Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 15357 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 15357 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20911/2019 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME ( -) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente e ricorrente incidentale- nonchè contro
COGNOME NOMENOME NOME, COGNOME NOME, DICOGNOME
NOMENOME TRIOLO CALOGERA, RAGIONE_SOCIALE, COGNOME, COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, MAGGIORE ENZA, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, TRIOLO CALOGERA, RAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO PALERMO n. 5/2019 depositata il 02/01/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Premesso che:
il 6 marzo 2002, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE stipulavano un contratto di appalto in forza del quale la seconda avrebbe dovuto realizzare, entro 18 mesi dalla ‘data del verbale di consegna’, un complesso immobiliare in Comune di Ribera, per il prezzo di €712.711.000 con una penale da ritardo prevista dall’art. 12 dello stesso contratto;
le parti addossavano l’una l’altra contestazioni di inadempienze e ciò conduceva alla proposizione, da parte della appaltatrice, della originaria domanda di risoluzione del contratto in danno della appaltante con condanna della stessa al pagamento del prezzo dei lavori stabiliti in contratto e al pagamento del prezzo dei lavori extra -capitolato. La convenuta si costituiva davanti all’adito Tribunale di Sciacca e chiedeva, a sua volta, dichiararsi la risoluzione del contratto in danno della attrice, la condanna della stessa al pagamento della penale da ritardo nella consegna dell’immobile, oltre danni per mancato completamento delle opere e per vizi. Nella causa venivano anche coinvolti il direttore dei lavori NOME COGNOME e i dieci soci della RAGIONE_SOCIALE. In particolare
la attrice chiedeva la condanna di ciascuno dei soci al pagamento del prezzo di lavori eseguiti su loro richiesta.
Il Tribunale rigettava le domande di risoluzione, condannava la convenuta a pagare alla attrice il prezzo dei lavori eseguiti al netto del valore delle opere difformi e di quelle lasciate ineseguite, condannava la attrice al pagamento della penale da ritardo e compensando le reciproche obbligazioni condannava la appaltante a pagare alla appaltatrice 211.336,77 euro oltre interessi. Riconosceva crediti nei confronti di soli sei soci della RAGIONE_SOCIALE.
La Corte di Appello di Palermo, con la sentenza in epigrafe, valutando congiuntamente l’appello principale della RAGIONE_SOCIALE e l’appello incidentale della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ha dichiarato che:
-era fondata la tesi della appaltatrice per cui il termine di diciotto mesi, stabilito nel contratto per il completamento dell’immobile, non poteva essere fatto decorrere, come ritenuto dal Tribunale, dalla data dell’8 marzo 2002, stabilita in contratto, dovendo essere fatto decorrere invece dal 10 settembre 2002 perché, fino a quest’ultima data, l’inizio dei lavori era stato reso impossibile dalla stessa appaltante per suoi ritardi nella conduzione di pratiche amministrative presso il Comune di Ribera. Nessuna penale poteva quindi essere pretesa dalla appaltante;
-non poteva trovare accoglimento l’appello principale della appaltatrice in punto di pretesa di pagamento del prezzo per lavori effettuati in variante e ciò in quanto, malgrado fosse emerso che effettivamente erano stati eseguiti lavori diversi e ulteriori rispetto a quello di cui al progetto allegato al contratto, l’appalto era a corpo, con prezzo determinato ‘chiavi in mano’ e non a misura. L’appaltatrice aveva dedotto di non essersi resa conto della divergenza rispetto all’originario progetto se non quando i lavori erano stati già realizzati e tuttavia la circostanza non poteva
assumere rilievo dato che la appaltatrice avrebbe dovuto, quale ‘ditta costruttrice’, rilevare immediatamente la variazione progettuale intervenuta in corso d’opera;
-era infondata la contestazione dell’appellante incidentale quanto alle stime fatte dal CTU riguardo al valore delle opere eseguite dalla appaltatrice;
-da una valutazione comparativa degli inadempimenti delle contraenti emergeva che l’inadempimento grave, tale da determinare la risoluzione del contratto, era ‘il comportamento della committente’ consistito nel mancato pagamento dell’accolto del Sal n.7, ‘anche in considerazione del fatto che la RAGIONE_SOCIALE appaltatrice ha quasi ultimato l’opera in parola’;
-l’appello della appaltatrice relativo al capo di condanna dei soci della RAGIONE_SOCIALE non poteva essere accolto in quanto basato su documentazione di formazione unilaterale della appaltatrice stessa.
La Corte di Appello, in conclusione, riduceva la condanna della appaltante a €136.356,99, oltre interessi, risultante dalla sottrazione dal valore della costruzione eseguita (€682708,07), delle somme già pagate alla appaltatrice (€504.000,00), del valore delle opere che non erano state eseguite (€31.002,07) e del costo per l’eliminazione dei vizi e delle difformità riscontrati dal CTU nelle opere eseguite (€10.350,00). Confermava la sentenza di primo grado quanto ai rapporti tra appaltatrice e soci della appaltante;
per la cassazione della sentenza in epigrafe hanno proposto ricorso sia la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, con due motivi, sia la RAGIONE_SOCIALE, con quattro motivi;
le altre parti indicate in epigrafe sono rimaste intimate;
ciascuna delle parti costituite ha depositato controricorso rispetto al ricorso dell’altra;
considerato che:
il ricorso notificato per primo è quello della RAGIONE_SOCIALE. Tale ricorso va pertanto qualificato come ricorso principale. Il ricorso della RAGIONE_SOCIALET va qualificato come incidentale (v. Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n.36075 del 23/11/2021);
con il primo motivo di ricorso principale vengono lamentate ‘nullità della sentenza per violazione dell’art. 2909 c.c. in relazione agli artt. 342 e 112 c.p.c. e violazione e falsa applicazione degli artt. 1382 e 2697 c.c.’, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3 e n.4 c.p.c.
Viene dedotto che la Corte di Appello ha errato laddove ha ritenuto che nessuna penale da ritardo potesse essere pretesa dalla appaltante. La Corte di Appello -si sostiene -ha guardato solo al dies a quo del termine di diciotto mesi previsto contrattualmente per il termine dei lavori. Ha accertato che il dies a quo era non l’8 marzo 2002 ma il 10 settembre 2002 ed ha, per ciò solo, escluso il ritardo. In questo modo ha trascurato il giudicato formatosi sull’accertamento del Tribunale riguardo al giorno di consegna dell’immobile -il 1° marzo 2006 -. Viene dedotto che, pur assumendo come dies a quo il 10 settembre 2002, il termine finale era comunque scaduto il 10 marzo 2004. La Corte di Appello avrebbe quindi potuto ridurre la penale da ritardo ma non avrebbe dovuto negare in assoluto il diritto della appaltatrice alla penale;
3. il motivo è infondato.
‘Il giudicato sostanziale (art. 2909 c.c.) che, quale riflesso di quello formale (art. 324 c.p.c.), fa stato ad ogni effetto tra le parti per l’accertamento di merito positivo o negativo del diritto controverso, si forma su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione, compresi gli accertamenti di fatto che rappresentano le premesse necessarie ed il fondamento logico e giuridico della pronuncia’
(Cass. Sez. 2 – , Sentenza n.5138 del 21/02/2019), con effetto preclusivo dell’esame delle stesse circostanze sia nello stesso giudizio sia in un successivo giudizio, che abbia gli identici elementi costitutivi della relativa azione e cioè i soggetti, la “causa petendi” ed il “petitum”.
Il presupposto è che la decisione non sia stata impugnata.
Nel caso di specie, come si legge a pagina 6 della sentenza di appello, la RAGIONE_SOCIALE aveva, con l’impugnazione della sentenza di primo grado, ‘chiesto di considerare non dovuta la penale contrattuale applicata’.
L’appello aveva quindi coinvolto l’intera statuizione del Tribunale riguardo alla debenza della penale da ritardo ed aveva riaperto la cognizione sull’intera questione ed espanso nuovamente il potere della Corte di Appello di riconsiderarla sotto tutti gli aspetti.
Non vi è stata quindi violazione degli artt.2909 c.c. e 324 c.p.c.
La ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 1382 e 2697 c.c.’ è stata evocata nella rubrica del motivo ma la denuncia non è stata sviluppata;
con il secondo motivo di ricorso principale viene lamentato ‘l’omesso esame di un fatto discusso tra le parti e decisivo per il giudizio’ e vengono altresì lamentate ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455 c.c.’, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5 e n. 3, c.p.c.
Viene dedotto che la Corte di Appello, nella comparazione delle inadempienze delle due parti, ai fini della imputazione della causa di risoluzione all’una o all’altra, ha errato nel dare rilievo prevalente all’inadempienza della appaltante all’obbligo di pagamento dell’acconto del SAL n. 7 per € 51.645, atteso che la stessa Corte di Appello aveva rilevato inadempienze della appaltatrice per oltre €40.000,00 tra valore dei lavori non eseguiti e costi
dell’eliminazione dei vizi e dei difetti accertati. I fatti di cui sarebbe stato omesso l’esame sarebbero le inadempienze della appaltatrice; 5. il motivo è inammissibile perché involge valutazioni riservate al merito.
La Corte di Appello, essendo state denunciate inadempienze reciproche, ha comparato il comportamento della appaltante e della appaltatrice con riferimento ai rispettivi interessi -dedotti dal contenuto dell’appalto e quindi avendo riguardo ai lavori programmati e al prezzo pattuito- e con riferimento alla oggettiva entità degli inadempimenti -il mancato pagamento del sal n.7; le opere non eseguite rispetto al totale delle opere previste (‘la RAGIONE_SOCIALE appaltatrice ha quasi completato l’appalto’);le opere mal eseguite-, ed ha accertato che la appaltante si era resa responsabile della trasgressione maggiormente rilevante, causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma.
Il motivo tende a sostituire alla valutazione comparativa della Corte di Appello una valutazione di esito opposto.
Si scontra con il principio per cui ‘Nei contratti con prestazioni corrispettive, in caso di denuncia di inadempienze reciproche, è necessario comparare il comportamento di ambo le parti per stabilire quale di esse, con riferimento ai rispettivi interessi ed alla oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle trasgressioni maggiormente rilevanti ed abbia causato il comportamento della controparte, nonché della conseguente alterazione del sinallagma. Tale accertamento, fondato sulla valutazione dei fatti e delle prove, rientra nei poteri del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato’ (Cass. Sez. 2 – , Sentenza n.13627 del 30/05/2017; Cass. Sez. 2 – , ordinanza n.13827 del 22/05/2019);
6. il ricorso incidentale ha un prima pagina recante, a margine, la procura richiamata nella stessa pagina. La procura reca la firma del
legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE e la firma per autentica del difensore. A questa pagina fa seguito una pagina identica nel contenuto ma priva di procura a margine. Seguono poi le altre pagine del ricorso e, in calce, la firma del difensore. Sono veicolati quattro motivi di doglianza e vi è, infine, una parte rubricata ‘omissioni’, priva di riferimenti normativi, in cui viene dedotto che la Corte di Appello non avrebbe condannato la RAGIONE_SOCIALE ‘alle spese di CTU di primo grado’ e non avrebbe ‘liquidato le spese generali di primo grado’. Sono individuati nominativamente quali parti del giudizio la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e il direttore dei lavori NOME COGNOME. Si parla poi dei ‘soci’ della RAGIONE_SOCIALE;
la ricorrente principale eccepisce la inammissibilità del ricorso sia perché le sarebbero stati notificati il ricorso firmato digitalmente privo della procura e, separata dal ricorso, la prima facciata ‘di un’altra versione’ del ricorso in formato analogico e scansionato, con a margine la procura, sia perché il ricorso non rispetterebbe i requisiti essenziali di cui all’art. 366, primo comma, numero 1 e al numero 3 (nella versione applicabile ratione temporis, antecedente alla riforma introdotta con d.lgs. 10 ottobre 2022, n.149), c.p.c.
Le eccezioni sono infondate.
Quanto alla prima eccezione si osserva, da un lato, che ‘ la procura ex artt. 83, comma 3, e 365 c.p.c., se incorporata nell’atto di impugnazione, si presume rilasciata anteriormente alla notifica dell’atto che la contiene, sicché non rileva, ai fini della verifica della sussistenza della procura, la sua mancata riproduzione o segnalazione nella copia notificata, essendo sufficiente, per l’ammissibilità del ricorso per cassazione, la sua presenza nell’originale’ (Cass. SU 35466/2021). Si osserva, da altro lato, che solo qualora il ricorso per cassazione sia privo dell’autenticazione del difensore -la cui firma non appaia nemmeno sotto la procuranon soltanto nella copia notificata, ma anche
nell’originale, viene meno la funzione attribuita allo stesso difensore, ai sensi degli artt. 83 cod. proc. civ. e 125 disp. att. cod. proc. civ., di certificare l’autografia della sottoscrizione del ricorso ad opera di una parte determinata e, per il suo tramite, la riferibilità ad essa del ricorso stesso, con la conseguenza che quest’ultimo deve essere dichiarato inammissibile’ (Cass. Sez. 1, Sentenza n.18649 del 29/08/2006). Nel caso di specie non si verte in ipotesi di simile carenza.
Quanto al requisito di cui al n.1 dell’art. 366, primo comma. c.p.c., va preliminarmente richiamato il principio per cui ‘Il ricorso per cassazione è inammissibile, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., qualora l’identificazione delle parti contro cui è diretto manchi o sia assolutamente incerta, non essendo necessario, a tal fine, che le relative indicazioni siano premesse all’esposizione dei motivi di impugnazione o comunque esplicitamente formulate, ed essendo sufficiente (analogamente a quanto previsto dall’art. 164 c.p.c.) che esse risultino inequivocabilmente, anche se implicitamente, dal contesto del ricorso, ovvero dal riferimento ad atti dei precedenti gradi del giudizio, da cui sia agevole identificare con certezza la parte intimata; in mancanza di tale indicazione, il relativo vizio non è sanato dalla relazione di notificazione che, quale dichiarazione dell’ufficiale giudiziario relativa alla conoscenza del documento incorporante il ricorso, è atto soggettivamente e oggettivamente distinto da quest’ultimo’ (Cass. Sez. 3 , Ordinanza n.8778 del 28/03/2023).
Il ricorso pur non indicando tra le parti, nominativamente, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, soci della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, tuttavia contiene plurimi riferimenti ai ‘soci della RAGIONE_SOCIALE‘, riporta passi del dispositivo della sentenza di primo e secondo grado in cui i soci sono identificati
nominativamente e richiama atti -l’originaria citazione e l’originario atto di costituzione dei soci -da cui è agevole individuare i soci intimati.
Riguardo al requisito di cui all’art. 360, primo comma, n.3 va innanzi tutto ricordato che, in termini generali, esso è funzionale alla comprensione dei motivi nonché alla verifica dell’ammissibilità, pertinenza e fondatezza delle censure proposte talché, qualora l’esposizione consenta tale comprensione e tale verifica, il requisito può dirsi soddisfatto pur se l’esposizione non è analitica o particolareggiata (Cass. Sez. 2, sentenza n.10072 del 24/04/2018).
Nel caso di specie il ricorso indica in modo sufficientemente chiaro i termini della controversia e le pretese delle parti e dà conto, anche attraverso il richiamo alla sentenza di primo grado e ai motivi degli appelli principale e incidentale, dello sviluppo della vicenda processuale;
il primo motivo di ricorso incidentale è rubricato ‘violazione degli articoli 360, primo comma, n. 1 e n. 5 c.p.c. in relazione all’art. 113 c.p.c. con riferimento agli articoli 1659, 1660 e 1661 c.c.’
Viene dedotto che la Corte di Appello ha errato nell’affermare che, essendo il contratto di appalto stipulato tra la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE un contratto di appalto a corpo e non a misura, non spetta alla appaltatrice alcun corrispettivo per le opere ulteriori e diverse da quelle previste in contratto eseguite ‘su ordine del direttore dei lavori’;
il motivo è fondato.
9.1. La Corte di Appello ha dato conto del fatto che, in esito alla CTU, era emerso che la appaltatrice aveva realizzato lavori non previsti negli elaborati grafici allegati al contratto. Tuttavia ha negato che per tali lavori la appaltatrice potesse pretendere un prezzo in quanto emergeva ‘dal chiaro tenore letterale del testo del
regolamento negoziale il prezzo è stato determinato <> chiavi in mano’.
9.2. La Corte di Appello ha errato: come è stato precisato, ‘in tema di appalto, le nuove opere richieste dal committente costituiscono varianti in corso d’opera ove, pur non comprese nel progetto originario, siano necessarie per l’esecuzione migliore ovvero a regola d’arte dell’appalto o, comunque, rientrino nel piano dell’opera stessa e, invece, sono lavori extracontrattuali se siano in possesso di una individualità distinta da quella dell’opera originaria, pur se ad essa connessi, ovvero ne integrino una variazione quantitativa o qualitativa oltre i limiti di legge, sicché, nel primo caso, l’appaltatore è, in linea di principio, obbligato ad eseguirle, mentre, nel secondo, le opere debbono costituire oggetto di un nuovo appalto (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 25800 del 23 05/09/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 16222 del 08/06/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 727 del 15/01/2020; Sez. 2, Sentenza n. 9767 del 12/05/2016; Sez. 1, Sentenza n. 18438 del 01/08/2013; Sez. 1, Sentenza n. 12416 del 07/07/2004; Sez. 1, Sentenza n. 8094 del 14/06/2000; Sez. 1, Sentenza n. 1531 del 19/05/1972). Ricadono nell’ambito dei lavori extracontrattuali le seguenti tre categorie di interventi: a) i lavori richiesti dal committente, che non abbiano alcuna relazione con l’originaria opera appaltata, non costituendone un suo completamento o un suo sviluppo o una sua sostituzione, ma una mera aggiunta; b) i lavori che incidono in modo così radicale sull’opera commissionata, tanto da modificarne la natura, cioè l’essenza, a cui fa riferimento l’art. 1661, secondo comma, c.c.; c) le opere modificative richieste, allorquando l’opera appaltata sia stata già ultimata e accettata. I suddetti lavori non vanno ad incidere sulle clausole negoziali, sicché non rilevano, se non in via di fatto, ai fini del pattuito termine di consegna delle opere (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23291 del 31/10/2014)’ (Cass. 5 marzo 2024, n. 5889; v. altresì Cass. 27 aprile 1968, n. 1331).
Nel caso di specie le opere diverse e ulteriori rispetto a quelle dell’originario qualificabili come lavori extra contratto davano diritto al relativo compenso nonostante il prezzo fosse stato definito in modo globale ‘a corpo’. Del resto, quand’anche dette opere fossero state classificate come varianti, si sarebbe comunque trattato, non già di variazioni concordate del progetto su impulso dell’assuntore, come regolate dall’art. 1659 c.c., bensì di variazioni apportate al progetto dal committente (facoltà che il committente può esercitare nei limiti in cui le variazioni non superino il sesto del prezzo convenuto) e per le quali l’appaltatore ha diritto ai sensi dell’art. 1661 c.c. al compenso anche se il prezzo dell’opera è stato determinato globalmente (Cass. 5889/2024 cit.);
10. il secondo motivo di ricorso è rubricato ‘violazione degli articoli 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c. in relazione all’art. 324 c.p.c.’ Viene dedotto che la Corte di Appello avrebbe ritenuto che ‘sul capo che riconosceva i lavori fuori contratto si era formato il giudicato’ e viene dedotto che ‘i lavori fuori contratto dovevano essere necessariamente liquidati alla ricorrente’.
11. il motivo, al di là dell’incomprensibile riferimento al giudicato, essendo volto ad ottenere la riforma della sentenza impugnata per la parte in cui è stato negato il diritto al prezzo dei lavori eseguiti su variante della committente al progetto iniziale, resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo;
12. con il terzo motivo di ricorso viene lamentata la ‘violazione degli articoli 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c. in relazione all’art. 1218 e 1449 c.c.’ per avere la Corte di Appello, da un lato, liquidato sugli importi riconosciuti a credito della T&T interessi legali invece che gli interessi ‘nella misura prevista nel contratto’ e, dall’altro, omesso di liquidare su tali importi anche la rivalutazione monetaria;
13. il motivo è inammissibile per più ragioni.
Dalla sentenza di appello non emerge che la ricorrente avesse chiesto interessi al tasso convenzionale né rivalutazione monetaria. La ricorrente non lamenta del resto violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte di Appello trascurato di rispondere a tale richiesta. Per di più la ricorrente neppure indica quale sarebbe il tasso convenzionale a cui fa riferimento. Il ricorso manca anche dei minimi requisiti di specificità (art. 366 c.p.c.). Per quanto concerne la rivalutazione monetaria va poi tenuto conto del principio per cui ‘In tema di appalto, mentre la somma liquidata a favore del committente per la eliminazione dei vizi e difformità dell’opera – a titolo di risarcimento del danno o anche di riduzione del prezzo di cui all’art. 1668 cod.civ. – ha ad oggetto un debito di valore dell’appaltatore, che, non essendo soggetto al principio nominalistico, deve essere rivalutato in considerazione del diminuito potere d’acquisto della moneta intervenuto fino al momento della decisione, il diritto dell’appaltatore al corrispettivo ha natura di debito di valuta, che non è suscettibile di automatica rivalutazione per effetto del processo inflattivo della moneta; pertanto, in caso di inadempimento o ritardato adempimento della relativa obbligazione la rivalutazione monetaria del credito può essere riconosciuta, sempreché il creditore alleghi e dimostri, ai sensi del secondo comma dell’art. 1224 cod.civ., l’esistenza del maggior danno derivato dalla mancata disponibilità della somma durante il periodo di mora e non compensato dalla corresponsione degli interessi legali previsti con funzione risarcitoria in misura forfettariamente predeterminata dal primo comma dell’art. 1224 cod.civ. Ne consegue che la rivalutazione monetaria del debito di valuta, sostituendosi al danno presunto costituito dagli interessi legali, è idonea a reintegrare totalmente il patrimonio del creditore, sicché non possono essere riconosciuti gli interessi sulla somma rivalutata, se non dal momento della sentenza con cui, a seguito e per effetto
della liquidazione, il credito – essendo divenuto liquido ed esigibile produce interessi corrispettivi ai sensi dell’art. 1282 cod.civ. (Cass, Sez. 2, Sentenza n.11549 del 22/06/2004). È stato poi affermato che ‘nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art. 1224, secondo comma, cod. civ. può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali. Ricorrendo tale ipotesi, il risarcimento del maggior danno spetta a qualunque creditore, quale che ne sia la qualità soggettiva o l’attività svolta (e quindi tanto nel caso di imprenditore, quanto nel caso di pensionato, impiegato, ecc.), fermo restando che se il creditore domanda, a titolo di risarcimento del maggior danno, una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio di rendimento dei titoli di Stato, avrà l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare di tale pregiudizio, anche per via presuntiva; in particolare, ove il creditore abbia la qualità di imprenditore, avrà l’onere di dimostrare o di avere fatto ricorso al credito bancario sostenendone i relativi interessi passivi; ovvero – attraverso la produzione dei bilanci – quale fosse la produttività della propria impresa, per le somme in essa investite; il debitore, dal canto suo, avrà invece l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni semplici, che il creditore, in caso di tempestivo adempimento, non avrebbe potuto impiegare il denaro dovutogli in forme di investimento che gli avrebbero garantito un rendimento superiore al saggio legale’ (Cass. Sez. U, Sentenza n.19499 del 16/07/2008). Nel caso di specie il ricorrente non dà conto di aver mai allegato o dimostrato alcunché;
14. con il quarto motivo di ricorso viene lamentata la ‘violazione degli articoli 360, primo comma, n. 5 c.p.c. in relazione agli artt. 1660 e 1661 c.c.’ per avere la Corte di Appello rigettato
erroneamente la richiesta della RAGIONE_SOCIALE del pagamento dei lavori spettanti ai singoli soci. Motivazione apparente e giuridicamente non corretta’;
15. il motivo è inammissibile.
La Corte di Appello ha rigettato l’appello della appaltatrice relativo al capo di condanna di soli sei su dieci soci della RAGIONE_SOCIALE e per somme più contenute di quelle pretese. La Corte di Appello ha osservato che il primo giudice aveva correttamente valutato tutta la documentazione agli atti e che l’appello era basato su documentazione erroneamente utilizzata dal CTU malgrado fosse di formazione unilaterale della appaltatrice.
Con il motivo in esame viene sostenuto che in realtà i soci della RAGIONE_SOCIALE avevano chiesto lavori specifici, che i lavori erano stati eseguiti ed erano stati accertati dal CTU di primo grado. Dacché secondo la ricorrente la violazione degli artt. 1660 e 1661 c.c.
Al di là della rubrica, in cui vi è un riferimento all’omesso esame di fatti imprecisati -peraltro la censura sarebbe stata comunque inammissibile anche se i fatti fossero stati precisati dato che, a fronte di un doppio accertamento conforme dei giudici di primo e secondo grado, l’impugnazione della sentenza d’appello soggiace alla preclusione derivante dalla regola di cui all’art. 348-ter, comma 5, c.p.c.-, il motivo ha questa struttura: poiché il giudice di merito ha accertato i fatti X e tale accertamento è erroneo (cioè non corrisponde alla realtà delle cose), allora sono state violate le norme giuridiche Y (artt. 1660 e 1661 c.c.). Tale struttura scambia il ruolo della Corte di cassazione per quello di una terza istanza di merito;
16. quanto, infine, alla dedotte ‘omissioni’ che atterrebbero alla liquidazione delle spese del merito, nel rapporto tra appaltante e appaltatrice, atteso che le spese dovranno essere ridefinite dal
giudice del rinvio in esito alla valutazione del primo motivo di ricorso incidentale, ogni questione su dette ‘omissioni’ è assorbita; 17. in conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato, il primo motivo di ricorso incidentale deve essere accolto, il secondo resta assorbito, il terzo e il quarto devono essere dichiarati inammissibili. In relazione al motivo accolto la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa deve essere rinviata, anche per le spese, alla Corte di Appello di Palermo, in diversa composizione; 18. il ricorrente principale dovrà, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r. 115/2002, versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto;
PQM
la Corte rigetta il ricorso principale, accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, dichiara assorbito il secondo e inammissibili gli altri motivi del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte di Appello di Palermo, in diversa composizione.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma 22 maggio 2024.