Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20436 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20436 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29926/2021 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE N. 3 COGNOME, rappresentata e difesa dall’Avv.
NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli Avv. COGNOME e NOME COGNOME
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 261/2021 depositata il 5.8.2021, NRG 435/2017; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3/6/2025 dal
Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
la Corte d’Appello di Venezia, rigettando il gravame proposto avverso la sentenza del Tribunale della stessa città, ha confermato la pronuncia di primo grado di accoglimento della domanda con cui NOME COGNOME, dipendente della Azienda Ulss N. 3 Serenissima (di seguito, Azienda) proveniente dall’Istituto IPAB ‘ Costante Gris ‘ , aveva lamentato che non fosse stata considerata in suo favore, nelle selezioni per le progressioni di carriera, l’anzianità maturata presso l’IPAB, insistendo per il riconoscimento in suo favore del corretto punteggio a lui spettante;
la Corte d’Appello ha rilevato, che , secondo il Regolamento esistente al momento delle selezioni, l’anzianità presso l’IPAB poteva essere valutata se quest’ultima apparteneva agli ‘enti equiparati’ alle aziende ed enti del SSN, da individuare, secondo la contrattazione decentrata del 5.11.2015, sulla base dell’art. 11 dell’Accordo Quadro Nazionale (di seguito, CCNQ) sulla definizione dei comparti, che faceva riferimento alle IPAB che svolgessero prevalentemente funzioni sanitarie, come era nel caso di specie, non essendo contestato che l’IPAB ‘RAGIONE_SOCIALE fosse munita di tale caratteristica;
la Corte territoriale riteneva altresì che l’ultimo accordo collettivo, in cui si limitava ulteriormente l’estensione agli enti equiparati, richiedendo che essi dovessero avere applicato il CCNL del comparto sanità, era da ritenere innovativo e dunque, essendo stato concluso dopo l’approvazione delle graduatorie per le selezioni oggetto di causa, esso non era applicabile a ritroso, sia perché nel trasferimento per mobilità ai sensi dell’art. 30 del d. lgs. n. 165 del 2001 l’anzianità maturata doveva essere conservata ad ogni fine, sia perché doveva prevalere lo stato di fatto e di diritto esistente al momento del bando, quale lex specialis della selezione, sicché non potevano avere corso modifiche ex post delle regole preesistenti;
2.
l’Azienda ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, cui NOME COGNOME ha opposto difese con controricorso; sono in atti memorie di ambo le parti;
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.
con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione ed errata applicazione dell’accordo tra l’Azienda e le organizzazioni sindacali del 9.10.2012 e del successivo accordo interpretativo del 5.11.2015, nonché dell’art. 14 del Regolamento sulle progressioni di carriera e dell’art. 11 del CCNL quadro di definizione dei comparti, oltre ad omessa insufficiente comprensione e motivazione su un punto decisivo della controversia;
il motivo è sviluppato sostenendo che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto che il rinvio dell’art. 14 del Regolamento , quale inteso dall’accordo del 5.11.2015, all’art. 11 del CCNQ avesse solo lo scopo di individuare gli enti equiparati agli enti ed aziende del SSN a prescindere dai contratti presso gli stessi applicati e che errata fosse l’affermazione per cui l’IBAP ‘ Costante COGNOME ‘ svolgesse prevalentemente funzioni sanitarie;
1.1 il motivo è inammissibile;
1.2
non è infatti consentito addurre con il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione di un Regolamento interno di una Azienda Sanitaria Locale, non trattandosi di atto normativo, ma di mera disciplina dei rapporti di lavoro e delle progressioni presso quello specifico ente (Cass. 20 novembre 2017, n. 27456), così come analoga censura non può riguardare un accordo decentrato, considerando la norma, come anche l’art. 63, co. 5, del d. lgs. n. 165 del 2001, soltanto i contratti collettivi
nazionali (Cass. 3 dicembre 2013, n. 27062; Cass. 19 marzo 2010, n. 6748);
rispetto ad una tale tipologia di atti potrebbe semmai addursi al violazione in sede interpretativa dei c.d. canoni ermeneutici di cui all’art. 1362 ss. c.c., ma il motivo non è impostato in tal senso ed è insufficiente il mero cenno ad un « contrasto con il contenuto letterale » dell’accordo sindacale del novembre 2015;
contrasto che, tra l’altro, non è oggettivamente dato scorgere visto che quel documento contiene un mero rinvio all’art. 11 del CCNQ e che quest’ultimo, rispetto alle IPAB, richiama il parametro dello svolgimento di « prevalentemente funzioni sanitarie », che è esattamente quanto ritenuto dalla sentenza qui impugnata;
1.3
non è neanche ammessa in sede di legittimità la mera censura in fatto dell’accertamento volto dalla Corte territoriale in merito al non essere contestato che il ‘ NOME COGNOME ‘ svolgesse prevalentemente quelle funzioni;
la censura è svolta affermando l’esatto contrario di quanto affermato nella sentenza impugnata -ovverosia dicendo che era incontestato che non vi fosse lo svolgimento di quelle funzioni prevalenti -ma il motivo così impostato ha la natura di una difesa di merito, del tutto impropria rispetto al giudizio di cassazione (Cass. 28 ottobre 2019, n. 27490);
2.
il secondo motivo è rubricato come violazione ed errata applicazione dell’accordo tra l’Azienda e le organizzazioni sindacali del 9.10.2012 e del successivo accordo interpretativo del 5.11.2015, nonché dell’art. 14 del Regolamento sulle progressioni di carriera e dell’art. 11 del CCNL quadro di definizione dei comparti, oltre che degli artt. 30 e 52-bis del d. lgs. n. 165 del 2001;
il motivo sostiene che il giudice non avrebbe potuto sostituirsi alla volontà delle parti sociali di interpretare autenticamente, con l’accordo del 2016, il criterio di valutazione dell’anzianità in ambito IPAB ed afferma che sarebbe errata l’affermazione della Corte territoriale secondo cui in caso di mobilità l’anzianità per le progressioni di carriera debba essere valutata nella sua integralità;
2.1
quest’ultimo p rofilo di censura è in sé corretto, avendo questa SRAGIONE_SOCIALE. già ritenuto che il nuovo datore ben può ai fini della progressione di carriera valorizzare l’esperienza professionale specifica maturata alle proprie dipendenze, differenziandola da quella riferibile alla pregressa fase del rapporto (tra le molte, Cass. 3 agosto 2007, n. 17081; Cass. 17 settembre 2015, n. 18220);
2.2
tuttavia, rettificata per quanto occorra anche ai sensi dell’art. 384, u.c., c.p.c., in parte qua la motivazione, il ragionamento della sentenza impugnata, secondo cui non può ammettersi una modifica ex post dei parametri posti a base di una selezione, è di assoluta evidenza ed assorbente;
il trattarsi di effetto modificativo -desunto dall’interpretazione dei diversi accordi successivi -è palese, perché si è passati dall’anzianità in enti caratterizzati dallo svolgimento di « prevalentemente funzioni sanitarie » all’anzianità in enti che avessero applicato in concreto i contratti collettivi del settore sanitario pubblico;
su tale base, non si può ex post applicare un diverso criterio, pur proveniente dalle organizzazioni sindacale;
è infatti evidente come in tal modo si realizzerebbe la violazione radicale di ogni parametro di correttezza e buona fede, venendosi ad alterare le condizioni sulla cui base la graduatoria era stata o comunque doveva essere formata e quindi il legittimo affidamento maturato dai concorrenti su di esse, da ogni punto di vista;
3.
il terzo motivo denuncia la violazione ed errata applicazione dell’accordo tra l’Azienda e le organizzazioni sindacali del 9.10.2012 e del successivo accordo interpretativo del 5.11.2015, nonché dell’art. 14 del Regolamento sulle progressioni di carriera e dell’art. 11 del CCNL quadro di definizione dei comparti, oltre ad omessa insufficiente motivazione su un punto decisivo;
la censura è sviluppata affermando che l’Azienda non avrebbe applicato l’accordo di interpretazione del 2016, ma l’accordo del 2015 « che diceva la stessa cosa »;
già si è detto che i due accordi, come spiega anche la Corte territoriale, non dicevano la stessa cosa, ma si tratta anche da questo punto di vista di difesa sul piano interpretativo rispetto ad accordi decentrati, che non può esser dedotta -come si è già detto -sub specie di violazione di essi o adducendo generici difetti motivazionali, ma semmai sulla base dei criteri ermeneutici di cui agli art. 1362 ss. c.c., di cui non vi è traccia nel motivo;
4.
il ricorso va dunque integralmente rigettato e le spese del grado restano da regolare secondo soccombenza nei termini di cui al dispositivo;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 5.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 -bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro