Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11185 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 11185 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25308/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME;
– ricorrente –
contro
NOME NOME DECEDUTO, e COGNOME elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 700/2019 depositata il 19/04/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/02/2024
dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
NOME e NOME convenivano in causa il padre NOME NOME i fratelli NOME e NOME chiedendo accertarsi l’usucapione di due appartamenti siti in Saint Christophe ad Aosta.
Si costituiva NOME COGNOME chiedendo il rigetto della domanda.
Le altre parti rimanevano contumaci.
Il Tribunale di Aosta accoglieva la domanda delle attrici e dichiarava l’acquisto per usucapione dei due immobili.
NOME COGNOME proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
Le originarie attrici si costituivano nel giudizio di secondo grado chiedendo l’inammissibilità del gravam e.
Le altre parti rimanevano contumaci anche nel giudizio di appello.
La C orte d’ Appello di Torino accoglieva il gravame e in riforma della sentenza del Tribunale di Aosta rigettava le domande formulate da NOME NOME COGNOME di acquisto per usucapione del bene immobile in contestazione.
In particolare, la Corte dopo aver richiamato la motivazione del Tribunale, evidenziava che la lettera sottoscritta da NOME COGNOME documentava l’assenza dell’ animus possidendi , essendosi dichiarata affittuaria della casa, e avendo corrisposto la somma di
lire 150.000 a tale titolo. Nella stessa lettera l ‘ attrice si dichiarava disponibile a lasciare la casa per l’invivibili tà dietro corresponsione del valore ereditato dalla madre pari a € 200.000. Si trattava, dunque, di un chiaro riconoscimento della presenza di una situazione di detenzione e della consapevolezza della comproprietà con altri soggetti. Successivamente non erano emersi atti di interversione della detenzione in possesso. Anche i lavori di ristrutturazione erano smentiti alle testimonianze e comunque non potevano comportare alcuna interversione.
Le spese affrontate dalla medesima, del pari, erano irrilevanti, trattandosi di spese sostenibili tanto dall’affittuario quanto dal proprietario. Anche le prove testimoniali non deponevano a favore dell’inter versione, mentre nella sentenza impugnata mancava qualsiasi considerazione circa la mancata allegazione da parte dell’originaria attrice de i presupposti per il possesso vista anche la situazione familiare.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di due motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso. A seguito del decesso del controricorrente si è costituita l’erede NOME COGNOME.
Il consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
A seguito di tale comunicazione, la parte ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
Fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha nno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, rileva la Corte che nel procedimento ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., come disciplinato dal d.lgs. n. 149 del 2022, il presidente della sezione o il consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, può far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis.1, non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4 e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (cfr. Sez. U, Sentenza n. 9611 del 2024 depositata il 10.4.2024). Sulla scorta di tale recentissima pronuncia (che ha giustificato la successiva riconvocazione del Collegio in camera di consiglio), il cons. NOME COGNOME, autore della proposta di definizione ex art. 380 bis cpc, non versa in situazione di incompatibilità.
Passando all’esame dei motivi di ricorso, il primo di essi è così rubricato: violazione o falsa applicazione degli articoli 102, 291 e 354 c.p.c., difetto e/o insufficiente e/o contraddittorietà e illogicità della motivazione.
La censura ha ad oggetto la mancata verifica del perfezionamento della notifica nei confronti di NOME NOME NOME
NOME . Si sarebbe verificata la violazione dell’articolo 291 c.p.c. dovendosi rinnovare la notifica alla parte convenuta litisconsorte necessaria. La C orte d’ Appello avrebbe dovuto rimettere la causa al Tribunale di Aosta ricorrendo l’ipotesi di cui all’articolo 354 c.p.c. ovvero la mancanza di prova della ritualità della notificazione dell’atto di citazione.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione degli articoli 1140, 1141, 1158 e 2697 c.c.
La censura si appunta sulla ritenuta insussistenza dei presupposti per usucapire e sulla ritenuta concessione in godimento del bene per mera tolleranza. Le ricorrenti osservano che la lettera sottoscritta da NOME non era un elemento dirimente per escludere la sussistenza del possesso in quanto dalla stessa emergeva solo la consapevolezza di non essere proprietaria. Peraltro, la lettera di NOME non potrebbe avere effetto nei confronti della sorella NOME. Inoltre, le ricorrenti avevano sufficientemente allegato e provato la sussistenza dei presupposti per il possesso e doveva escludersi dovrebbe escludersi la tolleranza anche lungo tempo trascorso.
La ricorrente con la memoria depositata in prossimità dell’udienza, insiste nella richiesta di accoglimento del ricorso e in sostanziale replica alle conclusioni della proposta osserva che:
La Corte d’Appello di Torino, valorizzando la lettera sottoscritta da NOME, non ha limitato la valutazione della missiva al riconoscimento ed alla consapevolezza del possessore circa l’altruità del bene senza ponderare in alcun modo l’effettiva sussistenza della volontà di attribuire il diritto reale al proprietario in violazione dei principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità.
Inoltre non avrebbe considerato che dal corpus possessionis si può presumere iuris tantum l’animus possidendi , corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale. Infine, quanto alla tolleranza la ricorrente evidenzia che la durata del godimento posto in essere rappresenta un elemento presuntivo da valutare infatti la semplice tolleranza postula transitorietà ed occasionalità, non già un esercizio sistematico e reiterato del potere di fatto sulla cosa.
La memoria della parte ricorrente che si sofferma solo sul secondo motivo non offre argomenti ulteriori rispetto a quelli contenuti nel ricorso.
In particolare, quanto al primo motivo è sufficiente ribadire che la ricorrente non è legittimata a far valere il vizio della notifica nell’interesse di terze parti come da orientamento del tutto consolidato emergente dalla copiosa giurisprudenza indicata nella proposta.
Inoltre, il motivo è inammissibile perché la domanda di usucapione è stata rigettata dalla Corte d’Appello e quindi non si pone nessun rischio di sentenza inutiliter data o di una opposizione di terzo da parte dei litisconsorti non regolarmente citati in primo grado e che quindi non ricevono nessun pregiudizio da quella sentenza che è stata riformata integralmente. Il motivo serve -a ben vedere – solo a riaprire inammissibilmente la lite sperando in un esito diverso del giudizio, in palese violazione del principio costituzionale di durata ragionevole del processo. (v. Cass. 24071/2019; Cass. 38337/2021; Cass.20091/2023; Cass. 36299/2023,).
Le restanti censure proposte come violazione di legge in realtà tendono ad un’inammissibile pretesa di rivalutazione di risultanze di fatto emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, cosi mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa potessero ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità. Le censure, pertanto, anche là dove denunciano il vizio di violazione e falsa applicazione di legge si appalesano inammissibili a fronte dell’anzidetto accertamento compiuto dalla Corte territoriale, la quale ha individuato le fonti del proprio convincimento e valutato le risultanze probatorie, dando conto dell’iter logico e deduttivo seguito.
In particolare, l’interpretazione e valutazione probatoria della lettera dalla quale si è desunto l’animus detinendi delle originarie attrici non è soggetta al sindacato di questa Corte, così come gli ulteriori elementi in base ai quali è stata esclusa la sussistenza dei presupposti per ritenere sussistente un possesso utile ad usucapire in capo alle medesime.
Infine, richiamata nuovamente l’ampia motivazione della proposta, deve ribadirsi che la valutazione circa la sussistenza o meno dell’ animus possidendi e del corpus possessionis – prendendo le mosse dall’esame dei fatti e delle prove inerenti al processo – è rimessa all’esame del giudice del merito, le cui valutazioni, alle
quali il ricorrente contrappone le proprie, non sono sindacabili in sede di legittimità, ciò comportando un nuovo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione.
Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali in favore della parte controricorrente, liquidate come in dispositivo.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 9 6 cod. proc. civ., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente con vincolo solidale al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; condanna altresì la parte ricorrente, ai sensi
dell’art. 96 cod. proc. civ., al pagamento, in favore della parte controricorrente, della ulteriore somma pari ad euro 4.500,00, nonché al pagamento della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda