Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13494 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 13494 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21881/2019 R.G. proposto da
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME , tutti elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio degli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che li rappresentano e difendono
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE «LRAGIONE_SOCIALEORIENTALE» ,
in persona del Rettore pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO
NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5346/2018 de lla Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE, depositata il 23.10.2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7.3.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
I ricorrenti iniziarono a lavorare presso l’RAGIONE_SOCIALE , quali lettori di lingua madre straniera, assunti ai sensi dell ‘art. 28 del d.P.R. n. 382 d el 1988, instaurando un rapporto di cui il Pretore di RAGIONE_SOCIALE accertò, con sentenza passata in giudicato, la natura di rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Dopo essersi rifiutati di stipulare un rapporto di lavoro a tempo indeterminato come collaboratori esperti linguistici (per non perdere l’anzianità acquisita) , i ricorrenti si rivolsero al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, in funzione di giudice del lavoro, per chiedere la condanna dell’RAGIONE_SOCIALE al pagamento de gli adeguamenti retributivi maturati dal luglio 1996 al febbraio 2000. Il Tribunale accolse la loro domanda, riconoscendo ai lavoratori il diritto alla retribuzione nella misura prevista per i ricercatori confermati a tempo definito.
RAGIONE_SOCIALE sola RAGIONE_SOCIALE propose appello contro la sentenza di primo grado, che venne riformata dalla Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE, riconoscendo agli appellati il diritto al trattamento retributivo previsto per i professori associati a tempo definito.
Il ricorso per cassazione proposto dal l’RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza d’appello previa revocazione della sentenza che aveva inizialmente dichiarato l’estinzione del giudizio venne
accolto con sentenza n. 19190/2016, che cassò con rinvio alla medesima Corte territoriale, dettando i seguenti principi di diritto:
« a) la necessaria corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato ed il divieto di reformatio in peius , che presiedono alla formazione del thema decidendum in appello, impediscono all ‘ appellato di giovarsi del gravame principale per ottenere effetti che solo l ‘ appello incidentale gli avrebbe assicurato e che, invece, in mancanza, gli sono preclusi dall ‘ acquiescenza prestata alla sentenza di primo grado;
b) l ‘ art. 4 della legge n. 236 del 1995, nell’abrogare l ‘ art. 28 del d.p.r. 11.7.1980 n. 382, istituendo la diversa posizione del collaboratore linguistico, non consente di configurare un ‘ ruolo ad esaurimento ‘ per il rapporto di lettorato;
c) la disciplina dettata dalla legge e dalla contrattazione collettiva per i collaboratori ed esperti linguistici è applicabile in via analogica al rapporto a tempo indeterminato intercorrente, in forza di sentenza passata in giudicato, fra l ‘ università e l ‘ ex lettore anche se non abbia sottoscritto il contratto di assunzione in qualità di c.e.l., ove la sentenza irrevocabile si sia limitata a dichiarare la nullità della clausola di durata senza statuire sugli aspetti economici e normativi del rapporto ».
All’esito del giudizio di rinvio, la Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE ha rigettato le domande dei lavoratori e, in accoglimento della domanda riconvenzionale dell’RAGIONE_SOCIALE, ha dichiarato che « al rapporto di lavoro a tempo indeterminato intercorrente tra le parti in causa è applicabile la disciplina dettata dalla legge e dalla contrattazione collettiva per i collaboratori esperti linguistici (CEL) in relazione all’orario svolto ».
Contro tale decisione i lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione articolato in sette motivi.
RAGIONE_SOCIALE si è difesa con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria nel termine di legge anteriore alla data della camera di consiglio fissata ai sensi de ll’ art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo denuncia «violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., ai sensi e per gli effetti de ll’ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.».
I ricorrenti si lamentano che la Corte d’Appello non abbia riconosciuto loro il diritto di svolgere 250 ore annue di lavoro e sostengono che tale riconoscimento sarebbe stato imposto dalla sentenza di cassazione con rinvio, avendo questa affermato l’applicabilità ai loro rapporti contrattuali dalla « disciplina dettata dalla legge e dalla contrattazione collettiva per i collaboratori ed esperti linguistici ».
1.1. Il motivo è infondato.
Il giudice del rinvio non era affatto vincolato a riconoscere ai lavoratori il diritto allo svolgimento di 250 ore annue di attività e, quindi, trattandosi di accertamento relativo ad annualità ormai trascorse, ad accogliere la connessa domanda di condanna dell’RAGIONE_SOCIALE al pagamento di una retribuzione parametrata a quel minimo orario lavorativo garantito.
Infatti, l ‘affermazione dell’applicabilità ai ricorrenti della disciplina legale e contrattuale relativa ai collaboratori esperti linguistici contenuta nella sentenza n. 19190/2016 che cassò la prima decisione della Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE non comporta automaticamente il diritto al pagamento di un importo pari alla retribuzione dovuta per 250 ore di lavoro annue, dovendosi accertare, in fatto, se i lavoratori avessero fatto richiesta di prestare l’attività nella quantità oraria minima prevista dalla
contrattazione collettiva e se il datore di lavoro avesse colpevolmente ignorato o rifiutato tale richiesta, incorrendo in un obbligo di risarcimento del danno, piuttosto che di pagamento retributivo, trattandosi di prestazioni di lavoro non eseguite. E l’accertamento dei fatti compe te esclusivamente al giudice del merito.
Ciò vale a maggior ragione nel caso di specie, se si considera che nella sentenza di cassazione con rinvio si legge che il giudice di primo grado -la cui sentenza venne appellata soltanto dall’RAGIONE_SOCIALE aveva dichiarato « il diritto dei ricorrenti a percepire, in proporzione all’orario svolto e all’anzianità maturata, la retribuzione annuale prevista per i ricercatori universitari a tempo definito ». La stessa sentenza di rinvio dava, quindi, per scontato che la controversia vertesse esclusivamente sulle retribuzioni dovute « in proporzione all’orario svolto » e non ad altre ore di lavoro che si sarebbero potute svolgere.
Con il secondo motivo di ricorso, formulato anch’esso ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si denunciano «violazione e falsa applicazione de ll’ art. 51 del CCNL Comparto RAGIONE_SOCIALE del 21.5.1996».
La doglianza prospetta una erronea mancata applicazione della disposizione del contratto collettivo nazionale secondo cui il monte ore nel contratto di lavoro tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE non può essere inferiore a 250 ore annue.
2.1. Il motivo è infondato per ragioni analoghe a quelle spese per giustificare l’infondatezza del precedente motivo.
Dato per assodato che l’ art. 51 del CCNL Comparto RAGIONE_SOCIALE del 21.5.1996 non attribuisce il diritto dei RAGIONE_SOCIALE. di ricevere una retribuzione corrispondente a 250 ore annue a prescindere dal numero di ore effettivamente lavorate, il
mancato riconoscimento di quel diritto ai ricorrenti non può comportare, di per sé, alcuna violazione della norma contenuta nell’art. 51. È significativo che i ricorrenti alleghino di avere prodotto (solo) «in sede di riassunzione» atti di messa in mora con cui avrebbero manifestato al datore di lavoro la volontà di svolgere 250 ore lavorative (e non il minore numero di ore previste nei rispettivi contratti e poi effettivamente svolte), perché ciò dimostra che il diritto al pagamento -a titolo di risarcimento -di un importo pari alla retribuzione dovuta per le ore non lavorate non deriva dalla mera applicazione al rapporto del CCNL 21.5.1996, ma presuppone l’allegazione di fatti ulteriori che non erano stati allegati (né tantomeno accertati) nei precedenti gradi di merito.
Il terzo motivo denuncia «violazione e falsa applicazione dell’art. 3 94 c.p.c., ai sensi dell’ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.».
La Corte d’Appello partenopea ha ritenuto inammissibile, perché nuova, la domanda di condanna dell’RAGIONE_SOCIALE al pagamento di una retribuzione calcolata sul monte ore di 250 ore annue. I ricorrenti riconoscono che si trattava di domanda non proposta nei precedenti gradi di merito, ma sostengono che tale mutamento della domanda avrebbe dovuto essere ammesso, trattandosi di «nuove conclusioni» la cui necessità era sorta dalla sentenza di cassazione (art. 394, comma 3, c.p.c.), ovverosia dall’accertata applicabilità al rapporto della norma del CCNL relativa ai C.E.L.
3.1. Anche questo motivo è infondato.
La domanda di condanna al pagamento di un importo di denaro in considerazione del fatto di avere svolto meno di 250 ore annue di lavoro ben avrebbe potuto essere proposta dai ricorrenti fin dall’atto introduttivo del processo (e tanto più se
essi avevano fatto a suo tempo richiesta in tal senso al datore di lavoro), sicché non si può sostenere che la necessità di proporre quella domanda sia sorta «dalla sentenza di cassazione».
Inoltre, la Corte d’Appello ha rilevato che la sentenza di primo grado « ha fatto espresso riferimento, nel dispositivo, all’impegno orario svolto e non certo a quello eventualmente da svolgere » e che tale sentenza non venne appellata dai lavoratori, facendone conseguire la corretta osservazione che la modifica delle conclusioni proposta « è inammissibile perché del tutto avulsa dalla materia del contendere » devoluta in grado d’appello .
La quarta censura è rubricata «violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’ art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.».
I ricorrenti sostengono che la Corte partenopea non si sarebbe pronunciata «sulle conclusioni rassegnate nell’atto di riassunzione».
4.1. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
Infondato, nella parte in cui si riferisce alla domanda nuova di condanna al pagamento di un importo di denaro per le ore non lavorate fino al limite di 250 annue: infatti, su tale domanda la Corte territoriale si è pronunciata, proprio dichiarandola inammissibile perché tardiva.
Inammissibile è, invece, il motivo laddove sembra riferirsi anche ad altre imprecisate domande che sarebbero rimaste senza risposta.
Il quinto mezzo denuncia «violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del d.l. n. 2 del 2004 e dell’art. 26 della legge n. 240 del 2010, ai sensi dell’ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.».
Questo motivo, sebbene riproponga di sfuggita anche la già esaminata questione delle 250 ore, si concentra in modo particolare sulla mancata valorizzazione economica della anzianità di servizio.
Strettamente connesso al precedente -e quindi da esaminare congiuntamente -è poi il settimo motivo, con cui si denuncia «violazione de ll’ art. 22 del CCNL Comparto RAGIONE_SOCIALE del 13.5.2003, ai sensi e per gli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.».
Infatti, anche questo motivo riguarda il mancato riconoscimento dell’anzianità di servizio a decorrere da lla data di stipula del primo contratto di lavoro ex art. 28 del d.P.R. n. 382 del 1980.
I due motivi sono fondati e devono pertanto essere accolti, per quanto di ragione.
La Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE , accolta la domanda riconvenzionale dell’RAGIONE_SOCIALE e quindi accertato che ai rapporti di lavoro dei ricorrenti è applicabile la disciplina dettata per i C.E.L., ne ha tratto l’immediata conseguenza che «non vi sono differenze retributive da corrispondersi per il periodo di causa avuto riguardo al concreto orario concretamente svolto pari a 125 ore annue».
Per quanto riguarda il riferimento al solo orario concretamente svolto, la considerazione è coerente con quanto sopra rilevato in merito alla delimitazione della materia del contendere nel giudizio di rinvio. Ma non può invece essere condivisa la prematura conclusione raggiunta sulla assenza di differenze retributive, in mancanza di un esame in merito all ‘avvenuto pagamento delle progressioni economiche connesse all’anzianità maturata ponendo come data iniziale del rapporto di lavoro il primo contratto a termine di lettorato.
Il riferimento alla retrodatazione del trattamento economico «dalla data di prima assunzione quali lettori» è esplicito nell’art. 26, comma 3, della legge n. 240 del 2010 ed è ripreso dall’art. 22 del CCNL di comparto 15.5.2003, il cui comma 4 («si considera come decorrenza iniziale dell’anzianità per gli ex lettori, la data di stipula del primo contratto di lavoro ex art. 28 DPR 382/80») è testualmente riportato nella sentenza n. 19190/2016; di talché la valorizzazione, ai fini economici, dell’anzianità di servizio er a da intendersi vincolante, per il giudice del rinvio, anche ai sensi dell’art. 384 c.p.c. , pur in mancanza di una esplicitazione in termini di principio di diritto («deve uniformarsi al principio di diritto e comunque a quanto statuito dalla Corte»).
Infine, è infondato il sesto motivo, con cui i ricorrenti censurano «omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi e per gli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. ».
Si denunciano, infatti, nei termini impropri d ell’ omesso esame di un fatto decisivo la mancata valutazione delle ragioni sottese al rifiuto dei lavoratori di sottoscrivere il contratto di C.E.L. (aspetto non decisivo e nemmeno fattuale) e delle diffide inviate all’RAGIONE_SOCIALE per offrire di prestare servizio per 250 ore annue (fatto esaminato dalla Corte d’Appello nel senso di escluderne ogni rilevanza in rapporto alla delimitazione della materia del contendere in seguito alla dichiarata inammissibilità della nuova domanda proposta in sede di rinvio).
In relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata deve essere cassata per quanto di ragione, con rinvio alla medesima Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE, la quale provvederà a regolare le spese anche del presente giudizio di legittimità e si atterrà al seguente principio di diritto: « nell’applicare la
disciplina dettata dalla legge e dalla contrattazione collettiva per i collaboratori ed esperti linguistici al rapporto a tempo indeterminato intercorrente, in forza di sentenza passata in giudicato, fra l’università e l’ ex lettore si deve considerare, ai fini del calcolo delle retribuzioni dovute, l’anzianità di servizio maturata a decorrere dalla stipula del primo contratto di lavoro ex art. 28 del d.P.R. n. 382 del 1980 ».
10. Si dà atto che l ‘esito dell’impugnazione rende inapplicabile la disciplina dettata, quanto al raddoppio del contributo unificato, dall ‘ art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il quinto e il settimo motivo di ricorso, per quanto di ragione, respinti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE, in diversa composizione, perché decida anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 7.3.2024.