Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9820 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 9820 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso 33600-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso l’RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME CAVUOTO;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME ,
tutti elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 427/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 21/05/2019 R.G.N. 65/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/02/2024 dal AVV_NOTAIO.
R.G.N. 33600/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 07/02/2024
CC
RILEVATO CHE
1. la Corte di Appello di Firenze, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di prime cure con cui era stato ritenuto illegittimo l’appalto di servizi di trasporto stipulato da RAGIONE_SOCIALE con le cooperative che risultavano formali datori di lavoro dei lavoratori in epigrafe e, conseguentemente, dichiarato l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato degli stessi con la società dalla data di introduzione del giudizio e il diritto a ricevere il trattamento economico e normativo per i lavoratori appartenenti alla categoria D prevista dal CCNL applicabile tra le parti; la Corte ha precisato, limitatamente al Sig. NOME COGNOME, che la decorrenza del rapporto di lavoro era dal 1987, invece che dal 1978;
per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la soccombente società con cinque motivi; hanno resistito con controricorso gli intimati, comunicando anche memoria ; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati;
1.1. col primo si denuncia: ‘nullità della sentenza o del procedimento, ex art. 360, n. 4, c.p.c., in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c. -violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato -error in procedendo ‘; si deduce che ‘la sentenza impugnata non ha affrontato tutte le argomentazioni svolte in sede di ricorso in appello, suffragate dalla prova testimoniale’;
1.2. col secondo motivo ancora si denuncia: ‘nullità della sentenza o del procedimento, ex art. 360, n. 4, c.p.c., in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c. -violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato -error in procedendo ‘; si deduce che ‘anche in questo caso la sentenza impugnata non ha preso in esame le argomentazioni dedotte col ricorso in appello e suffragate dalla prova testimoniale in violazione dell’art. 112 c.p.c.’; 1.3. con il terzo mezzo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c., per avere la Corte di Appello ‘ritenuto la testimonianza del responsabile della ditta appaltatrice, , insufficiente a provare la legittimità dell’appalto’;
1.4. il quarto motivo denuncia, con riguardo al capo di sentenza che ha riconosciuto l’inquadramento dei lavoratori nel livello D, la violazione dell’art. 2697 c.c. e l’omessa pronuncia su uno dei motivi di impugnazione concernente l’eccezione di prescrizione, con conseguente violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato; 1.5. l’ultimo motivo lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c., eccependo, da un lato, che la sentenza impugnata ha dichiarato l’inammissibilità del motivo di appello relativo al ‘regime orario del rapporto di lavoro’ e, dall’altro, che ‘la decisione sul regime di lavoro risulta viziata dalla mancanza di prove’;
2. il ricorso non merita accoglimento, essendo la sentenza impugnata conforme in diritto a princìpi consolidati e confermati da questa Corte anche con precedenti che si sono occupati di vicende interpositorie in analoghi contenziosi (v. Cass. n. 2966 del 2021; Cass. n. 13182 del 2021; Cass. n. 17647 del 2023; cui si rinvia, anche ai sensi dell ‘art. 118 disp. att. c.p.c., per ogni ulteriore approfondimento);
oltre all’inammissibilità derivante dalla circostanza che il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte (cfr. art. 360 bis, comma 1, n. 1, c.p.c.), avuto specifico riguardo ai motivi del r icorso all’attenzione del Collegio, gli stessi presentano ulteriori profili di inammissibilità in ordine alla loro formulazione;
2.1. infatti, i primi tre motivi invocano la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. al di fuori dei casi in cui la stessa è consentita;
come ribadito dalle Sezioni unite di questa Corte (cfr. Cass. SS.UU. n. 20867 del 2020), per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre);
la medesima pronuncia rammenta che la violazione dell’art. 116 c.p.c. è riscontrabile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente
risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonché, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, la censura era consentita ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nel testo previgente ed ora solo in presenza dei gravissimi vizi motivazionali individuati da questa Corte fin da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014; inoltre, i motivi in esame denunciano la violazione della corrispondenza tra chiesto e pronunciato al di fuori dei limiti posti dal n. 4 dell’art. 360 c.p.c., non individuando neanche il capo della domanda di merito rispetto alla quale si sarebbe consumata l’omessa pronuncia;
gli stessi, poi, si traducono, nella sostanza, in una inammissibile richiesta di rivalutazione del materiale probatorio, come reso palese dai riferimenti nelle censure alle deposizioni testimoniali;
2.2. parimenti inammissibile il quarto motivo che denuncia impropriamente l’art. 2697 c.c., che è deducibile ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018), mentre nella specie parte ricorrente critica l’apprezzamento operato dai giudici del merito in ordine all’inquadramento dei lavoratori, opponendo una diversa valutazione;
il motivo, inoltre, lamenta una omessa pronuncia, senza riportare il contenuto degli atti processuali dai quali evincere come l’eventuale eccezione di prescrizione sia stata proposta in primo grado e come la stessa sia stata devoluta in appello; 2.3. infine, inammissibile è anche l’ultim a censura, atteso che la Corte territoriale ha dichiarato inammissibile il mezzo di gravame della società concernente il regime orario del rapporto di lavoro per il suo carattere di novità e parte ricorrente non contrasta adeguatamente tale statuizione, riportando i contenuti degli atti processuali dai quali evincere che, invece, la questione era stata sollevata sin dal primo grado;
3. pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel suo complesso, con condanna alle spese secondo il regime della soccombenza e attribuzione ai procuratori che si sono dichiarati antistatari;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’u lteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 8.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della
legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 7 febbraio