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Appalto integrato: chi cerca le cave? La Cassazione

La Cassazione conferma la risoluzione di un contratto per colpa della Stazione Appaltante in un appalto integrato. La causa è la mancata individuazione di cave idonee, un obbligo che non ricade sull’appaltatore neanche se redige il progetto esecutivo. L’Ente Pubblico è inadempiente anche per non aver collaborato a trovare una soluzione, violando il dovere di buona fede. Rigettate le richieste di risarcimento dell’impresa per danno curriculare e di immagine per mancanza di prove.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Appalto integrato: chi cerca le cave? La Cassazione chiarisce le responsabilità

Nell’ambito dei lavori pubblici, la formula dell’appalto integrato rappresenta una modalità operativa specifica che affida all’impresa non solo l’esecuzione, ma anche la progettazione esecutiva dell’opera. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto cruciale: la responsabilità dell’individuazione delle cave da cui estrarre i materiali. La Corte ha stabilito che tale onere resta in capo alla Stazione Appaltante, anche in un appalto integrato, e che la sua inerzia può portare alla risoluzione del contratto per sua colpa.

I Fatti di Causa: Un cantiere fermo per mancanza di materiali

Una Stazione Appaltante aveva affidato a un’Associazione Temporanea di Imprese (ATI) un importante contratto per l’ammodernamento di una strada statale. Il contratto, stipulato come appalto integrato, prevedeva che l’impresa sviluppasse il progetto esecutivo partendo dal definitivo fornito dall’ente.

Il problema sorge quando le cave indicate nel progetto definitivo si rivelano inutilizzabili. L’ATI individua un sito alternativo, il cui utilizzo viene di fatto accettato dalla Stazione Appaltante, sebbene senza una modifica formale del contratto. Tuttavia, anche questa terza cava viene chiusa a seguito della revoca delle autorizzazioni da parte dell’autorità regionale. A questo punto, i lavori si bloccano. L’ente pubblico risolve il contratto per inadempimento dell’appaltatore, ma quest’ultimo si oppone, sostenendo che la colpa fosse proprio della Stazione Appaltante.

La Controversia: Chi ha la responsabilità delle cave nell’appalto integrato?

La questione giuridica è arrivata fino in Cassazione. La Stazione Appaltante sosteneva che, trattandosi di un appalto integrato, l’onere di trovare e garantire l’operatività delle cave necessarie per i lavori ricadesse interamente sull’impresa. Secondo questa tesi, l’appaltatore, responsabile del progetto esecutivo, avrebbe dovuto farsi carico di tutti gli aspetti realizzativi, inclusa la fornitura dei materiali.

L’impresa costruttrice, al contrario, affermava che l’individuazione dei siti estrattivi fosse una prerogativa della fase di progettazione definitiva, di competenza esclusiva dell’ente pubblico. Di conseguenza, l’errata indicazione iniziale e la successiva mancata collaborazione per risolvere il problema costituivano un grave inadempimento della Stazione Appaltante.

La Decisione della Corte: La responsabilità nell’appalto integrato e il dovere di collaborazione

La Corte di Cassazione ha rigettato sia il ricorso dell’ente pubblico sia quello dell’impresa, confermando la decisione della Corte d’Appello. La sentenza ha stabilito che la risoluzione del contratto era imputabile alla Stazione Appaltante, delineando principi chiari sulla ripartizione delle responsabilità nell’appalto integrato.

Le Motivazioni

La Corte ha chiarito che l’individuazione delle cave e la verifica delle relative autorizzazioni sono attività che appartengono alla fase di progettazione definitiva. Questa fase è e rimane di competenza della Stazione Appaltante. Il fatto che l’appaltatore sia incaricato del progetto esecutivo non trasferisce su di lui gli obblighi che la legge pone a carico del committente pubblico nella fase precedente. Il progetto esecutivo, infatti, deve essere redatto nel pieno rispetto di quello definitivo e non può introdurre variazioni sostanziali come la scelta di nuove cave.

Inoltre, la Cassazione ha sottolineato un secondo e decisivo inadempimento dell’ente: la violazione dell’obbligo di leale collaborazione. Una volta emersa l’impraticabilità della terza cava, la Stazione Appaltante non ha fornito “alcuna collaborazione per risolvere il problema”. Questo comportamento passivo viola i principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto, costituendo un inadempimento grave che giustifica la risoluzione a suo carico.

La Corte ha anche respinto le richieste di risarcimento avanzate dall’impresa per il cosiddetto “danno curriculare” e per il danno all’immagine. Per entrambe le voci di danno, i giudici hanno ritenuto che l’impresa non avesse fornito prove adeguate. Non è sufficiente lamentare la mancata esecuzione dell’opera; è necessario dimostrare concretamente di aver perso altre opportunità lavorative o che la propria reputazione sul mercato sia stata effettivamente compromessa, cosa che non può essere presunta.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un importante principio in materia di appalti pubblici: nell’appalto integrato, la responsabilità per le scelte strategiche contenute nel progetto definitivo, come l’individuazione delle fonti di approvvigionamento, rimane saldamente in capo alla Stazione Appaltante. L’impresa non può essere chiamata a sopperire a carenze progettuali originarie. Inoltre, viene ribadita la centralità del dovere di collaborazione e buona fede, la cui violazione da parte dell’ente pubblico può avere conseguenze tanto gravi quanto la risoluzione del contratto per sua colpa.

In un appalto integrato, chi è responsabile di individuare le cave per i materiali?
La responsabilità di individuare le cave idonee per l’estrazione dei materiali ricade sulla Stazione Appaltante, poiché questa attività rientra nella fase della progettazione definitiva, che è di sua competenza. Questo obbligo non viene trasferito all’appaltatore, anche se quest’ultimo è incaricato della redazione del progetto esecutivo.

Cosa succede se l’impresa non prova di aver perso altre gare a causa della risoluzione del contratto?
Se l’impresa non fornisce la prova specifica di aver perso altri appalti o di non aver potuto partecipare a determinate gare a causa della mancata esecuzione dei lavori, la sua richiesta di risarcimento per “danno curriculare” viene respinta. La Corte ha chiarito che tale danno non può essere presunto ma deve essere dimostrato con allegazioni e prove concrete.

Come viene calcolato il valore delle opere già eseguite in caso di risoluzione del contratto?
In caso di risoluzione di un appalto pubblico, il valore monetario delle prestazioni già eseguite e non restituibili in forma specifica deve essere calcolato sulla base dei prezzi determinati nel contratto risolto, e non in base al valore venale o di mercato delle opere stesse.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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