Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 15440 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 15440 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18527/2024 R.G. proposto da
REGIONE MOLISE , in persona del legale rappresentante pro tempore e domiciliata ope legis in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e difende
-ricorrente –
contro
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio
Oggetto: Pubblica amministrazione -Trasporto pubblico su strada -Qualificazione -Applicazione D. Lgs. 231/2002
R.G.N. 18527/2024
Ud. 30/05/2025 CC
dell’avvocato COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO COGNOME n. 153/2024 depositata il 31/05/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 30/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 153/2024, pubblicata in data 31 maggio 2024, la Corte d’appello di Campobasso, nella regolare costituzione dell’appellata RAGIONE_SOCIALE ha respinto il gravame proposto da REGIONE MOLISE avverso l’ ordinanza ex art. 702ter c.p.c. del Tribunale di Campobasso n. 481/2021, depositata il 12 maggio 2021.
Quest’ultima, a propria volta, aveva accolto la domanda dell’ AZIENDA RAGIONE_SOCIALE volta a conseguire il pagamento dell’importo di € 179.792,20 , a titolo di interessi moratori ai sensi del d.lgs. n. 231/2002 per il tardivo pagamento della compensazione economica dovuta dall’ente regionale rispetto ai termini convenuti con l’art. 9, comma 5, del contratto del 21/05/2015 di affidamento all’A.T.M. del servizio di trasporto pubblico locale su strada.
La Corte territoriale, per quanto ancora qui rileva, si è pronunciata sul motivo di appello col quale si deduceva la violazione del D. Lgs. 231/2002 per avere il giudice di prime cure erroneamente qualificato il contratto di servizio inter partes in termini di appalto anziché di concessione.
La Corte territoriale ha disatteso il gravame, richiamando il criterio distintivo tra concessione di servizi ed appalto pubblico di servizi, caratterizzandosi, la prima, per il fatto che l’impresa concessionaria eroga le proprie prestazioni al pubblico ed assume il rischio della gestione dell’opera o del servizio, in quanto si remunera presso gli utenti, almeno per una parte significativa, mediante la riscossione di un prezzo; la seconda per il fatto che le prestazioni vengono erogate non al pubblico, ma all’Amministrazione, la quale è tenuta a remunerare l’attività svolta dall’appaltatore per le prestazioni ad essa rese , senza che a quest’ultimo sia accollato il rischio della gestione.
Operata tale premessa, la Corte territoriale ha ritenuto di confermare la qualificazione del rapporto tra le parti in termini di appalto, in quanto non solo l ‘Amministrazione aveva conservato la potestà di indirizzo e vigilanza nella gestione ma anche il rischio di gestione del servizio non era accollato all’impresa , dal momento che l’Ente affidante si era impegnato a coprire i costi di esercizio anche nel caso in cui gli stessi eccedessero la compensazione prevista contrattualmente.
La Corte d’appello ha, conseguentemente concluso che nella specie non risultava esclusa – sulla scorta delle previsioni di cui agli artt. 24, D. Lgs. n. 161/2014 e 30, D. Lgs. n. 163/2006 l’applicazione del D. Lgs. n. 231/2001, non vertendosi in materia di concessione di pubblici servizi ma di appalto di servizi.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Campobasso ricorre REGIONE MOLISE.
Resiste con controricorso AZIENDA RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
La controricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’unico motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.:
falsa applicazione degli artt. 1 e 2, D. Lgs. n. 231/2002;
v iolazione dell’art. 1, comma 3 , lett. a) e dell’art. 5 della Direttiva 2004/17/CE;
v iolazione dell’art. 3 , comma 11, D. Lgs. n. 163/2006.
Secondo la ricorrente la Corte territoriale avrebbe correttamente richiamato la distinzione tra concessione di servizi ed appalto pubblico di servizi ed avrebbe altrettanto correttamente individuato i profili distintivi tra le due ipotesi, ma avrebbe errato a qualificare il rapporto tra le parti in termini di appalto di pubblici di servizi.
Argomenta, infatti, la ricorrente che, per le caratteristiche concrete, il rapporto dedotto in giudizio deve essere qualificato in termini di concessione di servizi, con conseguente esclusione dell’applicabilità del D. Lgs. n. 231/2002.
Il ricorso è infondato.
Deve essere preliminarmente richiamato il principio per cui, in tema di interpretazione del contratto, il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi, delle quali la prima – consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti – è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., mentre la seconda – concernente l’inquadramento della comune volontà nello schema legale corrispondente – risolvendosi nell’applicazione di norme giuridiche – può formare oggetto di verifica
e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo (Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 15603 del 04/06/2021; Cass. Sez. L – Sentenza n. 3115 del 09/02/2021; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 29111 del 05/12/2017).
Tale secondo profilo è, appunto, quello che costituisce oggetto dell’impugnazione della ricorrente la quale censura la qualificazione giuridica del rapporto operata dalla Corte territoriale e non l’interpretazione del contratto – risultando conseguentemente esclusa una declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Svolta tale puntualizzazione, tuttavia, il ricorso deve ritenersi comunque infondato, risultando non condivisibili le censure che lo stesso formula in modo, peraltro, in parte apodittico e senza analizzare e censurare i molteplici profili che sono stati valorizzati dalla Corte d’appello per affermare la natura di appalto di servizi del rapporto dedotto in giudizio.
La Corte territoriale, infatti, ha individuato una serie di profili -il fatto che il contratto avesse durata sino all’aggiudicazione con procedura ad evidenza pubblica ; l’inerenza del contratto stesso ad un rapporto tra la Regione e l’impresa; la regolamentazione del rapporto tramite il contratto medesimo e non con un generico atto concessorio; la conservazione in capo alla Regione della potestà di indirizzo e vigilanza nella gestione; l’impegno della Regione a corrispondere la differenza fra la compensazione riconosciuta con il contratto ed il costo definitivamente riconosciuto; il contrapposto impegno dell’impresa a restituire il maggiore compenso
eventualmente ricevuto rispetto al costo definito -sulla scorta dei quali ha motivatamente ritenuto di dover qualificare il rapporto tra le parti in termini di appalto di servizi, valorizzando in particolare la ridotta incidenza dei ricavi della vendita dei biglietti rispetto al fabbisogno finanziario – pari al 20% – e la totale copertura dei costi mediante compensazione pubblica.
Nel valorizzare tali elementi -ed in particolare la constatazione del fatto che il servizio veniva ad essere remunerato non tramite il versamento del corrispettivo da parte degli utenti ma direttamente da parte dell’Amministrazione la Corte territoriale si è pienamente conformata alle indicazioni fornite sul punto da questa Corte (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 22425 del 22/10/2014 e le successive Cass. Sez. 5, Sentenza n. 29648 del 2019; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 4612 del 2024), nel momento in cui è stato chiarito che ‘la concessione di servizi pubblici trasferisce ad un soggetto privato l’esercizio di pubbliche funzioni, fino al punto di costituire un organo indiretto della P.A. producendo, nei confronti dei terzi, gli stessi effetti che determinerebbe l’azione amministrativa diretta della P.A. medesima (Cass. 14/06/2016, n. 12260), riservandosi l’amministrazione titolare poteri di controllo tecnico ed economico e di un immanente potere sostitutivo; e l’affidamento di un servizio in appalto, in cui non solo il potere sostitutivo è azionabile solo in presenza di inadempienze da parte dell’appaltatore, ma soprattutto in tal caso il servizio appaltato resta interamente assoggettato all’amministrazione conferente, per cui l’appaltatore si limita a ricevere un corrispettivo pattuito’ e che, conseguentemente, ‘d al punto di vista negoziale, tali strutturali differenze si concretizzano nel primo caso attraverso la concessione, unitamente al servizio, anche dell’eventuale remunerazione tipica dello stesso da parte dell’utenza,
quindi nel caso del trasporto pubblico locale, tramite il trasferimento al concessionario anche della potestà tariffaria, incluso la riscossione e l’accertamento, pur sotto i poteri di controllo amministrativo che si sono indicati (inclusa la relativa determinazione od approvazione della tariffa gravante sull’utenza); nel secondo caso nella previsione negoziale di un corrispettivo d’appalto a carico dell’amministrazione ed in favore dell’appaltatore, laddove eventuali tariffe a carico dell’utenza restano in capo all’amministrazione conferente’ (così Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 4612 del 2024).
Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Non occorre dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali di cui all’art. 13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002 perché la norma non può trovare applicazione nei confronti di quelle parti che, come le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo (Cass. S.U. n. 9938/2014; Cass. n. 1778/2016; Cass. n. 28250/2017).
P. Q. M.
La Corte, rigetta il ricorso.
condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 6.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima