Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2060 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 2060 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14402/2023 r.g., proposto
da
COGNOME NOME , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME.
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME.
contro
ricorrente
nonché
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore .
intimata
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 5128/2022 pubblicata in data 23/12/2022, n.r.g. 2431/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 03/12/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.- NOME COGNOME aveva lavorato alle dipendenze di varie società cooperative (RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, System, Nova) presso i
OGGETTO:
appalto di servizi -intermediazione vietata -apprezzamento delle prove -riserva al giudice di merito
magazzini di RAGIONE_SOCIALE siti in Santa Palomba e in Bagni di Tivoli, attraverso l’intermediazione di altre cooperative (RAGIONE_SOCIALE, consorzio RAGIONE_SOCIALE e consorzio RAGIONE_SOCIALE).
Adìva il Tribunale di Velletri per ottenere l’accertamento del carattere fittizio dell’intermediazione e, quindi, dell’esistenza del rapporto di lavoro subordinato alle dirette dipendenze di RAGIONE_SOCIALE dall’01/08/2006 all’01/06/2011, nonché la condanna di tale società, in solido con le cooperative di volta in volta formali datrici di lavoro, al pagamento delle differenze retributive.
2.- Costituitosi il contraddittorio, assunte le prove testimoniali ammesse, il Tribunale, rigettata l’eccezione di decadenza ex art. 32 L. n. 183/2010, accoglieva la domanda e condannava le due società resistenti, in solido, a pagare al ricorrente la somma di euro 73.000,00, solidarietà limitata per la RAGIONE_SOCIALE (ex RAGIONE_SOCIALE) alla somma di euro 25.000,00.
2.La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 1688 del 24/09/2020, in accoglimento del primo motivo di gravame proposto da RAGIONE_SOCIALE accoglieva l’eccezione di decadenza e dichiarava inammissibile la domanda del COGNOME.
3.Questa Corte di legittimità, con ordinanza n. 20294/2022, in accoglimento del primo motivo del ricorso proposto dal COGNOME, affermava che il doppio termine di decadenza (stragiudiziale e giudiziale) previsto dagli artt. 6 L. n. 604/1966 e 32 L. n. 183/2010 non si applica all’azione del lavoratore, ancora formalmente dipendente dell’appaltatore, qualora volta ad ottenere in base all’asserita illeceità dell’appalto l’accertamento del proprio rapporto di lavoro alle dipendenze del committente, in assenza di una comunicazione scritta equipollente ad un atto di recesso.
4.Riassunto il giudizio dal COGNOME, la Corte d’Appello di Roma, quale giudice del rinvio, nella contumacia di TranRAGIONE_SOCIALE, in accoglimento del secondo motivo dell’originario appello di RAGIONE_SOCIALE rigettava la domanda del COGNOME nei suoi confronti, confermando nel resto la decisione del Tribunale.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
le deposizioni testimoniali assunte in primo grado smentiscono l’assunto attoreo;
infatti, la teste COGNOME ha dichiarato che le attrezzature per la movimentazione della merce erano di proprietà delle società consorziate e che il COGNOME riceveva le direttive da altri dipendenti delle cooperative e non dalla Ceva;
i testi COGNOME e COGNOME hanno dichiarato che i dipendenti della cooperativa movimentavano la merce sita nel magazzino attraverso muletti elettrici, timbravano la propria presenza mediante una obliteratrice diversa da quella dei dipendenti Ceva e ricevevano disposizioni dal COGNOME il quale a sua volta riceveva le direttive da altri dipendenti della cooperativa;
la teste COGNOME ha dichiarato che le direttive erano impartite da Ceva ma ha poi precisato che era il COGNOME che organizzava il lavoro dei dipendenti della cooperativa il che lascia intendere che le direttive della Ceva attenevano alla generica indicazione delle esigenze della committente con riguardo all’opera appaltata, mentre l’organizzazione del lavoro era di competenza della cooperativa;
in caso di assenza il COGNOME nulla doveva riferire a COGNOME, a riprova dell’insussistenza di un controllo diretto da parte di COGNOME sull’attività del COGNOME;
sono leciti gli appalti di opere e servizi che, pur espletabili con mere prestazioni di lavoro, costituiscano un servizio in sé, con organizzazione e gestione autonoma dell’appaltatore.
5.- Avverso tale sentenza COGNOME Giorgio ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
6.- RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
7.- Tran-Sito soc.RAGIONE_SOCIALE. è rimasta intimata.
8.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta la violazione o la falsa applicazione degli artt. 29 d.lgs. n. 276/2003 e 1655 c.c., per avere la Corte territoriale trascurato di accertare il punto decisivo relativo a quanto previsto nel contratto di appalto
fra committente e l’appaltatore RAGIONE_SOCIALE società consortile per azioni (s.c.p.a.), che il Tribunale aveva ritenuto illecito in conseguenza della mancata prova della sussistenza di una struttura imprenditoriale in capo all’appaltatore e ai subappaltatori.
In particolare lamenta l’omessa considerazione del fatto che l’appaltatrice RAGIONE_SOCIALE, nel contratto di appalto, si era obbligata ad eseguire l’opera mediante soci e/o dipendenti e/o collaboratori ovvero cooperative legalmente associate alla predetta società consortile e che le varie cooperative formali datrici di lavoro del COGNOME non avevano dimostrato in modo documentale di essere legalmente associate alla predetta società consortile.
Il motivo è inammissibile, perché introduce una questione nuova, di cui i giudici di appello in sede di rinvio non si sono occupati, sicché sarebbe stato onere del ricorrente indicare l’atto difensivo in cui quella deduzione era stata introdotta e dolersi dell’omessa pronunzia su tale deduzione. Tale onere è tanto più stringente, laddove lo stesso ricorrente, riportando la sentenza di primo grado (v. ricorso per cassazione, p. 18), ricorda che il Tribunale aveva accolto la domanda in conseguenza della mancata prova della sussistenza di una struttura imprenditoriale in capo all’appaltatore e ai subappaltatori, ossia in virtù di una circostanza del tutto diversa da quella ora fatta valere dal COGNOME (mancata prova del vincolo societario fra le cooperative sue datrici di lavoro e la società consortile RAGIONE_SOCIALE).
Per il resto il motivo è inammissibile, perché non si confronta con la specifica ratio decidendi della decisione impugnata, laddove i giudici d’appello in sede di rinvio hanno affermato che sono leciti gli appalti di opere e servizi che, pur espletabili con mere prestazioni di lavoro, costituiscano un servizio in sé, con organizzazione e gestione autonoma dell’appaltatore. Ne deriva che quand’anche volesse ipotizzarsi un rapporto diretto fra RAGIONE_SOCIALE (ultima formale datrice di lavoro del COGNOME) e RAGIONE_SOCIALE comunque la vicenda è stata ritenuta lecita, sicché la circostanza di cui il ricorrente lamenta l’omesso esame sarebbe del tutto ininfluente sulla decisione.
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. il ricorrente lamenta l’omess a motivazione su un punto decisivo del
giudizio relativo alla contestata validità del contratto di appalto anche in considerazione della mancata prova di aver rispettato la norma in materia di valutazione dei rischi ai sensi dell’art. 4 d.lgs. n. 626/1994.
Il motivo è inammissibile perché introduce una questione nuova, di cui i giudici di appello in sede di rinvio non si sono occupati, sicché sarebbe stato onere del ricorrente indicare l’atto difensivo in cui quella deduzione era stata introdotta e dolersi dell’omessa pronunzia su tale deduzione. Tale onere non è stato adempiuto.
In ogni caso il motivo è infondato perché nell’appalto lecito il rischio deve essere valutato dall’appaltatore e l’invocato art. 4 d.lgs. n. 626/1994 si riferisce alla somministrazione di lavoro di cui agli artt. 20 ss. d.lgs. n. 276/2003, mentre quella in esame è stata tutt’altra vicenda, relativa ad un ap palto di opere e servizi. Quindi l’argomento è inconferente rispetto al thema decidendum , né la parte esplicita la sua pertinenza rispetto alle domande proposte.
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 115 c.p.c. determinata da un errore percettivo sul contenuto oggettivo della prova e decisivo, con particolare riguardo alle testimonianze di COGNOME NOME e COGNOME NOME. In particolare prospetta un vero e proprio travisamento della prova.
Il motivo -da apprezzare nei limiti e alle condizioni affermate da questa Corte in funzione nomofilattica (Cass. sez. un. n. 5072/2024) -è inammissibile per difetto del denunciato travisamento.
Infatti, a pagg. 5-6 della sentenza impugnata la Corte territoriale ha fedelmente riportato la deposizione della testimone COGNOME. E’ poi vero che a pag. 8 i giudici del rinvio hanno affermato che la teste COGNOME avrebbe dichiarato ‘ che il COGNOME riceveva le direttive da altri dipendenti delle cooperative e non dalla Ceva ‘, ciò che , come risulta dal relativo verbale, effettivamente quella testimone non ha detto. Ma si è trattato di un errore non decisivo, perché l’ulteriore parte della testimonianza è stata riportata in modo fedele (‘ La teste COGNOME ha precisato che le attrezzature per la movimentazione della merce erano di proprietà delle società consorziate … ‘). L ‘ulteriore circostanza , erroneamente ritenuta come riferita dalla testimone COGNOME, è stata in realtà riferita dai testimoni COGNOME COGNOME
immediatamente dopo riportati nella sentenza impugnata, sicché quell’errore è del tutto ininfluente ai fini della decisione , poiché comunque vi è la prova testimoniale di quella circostanza.
Analoghe considerazioni valgono per la teste COGNOME NOME e il riferimento compiuto da questa testimone alle direttive impartite da RAGIONE_SOCIALE al COGNOME è stata spiegata dalla Corte territoriale in termini di mera richiesta del committente circa l’opera o il servizio appaltati e non di ingerenza nell’organizzazione e nella gestione del lavoro necessario per eseguire l’opera o realizzare il servizio. Sotto questo profilo si tratta, dunque, di una valutazione della deposizione testimoniale ai fini della formazione del proprio convincimento, sicché la doglianza del ricorrente finisce per investire non un ‘errore di percezione’, ma un asserito ‘ errore di valutazione’, come tale insindacabile da questa Corte di legittimità.
4.Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. il ricorrente lamenta l’omessa valutazione di un fatto di cronaca notorio e decisivo, ossia l’applicazione della misura di prevenzione a RAGIONE_SOCIALE da parte del Tribunale di Milano con decreto n. 11/2019 e la sottoposizione all’amministrazione giudiziaria, per reati contestati in concorso con il consorzio RAGIONE_SOCIALE dichiarato fallito in data 16/12/2021 dal Tribunale di Milano.
Il motivo è inammissibile, perché non si tratta dell’omesso esame di un ‘fatto storico’, bensì della negata valenza probatoria rispetto ad affermazioni contenute in un decreto di prevenzione del Tribunale di Milano, riportate dal ricorrente (v. ricorso per cassazione, p. 30), circa la ritenuta intermediazione fraudolenta del lavoro.
Inoltre il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, poiché -al cospetto del silenzio sul punto da parte della Corte territoriale -sarebbe stato onere del ricorrente indicare l’atto e la fase in cui quelle circostanze e quei documenti erano stati offerti alla cognizione dei giudici d’appello in sede di rinvio, riportando almeno i passi salienti di quelle istanze istruttorie. Tale onere non è stato adempiuto.
5.Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5) (rectius n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione’ degli artt. 91 e 92 c.p.c. per avere la Corte territoriale liquidato tutte le
spese a carico del COGNOME applicando il principio di causalità ormai superato da Cass. s.u. n. 32061/2022.
Il motivo è inammissibile perché non si confronta con il principio di soccombenza secondo l’esito complessivo e finale della lite, più volte affermato da questa Corte ed esattamente applicato dai giudici d’appello in sede di rinvio.
Il richiamo a Cass. sez. un. n. 23061/2022 non è pertinente. In tale pronunzia questa Corte ha affermato che in tema di spese processuali, l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92, co. 2, c.p.c.
Nel caso di specie l’esito finale e complessivo è tale per cui non vi è stato alcun accoglimento neppure in misura ridotta della domanda del COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, bensì il suo integrale rigetto. Pertanto trova applicazione il principio della soccombenza riferito -appunto -all’esito complessivo e finale della lite. E la condanna si giustifica anche per le spese relative al giudizio di cassazione ‘intermedio’ , ancorché in questo il lavoratore sia risultato vittorioso (Cass. n. 20289/2015).
6.Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi
dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in