Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1694 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1694 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12841/2022 r.g., proposto
da
COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOMECOGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME NOME elett. dom.ti in INDIRIZZO Roma, rappresentati e difesi dagli AVV_NOTAIO.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
ricorrenti
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO.
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 4026/2021 pubblicata in data 15/11/2021, n.r.g. 3183/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 05/12/2023 dal
OGGETTO:
appalto – endoaziendale –
caratteri – accertamento in
concreto
Consigliere dott. NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
1.- COGNOME NOME e gli altri indicati in epigrafe (unitamente ad altri lavoratori che non hanno proposto ricorso per cassazione) deducevano di essere dipendenti di RAGIONE_SOCIALE, ma di aver sempre lavorato presso RAGIONE_SOCIALE, che aveva utilizzato le loro prestazioni lavorative nell’ambito di un’illecita interposizione di manodopera, per avere RAGIONE_SOCIALE esercitato potere direttivo e di controllo, secondo proprie esigenze organizzative, e per avere essi utilizzato unicamente strumenti di lavoro (mezzi necessari ed applicativi informatici) di proprietà di RAGIONE_SOCIALE.
Adìvano pertanto il Tribunale di Roma per ottenere l’accertamento di questa illecita interposizione, la declaratoria di sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE a decorrere dalla loro assunzione presso RAGIONE_SOCIALE, l’ordine a RAGIONE_SOCIALE di ripristinare i rapporti di lavoro e la condanna della medesima società al pagamento di tutte le retribuzioni maturate e non corrisposte.
2.- RAGIONE_SOCIALE restava contumace.
3.Il Tribunale adìto dichiarava inammissibili le domande ‘per genericità’.
4.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello, in parziale riforma della decisione di primo grado, dichiarava ammissibili le domande, ma le rigettava nel merito.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale, dopo aver richiamato alcune fonti normative (artt. 1655 c.c., 1 L. n. 1369/1960, 20 ss. d.lgs. n. 276/2003, 2094 c.c. 41 Cost.), affermava:
la normativa non prevede particolari requisiti di forma del contratto di appalto, né richiede l’esplicitazione delle esigenze aziendali sottostanti, rilevando invece le modalità concrete di svolgimento del rapporto;
a prescindere dal riparto dell’onere della prova, sono dirimenti le considerazioni che seguono;
la fornitura del know-how da parte di RAGIONE_SOCIALE, l’utilizzazione del software con le stesse modalità adottate dai dipendenti di RAGIONE_SOCIALE,
la somministrazione della formazione professionale, con verifica dei risultati, da parte di RAGIONE_SOCIALE sono solo conseguenze della natura endoaziendale dell’appalto, ma non ne comportano di per sé sole il carattere illecito;
la natura endoaziendale dell’appalto, infatti, è tale che l’opera o il servizio devono essere attuati anche all’interno dell’ambiente informatico e formativo ed è compatibile con l’appalto genuino anche la predeterminazione, da parte del committente, delle modalità tecniche di esecuzione del servizio o dell’opera oggetto dell’appalto, che dovranno essere rispettate dall’appaltatore, nell’ambito del legittimo potere di controllo da parte del committente sulla qualità dell’opera o del servizio commissionato;
nel caso di specie non risulta dedotto che l’hardware fosse di proprietà della committente;
gli applicativi (ossia il software ) erano di proprietà di RAGIONE_SOCIALE, ma perché dovevano essere necessariamente da essa forniti, in quanto impattavano sui sistemi di vendita dei biglietti, sul sistema di informazione e sulle banche dati dei reclami e dovevano essere tutti allineati negli aggiornamenti;
per le medesime ragioni si spiega la fornitura, da parte di RAGIONE_SOCIALE, del materiale necessario per comprendere il funzionamento degli applicativi e per spiegarne il funzionamento;
inoltre in considerazione delle attività che i dipendenti dell’appaltatrice erano chiamati a svolgere, essi dovevano essere costantemente informati circa le novità normative e delle circolari operative, sicché si spiega la loro pubblicazione online sulla piattaforma ‘RAGIONE_SOCIALE informa’; la verifica della formazione viene attuata a garanzia della qualità del servizio erogato;
i test on-line e le mistery call (chiamate telefoniche in forma anonima) erano strumenti idonei a verificare l’adempimento contrattuale dell’appaltatore agli obblighi di formazione ed informazione del personale addetto, allo scopo di eliminare eventuali criticità e migliorare la qualità del servizio;
il fatto che poi l’appalto sia stato eseguito in parte con propri dipendenti, in parte con affidamento in appalto a terzi (RAGIONE_SOCIALE) è solo un mero indizio -e non una prova -dell’illiceità dell’appalto;
il fatto che le contestazioni di addebiti avvenisse trasmettendo la segnalazione al formale datore di lavoro costituisce elemento in senso contrario -e non a favore -circa la sussistenza di un appalto illecito;
quindi dalle stesse allegazioni degli appellanti non emerge che RAGIONE_SOCIALE, tramite proprio personale, abbia impartito disposizioni tali, per caratteristiche e contenuto, da essere riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro e quindi tali da manifestare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato diretto con il committente;
l’ingerenza del committente è risultata diretta solo al raggiungimento del risultato delle prestazioni lavorative;
nell’originario ricorso non è stata prospettata l’inesistenza dei contrati di appalto, avendo i lavoratori sono dedotto la loro natura simulata; neppure è stata dedotta la non riconducibilità dell’attività lavorativa espletata dai lavoratori ai servizi oggetto di appalto; dunque tutte queste sono circostanze nuove dedotte per la prima volta con il secondo motivo di appello e pertanto inammissibili ai sensi dell’art. 437 c.p.c.;
quindi dalle stesse allegazioni degli appellanti non emerge che RAGIONE_SOCIALE, tramite proprio personale, abbia impartito disposizioni tali, per caratteristiche e contenuto, da essere riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro e quindi tali da manifestare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato diretto con il committente;
nessuna deduzione è contenuta nel ricorso originario sull’esercizio del potere disciplinare da parte del committente, anzi risulta documentato che il committente si limitava ad effettuare la segnalazione dei disservizi ad RAGIONE_SOCIALE, che poi provvedeva ad individuare il responsabile e a determinare ed irrogare le sanzioni;
neppure è stato dedotto che RAGIONE_SOCIALE abbia predisposto l’orario di lavoro, avendo invece i lavoratori dedotto che RAGIONE_SOCIALE si limitava ad indicare il numero di addetti necessari per il presidio giornaliero, restando quindi a carico di RAGIONE_SOCIALE l’individuazione dei singoli lavoratori da impiegare;
infine non è stata mai contestata l’assunzione della gestione a proprio rischio da parte di RAGIONE_SOCIALE;
ne consegue il rigetto delle istanze istruttorie, poiché le circostanze capitolate non sono idonee a dimostrare la dedotta interposizione.
4.- Avverso tale sentenza COGNOME NOME e gli altri indicati in epigrafe hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
5.- RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
6.- Il Collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.- Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 2697 c.c. e 29 d.lgs. n. 276/2003 per avere la Corte territoriale evidenziato che nel ricorso di primo grado non era stata prospettata né l’inesistenza dei contratti di appalto, avendo i lavoratori dedotto solo la loro natura simulata, né la non riconducibilità dell’attività lavorativa ai servizi oggetto di appalto, sicché le relative deduzioni, oggetto del secondo motivo di gravame, erano da considerarsi inammissibili.
Assumono che la differenziazione tra il formale datore di lavoro e colui che si avvantaggia della prestazione lavorativa deve trarre giustificazione nel contratto di appalto, sicché era onere della società dimostrare l’esistenza e la liceità di tale contratto.
Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
E’ inammissibile laddove i ricorrenti non contestano che effettivamente quelle lacune fossero presenti nel loro ricorso introduttivo, sicché la censura in cui viene sviluppato il motivo non è pertinente rispetto alla motivazione addotta dalla Corte territoriale e alla dichiarazione di inammissibilità di quelle deduzioni (e quindi del relativo motivo di appello con il quale erano state formulate) per novità ex art. 437 c.p.c.
Il motivo è parimenti inammissibile, perché la violazione dell’art. 2697 c.c. si realizza solo quando il giudice ponga l’onere della prova a carico della
parte che invece non ne sarebbe onerata, ossia della parte diversa da quella onerata secondo la nota bipartizione della fattispecie tra fatti costitutivi, da un lato, e fatti impeditivi, modificativi ed estintivi, dall’altro. Invece nel caso in esame questo vizio non è stato prospettato dai ricorrenti, né è sussistente, posto che i giudici d’appello si sono limitati ad evidenziare e circoscrivere il thema decidendum alla luce delle deduzioni esistenti (con ovvia esclusione, cioè, di quelle inesistenti nel ricorso di primo grado).
Il motivo è, poi, infondato con riguardo ad esistenza e liceità dell’appalto, posto che l’esistenza non doveva essere dimostrata da RAGIONE_SOCIALE, attesa la non contestazione dei lavoratori (art. 115 c.p.c.) di cui ha preso atto la Corte territoriale, che ha evidenziato come la domanda fosse stata formulata in termini di ‘simulazione’ dell’appalto, ciò che presuppone l’esistenza formale del contratto. Quanto poi alla liceità, i giudici d’appello hanno esaminato tutte le deduzioni dei lavoratori e le hanno ritenute confermative di un lecito appalto endoaziendale, con esclusione quindi dell’interposizione vietata di manodopera sulla base della stessa interpretazione della domanda.
Infine sono inammissibili le ulteriori censure in cui viene articolato il motivo, poiché non tengono conto della motivazione espressa dalla Corte territoriale e, quindi, non sono ad essa pertinenti.
2.- Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 29 d.lgs. n. 276/2003 ‘con riferimento all’organizzazione della prestazione lavorativa nell’appalto pesante’, per avere la Corte territoriale escluso che dalle allegazioni contenute nel ricorso di primo grado emergesse che RAGIONE_SOCIALE avesse impartito disposizioni tali, per caratteristiche e per contenuto, da essere riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro.
Il motivo è inammissibile, atteso che, sotto la veste della violazione di legge sostanziale, in realtà addebita alla Corte territoriale un travisamento o comunque un’errata interpretazione del ricorso introduttivo, ossia un vizio processuale, che avrebbe allora dovuto avere altro contenuto e diverse prospettazione ed articolazione.
3.Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in