Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1587 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1587 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 22/01/2025
sul ricorso 11087/2020 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso da ll’ avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO di MILANO n. 5028/2019 depositata il 16/12/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/12/2024 dal Cons. Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di appello di Milano, con la sentenza che si riporta in esergo, ha respinto il gravame proposto da NOME COGNOME avverso la decisione di rigetto in primo grado delle istanze del medesimo nei confronti della Banca Piccolo Credito Valtellinese s.p.a. e volte segnatamente a far accertare l’usurarietà dei tassi applicati al rapporto di mutuo contratto con la convenuta.
Motivando le ragioni del proprio rigetto, la Corte di appello, per quel che qui ancora rileva, ha inizialmente dato atto dell’inammissibilità per difetto di specificità di alcuni dei motivi di appello («nel caso di specie, pur essendo formalmente indicati i capi della sentenza che si intendono impugnare, non vengono tuttavia indicati, nella sostanza, i passaggi logico-motivazionali della sentenza del giudice di prime cure che si intendono sottoporre al riesame né, tantomeno, è dato comprendere quali siano le violazioni di legge in cui sarebbe incorso il Tribunale. Non viene nemmeno chiarita, oltre a ciò, la rilevanza, ai fini del decidere, delle censure mosse avverso la sentenza di primo grado. Vengono usate espressioni generiche in relazione al fatto che si lamenta la presenza di usura nel contratto per cui è causa, sulla base di algoritmi di parte, e che tanto basterebbe a riformare la sentenza appellata»); ha quindi sostenuto, in punto di usura, che gli interessi corrispettivi non si sommano agli interessi moratori («si deve escludere, infatti, che l’usurarietà del tasso di mora possa derivare dall’applicazione degli interessi moratori su rate comprensive degli interessi corrispettivi; il punto, in particolare viene chiarito da Cass. n. 23192/2017 che precisa che il vaglio antiusura deve essere effettuato autonomamente sia in relazione agli interessi corrispettivi che a quelli moratori»), ritenendo che ai fini della determinazione del tasso soglia applicabile ai secondi possa farsi riferimento al tasso medio («a tal fine, prevalente è la tesi secondo
cui sono da considerare i criteri dettati dai decreti trimestrali del ministero dell’economia e delle finanze, i quali chiariscono che i tassi effettivi globali medi non comprendono al loro interno gli interessi di mora contrattualmente previsti per le ipotesi di ritardo nel pagamento delle rate; al fine di evitare il confronto tra tassi disomogenei – viene accolto quindi il c.d. principio di simmetria vengono considerati dati statistici dai quali emerge che la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardo nei pagamenti e, in media, pari a 2,1 %»), secondo le Istruzioni emanate dalla Banca d’Italia di cui ha ribadito l’indiscussa validità («occorre infatti rilevare che le Istruzioni fornite dalla Banca d’Italia sono valide norme connotate da un elevato grado di tecnicismo, che consente di addivenire correttamente all’individuazione dei parametri di riferimento per il calcolo dei tassi medi e delle correlative soglia di usura»); ed ha infine escluso che il piano di ammortamento ‘ alla francese ‘ adottato per il rimborso del mutuo fosse fonte di un indiretto anatocismo («come correttamente rilevato dal Tribunale -e secondo l’orientamento ormai maggioritario -il piano di ammortamento alla francese, che prevede delle rate costanti, non genera anatocismo e ciò in quanto il meccanismo alla base di tale piano pone alla base del calcolo una rata che comprende la quota di interessi maturata nel periodo precedente sul solo capitale che residua dopo il pagamento dell’ultima rata»).
La cassazione di detta sentenza è ora chiesta dal Valli con quattro motivi di ricorso ai quali resiste con controricorso e memoria la banca intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso -con cui si censura il capo della decisione impugnata a mezzo del quale il giudice distrettuale aveva dichiarato inammissibili alcuni dei motivi di gravame in quanto privi
di specificità, sebbene, in ossequio ai principi regolatori del processo in generale e alle norme sovranazionali di accesso alla giustizia, l’atto di gravame fosse stato predisposto assolvendo tutti gli oneri relativi, tanto da superare senza conseguenze il filtro di cui all’art. 348bis cod. proc. civ. -è, in disparte da ogni altro analogo rilievo, inammissibile perché palesemente estraneo alla ratio decidendi enunciata dalla Corte di merito, sicché esso difetta, più brevemente, di specificità, per gli effetti preclusivi di cui all’art. 366, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.
Come visto la Corte di appello, onde giustificare il proprio deliberato sul punto, ha rimarcato, quanto ai motivi oggetto della contestata pronuncia, che non vengono indicati i luoghi della sentenza di primo grado oggetto di censura, non si enunciano le ragioni di contestazione, non se ne argomenta la concludenza e, quando lo si fa, si utilizzando espressioni generiche di dubbia efficacia. In tal modo il decidente ha esplicitato un quadro motivazionale preliminarmente ostativo alla cognizione del gravame che l’odierna censura non aggredisce, astenendosi segnatamente dallo sviluppare qualsiasi confronto critico con le ragioni della decisione sul punto e limitandosi solo ad esternare considerazioni di principio che nessuna utilità aggiungono in questa direzione, di talché appunto il rilevato difetto di specificità del motivo di ricorso e la sua conseguente inammissibilità.
3.1. Il secondo motivo di ricorso -con cui si censura il capo della decisione impugnata a mezzo del quale il giudice distrettuale aveva disatteso le doglianze in punto di usurarietà dei tassi sulla scorta delle Istruzioni della Banca d’Italia, quantunque ad esse non si potesse attribuire alcun vincolante effetto di legge laddove, in particolare, prendendo atto che non n’è prevista la rilevazione ai fini della determinazione del TEGM, provvedevano ad indicare i tassi
moratori mediamente applicati nella prassi bancaria -non ha pregio e può pertanto essere disatteso.
3.2. Questa Corte ha già avuto modo di rivendicare la funzione normativa delle Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura in forza delle quali la Banca d’Italia provvede trimestralmente ad accertare i tassi correnti sul mercato ai fini di determinare il TEGM allorché, interrogandosi sull’applicabilità della l. 108/1996 al campo degli interessi moratori, preso atto delle rilevazioni operate a fini conoscitivi dei tassi medi applicati agli interessi di mora, ha, dapprima, fatto proprio il ragionamento sviluppato dalle SS.UU. 16303/2018 in relazione alla commissione di massimo scoperto per affermare che ai fini di «individuare la soglia usuraria degli interessi di mora sarà dunque sufficiente sommare al “tasso soglia” degli interessi corrispettivi il valore medio degli interessi di mora, maggiorato nella misura prevista dall’art. 2, comma 4, della legge n. 108 del 1996»; e quindi ha più direttamente esplicitato il concetto che «le rilevazioni di Banca d’Italia sulla maggiorazione media, prevista nei contratti del mercato a titolo di interesse moratorio, possono fondare la fissazione di un cd. tasso-soglia limite, che anche questi comprenda» sottolineando che «lungi dal rilevare la casistica, eterogenea e centrifuga, dei singoli rapporti obbligatori di finanziamento, quel che assume importanza è l’oggettività dei dati emergenti dalla realtà economica e dalla sua struttura, caratterizzata da un ordinamento sezionale regolamentato e vigilato. La conseguenza è che la clausola sugli interessi moratori si palesa usuraria, quando essa si ponga “fuori da mercato”» (Cass., Sez. U, 18/09/2020, n. 19597).
3.3. Più in generale, una volta ricordato che a mente dell’art. 1, comma 1, l. 108/1996 “Il Ministro del tesoro, sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi, rileva trimestralmente il tasso effettivo
globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari iscritti negli elenchi tenuti dall’Ufficio italiano dei cambi e dalla Banca d’Italia ai sensi degli articoli 106 e 107 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura. I valori medi derivanti da tale rilevazione, corretti in ragione delle eventuali variazioni del tasso ufficiale di sconto successive al trimestre di riferimento, sono pubblicati senza ritardo nella Gazzetta Ufficiale”, va detto che le “Istruzioni” di che trattesi, oltre a rispondere alla elementare esigenza logica e metodologica di avere a disposizione dati omogenei al fine di poterli raffrontare, hanno anche natura di norme tecniche autorizzate in quanto norme di settore integrative della norma primaria sotto l’aspetto tecnico, sicché non si può dubitare della loro efficacia vincolante posto che, da un lato, l’attribuzione della rilevazione dei tassi effettivi globali alla Banca d’Italia è via via disposta dai decreti ministeriali annuali che si sono succeduti a partire dal d.m. 23 settembre 1996 per la classificazione in categorie omogenee delle operazioni finanziarie, e, dall’altro lato, i decreti ministeriali trimestrali con i quali sono resi pubblici i dati rilevati, all’art. 3 hanno sempre disposto che le banche e gli intermediari finanziari, al fine di verificare il rispetto del tasso soglia, si attengono ai criteri di calcolo indicati nelle “Istruzioni” emanate dalla Banca d’Italia e dunque le “Istruzioni” sono pertanto autorizzate dalla normativa regolamentare e sono necessarie per dare uniforme attuazione al disposto della norma primaria.
3.4. La Corte di appello ha perciò -del tutto rettamente, come si è riferito in narrativa -sconfessato il contrario assunto sul punto
allegato dal ricorrente, sicché quanto da essa deciso merita piena condivisione.
Il terzo motivo di ricorso -con cui si censura il giudice distrettuale per non aver disposto la CTU a mezzo della quale sarebbe stato possibile accertare la violazione della normativa antiusura a cui aveva dato luogo la stipulazione del mutuo in base alle condizioni imposte dalla banca -è inammissibile trattandosi di determinazione non sindacabile in questa sede.
Pur osservando che l’illustrazione del motivo non dà conto di un’istanza in tal senso formulata dalla parte, va in ogni caso riferito, secondo quello che si afferma abitualmente, che la consulenza tecnica d’ufficio è mezzo istruttorio, e non una prova vera e propria, sottratto alla disponibilità delle parti ed affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, sicché ammetterlo o meno rientra nel potere discrezionale del decidente il cui esercizio si sottrae al controllo di questa Corte, salvo l’onere di motivazione, peraltro assolvibile anche implicitamente, ove la disposizione della CTU sia sollecitata dalla parte (Cass., Sez. IV, 4/07/2024, n. 18299; Cass., Sez. VI-I, 13/01/2020, n. 326; Cass., Sez. I, 5/07/2007, n. 15219).
Il quarto motivo di ricorso -con cui si censura il capo della decisione impugnata a mezzo del quale il giudice distrettuale aveva disatteso la doglianza in punto all’effetto anatocistico sotteso all’adozione del piano di ammortamento “alla francese” per il rimborso del mutuo, quantunque il regime di capitalizzazione composta che esso comporta determina la violazione delle norme a presidio della trasparenza -non ha pregio e va pertanto disatteso.
Ove, infatti, tacitandone la valenza eminentemente esplorativa impressa alla sua declinazione, che segue più il modello dell’astratta dissertazione accademica che della critica pertinente, il motivo
potesse affrancarsi da una precoce prognosi di inammissibilità a cui lo consegna il fatto di doverne rilevare perciò un palese difetto di specificità, va più meditatamente osservato, sul filo delle considerazioni da ultimo sviluppate da SS.UU. 15130/2024 -dell’avviso, per inciso, che la mancata indicazione della modalità di ammortamento e del regime di capitalizzazione composto degli interessi debitori non è causa di nullità parziale del contratto per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto del contratto, né per violazione della normativa in tema di trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti tra gli istituti di credito e i clienti -che il fatto che per indicare le modalità di rimborso nell’ammortamento “alla francese” si affermi che la capitalizzazione avviene in regime “composto” non è foriero dell’effetto paventato dal ricorrente, ma è unicamente rappresentativo del fenomeno per cui la quota capitale è sì incrementata con gli interessi generati non, però, su altri interessi, ma sul capitale residuo, sicché nella dinamica fisiologica del rapporto, allorché cioè il rimborso avviene regolarmente in conformità al piano di ammortamento, gli interessi scaduti non sono destinati a generare a loro volta ulteriori interessi nel periodo successivo diventando parte della somma fruttifera; è perciò condivisibile l’affermazione, già operata altrove (Cass., Sez. V, 2/10/2023, n. 27823), secondo cui «la capitalizzazione composta è quindi, nel caso di specie, del tutto eterogenea rispetto all’anatocismo ed è solo un modo per calcolare la somma dovuta da una parte all’altra in esecuzione del contratto concluso tra loro; è, in altre parole, una forma di quantificazione di una prestazione o una modalità di espressione del tasso di interesse applicabile a un capitale dato».
Anche su questo versante, dunque, l’assunto decisorio si mostra inattaccabile e meritevole perciò di piena conferma.
Il ricorso va pertanto conclusivamente respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico del ricorrente del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in favore di parte resistente in euro 7200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il giorno 17.12.2024.
Il Presidente Dott. NOME COGNOME