Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18398 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 18398 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 05/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 13666-2022 proposto da:
COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, tutti domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato AVV_NOTAIO COGNOME;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
contro
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 09/04/2024
CC
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE in fallimento;
– intimata – avverso la sentenza n. 5130/2021 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 22/11/2021 R.G.N. 2783/2014; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/04/2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
con sentenza n. 5130/2021 la Corte di Appello di Napoli ha respinto i gravami riuniti interposti dai lavoratori in epigrafe (e altri) nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e del RAGIONE_SOCIALE avverso la pronunzia del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che, rigettando le domande dei lavoratori, ha ritenuto la sussistenza di un appalto lecito di servizi tra RAGIONE_SOCIALE e l’appaltatrice RAGIONE_SOCIALE;
la Corte territoriale, conformemente al giudice di prime cure, ha ritenuto che dall’istruttoria svolta non fossero emersi elementi di prova decisivi a sostegno dell’esistenza della dedotta interposizione fittizia o illecita di manodopera nell’appalto di manutenzione e pulizia dei vagoni ferroviari presso l’impianto ferroviario di Marcianise cui erano addetti gli appellanti, dipendenti RAGIONE_SOCIALE, tenuto conto di tutte le circostanze concrete dell’appalto;
per la cassazione della sentenza ricorrono i lavoratori in epigrafe sulla base di due motivi, illustrati da memoria; resistono con controricorso le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (quest’ultima eccependo in via preliminare il proprio difetto di legittimazione passiva); al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione (art. 360 c.p.c. n. 3) dell’art. 1 della legge n. 1369/1960, dell’art. 29 del d. lgs n. 276/2003, degli artt. da 20 a 28 del medesimo d.lgs., in relazione all’ingerenza della committente RAGIONE_SOCIALE, nonché per messo esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c. n. 5), in relazione alla valutazione di elementi di prova;
il ricorso è inammissibile;
come già scrutinato da questa Corte in fattispecie aventi ad oggetto il medesimo appalto (Cass. n. 13520 del 2019, Cass. n. 10534 del 2020, Cass. nn. 10871 e 37721 del 2021, Cass. nn. 4208, 14649, 30711, 35393, 35395, del 2022, cui il Collegio intende dare continuità e le cui motivazioni si richiamano), la Corte di merito, davanti alla quale era stata censurata la sentenza di primo grado per avere erroneamente valutato il materiale probatorio acquisito, ha correttamente proceduto all’esame delle emergenze istruttorie ricostruendole secondo il suo prudente apprezzamento nel contesto delle allegazioni e contestazioni delle parti;
la Corte territoriale ha accertato che la società appaltatrice esercitava il potere direttivo, organizzativo e disciplinare ed ha
escluso che RAGIONE_SOCIALE esercitasse un intervento direttamente dispositivo di controllo sulle persone dipendenti dall’appaltatore del servizio, con ciò uniformandosi alle statuizioni affermate da questa Corte (con orientamento formatosi già nella vigenza della legge n. 1369 del 1960), secondo le quali, qualora venga prospettata una intermediazione vietata di manodopera nei rapporti tra società dotate entrambe di propria genuina organizzazione d’impresa, il giudice del merito deve accertare se la società appaltante svolga un intervento direttamente dispositivo di controllo sulle persone dipendenti dall’appaltatore del servizio, non essendo sufficiente a configurare la intermediazione vietata il mero coordinamento necessario per la confezione del prodotto o lo svolgimento del servizio (Cass. n. 12664 del 2003); sono leciti gli appalti di opere e servizi che, pur espletatili come prestazioni di manodopera, costituiscano un servizio in sé, svolto con organizzazione e gestione autonoma dell’appaltatore, senza diret ti interventi dispositivi di controllo dell’appaltante sulle persone dipendenti dall’altro soggetto (Cass. n 8643 del 2001, Cass. n. 15557 del 2019, Cass. n. 1503 del 2021);
le Sezioni unite di questa Corte hanno ribadito l’inammissibilità di censure che sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione, così travalicando dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 cod. proc. civ., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti (cfr. Cass. SS.UU. n. 34476 del 2019; conf. Cass. SS.UU. n. 33373 del 2019; Cass. SS.UU. n. 25950 del 2020);
inoltre, come più volte precisato da questa Corte, il vizio di violazione di legge coincide con l’errore interpretativo, cioè con l’erronea individuazione della norma regolatrice della fattispecie o con la comprensione errata della sua portata precettiva; la falsa applicazione di norme di diritto ricorre quando la disposizione normativa, interpretata correttamente, sia applicata ad una fattispecie concreta in essa erroneamente sussunta; al contrario, l’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr. Cass. n. 26272 del 2017; Cass. n. 9217 del 2016; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 26307 del 2014);
nel caso di specie, le censure investono tutte la valutazione delle prove come operata dalla Corte di merito, e si sostanziano, attraverso il richiamo al contenuto dei documenti prodotti e delle deposizioni testimoniali, in una richiesta di rivisitazione del materiale istruttorio (quanto alle modalità di svolgimento dell’appalto) non consentita in questa sede di legittimità, in considerazione del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, censure a monte non consentite dall’art. 348-ter, commi 4 e 5, cod. proc. civ. (ara art. 360, n. 4), essendosi in presenza di doppia pronuncia conforme di merito basata sulle medesime ragioni di fatto;
in conclusione, assorbita la questione della legittimazione passiva di RAGIONE_SOCIALE, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese di lite (liquidate complessivamente per i ricorrenti, e in favore di ciascuna parte, come da dispositivo) seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod. proc. civ.; al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo
unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 6.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge, in favore di ciascuna parte controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 9 aprile 2024.