Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 25341 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 25341 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 28829-2020 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
ENTE RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 529/2020 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 27/02/2020 R.G.N. 3860/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
24/06/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
Oggetto
Appalto e interposizione di manodopera
R.G.N.28829/2020
COGNOME
Rep.
Ud 24/06/2025
CC
Fatti di causa
La Corte d’Appello di Napoli ha respinto l’appello di NOME COGNOME e NOME COGNOME confermando la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda di costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze dell’ RAGIONE_SOCIALE Autonomo Volturno RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE, avanzata sul presupposto del carattere non genuino dell’appalto tra l’RAGIONE_SOCIALE e i diversi datori di lavoro formali dei predetti, cioè le società RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE scpa.
Avverso la sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. L’Ente RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 1, legge 1369 del 1960 per non avere la sentenza impugnata applicato la presunzione assoluta introdotta dalla citata dispo sizione, pur avendo accertato l’avvenuta fornitura di mezzi di produzione da parte del committente, ed esattamente degli impianti di lavaggio dei treni e dei pullman.
Il motivo è inammissibile per alcuni versi e infondato per altri. E’ inammissibile perché non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata che, richiamando i principi affermati da questa Suprema Corte, ha considerato non dirimente in sé,
ai fini della presunzione assoluta posta dall’articolo 1 della legge 1369 del 1960, il dato della utilizzazione da parte dell’appaltatore di macchine e attrezzature fornite dell’appaltante, dovendo comunque il giudice valutare se detto conferimento di mezzi avesse rilevanza tale da rendere del tutto marginale e accessorio l’apporto dell’appaltante.
Il motivo è infondato poiché la Corte di merito ha interpretato ed applicato l’articolo 1 cit. conformandosi ai precedenti di legittimità espressamente richiamati, avendo accertato in fatto come soltanto gli impianti di lavaggio (e non i capitali) fossero di proprietà dell’appaltante e che, comunque, le società appaltatrici avessero una loro autonomia di gestione.
Con il secondo motivo la società deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per inidoneità della motivazione ad assolvere alla specifica funzione di esplicitare le ragioni della decisione sulla preponderanza dell’apporto dato dall’appaltatore rispetto a quello fornito dall’appaltante.
Il motivo è infondato.
Le Sezioni unite di questa Corte hanno ritenuto che l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza solo nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. S.U. n. 8053 e n. 8054 del 2014); si è ulteriormente preci sato che di ‘motivazione apparente’ o di ‘motivazione perplessa e incomprensibile’ può parlarsi laddove essa non renda ‘percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente
inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice’ (Cass. S.U. n. 22232 del 2016); simili anomalie non ricorrono nella specie in quanto è certamente percepibile il percorso motivazionale seguito dalla Corte territoriale per respingere il ricorso, non essendo sufficiente a determinare la radicale nullità della sentenza il dissenso valutativo espresso da chi si è visto soccombente in entrambi i gradi di merito. La Corte d’appello ha richiamato la motivazione adottata dal primo giudice ed espresso (p. 8) la propria valutazione del materiale probatorio come idoneo a dimostrare la autonoma organizzazione, da parte degli appaltatore, del lavoro dei dipendenti.
Con il terzo motivo si imputa alla sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione fra le parti, in ordine ai mezzi di esecuzione dell’appalto impiegati dalla società appaltatrice e consistenti in beni di consumo di modesto valore economico.
Il motivo è inammissibile per effetto della disciplina cd. della doppia conforme di merito, di cui all’art. 348 ter c.p.c. applicabile ratione temporis, non avendo i ricorrenti neanche allegato la diversità delle ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello (v. Cass. n. 5528 del 2014; n. 26774 del 2016).
Con il quarto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 1, legge 1369 del 1960 per avere la sentenza d’appello male applicato la presunzione assoluta introdotta dalla citata disposizione ritenendo la stessa derogabile ove fosse emersa l’autonoma gestione da parte dell’appaltatore.
Il motivo è infondato per le ragioni già espresse nell’esame del primo motivo e per gli ulteriori seguenti rilievi.
L’art. 1 della legge 1369 del 1960 stabiliva: ‘E’ considerato appalto di mere prestazioni di lavoro ogni forma di appalto o subappalto, anche per esecuzione di opere o di servizi, ove l’appaltatore impieghi capitali, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante, quand’anche per il loro uso venga corrisposto un compenso all’appaltante’.
Questa Corte (cfr. Cass. n. 5087 del 1998) ha chiarito che la nozione di appalto di manodopera o di mere prestazioni di lavoro, vietato dall’art. 1 legge n. 1369 del 1960, in mancanza di una definizione normativa, va ricavata tenendo anche conto della previsione dell’art. 3 della stessa legge concernente l’appalto (lecito) di opere e servizi nell’interno dell’azienda con organizzazione e gestione propria dell’appaltatore; ne consegue che l’ipotesi di appalto di manodopera è configurabile sia in presenza degli elementi presuntivi considerati dal terzo comma del citato art. 1 (impiego di capitale, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante), sia quando il soggetto interposto manchi di una gestione d’impresa a proprio rischio e di un’autonoma organizzazione – da verificarsi con riguardo alle prestazioni in concreto affidategli -, in particolare nel caso di attività esplicate all’interno dell’azienda appaltante, sempre che il presunto appaltatore non dia vita, in tale ambito, ad un’organizzazione lavorativa autonoma e non assuma, con la gestione dell’esecuzione e la responsabilità del risultato, il rischio d’impresa relativo al servizio fornito (cfr. anche Cass. n. 13785 del 2006).
Nel caso in esame, la Corte di merito ha escluso l’operare della presunzione assoluta per assenza della contemporanea presenza dei tre presupposti indicati dalla norma, vale a dire
capitali, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante, posto che quest’ultima aveva fornito soltanto gli impianti di lavaggio per i treni e pullman, ma non i capitali.
Ha, inoltre, accertato in fatto l’autonomia di gestione in capo alle appaltatrici.
Con il quinto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per motivazione apparente in ordine all’inserimento dei lavoratori nell’organizzazione delle società appaltatrici.
Il motivo è infondato per le ragioni già espresse nell’esame del secondo motivo di ricorso atteso che dalla sentenza impugnata emerge il percorso logico giuridico che ha condotto al decisum. La sentenza dà atto della presenza quotidiana in officina di un responsabile delle diverse ditte alle quali faceva capo l’organizzazione del lavoro e del fatto che le ditte appaltatrici si occupassero della gestione dei vari aspetti della vita lavorativa del personale da loro dipendente, sia riguardo ai turni di lavoro sia attraverso le direttive sul lavoro da svolgersi quotidianamente oltre che per la gestione di permessi, ferie, malattia ed anche sanzioni disciplinari, essendo riservato all’appaltante soltanto ‘un controllo tecnico sul corretto svolgimento e coordinamento delle varie attività finalizzato alla garanzia di regolare esecuzione dell’appalto’ (sentenza, p. 8).
In tal modo, la Corte di merito ha interpretato ed applicato il disposto dell’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003 in maniera conforme ai principi affermati da questa Corte, secondo cui il legislatore delegato se, da un lato, ha consentito che l’appaltatore, in relazione alle peculiarità dell’opera o del servizio, possa limitarsi a mettere a disposizione dell’utilizzatore la propria professionalità, intesa come capacità organizzativa e direttiva delle maestranze, a prescindere dalla proprietà di
macchine ed attrezzature, dall’altro ha ritenuto imprescindibile ai fini della configurabilità dell’appalto lecito che sia l’appaltatore stesso ad organizzare il processo produttivo con impiego di manodopera propria, esercitando nei confronti dei lavoratori un potere direttivo in senso effettivo e non meramente formale (Cass. 7898 del 2011 e negli stessi termini fra le più recenti Cass. n. 23215 del 2022; n. 15557 del 2019; n. 27213 del 2018; n. 27105 del 2018; n. 10057 del 2016; n. 7820 del 2013; v. anche Cass. n. 8256 del 2020; n. 22080 del 2021).
Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Non sfugge al Collegio l’eventualità che l’arrestarsi sulla soglia del giudizio di merito possa consentire che analoghe vicende fattuali vengano diversamente valutate dai giudicanti cui compete il relativo giudizio. Tuttavia è noto che l’oggetto del sindacato di questa Corte non è (o non immediatamente) il rapporto sostanziale intorno al quale le parti litigano, bensì unicamente la sentenza di merito che su quel rapporto ha deciso, di cui occorre verificare la legittimità negli stretti limiti delle critiche vincolate dall’art. 360 c.p.c., così come prospettate dalla parte ricorrente: ne deriva che contigue vicende possono dare luogo a diversi esiti processuali, ma si tratta di esiti non altrimenti evitabili, determinati dalla peculiare natura del controllo di legittimità (in riferimento a fattispecie sovrapponibili a quelle in esame v. Cass. n. 29728 del 2022 e n. 21501 del 2022, in motivazione), ancor più da quando il legislatore ha inequivocabilmente orientato il giudizio di cassazione nel senso della preminenza della funzione nomofilattica, anche riducendo progressivamente gli spazi di ingerenza sulla ricostruzione dei fatti e sul loro apprezzamento (in tali sensi v. Cass. n. 7364 del 2021).
La regolazione delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della controricorrente segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 24 giugno 2025.
La Presidente NOME COGNOME