procedere alla relativa liquidazione nel quantum (anche a mezzo di forfettizzazione percentuale applicata sulla somma riconosciuta a titolo di lucro cessante), sempreché non debba ritenersi che, trattandosi di impresa leader nel settore di riferimento, l’aver conseguito già un curriculum di tutto rispetto renda la mancata aggiudicazione di un appalto non idonea, per definizione, ad incidere negativamente sulla futura possibilità di conseguire le commesse economicamente più appetibili e, più in generale, sul posizionamento dell’impresa nello specifico settore di mercato in cui è chiamata ad operare.
Nonostante nella sentenza impugnata non si faccia riferimento a tale orientamento giurisprudenziale, è nondimeno evidente che la decisione sia pienamente conforme ad esso, con la conseguenza che il motivo va respinto.
21 .- Col terzo mezzo incidentale -portante il seguente titolo: ‘ In relazione al terzo motivo di appello disatteso dalla Corte d’appello di Roma: nullità della sentenza (ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) in relazione alla violazione dell’art. 1226 c.c., degli art. 27 e 38 del DPR 34/00 e dell’art.115 e 116 c.p.c. ‘ -la COGNOME lamenta il rigetto della domanda di risarcimento del danno all’immagine.
La Corte avrebbe escluso tale pretesa sul rilievo che i clienti pubblici o privati scelgono con cura gli appaltatori e non formano il proprio convincimento sulla generica notizia di una risoluzione.
In realtà l’art. 27 del d.P.R. n° 34/2000 (applicabile ratione temporis ) prevede che della risoluzione sia data notizia all’Osservatorio per i lavori pubblici, il quale cura il casellario informatico delle imprese qualificate.
Inoltre, l’art. 38 del d.lgs. n° 163/2006 prevede l’esclusione dalle gare d’appalto delle imprese incorse in grave negligenza nell’esecuzione delle prestazioni.
La risoluzione del contratto sarebbe, dunque, un evento che ‘ marchia pubblicamente ‘ l’impresa, pregiudicandone la partecipazione a gare d’appalto, donde un pregiudizio ex se, dato che il committente pubblico o privato prende a riferimento le risultanze del casellario, senza indagare le ragioni della risoluzione. Sarebbe, dunque, evidente sia la violazione del d.P.R. n° 34/2000, da parte della Corte territoriale, sia la illogicità ed irrazionalità della motivazione, ai sensi dell’art. 360 n° 4 cod. proc. civ.
22 .- Il motivo è infondato, in quanto -anche a non considerare che il danno all’immagine qui rivendicato costituisce una duplicazione del danno curriculare (sopra esaminato) -ancora una volta non coglie la ratio decidendi della sentenza.
La Corte, infatti, ha ritenuto non provato tale danno ed ha poi aggiunto che esso non poteva nemmeno presumersi sussistente.
Sicché è evidente che le ragioni che hanno determinato l’esclusione del danno curriculare hanno anche giustificato l’esclusione del danno all’immagine.
23 .- Col quinto motivo di ricorso incidentale la ricorrente rappresenta che l’auspicata riforma della sentenza ha effetto anche sulla compensazione delle spese di lite.
24 .- Il mezzo non è un motivo di impugnazione e, comunque, il rigetto del ricorso incidentale lo rende del tutto infondato.
25 .- La reciproca soccombenza, derivante dalla reiezione di tutti i motivi di impugnazione hinc et inde proposti, costituisce giusto motivo di compensazione integrale delle spese del presente giudizio.
Nondimeno, va dato atto della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 13, comma 1 -quater, del decreto del presidente della repubblica 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente principale e di quello incidentale, ove dovuto.
p.q.m.
la Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente giudizio. Dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 13, comma 1-quater, del decreto del presidente della repubblica 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente principale e di quello incidentale, ove dovuto.
Così deciso in Roma il 30 gennaio 2025, nella camera di