Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9684 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 9684 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 34117/2018 R.G. proposto da domiciliato in Roma presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, con diritto di ricevere le comunicazioni all’indicato indirizzo PEC dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio de ll’ AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1407/2018 de lla Corte d’Appello di Bari, depositata il 7.8.2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6.2.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
L’attuale contro ricorrente, tenente di polizia municipale in servizio al Comune di Corato, convenne in giudizio l’ente datore di lavoro per chiederne la condanna al pagamento delle differenze retributive dovute, previo accertamento del suo diritto al riconoscimento del l’intero periodo compreso tra il 1°.10.1990 e il 31.7.2003 quale «servizio prestato in categoria immediatamente inferiore o corrispondenti ex qualifiche», ai fini delle progressioni economiche orizzontali, con conseguente attribuzione delle categorie D/4 dal 1°.1.2007, D/5 dal 1°.1.2008 e D/6 dal 1°.1.2010
Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale di Trani, in funzione di giudice del lavoro, respinse la domanda, ritenendo che il servizio prestato nella ex 5 a qualifica funzionale, con integrazione tabellare, fino al 1°.1.1998 non potesse essere equiparato al servizio prestato in categoria C e, dunque, nella categoria immediatamente inferiore a quella nel cui ambito si pretendevano le progressioni economiche.
La sentenza di primo grado venne impugnata dalla lavoratrice e la Corte d’Appello di Bari accolse il gravame, condannando il Comune di Corato al pagamento della somma di € 11.049,84, in linea capitale, a titolo di differenze retributive maturate.
Contro la sentenza della Corte d’Appello il Comune di Corato ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. La lavoratrice si è difesa con controricorso. Il ricorso è trattato in camera di consiglio ai sensi de ll’ art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente denuncia «nullità della sentenza in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per violazione dell’art. 7, comma 5, CCNL del 31.3.1999 ».
Secondo il ricorrente, la sentenza della Corte d’Appello sarebbe basata su un ‘ erronea interpretazione della disposizione del CCNL Comparto Regioni ed Enti locali del 31.3.1999, che, equiparando la 5 a alla 6 a delle previgenti qualifiche funzionali (e, quindi, entrambe alla categoria C del nuovo ordinamento), fissò, per tale equiparazione, la decorrenza del 1°.1.1998. Ne consegue, sempre secondo il ricorrente, che alla lavoratrice non avrebbe potuto essere riconosciuta un’ anzianità di servizio nella categoria C risalente al 1990, posto che essa era stata inquadrata nella ex 5 a qualifica funzionale fino alla sua equiparazione alla 6 a qualifica a norma del sopravvenuto CCNL.
1.1. A prescindere dall’irrilevante errore di intestazione (essendo quello denunciato non un caso di nullità della sentenza, bensì un vizio di violazione dei contratti collettivi nazionali , da inquadrare nell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. ), il motivo è infondato.
1.1.1. La Corte d’Appello ha infatti tenuto conto che l’attuale controricorrente era inquadrata, fino al 1°.1.1998, nella ex 5 a qualifica funzionale, ma ha tuttavia considerato decisivo il rilievo che, nell’ambito di tale qualifica, la lavoratrice avesse acquisito il diritto all’integrazione tabellare. La Corte ha infatti osservato che proprio il CCNL 31.3.1999, nella allegata tabella C, definisce le corrispondenze tra le vecchie qualifiche funzionali e le categorie della nuova classificazione. Ebbene, la qualifica «5 + int. tab.» è ivi equiparata, al pari della 6 a qualifica, alla «nuova categoria C» (a differenza delle qualifiche «5» e «5 led», che sono ricondotte alla «nuova categoria B»).
Pertanto, al di là del fatto che la ex 5 a qualifica funzionale venne equiparata alla 6 a dall’art. 7 del CCNL solo con decorrenza
dal 1°.1.1998, la Corte territoriale ha correttamente valorizzato il dato normativo desumibile dalla tabella C, statuendo che la qualifica «5 + int. tab.» corrisponde alla «nuova Categoria C» anche prima della (e a prescindere dalla) sopravvenuta equiparazione alla ex 6 a qualifica funzionale.
1.1.2. Occorre altresì rilevare che la Corte d’Appello ha basato la sua decisione anche sull’interpretazione del contratto collettivo decentrato integrativo comunale, il quale -in una nota alla tabella volta a disciplinare le modalità di ponderazione del parametro «esperienza acquisita» -specificava i termini di rilevanza del servizio prestato «in categoria immediatamente inferiore o corrispondenti ex qualifiche». In ciò il giudice del merito ha ravvisato l’intenzione dei contraenti di valorizzare proprio il fatto che alle categorie di nuovo inquadramento possono corrispondere più qualifiche funzionali del precedente sistema , come appunto nel caso dell’inquadramento nella categoria C sia della 6 a qualifica funzionale, sia della qualifica «5 + int. tab.».
Si tratta di un’interpretazione non specificamente censurata nel ricorso e che, del resto, avendo ad oggetto un contratto collettivo decentrato integrativo, e non un contratto collettivo nazionale di lavoro, non potrebbe essere direttamente censurata in sede di legittimità, ma soltanto indirettamente, mediante la denuncia della violazione dei canoni legali di interpretazione dei contratti (artt. 1362 e ss. c.c.).
Il secondo motivo è rubricato «nullità della sentenza in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., nonché dell’art. 116 c.p.c., per violazione dell’art. 414, comma 1, n. 5, c.p.c.».
Il ricorrente lamenta in questo caso che la Corte d’Appello abbia valorizzato anche il contenuto di documenti (prospetti retributivi) tardivamente prodotti in primo grado al fine di accertare il fatto che la lavoratrice continuò a percepire l’indennità tabellare per tutto il periodo dal 1°.10.1990 al 31.12.1997.
2.1. Il motivo è inammissibile, perché il ricorrente non allega di avere eccepito, durante il giudizio di merito, la decadenza della controparte dalla produzione di prova documentale e, quindi, men che meno precisa dove e come avrebbe eccepito tale decadenza (come sarebbe stato suo onere fare in ossequio al principio di specificità del ricorso per cassazione: art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c.).
Il ricorrente precisa di avere prontamente contestato l’efficacia probatoria dei documenti prodotti, il che però è cosa diversa dall’eccepire la decadenza e, quindi, l’inammissibilità della produzione . La valutazione dell’efficacia probatoria dei documenti attiene all ‘accertamento del fatto, che compete al giudice del merito ed è insindacabile in questa sede di legittimità.
Per quanto riguarda la tardività della produzione di documenti non prodotti con il ricorso introduttivo, ma soltanto nel corso del processo di primo grado, va qui ribadita, con particolare riferimento al processo del lavoro, la consolidata giurisprudenza secondo cui, in mancanza di opposizione della controparte, la decadenza è sanata ed è legittima, ed anzi doverosa, l ‘utilizz azione dei documenti da parte del giudice del merito, che abbia anche solo implicitamente consentito la produzione documentale tardiva nell’esercizio dei poteri
discrezionali riservatigli dall’art. 421 c.p.c. ( v. Cass. nn. 12902/2015; 10102/2015; 19810/2013; 16781/2011).
Respinto il ricorso, le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che, in base al l’esito del giudizio , sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’ art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
respinge il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 3 .000 per compensi, oltre a € 200 per esborsi, spese generali al 15% e accessori di legge;
ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 -quater , dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del l’ art. 13, comma 1 -bis , del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso in Roma, il 6.2.2024.